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Autore: Naco    06/12/2019    0 recensioni
Quando la sua professoressa di tesi propone a Lucia - seria e coscienziosa laureanda in Lettere - di dare ripetizioni di francese al proprio figlio, la ragazza capisce subito che, accettando, rischia di cacciarsi in un mare di guai: Giulio Molinari è il classico figlio di papà che pensa solo alle ragazze e assolutamente disinteressato a costruirsi un futuro Insomma, il tipo di persona che lei detesta.
Ma è davvero così impossibile che due persone così diverse possano avvicinarsi? In una girandola di battibecchi, scontri e incomprensioni, tra parenti ficcanaso e fedeli amici, tesi da preparare e lezioni di francese da seguire, Lucia e Giulio si renderanno presto conto che non sempre l’altro è poi così diverso da noi e che, forse, la nostra anima nasconde un ritratto molto più bello di quello che noi preferiamo mostrare agli altri.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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VII


Il pomeriggio successivo suonai il citofono della casa di Andrea con il cuore che mi batteva all'impazzata. L'agitazione aveva raggiunto livelli così alti che, avevo giurato a me stessa, se non mi avesse risposto nessuno, sarei rimasta su quel pianerottolo finché qualcuno non mi avesse dato notizie del mio amico.
Quella mattina, nel momento stesso in cui ero entrata in sala studio, la mia attenzione era stata subito catturata da un particolare: Andrea non era ancora rientrato.
Fino ad allora non avevo dubitato neanche per un secondo di quello che mi aveva scritto nel messaggio e non ci avevo più pensato; tuttavia, dopo lo scambio avuto con Antonio, un’ansia sempre crescente si era impadronita di me.
Avevo comunque deciso di aspettare il suo arrivo per scoprire se, nel frattempo, Andrea si fosse messo in contatto con lui. Mi era bastato un semplice scambio di sguardi per capire che non si erano sentiti. Allora, avevo provato a chiamarlo, ma mi aveva risposto solo la segreteria telefonica e avevo cercato di convincermi che stesse solo riposando; tuttavia il suo cellulare aveva continuato a rimanere muto anche quando avevo provato a telefonargli nelle due ore successive.
Avevo quindi deciso che l’unica soluzione fosse andare a trovarlo. Quel pomeriggio sarei dovuta andare da Molinari per la solita lezione, ma più tardi avrei potuto fare un salto.
Tuttavia, neanche una decina di minuti dopo aver formulato il mio proposito, il suddetto mi aveva mandato un laconico messaggio in cui mi aveva avvertito che “Oggi ho da fare”.
Stizzita, gli avevo chiesto delucidazioni, ma non avevo ottenuto risposta.
Sapevo benissimo perché avesse annullato la lezione di quel giorno: ce l’aveva ancora con me per quello che era accaduto il pomeriggio precedente. Quel ragazzino viziato!
Ero così arrabbiata – non ero certa se con lui o con me stessa perché me la prendevo tanto – che non ero riuscita più a concentrarmi sul lavoro che stavo facendo, così avevo provato ancora una volta a telefonare al mio amico: il cellulare era ancora staccato. Gli avevo lasciato un breve messaggio in cui mi informavo se stesse bene e avevo cercato di rimettermi di nuovo al lavoro, anche questa volta senza successo.
All’ora di pranzo, stanca, irritata e senza aver concluso nulla, ero ritornata a casa. Avevo continuato a cercare di mettermi in contatto con Andrea, ma partiva sempre la segreteria telefonica. Il nodo si contorceva sempre di più nel mio stomaco: perché non mi rispondeva? Cos’era successo?
Alla fine, avevo deciso che, a costo di sembrare invadente, non avrei aspettato un orario più consono per presentarmi a casa sua, ma sarei andata a trovarlo in quel momento, anche se erano solo le tre del pomeriggio.
«Sì? Chi è?»
Nel sentire la voce della madre di Andrea non riuscii a non tirare un sospiro di sollievo.
«Buongiorno, signora, sono Lucia. Andrea è in casa?»
Per un attimo, non sentii più nulla e i peggiori pensieri che avevo ricacciato indietro si fecero avanti con prepotenza; poi, il portone scattò con un suono sordo e io mi precipitai di corsa su per le scale: ero conscia che sembravo una pazza invasata, ma avevo raggiunto il limite.
Trovai la donna che mi attendeva sulla soglia; appena mi vide, il volto le si aprì in un sorriso caloroso. Nessuno avrebbe potuto mettere in dubbio che lei fosse la madre di Andrea: aveva gli stessi occhi di suo figlio, che brillavano di gioia quando accadeva qualcosa di bello. Mi resi conto solo in quel momento che era da tanto tempo che non vedevo quel luccichio lampeggiare nello sguardo del mio amico.
«Lucia! Come stai? È da molto che non vieni a trovarci.»
Aveva ragione, era davvero da tanto tempo che non ci vedevamo: durante i primi anni di università, essendo io una fuori sede, la madre di Andrea mi aveva preso in simpatia e mi aveva invitata spesso a pranzo. Con il passare del tempo, i nostri incontri si erano diradati, ma mi faceva sempre piacere incontrarla.
«Bene, grazie. Purtroppo in questo periodo sono stata molto impegnata e non ho avuto molto tempo libero.»
«Sì, immagino. Ma ricordati che qui sei sempre la benvenuta.»
Bofonchiai un ringraziamento: non volevo essere scortese, ma in quel momento la mia priorità era un’altra. «C’è Andrea?»
Il volto della donna si contrasse in un’espressione che non mi piacque per niente.
«È in camera sua.»
«Ma sta bene?»
«È da qualche giorno che dice di non sentirsi bene e se ne sta sempre nella sua stanza. Dice che sta studiando, ma non è che ci creda molto.»
«Non le ha detto nulla?»
Lei scosse la testa, mesta. Adesso sì che ero spaventata sul serio: Andrea non era il tipo da avere segreti con sua madre. Da quando i suoi si erano separati, ormai quasi dieci anni prima, tra madre e figlio si erano sempre detti tutto. Era stata la prima persona a cui aveva confidato di essere gay e lei l’aveva sempre appoggiato e difeso; l’anno prima l’aveva addirittura accompagnato al Gay Pride.
Ero stata così tante volte a casa loro, che la donna non ebbe bisogno di dirmi dove fosse la stanza di suo figlio, ma mi fece soltanto cenno che ero libera di provare a parlargli, se mi faceva piacere. Bussai un paio di volte, ma non ebbi alcuna risposta; tuttavia, non demorsi: ero disposta a picchiare su quella parete per tutto il giorno se fosse stato necessario.
Riprovai ancora, questa volta mettendoci più forza.
«Lasciami in pace, mamma, sto studiando!» rispose infine, con tono irritato.
Questa risposta, invece di calmarmi, mi agitò ancora di più: era la prima volta che lo sentivo rivolgersi in questo modo a sua madre.
«Andrea Piacente, se non apri subito questa maledetta porta ti giuro che la butto giù a suon di pugni. Ho il permesso di tua madre.»
Dopo pochi secondi, la chiave girò nella toppa e la porta si aprì. Per poco, non gettai un urlo: era veramente Andrea il ragazzo di fronte a me? Di solito il mio amico era molto attento al suo aspetto, tanto che i nostri diverbi spesso vertevano sulla sua opinione circa il mio modo di vestirmi, a suo dire, troppo da Lucia Mondella; il fatto che condividessi il nome con l’eroina manzoniana di certo non aiutava.
Il ragazzo che mi si parò davanti, invece, non aveva niente del solito Andrea: la barba gli era cresciuta incolta e gli occhi castani, per lo più allegri e pieni di vita, erano spenti e vuoti.
«Te l’ha mai detto nessuno che sei molesta?» mi salutò.
«Tantissima gente, soprattutto in questo periodo» ribattei seria ed entrai nella stanza senza aspettare il suo invito.
Conoscevo molto bene quella camera, ma era la prima volta che la vedevo in quelle condizioni: il letto, ancora sfatto, aveva un solco come se qualcuno si fosse appena alzato; l’aria era stantia, tipica di quando un luogo non viene arieggiato per molte ore; anche gli appunti erano sparsi sulla scrivania in modo disordinato.
La prima cosa che feci fu spalancare la finestra: l’aria del primo pomeriggio, benché calda, rivitalizzò subito l'ambiente; poi, mi voltai verso di lui: «È da stamattina che ti sto cercando! Si può sapere che fine hai fatto?»
Con calma, Andrea chiuse la porta: «Il cellulare si è scaricato.»
«E non ti è venuto in mente di metterlo sotto carica?»
«Non trovo il cavetto.» Alzò incurante le spalle: quel gesto mi ricordò Giulio Molinari e questo mi irritò ancora di più. Spostai vestiti e fogli infischiandomene della sua privacy e, dopo qualche minuto, lo trovai sotto il letto. «Eccolo.»
Lo prese di malavoglia e attaccò il cellulare. «Contenta?»
No che non lo ero. «Che diavolo ti è successo?» sbottai «Mi avevi scritto che non stavi bene, ma poi sei sparito. Antonio mi ha detto che non gli hai ancora consegnato gli ultimi capitoli revisionati.»
«Ti ha mandata lui?»
Non capii: «Cosa? Chi?»
«Antonio. Ti ha mandato lui?»
Incrociai le braccia al petto, irritata: «Non sono la sua segretaria. Sono venuta qui perché sono in ansia per te. Perché sei scomparso? Lo sai che entro la prossima settimana dobbiamo consegnare la tesi in segreteria, vero?»
Scosse la testa. «Tanto ho deciso di non laurearmi.»
Spalancai gli occhi. «Cosa? E perché?»
«Perché non sono pronto. Perché non sono capace. Perché non mi va. E perché sono fatti miei.»
Sospirai e mi massaggiai le tempie con gli indici. Dovevo calmarmi: continuando così avremmo finito solo per litigare senza arrivare ad alcuna conclusione. Lo presi per mano e lo feci sedere accanto a me sul letto; Andrea si lasciò guidare senza obiettare. «Per favore, Andrea. Ho già a che fare con un bambino dell’asilo per due giorni alla settimana. Ti prego, ho bisogno del mio saggio amico, altrimenti ti riterrò responsabile se finirò per farlo fuori.»
Finalmente, sorrise: «Le cose non vanno bene con Molinari, eh?»
«In verità, vanno malissimo,» ammisi. «ma in questo momento sono più preoccupata per te.»
Andrea chiuse gli occhi, inspirò a fondo per poi lasciare andare l’aria molto lentamente; attraverso le nostre mani ancora intrecciate, avvertii la tensione abbandonare pian piano il suo corpo.
«Sono andato a letto con Antonio.» disse infine.
«Cosa?» Tutto mi sarei aspettata, tranne che questo. «Andrea, inizio a trovare un tantino inquietante il tuo interesse per gli uomini sposati barra fidanzati.»
Scoppiò a ridere di gusto. «Non intendevo… non è come pensi.»
Secondo quanto mi raccontò, era successo qualche mese prima che chiedessimo la tesi. Quel giorno era in un locale gay della zona, quando se l’era ritrovato davanti: ad averlo colpito era stata la sua espressione seria e concentrata, nonostante stesse soltanto scegliendo cosa prendere da bere.
«Non avevo idea che fosse un dottorando della Gallo. Sì, l’avevo visto all’università, ma credevo fosse uno studente come noi.»
La loro relazione era durata poco più di un mese, ma ad Andrea era bastato per innamorarsene: «In privato, è proprio come lo vedi: calmo, silenzioso, gentile. Sono sempre stato con uomini che, dopo il sesso, prendevano le loro cose e se ne andavano. Lui era diverso: abbiamo parlato tanto, sia prima che dopo. Lo sai che è appassionato di cinema d’autore? Mi ha raccontato un sacco di cose su Kubric, Fellini, Welles… E io stavo a sentirlo felice, fra le sue braccia»
Gli occhi gli brillavano come non accadeva da tempo: mi ricordava lo sguardo di Margherita, quando mi aveva parlato di suo marito o quello di Giovanna, quando… Scossi la testa per scacciare quei pensieri: non era il momento di lasciarsi andare ai propri, di ricordi.
«Poi, un giorno, all’improvviso, mi disse che non potevamo continuare così, che qualche giorno prima sua madre aveva fatto domande, perché un suo amico ci aveva visti insieme. Sai, la sua famiglia è di quelle vecchio stampo, per le quali i gay sono malti che vanno curati e sciocchezze simili. In realtà in pubblico non abbiamo mai fatto niente, non ci siamo mai neanche tenuti per mano, perciò non mi sono mai capacitato del perché ebbe una reazione così esagerata.»
«Sapeva di star facendo qualcosa che la sua famiglia non avrebbe approvato e quindi vedeva complotti dappertutto.» Non avrei mai pensato che Antonio nascondesse un lato simile.
«Già. In ogni caso, smettemmo di frequentarci. Pensavo che non l’avrei mai più rivisto, e invece poche settimane dopo parlammo con la Gallo... e me lo ritrovai come tutor.»
«Perché non hai cambiato relatore? Al tuo posto, non so se avrei retto una simile situazione.»
«Beh, la Gallo mi piace e l’argomento di tesi mi interessava moltissimo, perciò decisi che non mi sarei lasciato condizionare e avrei continuato per la mia strada. E per parecchi mesi andò tutto bene. Poi, un giorno, qualche mese fa…» Andrea fece una pausa per riprendere fiato «eravamo nell’ufficio della professoressa e stavamo rivedendo un capitolo. Eravamo da soli, i docenti erano a un consiglio di facoltà o qualcosa del genere. Non ricordo bene cosa accadde, Lu’: un attimo prima, mi stava indicando un passo che secondo lui avrei potuto rendere meglio e quello dopo mi aveva spinto contro una delle librerie e aveva iniziato a baciarmi con foga. Se… se non fosse arrivato un messaggio sul suo cellulare, non sono sicuro che ci saremmo fermati.
Ero sconvolto: era la conferma che lo desideravo ancora e che, almeno da quanto avevo visto, anche lui provava ancora qualcosa per me. Non potevo andare avanti così e glielo dissi chiaro e tondo, gli spiegai che ero disposto a mollare tutto se questo fosse servito a risolvere quella situazione imbarazzante; lui, però, non volle sentire ragioni, ammise che era stata tutta colpa sua e mi promise che un errore del genere non si sarebbe più verificato. Disse che sarebbe stato un peccato se avessi rinunciato al mio lavoro, così mi propose un compromesso: ci saremmo sentiti solo per mail e avremmo evitato qualsiasi contatto, a meno che non fossero presenti altre persone. E finora è andata bene.»
Non riuscivo a crederci: come osavo definirmi una sua amica, se non mi ero accorta di niente? Come avevo potuto? Eppure, a pensarci a posteriori, in questo modo si spiegavano tante piccole cose che il mio cervello aveva registrato senza notarle con attenzione, come per esempio il fatto che spesso Antonio si allontanava da noi in tutta fretta, come se avesse sempre un impegno impellente, oppure che non avessi mai visto Antonio parlare con lui della tesi, nonostante non si facesse problemi a dare qualche dritta al volo sia a me che a Claudia. Non avevo neanche mai immaginato che ad Antonio potessero piacere gli uomini, anche se, stando a contatto con Andrea e avendo conosciuto alcuni suoi amici, avrei dovuto almeno avere qualche dubbio in proposito.
«Non ho mai notato niente…» ammisi colpevole.
Andrea fece una risata triste: «Sono stato bravo, eh! Non se n’è accorto nessuno, nemmeno Claudia. Sei la prima a cui lo racconto.»
Mi sentii morire dentro: era ormai quasi un anno che lavoravamo alla nostra tesi e per tutto quel tempo aveva continuato a soffrire in silenzio, senza mai far trapelare nulla. Mi ricordai quando Claudia venne da noi, gli occhi che le luccicavano, per raccontarci che aveva conosciuto un ragazzo e lui si era subito prodigato in mille consigli. Come aveva fatto?
«Non sei stato bravo, sei stato un cretino.» lo rimproverai «Perché non mi hai detto niente? Non siamo amici, forse?»
«Beh, ecco…» si toccò la testa castana, a disagio «Temevo che le mie questioni sentimentali non ti interessassero… visto che non tocchi mai l’argomento…»
Ci rimasi malissimo: il fatto che io non avessi una vita amorosa di cui parlare, non significava che anche gli altri dovessero seguire il mio esempio.
«Scusa. So di essere stato uno stupido. Magari la mia era solo vergogna.»
Gli battei l’altra mano sulla spalla per comunicargli che il discorso per me era chiuso. «E dopo? Dev’essere successo qualcos’altro negli ultimi giorni per ridurti così.»
A quella domanda si incupì di nuovo. «Sì. L’altro giorno… ero in bagno, quando mi ritrovai senza volerlo a origliare una conversazione tra lui e un ricercatore, Paolo, quello che si è sposato qualche settimana fa. Parlavano di convivenza.»
Inghiottii a vuoto. «Credi che voglia andare a convivere con quella ragazza?»
Scosse la testa. «No, penso che voglia sposarla. Lui… disse che, secondo la sua opinione, la convivenza non serve, che se due persone si amano, impareranno a vivere insieme comunque, quindi a cosa serve ritardare? Una volta la gente si sposava senza prima convivere, addirittura senza conoscersi, eppure i matrimoni duravano molto più di oggi. Bisogna solo crederci e impegnarsi.»
Non ero per niente d’accordo con quelle parole, ma non era quello il momento di lanciarsi in un’analisi dettagliata della questione.
«A me sembra più un modo per autoconvincersene» commentai invece.
«Già.»
«Ma poteva essere solo una conversazione ipotetica. Cosa ti fa pensare che lo farà davvero?»
«Lo farà» annui convinto serrando la mascella. «Lo conosco.» si passò una mano tra i capelli «Io… so che è sciocco, ma dopo quella volta ho sperato come uno stupido che le cose potessero cambiare, che magari i suoi sentimenti per me fossero più forti delle sciocchezze che blaterava i suoi genitori. E invece, quella conversazione mi riportò alla triste realtà. Ero sconvolto. Vomitai. All’inizio reagii con rabbia e provai con il metodo più vecchio della storia: la gelosia.»
Sgranai gli occhi: «Aspetta, non vorrai dirmi che… Emanuele?»
«Sì.» abbassò il capo, colpevole «Mi dispiace, Lucia. Mentre eravamo per strada, vidi lui e quella ragazza che andavano verso il bar tenendosi per mano. Non ci vidi più e in un impeto di rabbia…»
Scoppiai a ridere. «Per fortuna. Temevo che fossi impazzito e volessi sul serio provarci con lui.»
Andrea mi guardò serio. «Guarda che tuo cugino non è così male. Fosse stato gay,...»
Mi coprii le orecchie con le mani. «Per favore. Vorrei dormire stanotte!»
Alla mia reazione, sghignazzò per qualche secondo, ma tornò subito in sé. «In ogni caso, è stato inutile. Quindi, tranquilla, non ci proverò più.»
«Adesso cosa vuoi fare? Lo sai che non laurearti e chiuderti in casa per sempre non è la soluzione, vero?»
Sospirò, sconfitto. «Lo so. Solo che… non ce la faccio.»
«Andrea,» gli presi il viso tra le mani e lo costrinsi a fissare i suoi grandi occhi castani, adesso così tristi, nei miei. Non avrei permesso che si lasciasse andare in quel modo. Mai. Avevo già sperimentato quanto potessero essere tragiche le conseguenze di una delusione d’amore e non avrei mai permesso che quello che avevo visto succedere una volta accadesse ancora. Non a lui. «Non puoi rinunciare, ok? Manca poco più di un mese alla seduta. Dopo, potresti non rivederlo più. Ci sono tanti ragazzi pronti per te, là fuori. Antonio non è mica l’unico, anzi, se devo dirla tutta, non mi pare neanche così speciale come dici tu. Sì, è un bel ragazzo, alto, elegante, gentile, ma ce ne sono milioni come e migliori di lui. E tu meriti molto, molto di più. Perciò, rivedi quei capitoli, laureati e volta pagina. Se hai bisogno di una mano, ci sono io. E anche Claudia e tua madre se gliene parlassi, ne sono certa.»
Mi fece cenno di sì con la testa; tuttavia, non era per niente convinto.
«Devi promettermelo» insistetti. «Promettimi che domani mattina ti rimetterai al lavoro. E guarda che verrò a controllare.»
Un piccolo sorriso gli increspò le labbra: «Povero Molinari, mi fa un po’ pena.»
Lo presi per un sì e gli sorrisi, rincuorata.
«Bene,» dissi alzandomi «Adesso va’ a prepararti. Usciamo.»
Era perplesso: «Usciamo? Per andare dove?»
Aprii le braccia: «Non lo so. In un centro commerciale. Al cinema. In un pub. A ubriacarci. Dove ti pare, basta che non resti in questa stanza: puzza di chiuso e tu sembri un barbone. E non voglio offendere i barboni.»
«Ma… non devi studiare?»
«Oggi dovevo andare da Molinari, ma mi ha dato buca. Quindi, sono tutta per te!»
«Uh uh! Un simile onore non si può rifiutare!» mi prese in giro. In effetti, era rarissimo che in periodo di scadenze pensassi a qualcosa di diverso dallo studio, ma per lui avrei fatto volentieri un’eccezione. E poi una pausa serviva anche a me.
«Muoviti!»
«Ok, ok…» mise una mano sulla maniglia, ma ci ripensò e si voltò verso di me: «Sai una cosa? Penso che se fossi sempre così dolce, avresti una fila di spasimanti.»
«Cretino!» Presi una maglietta dal mucchio accanto a me e gliela lanciai dietro; lui la evitò facendomi una linguaccia.
Sorrisi: era un vero sollievo riavere indietro l’Andrea che conoscevo e a cui volevo così bene.


Com’era prevedibile non andammo né al cinema, né al centro commerciale ma, senza neanche mettersi d’accordo tra loro, i nostri piedi ci condussero alla Feltrinelli.
La filiale della grossa catena di franchising era situata in un grande palazzo a due piani ed era il paradiso di tutti gli amanti non solo della lettura, ma anche della musica, dei videogiochi e del cinema. All’interno c’erano dei comodi divanetti dove i clienti potevano sfogliare i libri senza essere disturbati; inoltre, la presenza di una caffetteria permetteva di passare intere giornate nell’edificio senza farsi mancare nulla.
Quando arrivammo, le poltrone erano già tutte occupate e si sentiva il vociare dei ragazzini che spendevano i propri pomeriggi ad ascoltare musica gratis al secondo piano. Sperai che, un giorno, alcuni di loro avrebbero anche dato un’occhiata ai libri presenti al piano terra, ma non ne ero molto sicura.
«È tutta colpa tua. Quanto tempo sei stato in bagno? Un’ora? Peggio di una donna» lo presi in giro.
«Sei stata tu a trascinarmi fuori casa. Avresti dovuto dirmi che facevo così schifo: quando mi sono guardato allo specchio, per poco non ho gettato un urlo. Da quando sei diventata diplomatica?»
«Non volevo rigirare il coltello nella piaga.»
«Grazie. Perciò, non ti lamentare.» Per tutta risposta, gli feci una linguaccia.
Trascorremmo ore vagando tra gli scaffali e soffermandoci sui libri che più suscitavano il nostro interesse: ormai conoscevamo la loro posizione a memoria, ma questo non modificava il nostro rito consolidato di rileggere la quarta di copertina dei libri che più ci incuriosivano. Qualche volta, come quel giorno, salivamo anche al secondo piano.
«Guarda! È uscito il cofanetto con tutte le stagioni di Downton Abbey! Lo voglio!» strillò, felice. Adorava quella serie, l’aveva rivista almeno una decina di volte.
«Andrea, hai già l’edizione originale inglese, che te ne fai anche di questa?»
«Ma è la versione italiana! Voglio vedere che differenze ci sono. Una sorta di… collazione filologica delle versioni televisive, Paese per Paese, ecco!»
Scoppiai a ridere. «Tu sei malato. Comunque, è da un po’ che non lo vediamo. Che ne dici, una volta che saremo più liberi ci facciamo una maratona delle nostre?»
Era stato lui a trasmettermi la passione per le serie TV e, quando eravamo più liberi, passavamo intere serate a gustarci una nuova serie; anzi, sospetto che il mio esame di inglese fosse andato così bene non tanto per il mio studio, quanto per tutti i telefilm in lingua originale che avevamo visto.
«Quando vuoi!»
Erano ormai passate le sette e stavo iniziando ad avvertire un certo languorino: a pensarci bene, a pranzo avevo mangiato pochissimo, perché il nervoso per il fatto di non avere notizie di Andrea mi aveva chiuso lo stomaco. Stavo per proporgli di andare da qualche parte a mangiare, quando alle mie spalle sentii una voce familiare. Mi voltai e, poco distante dal punto in cui eravamo noi, vidi Giulio Molinari che rideva con alcuni ragazzi.
«Puoi scusarmi un attimo?» feci, ma mi allontanai senza ascoltare la sua risposta, gli occhi fissi sulla figura longilinea di Molinari. Al solo rivederlo, tutta la rabbia che avevo provato in mattinata per quel messaggio ermetico tornò a galla con forza.
«Molinari. Posso parlarti un attimo?» mi intromisi senza neanche salutare. Mi resi vagamente conto che era con le stesse persone con cui l’avevo visto al pub settimane prima, e davanti alle quali avevo minacciato di evirarlo; forse fu per questo motivo che i ragazzi fecero qualche passo indietro quando mi videro.
«Ehilà, prof! Che fai, mi stalkeri?»
«No. So che questa notizia ti sconvolgerà, ma il mondo non gira intorno a te. Possiamo parlare un attimo?» ripetei.
Indicò gli altri ragazzi. «Mi spiace, come vedi sono occupato.»
Lo fulminai: «Se non vieni un attimo con me, dirò quello che devo qui, davanti ai tuoi amici. Vuoi rischiare?» dissi in francese.
Un guizzo attraversò i suoi occhi: aveva capito benissimo di cosa volessi discutere.
«Ok.» Fece un cenno ai suoi amici e ci dirigemmo verso un angolo della sezione musica meno affollato.
«Allora, che vuoi?»
Misi le mani sui fianchi. «Perché hai annullato la nostra lezione di oggi?» chiesi, senza girarci intorno.
«Qual è il problema? Avevo da fare. Anche tu l’altro giorno facesti lo stesso, no?»
“Con la differenza che io avevo un motivo vero, cosa che non credo possa dire di te!” avrei voluto ribattere, ma mi morsi la lingua. «È per ieri sera.» Non era una domanda, ma una constatazione.
«Perché, cosa è successo ieri sera?» fece, assumendo un’espressione stupita. L’avrei preso volentieri a pugni, tuttavia mi trattenni; del resto, eravamo in un luogo pubblico.
«Mi dispiace, ok?» sbottai all’improvviso «Lo so che non avrei dovuto farlo e che, soprattutto, avrei dovuto scusarmi con te, ma la verità è che non mi sento affatto colpevole. Il disegno che mi fece vedere Margherita era bellissimo e, sì, volevo vederne altri.»
Mentre parlavo, si era appoggiato a una colonna con le braccia conserte; il suo volto non trasmetteva la minima emozione.
«Hai altro da aggiungere?»
Scossi la testa: avrei voluto dirgli che non doveva rinunciare al suo talento in quel modo, ma mi rendevo conto che avrei solo peggiorato la situazione.
«Molto bene. Visto che sei in vena di confidenze, te ne farò una anche io» si staccò dalla parete e fece qualche passo nella mia direzione: era più alto di me solo di pochi centimetri, ma in quell’occasione sembrò quasi sovrastarmi. «Tu non hai la minima idea di quanto ti odi e di quanto disprezzo provi per la tua piccola vita perfetta: sei sempre circondata dai tuoi amichetti, studi quello che ti piace e farai carriera, perché hai la benedizione di madre e sei abbastanza arrogante per arrivare in alto. Solo perché la tua vita è così facile e i miei e Marita hanno una così alta opinione di te, però, non significa che tu sia autorizzata a ficcare il naso in cose che non ti riguardano. Tuttavia, siccome devo averti per forza tra i piedi per colpa di quelle stupide lezioni, continuiamo pure con questa messa in scena. Ma non a casa mia.»
La mia piccola vita perfetta aveva detto. Che diavolo ne sapeva lui della mia vita? Come si permetteva di pontificare su cose di cui non era minimamente a conoscenza? Non era certo colpa mia se i suoi mi avevano incastrata con quella storia delle ripetizioni: fosse dipeso da me, avrei evitato persino di parlargli. Lacrime di rabbia premevano per uscire, ma io avevo giurato molti anni prima che non avrei mai pianto per colpa di un ragazzo, per nessuna ragione al mondo; perciò, con uno sforzo immane le ricacciai indietro.
«Bene, dunque» stavolta fui io ad avvicinarmi a lui. «Domani pregherò tua madre di farci fare lezione all’università invece che a casa tua. Come hai detto anche tu, ormai i tuoi si fidano di me, quindi non avranno problemi ad assecondare la mia richiesta. Poi, tra qualche settimana, andrò dai tuoi e dirò loro che non ho nient’altro da insegnarti, perché sei uno studente migliore di quanto pensassi e potremo farla finita con questa farsa; dopotutto, sappiamo entrambi che queste lezioni sono inutili. Soddisfatto?»
Per qualche secondo continuammo a fissarci astiosi.
«Lucia? Tutto ok? Non ti ho visto tornare e sono venuto a cercarti…»
Mi voltai verso Andrea, grata per la sua apparizione. «Sì. Abbiamo finito. Ci vediamo martedì,» conclusi rivolgendomi a Molinari; dopodiché mi voltai senza curarmi della sua risposta e raggiunsi il mio amico che seguiva con lo sguardo i miei movimenti, preoccupato.
«È successo qualcosa? Hai una faccia….»
Scossi la testa, cercando di ritrovare il buonumore: aveva già troppi problemi per pensare anche ai miei. «Va tutto bene, credimi. Anzi, sto morendo di fame. Che ne dici di prendere una pizza e andare a casa mia a vederci Downton
   
 
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