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Autore: Thiare    05/12/2019    1 recensioni
Si risvegliò di soprassalto nel suo letto chiamando il suo nome a gran voce.
Natasha accorse in maniche di camicia (enorme) e adorabile salopette blu, con un paio di guanti che le arrivavano fino al gomito.
“Ce ne hai messo di tempo a svegliarti, eh? Che succede?”
Niente sparo in testa, niente incidente per strada, niente uovo interspaziale, niente broccoli a pranzo, niente tanfo in casa. No, aspetta un attimo.
“Il lavandino del bagno è rotto?”
“Come hai fatto a capirlo?”
Clint si rigettò sul letto con un sospiro e gridò contro il cuscino. “NON DI NUOVO!!!”
[...]
Mentre osservava con sospetto tutti i presenti a mensa, Clint ripensava a che cosa l’aveva portato a rivivere il 13 maggio per la terza volta consecutiva. Perché era bloccato in quel loop di stranezze? E soprattutto, perché la giornata finiva sempre con Natasha che moriva?

[Clintasha] [Post The Avengers] [Divisa in due parti]
Genere: Comico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Maria Hill, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nick Fury
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mentre osservava con sospetto tutti i presenti a mensa, Clint ripensava a che cosa l’aveva portato a rivivere il 13 maggio per la terza volta consecutiva. Perché era bloccato in quel loop di stranezze? E soprattutto, perché la giornata finiva sempre con Natasha che moriva?

A proposito di Natasha. La guardò sedersi al tavolo con lui e la Hill e addentare il suo bombolone alla crema.
Si era persino stufato di chiedergliene un pezzo, gli era passata la fame.
Aveva ripercorso mentalmente ogni momento della sua giornata, domandandosi che cavolo fosse quell’ultima trovata infernale che lo faceva risvegliare sempre il 13 maggio. Perché non poteva avere un giorno di pausa, dopo quell’incredibile battaglia che avevano appena combattuto? Capì che un po’ aveva paura di quella situazione; e se si fosse trattato dell’ennesimo trucco di Loki e la battaglia non fosse davvero finita? Era stufo, si sentiva stanco e affannato. Ripensando per l’ennesima volta ai suoi tre 13 maggio, aveva convenuto che l’unica cosa che aveva potuto provocare quel gran casino fosse quel dannato uovo interspaziale. Non doveva toccarlo, anzi, doveva liberarsene. Ma come? Non sapeva nemmeno cos’era.
Se quella sera avesse visto di nuovo Natasha morire, avrebbe preso quella situazione come una sua nu0va missione. E gli dei sapevano che Clint Barton non andava sfidato.
 
 


Ebbene, nei giorni successivi aveva visto Natasha morire in una ventina di modi diversi. Quando accoltellata, strangolata, infilzata da una freccia, sommersa da un muro caduto, soffocata oppure pestata così tanto da farle perdere la ragione. Aveva contato diciotto 13 maggio fino ad allora e niente era cambiato, tranne che per qualche dettaglio in più che ora notava durante la sua giornata, come degli strani movimenti sul tetto che gli operai stavano cercando di riparare, il giocattolino di Freccia che ogni sera si ritrovava perfettamente nella sua cuccia e una sua freccia incastrata in una delle due macchine coinvolte nell’incidente sulla strada di casa. Oltre al fatto che, oh hey!, non riusciva mai a salvare Nat.
Aveva provato a non toccare quell’uovo, ma nel momento in cui pensava di potersi trattenere, la sua mano era più veloce della sua testa e tutto ricominciava di nuovo.
Quando il diciannovesimo 13 maggio era scattato e Nick Fury gli aveva mostrato l’uovo, però, prima di affacciarsi a toccarlo aveva visto una sagoma scura sparire dietro le porte della Sala Riunioni. Si era alzato di scatto ed era uscito alle calcagna della figura incappucciata, ma non aveva trovato nessuno. Quando era rientrato nella sala, tutti lo stavano guardando e Fury aveva rimesso via l’uovo.
 


“Si può sapere che ti è successo oggi?”
Clint non aveva neanche sentito Natasha formulare quella domanda mentre apriva la porta di casa. Aveva afferrato la pistola con le due mani e si era portato davanti a lei.
“Ma che fai? C’è qualche problema? Clint? CLINT!”
Lui non l’ascoltava più, cercava solo il suo nemico nell’ombra della stanza della ragazza. Nat chiuse la porta dietro di sé e allungò le chiavi verso il tavolino, ma venne fermata da Clint.
“Non le posare.” Dovevano fare qualcosa di diverso, quella serata non poteva finire allo stesso modo.
Ma sentì comunque il tonfo metallico delle chiavi. Si voltò e con orrore vide che Natasha era già stata colpita, per l’ennesima volta, dal solito aggressore stavolta uscito dalla stanza di Clint.
Non riusciva a vedergli la faccia, ma vedeva solo l’enorme coltello che aveva in mano e sentì la rabbia montargli dentro. L’individuo scappò dalla porta principale e Clint prese al volo arco e frecce dall’armadio all’uscita e si gettò all’inseguimento. Quando arrivò fuori dall’edificio, il tizio era sparito. Assottigliò gli occhi e lo vide correre in una direzione che riconobbe: lo SHIELD Center.
Entrare in quell’edificio di notte senza farsi scoprire, Clint non l’avrebbe mai ammesso, era sempre stato il suo sogno. Come se la sua vita da spia non fosse già complicata senza doversi nascondere in casa propria.
Aveva seguito con stupore l’energumeno incappucciato superare tutti i livelli di sicurezza ed evitare le sue trappole con maestria. Pensava che solo sé stesso e Natasha potessero essere così accorti e precisi, ma invece si sbagliava. Superò in silenzio l’ufficio della Hill ed evitò con cura le telecamere del corridoio che portava all’ufficio di Fury, quando vide l’incappucciato – ormai l’aveva rinominato così – infilarsi nella sala mensa.
Clint vi entrò con lentezza, trovando la sala senza alcun cenno di anima viva. Un braccio gli si strinse attorno al collo e lui si liberò con successo. Iniziava la lotta.




Non sapeva come Mister Muscolo avesse fatto a lanciarlo su quel tavolo da quattro, ma doveva ammettere che il set mobili dello SHIELD era pari a quello di una casa delle bambole, perché gli si era sbriciolato sotto il sedere. Incoccò una freccia e si voltò a fronteggiare il suo nemico, ma quello era sparito. Si girò un paio di volte, quando un oggetto pesante e rotondo lo colpì forte in fronte. Devo avercelo per forza questo livido eh?!
Decine di altri oggetti come quello lo colpirono da più direzioni. Cercò di fermarli con qualche freccia e capì di cosa si trattava solo quando ne ebbe infilzato uno. Patate. Ovviamente.
Prese un’altra freccia dalla faretra solo quando ebbe smesso di piovere patate e nel silenzio si voltò a tendere l’arco verso la figura incappucciata dietro di lui. Questo a sua volta era immobile con il lungo coltello in mano.
“Chi sei?” gli urlò Clint, ma l’uomo non rispose. “Che sta succedendo?”
Lo sentì ghignare, poi iniziò a parlare con una voce più profonda e gutturale della sua.
“Oggi non hai toccato quello che tu chiami uovo interspaziale, così la giornata non è ricominciata. Ma c’è comunque un Clint Barton che si è svegliato da poco trovandosi la casa allagata, perché in principio c’è stato un te che ha interagito con quell’uovo. Finché l’uovo esiste, tu non esci.”
“E tu come fai a sapere queste cose? Chi sei?”
L’uomo rise. “Ancora non mi hai riconosciuto?”
Clint si sentiva stupido. “Loki?”
La figura rise ancora e mosse il coltello in un modo che la lama si raddoppiò in quella di una lunga katana.
“Cosa? Dovrebbe farmi ricordare qualcosa questo?”
L’uomo si tolse il cappuccio, per rivelare la figura di…
“Tu sei me!” Clint era senza parole davanti a quel suo doppelganger. “Come puoi essere me?”
“Io sono te, è vero, ma in particolare sono la parte di te che più odi, che più temi e che non vuoi diventare.”
“Che vuoi dire?” I due si fissavano in cagnesco dai lati opposti della sala.
“Devo dirti io qual è la tua paura più grande adesso? Pensavo lo sapessi.”
Clint socchiuse le labbra per un istante e sospirò.
“Niente? Te lo dico io allora. Quello che temi di più è di poter far male alla tua preziosa Natasha, oppure, come già ci sei andato vicino quando eri sotto Loki, addirittura ucciderla.”
“Per questo ti ho visto ammazzarla ogni volta?”
“Esattamente.”
“Che cos’è l’uovo?”
“E’ una parte del corpo dei Chitauri che gli permette di viaggiare attraverso le dimensioni spaziali e temporali. Quando l’hai toccato il tuo organismo umano ha reagito in questo modo: bloccandoti in un loop tra allucinazioni e realtà.”
“Tu saresti l’allucinazione?”
L’altro Clint sorrise. “Io sono il tuo alter ego, io esisto anche se tu non mi vuoi vedere né accettare.”
“Che c’è di male nel voler essere la versione migliore di me stesso?”
“Ahi, stai attento. Questa forma di me che vedi non è solo una percezione, in qualche modo è l’immagine del futuro.”
“Che intendi dire?”
“Questa versione di te ha visto cose che non avrebbe mai voluto vedere.”
“Che cosa succede nel futuro?”
La distorsione del Clint di Vormir alzò le spalle. “Non puoi saperlo. Ma ricordati: a qualunque costo. La battaglia finale è alle porte, Clint, sei sicuro che non ci sia niente che vuoi dirle?” Poi rise. “Io non me ne voglio andare, Clint. Finalmente sono qui, quindi lotterò a costo di tagliarti le gambe pur di non farti distruggere quell’uovo.”
Anche il Clint del presente ghignò. “Non pensavo di dover mai fare una gara a chi è più stronzo con me stesso.”
 

Aveva perso di vista quel piccolo bastardo non appena era uscito dalla mensa spaccando tre sedie con un colpo di katana. Megalomane.
Aveva dovuto tirare fuori tutti i suoi migliori trucchi da spia per eludere la sorveglianza interna dello SHIELD e in qualche modo era riuscito a passare inosservato vicino a Fury che discuteva con la Hill. Passando era riuscito a carpire solo frammenti di discorso.
“Quei bastardi arroganti ce l’hanno fatta anche stavolta ad Istanbul, ah! Forse dovrei pagarli di più, perché mi aspettavo che tornassero indietro minimo con qualche arto in meno.”
Certo che dovresti pagarmi di più, vecchio infame.




Non era riuscito a trovare il suo sosia da nessuna parte per tutta la mattinata, tant’è che aveva quasi pensato che se ne fosse andato, ma sapeva dentro di lui che si trovava ancora là dentro. Aveva dovuto evitare con maestria di incontrare il suo terzo sé – che stava rivivendo il 13 maggio per la ventesima volta – e Natasha, ma era stato più che felice di scorgerla da lontano ancora viva e in forma. Li aveva visti entrare in mensa e raggiungere la Hill con stanchezza. Bene, saranno occupati per un po’.


 
Le ore erano passate senza che lui se ne accorgesse e dopo pranzo aveva visto con la coda dell’occhio una figura incappucciata sparire dietro un muro. Stavolta non mi scappi.
L’aveva inseguito per tutto il piano fino ad un’area diroccata dalla battaglia e ancora in manutenzione. Dopo aver ingaggiato battaglia era riuscito a suonargliene un po’ e ad ogni pugno che sferrava anche lui sentiva dolore per empatia. Non ti capita tutti i giorni di picchiare te stesso. Finché quello non si era divincolato e l’aveva gettato di faccia sulle travi spoglie che davano con un bel buco sul piano di sotto. 
Nella Sala Riunioni sottostante Fury aveva appena iniziato a parlare e stava per cacciare l’uovo. Vide il suo terzo sé seduto al tavolo che alzava lo sguardo verso il soffitto e per riflesso si nascose alla sua vista. Si ricordava bene di quel momento quando l’aveva vissuto dall’altra parte.
Il Clint del futuro aveva preso a tirargli calci in pancia e lui li incassò senza produrre un fiato. Doveva agire, doveva bloccare il vecchio Clint dal toccare l’uovo con un diversivo e poi rubarlo. Tirò una pedata in faccia al suo alter ego e incoccò una freccia, facendolo indietreggiare e scoccandone una dietro l’altra gli segnò un cammino da seguire per sfuggire alla sua furia, che inevitabilmente lo portava al piano di sotto.
Il vecchio Clint aveva visto la figura incappucciata passare davanti alla sala ed era uscito lasciando l’uovo. Piano perfetto.
Si era alzato da quel tetto mezzo crepato e quasi non era caduto in una parte mezza sfondata. Era stato abbastanza pronto da reggersi alla parete, ma aveva chiaramente sentito gli operai al piano di sotto cadere dalle scale colpiti da pezzi di soffitto.


Rubare l’uovo a Fury era stato estremamente difficile, ma dopo una serie di tentativi ce l’aveva fatta e ora stava correndo fuori dall’edificio dello SHIELD senza una particolare meta. Aveva visto il vecchio Clint e Natasha avviarsi verso l’uscita e dall’altra parte il suo sé incappucciato correre sulla strada verso casa loro. Il tragitto non era stato dei più tranquilli. Clint aveva cercato di colpirlo con una freccia e l’altro l’aveva lanciato così forte su una macchina che l’ammaccatura che ci aveva lasciato su era quasi più profonda di quella fatta dall’incidente che avevano provocato.
Il Clint di Vormir era entrato in casa velocemente, quasi come un equilibrista e Clint l’aveva seguito con una rabbia sempre maggiore dentro, a pensare che quello era lì per ammazzare la sua Nat.
Chiuse la porta alle sue spalle e guardò il suo nemico. “Finiamola ora.”
Clint incoccò una freccia ma l’altro lo distrasse lanciandogli contro il giocattolino di Freccia e buttandoglisi addosso. Caddero indietro sulla porta del bagno rotolarono tra il lavello e il water.
“Dammi quell’uovo!” Il Clint incappucciato cercava di togliergli l’uovo di dosso con la forza, ma questo lo spinse via con un calcio e fece la prima cosa che gli venne in mente, che avrebbe potuto fare ore prima se non fosse stato così distratto dal rincorrere quel tizio fino a casa sua. Prese l’uovo dalla tasca interna del cappotto e lo spiaccicò nel tubo di scolo del lavello, dove quello si spappolò come un frutto troppo maturo e colò giù per le tubature, rilasciando un orribile tanfo di marcio.
Si girò verso l’altro Clint per terra e con gioia notò che era scomparso. Sospirò sollevato.
Beh, oltre al bagno incasinato, il salone era apposto. Constatò chiudendosi la porta alle spalle. In quel momento sentì Natasha girare le chiavi nella toppa e indietreggiò d’istinto verso la camera della ragazza.
Il vecchio Clint aveva gettato la giacca sul divano e Natasha aveva chiuso la porta di casa gettando le chiavi sul tavolino con il naso tappato da due dita.
“Vado a cambiarmi.” Disse con tranquillità, ma Clint la fermò.
“Che succede, Clint?”
Ma prima di poter rispondere, una figura incappucciata era uscita dall’ombra della camera di Nat puntando la pistola contro di loro.
“NO!”
Ma prima che Nat potesse fare altro, vide il proiettile colpire Clint al suo fianco e stramazzare a terra. In un secondo, il suo corpo svanì, lasciando Nat incredula. La rossa si voltò verso l’assalitore, per scoprire con sgomento che si trattava di nessun altro che… “Clint?”
L’uomo si passò una mano sulla faccia distrutta rimettendo a posto la pistola nella fondina nascosta. “Finalmente è finita.”
Natasha non capiva niente. “Si può sapere che è successo?”
Ma Clint non disse niente. La battaglia finale è alle porte, Clint, sei sicuro che non ci sia niente che vuoi dirle? Così, stanchissimo, si avvicinò serio, la strinse ai fianchi e la baciò con trasporto sulle labbra.
 






Si risvegliò di soprassalto nel suo letto chiamando il suo nome a gran voce. Si sentiva stanchissimo e quella puzza tremenda l’aveva svegliato da quello che sembrava un sogno durato venti giorni.
Natasha accorse indossando una camicia enorme e un’adorabile salopette blu, con un paio di guanti che le arrivavano fino al gomito.
“Ce ne hai messo di tempo a svegliarti, eh?” Disse con dolcezza togliendosi i guanti e sdraiandosi sul letto accanto a lui.
Clint sorrise. “Quella è la mia camicia?”
Natasha lo abbagliò con un sorriso innocente. “Beh, dopo che te l’ho tolta ieri sera, è diventata la mia.”
Clint sorrise di nuovo, beato, attirandola a sé. Era finalmente il 14 maggio.
Niente sparo in testa, niente incidente per strada, niente uovo interspaziale, niente broccoli a pranzo, niente tanfo in casa.
Natasha gli accarezzò una guancia e si chinò a baciarlo. Era tutto com’era destinato ad essere.
“Il lavandino del bagno è rotto.”
 









N.d.A.
Così si conclude questa mini, mi sono divertita molto a scriverla e spero vi sia piaciuta!
Grazie a voi lettori, fatemi sapere che ne pensate, un bacio
Erika


 
   
 
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