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Autore: Kara    02/08/2009    5 recensioni
Raccolta di shot legate alla saga Maharajakumar di Melanto.
I racconto "Dosti"; II racconto "Pyaar".
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hajime Taki/Ted Carter, Teppei Kisugi/Johnny Mason
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Questo racconto è uno spin-off di Maharajakumar - Chura liya hai tumne jo dil ko di Melantò ed è tutto dedicato a lei, perchè ha scritto questa bellissima storia che a me piace molto e perchè ama tantissimo i ciccioli*_*






Dosti

(Amicizia)




“Accidenti Hajime! Ma dov’eri finito? Iniziavo a preoccuparmi!"
Nonostante quelle parole fossero state poco più di un’increspatura nel silenzio delle calda notte estiva, giunsero con chiarezza al ragazzo in uniforme che si muoveva furtivo alla base della bassa costruzione di arenaria rosa.
Scivolando tra le ombre del giardino illuminato dalla soffusa e argentea luce lunare, il giovane raggiunse un gruppo di cespugli che crescevano a ridosso dell’edificio. Lì si fermò, guardandosi intorno con circospezione, alla ricerca di eventuali pericoli. Soltanto quando fu sicuro di non essere stato seguito sollevò il viso, rivelando due scintillanti occhi neri e denti da coniglio.
“Sono andato a farmi un giretto Teppei. Sai com’è… mi annoiavo…” rispose, arricciando le labbra in una smorfia irritata e lanciando un’occhiataccia all’amico che lo stava aspettando affacciato a una delle finestre del primo piano, quelle che davano sul retro della costruzione. Benché sussurrata la sua risposta grondò sarcasmo. “Ho dovuto aspettare il momento giusto per defilarmi. Non potevo svignarmela subito, se ne sarebbero accorti” chiarì, avvicinandosi al muro e tastandolo con le dita per controllarne lo stato. Dopo aver annuito con soddisfazione, iniziò ad arrampicarsi con destrezza, usando come appiglio le fessure tra i blocchi di pietra.
“Ho capito, ho capito. Sbrigati! Non abbiamo molto tempo” ribatté l’altro in tono pressante, passandosi nervosamente una mano tra i corti riccioli scuri.
Quasi fosse una scimmietta, e con un agilità che denotava la sua lunga pratica, Hajime raggiunse velocemente la finestra.
Subito Teppei si allungò oltre il parapetto e gli tese una mano per aiutarlo a issarsi sul davanzale.
“Ci sono” mormorò il giovane, puntellandosi con un ginocchio sul bordo e aggrappandosi con la mano libera a una profonda crepa. “Spostati”. Come l’amico ebbe fatto spazio saltò all’interno, atterrando sul pavimento con la leggerezza e la grazia di un gatto. Immediatamente si sentì afferrare per un braccio e tirare.
“Andiamo! Gamo sta già ispezionando le camerate al piano terra, presto arriverà alle nostre”.
Senza perdere tempo in chiacchiere, i due ragazzi percorsero il corridoio deserto a grandi passi, consapevoli che se qualcuno li avesse scoperti sarebbe stata la fine. Non rischiavano soltanto una punizione esemplare ma addirittura di essere radiati dalla guardia reale. Soprattutto Hajime si trovava in una posizione delicata: aveva abbandonato il suo posto per tornare agli alloggi dei cadetti. In quel momento avrebbe dovuto essere di ronda lungo il perimetro interno delle alte mura che circondavano il palazzo del Maharaja.
Ma entrambi erano disposti a qualunque azzardo pur di proteggere il fedele compagno e amico Mamoru Izawa.
Erano cresciuti insieme e fin da piccoli avevano accarezzato lo stesso sogno: diventare soldati, entrare a far parte della guardia reale e guadagnarsi il diritto di portare il corto pugnale ricurvo, appannaggio esclusivo di quell’elite tanto ammirata.
“Aspetta!” sussurrò Teppei quando giunsero davanti alla porta della stanza che veniva usata come ripostiglio. “Prima dobbiamo fare un paio di preparativi”. Dalla tasca dei churidar estrasse una piccola chiave di ottone che infilò nella toppa, facendo scattare la serratura. “Vieni!”. Lo precedette all’interno e richiuse accuratamente l’uscio alle loro spalle. Lo stanzino era ben illuminato dalla luce lunare che penetrava attraverso un’alta finestra.
“Dove hai preso quella chiave? Lascia stare… non lo voglio sapere…”. Hajime scosse la testa, sospirando con rassegnazione. “Ora finalmente ti deciderai a dirmi cosa hai escogitato?” chiese, alzando le sopracciglia con impazienza e incrociando le braccia sul petto.
“Certo!” rispose l’altro, inginocchiandosi davanti a una delle cassapanche di cedro in cui venivano riposte le lenzuola pulite. “Tu prenderai il suo posto” annunciò, sollevando il coperchio di legno.
Impegnato a cercare quel che vi aveva nascosto poco prima, non vide il viso dell’amico impallidire per lo sconcerto e poi farsi rosso per la rabbia.
“Che cosa?! Ma sei impazzito per caso?”. La voce di Hajime schioccò nello stretto ambiente come un colpo di frusta, facendolo sobbalzare.
“Non urlare!” l’ammonì subito quello, girandosi a metà per lanciargli uno sguardo di ammonimento. “Vuoi farci scoprire dagli altri cadetti?”.
“Non sia mai” replicò ironico. “Perché togliere questo piacere a Gamo in persona?”. Stizzito, sciolse le braccia e si portò le mani ai fianchi. “Dannazione Teppei!” lo sgridò, preoccupandosi comunque di tenere la voce bassa, le palpebre ridotte a due fessure. “E’ questo il tuo fantastico piano? Quello che, a sentir te, dovrebbe salvare le chiappe a Mamoru? Stai scherzando vero?”.
“Non capisco perché ti scaldi tanto” ribatté Teppei, frugando tra la biancheria. “Funzionerà!”.
“Funzionerà?” fece eco incredulo, stringendo i pugni fino a farsi sbiancare le nocche nel tentativo di trattenersi dall’afferrare l’amico per il kurta blu che indossava e scuoterlo nella speranza che gli tornasse la ragione. “Teppei!”.
L’altro ignorò le sue proteste e continuò a rovistare nella cassa.
“Perché ti ho dato retta? Perché?” si lamentò, nascondendo il viso in una mano e chiudendo gli occhi, indeciso se maledirsi per la propria stupidità o rivolgere una preghiera agli Dei. Optò per la seconda soluzione: meglio chiedere la protezione divina dal momento che stavano per cacciarsi in un mare di guai. E di questo non poteva incolpare altri che se stesso, non avrebbe dovuto dare ascolto a Teppei.
Quando, dopo aver trascorso insieme a lui la serata in città, era tornato ai dormitori e si era reso conto che Mamoru non era ancora rientrato, si era subito allarmato. Era già la seconda sera che il compagno spariva senza dare spiegazioni e lui, grazie al suo intuito, aveva capito immediatamente che si era cacciato in qualche pasticcio. Di che tipo, però, non avrebbe saputo dire. Sperava solo che non si fosse infatuato di una dama di palazzo, perché in quel caso avrebbe potuto rischiare addirittura la morte. Era un cadetto, apparteneva a un rango inferiore, non avrebbe mai potuto aspirare alla mano di una nobildonna come quelle che vivevano alla corte del Maharaja. Aveva messo Teppei al corrente dei suoi timori e il ragazzo, con il suo solito senso pratico, aveva suggerito di preoccuparsi di una cosa alla volta. Al momento, l’importante era coprire la sua assenza al contrappello notturno che veniva effettuato ogni volta che gli permettevano di andare in città e per questo era necessario farsi venire un’idea.
Ma cosa fare? E come?
Aveva lasciato l’amico in camerata a lambiccarsi il cervello e si era recato in armeria per cambiarsi. A complicare le cose ci si mettevano anche i turni di guardia: quella notte gli sarebbe toccato il secondo. Teppei l’aveva raggiunto mentre stava finendo di vestirsi. Dopo averlo trascinato in un angolo, al riparo da orecchie indiscrete, gli aveva annunciato di aver ideato un fantastico piano per salvare Mamoru. Nell’udire quelle parole un brivido gelido, quasi un presentimento, gli aveva attraversato la schiena. L’aveva ascoltato con attenzione spiegargli come e dove incontrarsi ma quando aveva cercato di farsi dire qualcosa di più, l’amico aveva assunto un’aria misteriosa e si era rifiutato. “Ti dirò tutto a tempo debito” gli aveva assicurato dandogli una pacca sulla schiena, prima di schizzare fuori dalla sala come se avesse il Dio Rudra in persona alle calcagna, lasciandolo perplesso e inquieto.
Gemette tra sé e sé. Ormai era troppo tardi per escogitare un’altra soluzione. Certo, avrebbe potuto rifiutarsi; poteva far finta di nulla e tornare al suo posto, così Gamo non l’avrebbe scoperto e fatto a fettine. L’unico problema era che a fettine ci sarebbe finito sicuramente Mamoru e questa era una cosa che non avrebbe mai potuto permettere. Finché ci fosse stata una seppur minima speranza di salvare la carriera e il sogno dell’amico, lui non si sarebbe tirato indietro.
Stava per rivolgere un’invocazione a Brahma quando Teppei lo chiamò, distogliendolo dal suo proposito. Lentamente abbassò la mano e lo fissò.
Il compagno si era rialzato. Tra le mani teneva un kurta di colore verde, che Hajime riconobbe appartenere al cadetto dai lunghi capelli neri. Corrugò la fronte e sospirò di nuovo, sconfortato. Ma davvero quello scemo pensava di farlo passare per Mamoru facendogli indossare un suo vestito?
“Su, che aspetti?” l’esortò l’altro, porgendogli l’indumento. “Indossa questo”.
Rassegnato al suo destino, Hajime fece quanto ordinatogli. Fortunatamente Mamoru era più alto di lui e il kurta era abbastanza ampio da consentirgli di indossarlo direttamente sull’uniforme.
“Ora bevi questo!”.
“Cos’è questa roba?” chiese diffidente, prendendo l’ampollina di metallo che Teppei gli stava porgendo e stappandola. Ne annusò il contenuto con cautela. Non puzzava e già questo era incoraggiante ma non ne avrebbe ingurgitata nemmeno una goccia senza prima aver avuto tutte le spiegazioni del caso. Non voleva altre sorprese, ne aveva già avute abbastanza quella sera. “Allora? Cos’è?”.
“Ma niente…” rispose Teppei, stringendosi nelle spalle. “Su bevi!”.
“Teppei! Ti avverto!” ruggì, contraendo la mascella con fare minaccioso. “La mia pazienza è arrivata al limite. Sputa il rospo o me ne vado”.
“E va bene! Va bene! Non ti arrabbiare… Come ti ho già detto dovrai farti passare per Mamoru, per questo ti ho fatto mettere un suo kurta. Ma non basta certo un abito per renderti uguale a lui, il tuo viso è sempre riconoscibile. Per questo dovremo fare in modo che nessuno ti guardi in faccia”.
“E che centra questa con la mia faccia?” domandò, agitandogli la boccetta sotto il naso.
“Questa ti farà venire un alito pestilenziale”. Teppei gli rivolse un sorriso candido. “Ti sdraierai nel letto di Mamoru e farai finta di essere malato. Ovviamente io ti coprirò per bene di modo che restino fuori solo i capelli. Il vostro colore è lo stesso. Fidati! Intorno a te ci sarà così tanta puzza che nessuno oserà avvicinarsi” concluse, con espressione soddisfatta.
Per una manciata di secondi Hajime lo fissò a bocca aperta. Di tutte le idee che nel corso degli anni Teppei aveva tirato fuori questa era la più… la più… LA PIU’!!
Non riusciva nemmeno a trovare un termine adatto per qualificarla!
“Tu e Mamoru dovrete mantenermi a vita visto che stanotte Gamo ci sbatterà fuori dal palazzo a pedate” ringhiò a denti stretti, vuotando il contenuto della fiala con un solo sorso.
“Bravo!” lo incoraggiò Teppei, facendo finta di non aver udito. “E ora il tocco finale”. Gli si avvicinò e gli scompigliò i capelli, poi prese un lenzuolo bianco e glielo avvolse intorno al collo, di modo che gli coprisse parte del viso. “E ora raggiungiamo la camerata, abbiamo perso anche troppo tempo. Gamo starà già salendo le scale”. Gli mise una mano sulla schiena per costringerlo a camminare curvo e lo spinse fuori dalla porta. “Lamentati un po’” gli disse a mezza voce, pungolandogli il fianco con il gomito mentre camminavano lungo il corridoio. “Devi far finta di stare malissimo”.
“Non credo che dovrò far finta” gemette Hajime, fermandosi e stringendosi l’addome con le braccia, in preda a dei terribili crampi. Il dolore era iniziato quasi subito. Come il liquido aveva raggiunto lo stomaco una vampata infuocata gli era risalita su per la trachea, accompagnata da un rigurgito acido. “Teppei… mi… sento male…” biascicò, incapace di procedere oltre, le gambe improvvisamente molli. Lunghi brividi gli scuotevano il corpo e gocce di sudore freddo imperlavano la sua fronte, bagnandogli i capelli.
“Tieni duro, siamo quasi arrivati”. La voce dell’amico gli giunse lontana e ovattata, come proveniente da un sogno ma non il suo braccio robusto, che gli cinse la vita sostenendolo nel momento stesso in cui le ginocchia cedettero. Fortunatamente Teppei era dotato di buona forza fisica e riuscì a trascinarlo senza problemi fino al letto di Mamoru. Lo fece distendere con le spalle alla porta e gli rimboccò accuratamente il lenzuolo, coprendolo fino alla testa.
In preda a fitte lancinanti, Hajime si raggomitolò su se stesso, in posizione fetale, premendosi le mani sulla pancia nel tentativo di alleviare la sofferenza. Si accorse a malapena della presenza degli altri cadetti e delle loro domande perplesse, così come delle pronte risposte del compagno.
“State tranquilli non è niente di grave, Mamoru ha soltanto mangiato e bevuto un po’ troppo… no, non c’è bisogno del guaritore, deve solo liberare lo stomaco. Tranquilli è tutto a posto. Come? Puzza? Ovvio! Anche tu puzzi quando vomiti e non dire di no Oda, ti ho visto vomitare come un dannato parecchie volte. Che dici Iwami? Un fetore nauseabondo? Prova ad annusare le tue scorregge e poi ne riparliamo. Sì, forse è meglio che usciate in corridoio, vedrete che tra un po’ starà meglio e potrete andare a dormire…”.
“Dato… Tep… pei… cosa… hai… dato…”. Cercò di scostare il lenzuolo, che lo stava soffocando, e di tirarsi su ma una mano decisa lo tenne inchiodato al materasso.
“Shhhhhhhhh… non muoverti” gli sussurrò Teppei in un orecchio. “Gamo è proprio qui fuori”.
Avrebbe voluto urlargli di lasciarlo andare, che non riusciva a respirare ma le parole gli rimasero strozzate in gola. Aveva bisogno di aria. Il suo petto si alzava e abbassava con affanno, in rapidi ansiti. Si agitò debolmente ma non riuscì a liberarsi dalla presa. Non gli importava nulla di Gamo. In quel momento il comandante era l’ultimo dei suoi pensieri. L’unica cosa su cui riusciva a concentrarsi era quel fuoco infernale che gli stava bruciando i visceri e che non accennava a placarsi. Non sapeva cosa Teppei gli avesse dato da bere ma era certo che fosse quel liquido la causa del suo malore. La stretta che lo teneva fermo si allentò nell’istante stesso in cui un’ondata di nausea lo costrinse a sollevarsi su un gomito e a sporgersi oltre il bordo del letto. Un secchio di legno comparve come per magia sotto il suo viso.
E lì, nella loro camerata, semisdraiato sul letto di Mamoru, Hajime smise di pensare e rimise anche l’anima.
Dopo quelle che gli parvero ore ma che dovevano essere solo pochi minuti e dopo aver rigettato a più riprese, iniziò a sentirsi meglio. Sollevò la testa e si guardò intorno, passandosi la lingua sulle labbra secche. Aveva un orribile sapore in bocca ma almeno i conati erano cessati.Non ricordava di essere mai stato così male in vita sua, tranne una volta, da bambino, e anche in quell’occasione era stata colpa di Teppei.
L’amico aveva rubato alcuni dolcetti e glieli aveva regalati, senza sapere che fossero avariati. Lui era stato felicissimo di quel dono; oltre ad avere un bellissimo aspetto, quei dolciumi erano anche i suoi preferiti. Ne aveva fatto un sol boccone, divorandoli dal primo all’ultimo, salvo poi accasciarsi al suolo e vomitare come un indemoniato. Quando si era rialzato da terra, ansimante per lo sforzo, con i vestiti macchiati e con la faccia sporca, si era ritrovato un Teppei piangente e singhiozzante tra le braccia. Il ragazzino era sconvolto per quanto successo e lui aveva dovuto abbracciarlo stretto e rassicurarlo, ripetendogli più volte che stava bene. A distanza di tanti anni aveva ancora impresso nella mente il suo sguardo terrorizzato.
Si girò verso di lui e lo fissò, aspettandosi di trovare la stessa espressione dipinta sul suo volto ma Teppei sembrava tranquillo e rilassato, come se quel malore fosse veramente dovuto a una serata di eccessi e non al maledetto intruglio che l’aveva costretto a bere. Soltanto quando i loro occhi si incrociarono e Hajime lesse angoscia e rimorso in fondo alle sue iridi cioccolato, capì che l’amico non era calmo come voleva dare a vedere ma, al contrario, profondamente scosso.
“Gamo?” chiese con una voce così esile che l’altro dovette chinarsi per sentire.
“E’ tutto a posto” lo rassicurò Teppei. “C’è caduto in pieno, come tutti gli altri. Nessuno ha avuto il coraggio di avvicinarsi. Comunque questa pozione è eccezionale. Gli effetti sono stati esattamente quelli che mi avevano descritto. E Iwami aveva ragione, puzzi davvero in modo impressionante!”.
Il suo tono entusiasta lo indispose ma era troppo malandato ed esausto per arrabbiarsi. Inoltre non riusciva a capacitarsi che il piano avesse funzionato, non ci avrebbe scommesso sopra un soldo. Contrariamente a ogni previsione ce l’avevano fatta.
“Ci siamo riusciti…. non riesco a crederci…” borbottò, lasciandosi ricadere sulla branda. Rilassò i muscoli doloranti e respirò a fondo, prendendo ampie boccate d’aria. La nausea era quasi passata e il dolore si era trasformato in un indolenzimento diffuso ma sopportabile. Con il dorso della mano si scostò i capelli bagnati dalla fronte sudata e socchiuse le palpebre, fissando il vuoto davanti a sé. Se l’era vista veramente brutta, per un attimo aveva anche pensato di morire. Grazie al cielo gli Dei avevano avuto pietà di lui! Si ripromise di recarsi al Tempio, alla prima occasione, per offrire un sacrificio in loro onore.
“Te l’avevo detto no?”. Teppei si accucciò davanti a lui e gli passò un panno umido sulle guance pallide, strappandogli un involontario, seppur tirato, sorriso. “Come ti senti?”.
“Mh… meglio ora… mi hai ingannato Teppei, ti ucciderò per questo…”.
“Lo so”. Lo sentì ridacchiare, sollevato. “Hajime, devi alzarti”. Il suo tono si fece serio. “I ragazzi stanno scalpitando e non rimarranno fuori a lungo. Non possiamo farci scoprire proprio ora. Vieni, appoggiati a me, diremo che ti accompagno alle latrine”.
Con l’aiuto di Teppei riuscì a mettersi in piedi e a camminare. Utilizzando gli stessi accorgimenti di prima, i due amici riuscirono ad allontanarsi indisturbati lungo il corridoio. Nessuno li fermò. Non era la prima volta che uno di loro si sentiva male ed era normale aiutarsi tra commilitoni.
Quando furono a distanza di sicurezza, si diressero il più rapidamente possibile verso il retro dell’edificio. Hajime era malfermo sulle gambe e il suo passo ancora incerto ma il braccio di Teppei era un sostegno sicuro.
Si fermarono davanti alla stessa finestra dalla quale Hajime era entrato.
“Andrò ad aspettare Mamoru ai margini del boschetto che divide le caserme dal palazzo, sicuramente passerà di là. Gli spiegherò tutto e rientreremo insieme, continuando la messinscena”. Teppei sembrava aver pensato a ogni cosa. “Ridammi il kurta”.
Hajime annuì e si tolse l’indumento, sfilandolo dalla testa. Appoggiò una spalla al muro e osservò con interesse l’altro arrotolare il kurta verde per nasconderlo sotto il proprio.
“Hajime, pensi davvero che Mamoru si sia innamorato di una dama di palazzo?”.
“Non lo so Teppei e non sono nemmeno sicuro di voler affrontare l’argomento con lui…”. Si prese il labbro inferiore tra i denti, nel tipico gesto che compiva sempre quando rifletteva e lo mordicchiò, ignorando il sapore disgustoso che ancora permeava la sua bocca. “Credo sia meglio non chiedergli niente, per ora” concluse. “Se vorrà parlare lo farà di sua spontanea volontà. E poi le mie sono solo illazioni. Magari mi sbaglio… ma se così non fosse… spero solo che abbia riflettuto bene sulle conseguenze. Ci sono cose in questo regno che non saranno mai consentite. Io e te lo sappiamo bene”. C’era amarezza nella sua voce e una sofferenza che nessun mal di stomaco avrebbe potuto eguagliare.
Teppei chiuse le palpebre per un istante e si limitò ad annuire. Il suo silenzio fu più eloquente di mille parole.
“Ora devo andare…” .
“Ce la fai a scendere?”. Le iridi cioccolato del cadetto riccioluto traboccavano di apprensione.
“Certo!” rispose spavaldo, mostrando una sicurezza che non provava. Gli diede le spalle e si appoggiò con entrambe le mani al davanzale della finestra, per guardare fuori. Scrutò con cura il prato sottostante e i dintorni, cercando di penetrare l’oscurità della notte, alla ricerca di possibili osservatori indesiderati. Sembrava non ci fosse nessuno. Sollevò lo sguardo al cielo; la luna stava tramontando e ben presto sarebbe scomparsa oltre l’orizzonte, portando con se la sua debole luce. Era il momento giusto.
“Vado”. Fece per sedersi sul parapetto ma Teppei lo bloccò, trattenendolo per un braccio. “Che c’è?” chiese, scoccandogli un’occhiata sorpresa.
“Hajime… scusami. Mi spiace tanto per la pozione. C’ho pensato e ripensato, credimi, ma non sono riuscito a trovare un altro modo. E nessuna finzione, per quanto buona, avrebbe ingannato Gamo; il comandante è troppo furbo. Il tuo malore doveva essere reale. Dannazione! Se avessi potuto l’avrei preso io quel dannato intruglio. Tutto, pur di non farti stare male! Anche quando eravamo piccoli, anche allora sei stato male per colpa mia! Se solo avessi i capelli più simili ai vostri… Oh Dei! Ma perché mi avete fatto con questi maledetti ricci?!”. Ne afferrò una manciata e li tirò con furia. La sua frustrazione era palese, così come la rabbia per essere stato costretto a guardarlo soffrire senza poter far nulla per alleviare il suo tormento.
“Che idiota che sei”. Hajime scosse piano la testa e lo costrinse a mollare la presa, sostituendo la sua mano con la propria. “A me piacciono…”. Immerse le dita tra i morbidi riccioli bruni, inanellando una ciocca intorno all’indice. “…e non li vorrei diversi. Non sentirti in colpa, non ne hai motivo. Dovevamo fare una cosa e l’abbiamo fatta. Comunque, anche se tu avessi avuto i nostri stessi capelli, non ti avrei mai permesso di bere una cosa che ti facesse stare male, quindi… va bene che l’abbia presa io”. Lasciò scivolare la mano sulla sua guancia e il pollice si tese a sfiorare le labbra, che si socchiusero per accoglierlo.
“Hajime…” gemette Teppei facendosi più vicino, gli occhi carichi di desiderio, il respiro che iniziava a farsi veloce.
“Non qui Teppei… è troppo pericoloso” mormorò con rammarico. “Dobbiamo stare attenti… e poi puzzo da far schifo, non ti conviene baciarmi”.
“Non mi importa… un bacio solo, ti prego, ne ho bisogno…”.
“Non possiamo”. Lo allontanò a malincuore, non prima di avergli accarezzato i capelli per un ultima volta. Si costrinse a ignorare il suo sguardo deluso, pur sapendo che l’amante aveva bisogno di stringerlo a sé per placare l’ansia e la paura che aveva provato, e si sedette sul davanzale di pietra, scavalcandolo. Se fosse rimasto un secondo di più non avrebbe risposto delle sue azioni e quello non era il momento adatto, ma quando Teppei lo guardava con quella luce negli occhi, tutta la sua determinazione andava a farsi benedire. Sospirò, osservando, senza realmente vederli, i propri piedi penzolare nel vuoto. “Mi auguro che Mamoru abbia più fortuna di noi”. E il suo era un augurio sincero. “Ci vediamo domattina”.
“A proposito di Mamoru… vorrà sicuramente sapere come sdebitarsi” lo avvisò il compagno, trattenendolo di nuovo. “Sai com’è fatto. Cosa devo dirgli?”.
“Nulla. So che lui avrebbe fatto lo stesso per noi e questa certezza è già una ricompensa sufficiente”.

 

Fine...

...e palla al centro.

Ringraziamenti:

In primis ringrazio Melantò per aver scritto una storia bellissima come Maharajakumar, tra le sue credo sia la mia preferita. In questa stupenda favola Yu e Mamo sono due pucciotti dolci e teneri, soprattutto Yu è un cucciolino morbido che fa venire voglia di strappazzarlo di coccole.
E poi la ringrazio di avermi autorizzato a scrivere questo spinoffino con i due ciccioli. E per avermi trovato il termine "amicizia" in hindi.

E ringrazio anche le mie povere betuzze on line nene ed Eos, che sono sempre costrette a sorbirsi tutte le mie pare e i miei dubbi. Grazie tesore!

Credits:

I personaggi di CT appartengono a Yoichi Takahashi che ne detiene tutti i diritti.

 

  
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