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Autore: mughetto nella neve    06/12/2019    2 recensioni
"[...]Che poi, chi aveva bisogno di Antonio? Lui poteva passare tranquillamente il Natale da solo. Vade retro Alfred con il suo bisogno compulsivo di ubriacarsi ad ogni festività o Hanne che improvvisamente ci teneva ad invitarlo a casa sua con i fratelli (che sputavano sempre quando aprivano bocca) o Feliciano a cui- beh, a Feliciano non poteva dire di no.
Suo fratello era davvero la petulanza in persona; ma in questo aveva sbagliato lui. Non doveva dirgli di Antonio, non doveva proprio rispondere alle sue telefonate. Se lo avesse fatto ora non sarebbe in Germania, a gelarsi il culo, mentre suo fratello si sbaciucchiava il fidanzato tedesco in cucina.
[...]"
[ Romano-centric | Human!AU | Calendario dell'Avvento ]
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash | Personaggi: Altri, Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Autore: mughetto nella neve 
Fandom: Hetalia Axis Powers 
Personaggi: Sud Italia (Lovino Vargas), Germania (Ludwig); [minori] Nord Italia (Feliciano Vargas), Prussia (Gilbert Beilschmidt), Austria (Roderich Edelstein), Ungheria (Elizaveta Hedervary); [praticamente citati] Spagna (Antonio Fernandez Carriedo), Belgio, America (Alfred F. Jones)
Generi: Commedia, Sentimentale 
Coppie: PruIta; [accenni] PruAus, PruHun, Spamano
Avvertimenti: Human!AU
Note: questa storia è stata scritta per l’iniziativa “Calendario dell’Avvento 2019” di Fanwriter.it per il giorno 6 dicembre. Sono davvero felice di essere riuscita a finirlo in tempo e di aver scritto qualcosa a tema natalizio!





 

Era stato facile prendere in odio il Natale. A ben guardare, era una festa che - una volta divenuti adulti - perdeva molto il suo fascino. Lovino, in particolare, aveva smesso di aspettare con gioia la Vigilia perché questa diventava la data ultima entro cui fare i regali o lo stesso Cenone che, ogni anno, non lo soddisfava perché mancava qualcosa o vi mancava qualcuno.

Due anni fa era stato Feliciano a non venire, l’anno scorso il Nonno - ma lui era scusato, in fondo era morto. Era, comunque, ragionevole credere per Lovino che nessuno volesse davvero passare quella sera con lui perché- beh, la sua famiglia era composta da veri stronzi. Ovvio. Anzi, no: era la sua intera vita quella ad essere composta da stronzi. Non c’era persona da lui conosciuta che non lo fosse. Probabilmente Lovino faceva da una specie di magnete naturale e li attirava in quantità esorbitanti assieme ad incapaci, disgraziati di ogni sorta, inetti, pessimi datori di lavori, ancor più pessimi colleghi e Antonio.

Antonio era il peggiore di tutti. Prima faceva il piacione, lo snervava con tremila idee su come passare il Natale assieme, lo ammorbava di scenari e suggestioni; poi lo svegliava, nel cuore della notte, con il telefono in mano, e gli diceva che il fratello era caduto dalla moto e che doveva andare immediatamente da lui. Ovviamente Lovino lo aveva accompagnato all'aeroporto. Ovviamente. Perché era un bravo coinquilino ed odiava i tassisti più di quanto odiasse fare da autista. Ed era stato bravo: non aveva battuto ciglio quando Antonio si era scusato per aver mandato all’aria tutti i loro piani. Non gli avrebbe mai dato simile soddisfazione.

«Sei libero di andare dove ti pare! Non è perché dividiamo l’appartamento che sei diventato una mia responsabilità! Sai che rottura poi sarebbe mantenerti?» gli aveva detto, mentre l’altro lo stritolava nell’ennesimo abbraccio interminabile: «Vai e stagli vicino che, se ti assomiglia almeno un poco, rompe le palle come pochi quando è solo»

Che poi, chi aveva bisogno di Antonio? Lui poteva passare tranquillamente il Natale da solo. Vade retro Alfred con il suo bisogno compulsivo di ubriacarsi ad ogni festività o Hanne che improvvisamente ci teneva ad invitarlo a casa sua con i fratelli (che sputavano sempre quando aprivano bocca) o Feliciano a cui- beh, a Feliciano non poteva dire di no.

Suo fratello era davvero la petulanza in persona; ma in questo aveva sbagliato lui. Non doveva dirgli di Antonio, non doveva proprio rispondere alle sue telefonate. Se lo avesse fatto ora non sarebbe in Germania, a gelarsi il culo, mentre suo fratello si sbaciucchiava il fidanzato tedesco in cucina. Suo fratello era talmente rincoglionito dalla sua vita sentimentale che nemmeno lo ascoltare spiegare che non riusciva dormire sereno perché lì, in quella nazione dimenticata da Dio, a quanto pare era usanza accendere le candele sull’abete senza minimamente ponderare il pericolo di incendio.

Perché aveva detto di sì? Perché non era rimasto a casa sua, a Napoli, invece che prendere la macchina, farsi undici ore di viaggio, perdersi in un paesino in cui tutti parlano incazzatissimi ed infine ritrovarsi col fratello che non aveva perso la brutta abitudine di strusciarsi contro il suo viso? Lovino, questo, non lo voleva. Così come non voleva essere presentato al fidanzato, al fratello del fidanzato, all’ex-fidanzato del fidanzato e alla ex-fidanzata del fidanzato? Perché tutta quella gente era lì? Ok, la casa era abbastanza grande per ospitare tutti; ma quale idiota, a giorni nostri, non solo decide di rimanere in contatto con i propri ex ma li invita anche per Natale? E perché a Feliciano andava bene?

Aveva provato a farglielo presente; ma suo fratello - a quanto pare - oltre che essere un povero imbecille che si faceva bastare una laurea di storia dell’arte per prendere ed andarsene in Germania, senza sapere una sola parola della lingua, era anche diventato immune a qualsiasi esempio di buon senso. Gli aveva riso in faccia quando gliene aveva parlato.

Ed aveva detto, testuali parole: «Roderich e Eliza non sono male come compagnia. Vedrai che ti troverai bene con loro! Devi dar loro solo la possibilità di sciogliersi un po’! Ed anche tu, Lovi: devi rilassarti un po’!»

Come poteva dirgli una cosa simile? Come poteva chiedergli di rilassarsi quando c’era l’estremo di un incendio doloso in salotto, due perfetti sconosciuti che a quanto pare non avevano famiglia per trovarsi lì, il praticamente-cognato che aveva una risata da accapponargli la pelle ed il fratello di suddetto demonio che era un colosso alto forse due metri che - a quanto gli era stato detto - faceva appena l’ultimo anno di liceo?

Parlando di questi, Ludwig era - più di qualunque cosa e di chiunque altro in quel momento - il picco di fastidio per Lovino. Probabilmente dipendeva dal fatto che si sforzava di parlare italiano con lui ma, nel farlo, probabilmente uccideva metà popolazione italica visto l’orribile accento e la pessima cadenza. Feliciano si complimentava continuamente per simile iniziativa e colpiva la gamba del fratello nel tentativo di fargli dire lo stesso. Col cazzo che Lovino avrebbe fatto una cosa simile. 

Ma poi Ludwig era fastidioso. Seguiva lui e Feliciano pressoché ovunque con la scusa dell’imparare la lingua, non li faceva cucinare in pace perché subito cominciava a pulire dove stavano e si permetteva perfino di correggerlo ogni qual volta mostrasse perplessità sulle “tradizioni natalizie” presenti in casa.

E Lovino era stato zitto. Non aveva ribattuto quando Ludwig gli aveva “spiegato” del perché le candele stavano sull’albero, del perché non c‘era un dolce che avesse la stessa forma dell’altro, delle corone d’avvento in ogni superficie liscia della casa e del perché era tanto importante andare a vedere i mercatini prima della fine della settimana nonostante si gelasse fuori casa. Ma Lovino era un adulto, ed un adulto non si incaponisce su un diciassettenne che suo fratello continua a rimpinzare come se dovesse crescere ancora.

Un adulto sa stare in silenzio, sa chiudere un occhio, non porta rancore e, soprattutto, se si arrabbia, lo fa con il suo stesso fratello che ha intenzione di preparare una cena di Natale assurdamente semplice - quasi frugale - con la metà delle quantità necessarie.

«Suvvia, Lovi! Non mangiamo mica così tanto! E poi hai portato un capitone enorme da giù, quello abbasta senz’altro!» E voleva anche avere ragione. La Germania lo aveva rovinato per sempre. Suo fratello era morto nel momento stesso in cui lo aveva salutato sei anni fa. Non doveva farlo partire. Ecco, come si era ridotto! Ma sicuro c’era pure lo zampino del fidanzato in tutto questo sfacelo! Sicuro come la morte! Feliciano non poteva aver fatto tutto da solo: quell’albino di merda doveva avergli sussurrato ogni notte, all’orecchio, “siiiii non abbiamo bisogno di quelle confezioni di orecchietteeee buttiamole viaaaa”.

«A mio fratello piace la cucina italiana. Non butterebbe mai via della pasta» parlò Ludwig nel sedile posteriore della sua macchina. Lovino per poco non sbandò nel vederlo lì. Quando- come- perché- ed aveva pure la cintura allacciata! «Feli vuole che ti accompagni perché “di tedesco non ne parli neanche un poco” e "il tuo inglese lascia a desiderare”. Ha paura che i commercianti ti prendano per pazzo, che ti perdi mentre vai o mentre torni e che dobbiamo aspettare l’estate per ritrovare il tuo cadavere»

Disse tutto questo accompagnando se stesso con una conta sulle mani, come se stesse seguendo una qualche tabella mentale.

Lovino grugnì. Suo fratello temeva per lui e gli metteva il diciassettenne alle calcagna, a fargli da guida ed interprete? Stupido Feliciano. Avrebbe dovuto accompagnarlo lui se aveva così tanta paura, non mandare un altro al posto suo. Che cosa doveva fare a casa di così importante? Poi un lampo di consapevolezza: il ragazzino era lì con lui, la coppia di ex era ai mercatini e sarebbe tornata per la serata, il fidanzato, invece, ma tu guarda il caso, era con lui, a casetta. 

Lovino strinse il volante, furioso: «Chella capicazz»

 

«⸺poi voglio tre etti di polpo, otto spigole, sei orate. Mi fa un chilo sia di calamari che un chilo di seppioline. Non seppie. Seppioline.» Lovino smise di contare sulla punta delle dita i vari tipi di pesci e, con un’occhiata serissima, si voltò verso Ludwig ed indicò il pescivendolo dall’altra parte del bancone. «Avanti, traduci»

E Ludwig, effettivamente, tradusse poco a poco. Il suo viso era leggermente arrossato per via del freddo e la voce si incrinava un poco nel mentre passava da un pesce all’altro; ma sembrava aver effettivamente compreso quanto detto da Lovino e stava davvero applicandosi per rendere bene la spiegazione.

Aveva addirittura ripetuto la conta sulle dita della mano, prendendo un po' aria man mano che si avvicinava alla fine. Il tedesco era davvero una lingua pessima: trasformava qualsiasi oggetto in un agglomerato disordinato di consonanti che, a quanto pareva, generava fastidio nello stesso parlante che palesava la sua rabbia urlando. Lovino non capiva davvero cosa Feliciano vi trovasse di così affascinante in essa - o nella Germania, in generale.

Ma non era questo il momento giusto per pensarci. Ludwig aveva finito di tradurre e il pescivendolo - dopo un interminabile pausa - aveva annuito e berciato qualcosa che il ragazzo, però, si era ben guardato dal spiegargli. E, no, non se ne era semplicemente dimenticato: quando l’uomo aveva finito di parlare, gli aveva lanciato un’occhiata ed era poi sceso a guardare i merluzzi - come a disagio. Lovino si ripromise di torchiarlo per bene in macchina, una volta finito di fare la spesa.

Ed avrebbe anche pensato ai giusti metodi da adoperare se non avesse adocchiato il pesce che stavano impacchettando per lui. Il verso che emise portò metà negozio a guardarlo preoccupata - l'altra metà non gli aveva staccato gli occhi di dosso da quando era entrato, imprecando contro il freddo e contro Ludwig che camminava troppo svelto.

«No, no, no! Ma cosa dovrebbe significarmi?! Che è quella roba?! Non è fresca per niente!» ululó agitato, afferrando il ragazzo per la spalla ed indicando immediatamente quella roba molliccia che gli stavano spacciando per pesce. Questi sbatté le ciglia e guardò prima il bancone poi lui, incredulo, come se non capisse l'entità del problema o l'urgenza immediata del suo intervento. «Fermalo! Fermalo! Quello ci vuole avvelenare stasera!»

Ludwig mormorò effettivamente qualcosa, mentre Lovino lo agitava nel tentativo di farlo agire, e l'uomo al bancone si fermò con uno dei tanti obbrobri ancora incastrato tra la mano e la carta. Il pescivendolo aveva dei lunghi baffi ed era piuttosto tozzo, Lovino era certo che - se irritato - avrebbe potuto appendere entrambi al muro senza affaticarsi.

Guardò male sia lui sia Ludwig, che stava osservandolo in attesa di ulteriori istruzioni. Dio, che nervoso gli dava quella faccia seria e corrucciata. Sembrava incapace di mettere su un sorriso. E dire che Feliciano ci si metteva di impegno a metterlo suo agio. E quando non era lui, ci pensava lo stesso fratello; ma niente: sempre serio, sempre ipercritico, non dava una (che fosse una) soddisfazione.

Lo sentì schiarirsi la voce: «Gli chiedo di darci altri tipi di—»

Senza contare che era un povero idiota se gli poneva una domanda del genere. Che li teneva a fare gli occhi se non sapeva utilizzarli? Non la vedeva che razza di robaccia era esposta? Che cosa stavano loro dando in quel momento? Quella non era una pescheria ma un letamaio!

«Lascia stare! Ce ne andiamo!» sbottò infilando entrambe le mani nelle tasche del giaccone. Non salutò né il pescivendolo né il resto del locale che, imperterrito, continuava ad osservandolo. Come se non avessero mai visto un italiano in quella cittadina in mezzo ai monti! Insomma, Feliciano non passava mai da lì? Stava fisso nel suo nido d'amore e, se usciva, era solo per andare a lavorare?

Avrebbe avuto senso come idea solo perché, effettivamente, il clima rendeva inverosimilmente problematico qualsiasi tipo di spostamento. Lovino, infatti, si pentì subito della sua decisione di uscire dalla pescheria: fuori si gelava, faceva ancora più freddo di quando aveva abbandonato la macchina e - di tanto in tanto - prendeva addirittura a tirare il vento. Come si poteva pensare di vivere in una zona del genere? Con un clima simile? Era da pazzi. I tedeschi erano pazzi, Feliciano era pazzo. E pazzo era anche lui dato che aveva accettato di recarsi lì.

Si grattò la testa ed aspettò che Ludwig gli fosse abbastanza vicino. Questi accostò la porta del negozio e si abbottonò il proprio giaccone. Come non fosse morto congelato in quel tempo rimase un regalo tra lui e il Creatore.

«Dov’è l’altra pescheria?» domandò a braccia incrociate, una volta che questi ebbe terminato simile lavoro. Stava morendo dal freddo e non aveva la minima idea di come scaldarsi in poco tempo. 

«Era questa l’altra pescheria» parlò Ludwig stretto in una sciarpa esageratamente grande, probabilmente fatta a mano. Sotto a simile coltre di lana si vedevano giusto quei suoi occhi chiarissimi e qualche ciuffo biondo. «Nella prima non sei neanche voluto entrare e non mi hai neanche voluto spiegare perché»

«Non sono voluto entrare perché⸺ beh, sono affari miei! Tu sei qui solo perché devi farmi da traduttore, non hai voce in capitolo nelle decisioni e io non ti devo spiegare niente!» sbottò, cercando di non inciampare sul ghiaccio. Tentare di ragionare con quel freddo era un’impresa vana; Lovino riusciva a stento a rimanere in piedi, figuriamoci riuscire a spiegare a quel ragazzino il perché avesse messo un’immediata croce sul primo negozio - senza scivolare nel dialetto, poi. Si grattò la testa frustrato. Ben presto però il freddo tornò a tormentarlo e l’uomo fu costretto a tornare a braccia incrociate, questa volta sistemando entrambe le mani sotto le ascelle.

«Torniamo dentro?» domandò Ludwig, con una voce tanto irritante che Lovino l’avrebbe strozzato se ciò non significasse togliere le proprie mani da quella sottospecie di fonte di calore appena trovata.

«No che non torniamo dentro! Ma l’hai vista che merda ci stava dando? E la spaccia pure per fresca quello lì! Andrebbe arrestato!» rispose di nuovo, questa volta con maggiore spirito ed intenzione. Ludwig, infatti, chiuse la bocca e per una buona mezz’ora se ne stette zitto, seguendolo in silenzio senza ribeccare qualsiasi cosa dicesse.

Durò troppo poco. Bastò entrare in un centro commerciale che subito i modi rigidi del ragazzo si distesero. Ludwig si tolse la sciarpa e la sciarpa e la appese al gancio del carrello, prendendolo a spingere nonostante fosse intenzione di Lovino tenerlo. Non lo commentò. Dopotutto era pur sempre un ragazzino e lui era un adulto maturo e responsabile. Inoltre, aveva altro da pensare. Se non il pesce, almeno sarebbe tornato con della pasta e con prodotti sott’olio per l’antipasto.

Magari se era abbastanza fortunato poteva trovare prodotti vagamenti decenti e, chissà!, magari anche del pesce. Che, ok, non sarebbe stato fresco; ma almeno non avrebbe avuto l’aspetto orribile che il pescivendolo stava loro servendo. Il solo ricordo lo fece tremare dal disgusto. Per fortuna era stato abbastanza attento.

E doveva continuare ad esserlo. La confezione di polpo che aveva adocchiato e che al momento teneva per le mani gli sembrava fresca ma, a parte non trovare la data di confezionamento, non riusciva a capire quali altre cose quei folli folli tedeschi potevano averci aggiunto.

Cercò il ragazzo dietro di sé e non lo trovò. Lovino spalancò gli occhi e subito fu fuori dal reparto frigo per percorrere velocemente il corridoio principale. E se lo avessero rapito? Come lo avrebbe spiegato a Feliciano? Al fratello, soprattutto! Ma poi che ci facevano con un ragazzino così petulante? Quanto meno ne rubassero uno silenzioso, che poteva tornargli utile per il commercio degli organi, non uno che criticava qualsiasi cosa che si faceva!

Per fortuna, Ludwig non era stato rapito. Era ancora al reparto della pasta - o almeno così Lovino osò definirlo - e non aveva perso né il cartello né la faccia da culo. Teneva tra le mani un sacchetto di "purè pronto". Poco ci mancò a Lovino per avere un infarto. Si portò addirittura una mano sul cuore, come ad accertarsi che questi stesse continuando a battere e non lo avesse abbandonato in quel momento del bisogno.

«Non ci pensare neanche» ululò. Fu subito su di lui e, con un rapido gesto, gli sottrasse il pacco dalle mani.

Ludwig rimase senza parole e, per qualche istante, boccheggiò confuso: «Non ho detto—»

«Alla cena di Natale si mangia il pesce» dichiarò. Il suo era un tono che non ammetteva repliche o commenti; Ludwig serrò subito le labbra e prese un lungo respiro, come se fosse pronto ad andare in apnea. Questo asserzione della sua autorità, per un attimo, lo fece rilassare. «Chest’è a tradizione de casa mia. Tu e tuo fratello o vi adeguate o ve ne andate»

A Ludwig, tuttavia, non doveva essere stata insegnata la buona educazione assieme all’arte dello stare zitti quando gli altri parlano: «Ma sei tu ad essere venuto da noi, non noi che—»

«Hai capito benissimo quello che intendevo!» lo interruppe ancora, questa volta puntando il dito indice con fare ancora più perentorio. Non avrebbe mai perso con un ragazzino. Ne andava del suo orgoglio.

Ludwig lo osservò accigliato per qualche secondo. Sembrava come sul punto di dirgli qualcosa, ma poi finì con lo stare zitto ed abbassare gli occhi. Doveva aver finalmente capito quale fosse il suo posto. Lovino sospirò, vagamente compiaciuto da simile vittoria. 

«Leggimi gli ingredienti» gli disse, con tono più conciliante, mettendogli tra le mani la confezione di polpo e togliendogli subito la busta di purè pronto - questa venne abbandonata nel reparto sbagliata, messa volutamente a testa giù, in segno di vergogna. Ludwig la guardò per qualche istante per poi borbottare sottovoce quanto stava leggendo. Lovino gli prese dalle mani il carrello: «Più forte! Che non ho tempo da perdere ed ho un sacco di altre cose ancora da cercare!»

Ed andarono avanti così per una sostanziosa ora: con Lovino che sceglieva prodotti e conduceva il carrello e Ludwig che traduceva la lista di ingredienti ed eventuali avvertenze . Spesso e volentieri il ragazzo - immerso com’era nella lettura/traduzione - sbatteva negli angoli dei reparti e, rosso in viso, si affrettava a camminare più veloce, raggiungendolo.

Nonostante questo -e nonostante anche i numerosi dubbi che Lovino aveva su alcuni prodotti- arrivarono comunque alla cassa. Mentre Ludwig svuotava il carrello e veniva salutato con un certo grado di confidenza dalla cassiera (segno che era stato lì anche in passato e che la donna lo conosceva), qualcosa nella tasca di Lovino prese a tremare.

Il telefono gli segnalava la presenza di un nuovo messaggio mandatogli dal fratello. Questo, infarcito di emoticon di vario tipo, portava simile testo all’interno:

↪ Il capitone è scappato dalla vasca! Ma non ti devi preoccupare!!! È sicuramente ancora in casa! Gil ed io lo stiamo cercando.

Se non rispondo più, però, vuol dire che lui ha trovato noi

Per un attimo, nella sua testa ci fu silenzio. Lovino lo paragonò a quello di quando Feliciano gli aveva detto di essere gay, o di quando aveva dichiarato di partire l'indomani per la Germania o ancora di come preferisse il panettone rispetto al pandoro. Stessi momenti, stessa gravità della situazione, stesso desiderio di strangolare il fratello minore e - tuttavia - Lovino si trovò a ragionare su come nessuno di questi lo aveva lasciato senza parole come questo.

«Weißt du, was mit ihnen passiert ist?» borbottò la cassiera piegandosi leggermente in avanti ad avvicinandosi a Ludwig che - in egual modo - lo osservava stordito.

«Keine Ahnung» commentò il ragazzo con entrambe le sopracciglia aggrottate. Lo vide stendere le labbra e prendere un lungo respiro. «Va tutto bene?»

Ed eccola là: la domanda sbagliata al momento sbagliato. "Va tutto bene?" era, forse, il modo migliore e più veloce di farlo scoppiare. Tutti coloro che lo conoscevano da diverso tempo venivano -chi prima, chi dopo- a conoscenza del magico potere di quel quesito. Che si trattasse del Nonno che si era avvicinato dopo che il funerale della Mamma, Feliciano poco dopo l'annuncio della sua prima bocciatura, Antonio quando gli aveva raccontato della partenza di Feliciano per la Germania, Hanne a seguito dell'ennesima sgridata del Capo. Nessuno ne era immune.

Figuriamoci quel saccente ragazzino tedesco: «No che non va tutto bene! Quell’idiota ha smarrito- ma come cazzo si fa a perdere il capitone? È dentro la vasca apposta! Per non scappare! Ma come cazzo- quel rincoglionito! Ora voglio proprio vedere come cazzo fa a ritrovarlo! È andato! Sparito! Io non lo so- ma come si fa- Stava lì, messo apposta!»

«Forse dovevano spostarlo perché la vasca serviva» "Lo so io a cosa gli serviva la vasca" pensò, stringendo i denti: già se la vedeva la faccia rilassata con cui il fratello li avrebbe accolti una volta rientrati. Quel dannato imbecille. «In fondo, tenere un’anguilla lì non è—» 

«Non osare offendere le mie tradizioni!»  lo interruppe rosso in viso per la rabbia e per lo sforzo che stava mettendo nell'urlare in quella maniera. La cassiera spalancò leggermente gli occhi. Chissenefrega. Non avrebbe mai potuto capirlo. «Ecco perché non dovevi venire! Ecco perché io non dovevo venire! Dovevo starmene a Napoli, sul divano, a vedermi la nuova stagione di The Young Pope; ma nooo dovevo farmi trascinare da quell’imbecille che non riesce neanche a preparare un cenone senza—» 

«Non lo chiamare così!» incalzò Ludwig, questa volta con più forza nella propria voce. 

E Lovino onestamente non ne poteva davvero più. Va bene sopportarlo in casa, va bene tirarselo appresso durante la spesa, ma ora era anche suo compito gestire le crisi adolescenziali? Ma non aveva un fratello lui? Perché toccava a Lovino badarci? «Chiedo scusa, da quando c'è un grado di confidenza tra noi due che ti permette di rispondermi così?»  

«È da quando sei arrivato che non fai altro che lamentarti e- e strillare. Non è questo lo spirito natalizio giusto!» parlò ancora il ragazzino. Questo era decisamente troppo. Se prima aveva delle remore e dava la colpa del suo comportamento al fratello, per non starci dietro, o a Feliciano, per starci troppo appresso; ora aveva cambiato idea: era tutta colpa sua. Stupido ragazzino. Era colpa sua se stava avendo tutte quelle difficoltà a farsi piacere quel soggiorno: stava sempre lì, a correggerlo, a dirgli che sbagliava nel dire una certa cosa, a comportarsi in una certa maniera. Ma cosa ne poteva sapere?

«Parli proprio tu!» dichiarò, infatti, gesticolando nervoso. «Sei il primo che disturba! Stai sempre a ribeccare gli altri, a lamentarti se qualcuno osa mostrare anche una minima critica! Senza contare che hai sempre la stessa espressione scazzata! Non riesci a farla una faccia che non sia da partecipazione ad un funerale?»  

«Ich sehe schon immer so aus!» urlò allora il ragazzo rosso in viso, sbalzando leggermente il carrello che scivolò dalle mani di Lovino. 

L'uomo si affrettò ad acchiapparlo, prima che potesse sbattere contro qualcosa; ma, nel dare la precedenza a questo, perse completamente di vista Ludwig che gli fuggì velocemente. Quando, infatti, si girò -mentalmente pronto ad afferrarlo per un orecchio- lo notò correre verso l'uscita del supermercato. Quel diavolo di un ragazzino.

Era stato incredibilmente veloce nel filarsela. Che fosse abituato a darsela a gambe quando un adulto lo rimproverava? O semplicemente si fosse indispettito per la faccenda della voce? Lovino non aveva idea di cosa gli avesse detto quando gli aveva parlato in tedesco. Poteva averlo mandato a quel paese, per quanto ne sapeva. Non ne sarebbe stato così sorpreso. In fondo, era palese che lo odiasse.

Lovino sospirò. Neanche questa era una novità. Nessuno lo sopportava. Era circondato da stronzi che facevano perennemente gli splendidi ma che, arrivati al dunque, si defilavano in fretta. Come dargli torto. A quanto pareva, era pressoché impossibile amarlo. Era troppo scontroso, troppo lamentoso, troppo cattivo con le parole. Non c’era nessuno a questo mondo che lo apprezzasse.

 

Non è la prima volta che perde un pezzo del Presepe. L’anno scorso ha smarrito il bue, quello prima ancora c’era più pastori che pecore; ma quest’anno, lo ammette, la situazione è sfuggita di mano.

«Ma come si fa a perdere la Madonna? Questo è perché li hai cresciuti male, papà! Non sanno aver cura di niente, manco del Presepe!» continua a sbraitare lo Zio da dentro casa. Lovino si gratta nervoso la testa e prende ad osservare lo spiazzo interno del palazzo. Fuori fa freddo, ma di tornare dentro per prendere una felpa non se ne parla. Morirà congelato lì, alla Vigilia di Natale. E forse è giusto così.

«Certo che lo Zio ne stai facendo davvero una questione di stato. Vabbé che è prete ma-» Feliciano butta un'occhiata su di lui e ride un poco mentre accosta la porta-finestra: «Ma neanche tu scherzi con il muso che hai messo!»

Da quando è tornato, Feliciano è perennemente su di giri. Ride, scherza- e fin qui non ci sarebbe nulla di insolito, solo che la sua energia sembra non finire mai ed è impossibile farlo stare fermo. Lovino si domanda se questo non sia un effetto collaterale dello stare in Germania: magari lì è più morto che vivo ed ora che è a casa finalmente può essere se stesso.

Non gli interessa. Al momento è impegnato a fustigare se stesso: «Ho rovinato il Natale»

L’altro si accosta alla ringhiera e prende ad osservare anche lui lo spiazzo. Dalla porta laterale di destra esce una coppia con tre bustoni a testa. Ride per qualcosa e Lovino non ci mette troppo tempo a capire che simile ilarità viene dalla difficoltà di aprire e chiudere le porte con entrambe le braccia impegnate. 

«Se davvero così fosse, il Natale sarebbe una festa abbastanza fragile che si può rovinare facilmente» parla suo fratello con una mano a tenergli la testa e l’altra lasciata mollemente sulla ringhiera. «E poi il Presepe napoletano non è storicamente accurato. Non è una gran perdita!»

«Perché non sei rimasto in Germania, Felicià?» borbotta Lovino, aggrottando le sopracciglia vagamente irritato. Suo fratello ha il magico dono di riuscire a peggiorare il suo umore con poche parole: probabilmente dipende dal fatto che, al contrario suo, certe cose non lo toccano particolarmente e ciò gli permette di scherzarci su senza troppe remore.

«Perché ti mancavo» ride il più giovane. Lovino si sente osservato e, nel girarsi, nota lo sguardo del fratello addolcirsi. «E perché mi mancavi»

Sarà vero? Lovino vorrebbe dirgli che non ci crede: se davvero fosse così, non sarebbe partito di punto in bianco per la Germania. Sarebbe rimasto con lui e col Nonno e non si vedrebbero due volte in croce da ormai un anno.

Suo fratello, però, sembra non intuire minimamente la natura dei suoi pensieri; prende, infatti, a toccare la sua guancia con il mero obiettivo di dargli fastidio: «Oh suvvia! Non è successo nulla! Cosa cambia se hai perso la Madonnina? È sempre Natale!»

Lovino è infastidito da simile leggerezza. Non si sente capito: non da Feliciano che minimizza l’evento, non dallo zio Pietro che gli ha urlato contro quando ha notato il pezzo mancante, non il Nonno che - alla stregua di Feliciano - l’ha presa a ridere.

«Non è questo! È il principio!» urla, infatti. E la sua voce risuona contro i palazzi generando un piccolo eco. Fortunatamente la coppia ha superato il cancello e nessuno si affaccia alla finestra per sapere cos’altro sta turbando la famiglia Vargas al quarto piano.

«Allora è il tuo principio ad essere sbagliato!» incalza l’altro, questa volta con aria decisamente più seria. Ritira la propria mano e china di lato la testa: «Tutta questa faccenda dell'albero, del presepe, e gli addobbi, e il cenone- sono sovrastrutture! Sono un di più che ci siamo dati per goderci meglio la festa, non l'elemento fondante. Il Natale è»

Aggrotta le sopracciglia: «Felicià, se stai per dire che il Natale è lo stare assieme e altre cazzate da film, ti giuro che»

«Ma il Natale è stare assieme con chi si ama!» esclama l’altro per poi stringerlo forte a sé in un abbraccio tanto goffo e stretto che fa sbuffare infastidito Lovino. Il fratello accosta la guancia alla sua. «Infatti sono qui! Con te! Con il Nonno! E gli zii! L'ideale sarebbe portare giù anche Gil e Lud, ma allo Zio Pietro prenderebbe un coccolone se sapesse di me e Gil, quindi devo aspettare ancora un po' per rivederli!»

Onestamente neanche Lovino stravede all’idea di conoscerlo di persona. Feliciano gli ha mostrato un paio di foto del suo ragazzo e questi gli è sembrato un grandissimo idiota. Gliel’ha fatto presente e Feliciano ha riso così forte da far girare verso bar verso di loro. Non ha la minima idea di cosa suo fratello possa trovarci in un albino tedesco, né cosa suddetto tizio possa trovarci in lui. 

Sospira mentre si allontana dall’abbraccio: «E magari dopo questa uscita vuoi che metta su un bel sorriso e torni dentro dando baci e abbracci in giro?»

«Oh, Lovi! Tu devi fare le cose come ti vengono, devi essere te stesso! Se ci piaci così tanto è perché sei così!» trilla immediatamente il fratello, lasciandolo andare. «Sono le azioni che contano»

Lovino ci crede poco. Forse Feliciano parla fin troppo per sé quando fa questi discorsi. La gente sicuramente non la vede così: se uno non si presenta bene è immediatamente bocciato. Le parole contano sempre. Non importa se si è una brava persona: se non si sa esporre le proprie emozioni e si è incapaci ad adattarsi al contesto, si vale meno di zero.

E Lovino sa di fallire con estrema facilità in entrambi i campi. Non ha un carattere facile, non sa esprimersi come vorrebbe e la gente - lo sa - lo malgiudica sempre per questo. Non lo capisce, abusa dei suoi difetti e ride di lui quando non c’è. Lo sa, lo ha sempre saputo.

«Prendi il Presepe, ad esempio! Lo so che ti pesa tirare giù tutta la quella roba, montare e sistemare ogni casetta- ma so anche che lo fai perché al Nonno piace e gli ricorda quando lo facevi assieme alla Mamma» Feliciano accosta lentamente la propria testa alla spalla. Probabilmente ha capito che abbracciarlo, in questo momento, lo infastidirebbe soltanto. «È quello che fai per gli altri a contare davvero, Lovi. Tutto il resto non è importante»

Lovino vorrebbe davvero che fosse così.

 

Ludwig era alla macchina. Guardava ostinatamente la neve sotto i suoi piedi ed era tanto rigido da ricordare uno dei tanti pupazzi di neve che i bambini avevano imbastito sulla piazzetta poco distante. Lovino avrebbe forse dovuto chiedergli da quanto tempo era lì, dove era stato se così non fosse e se aveva freddo; ma quest’ultima domanda fu l’unica che gli uscì dalle labbra.

«Non prendi freddo così?» chiese, quasi sottovoce. Le buste della spesa pesavano nelle mani e sapeva già di doverle sistemare da solo. Alzò con difficoltà il braccio e, afferrate le chiavi della macchina, aprì gli sportelli. «Mettiti davanti ed accenditi l'aria calda. Sarai anche di qui; ma, a stare immobile al freddo, rischi di ammalarti anche tu»

Ludwig rimase immobile per quelli che gli parvero attimi interminabili; ma, infine, annuì ed entrò velocemente in auto. Faceva quasi strano non sentirlo parlare o ubbidire così docilmente. In un altro momento, lo sapeva, lo avrebbe raggiunto e gli avrebbe tolto le buste della mano per sistemarle personalmente nel portabagagli; ma doveva essere offeso.

E forse aveva ragione ad esserlo. Perché Lovino era stato gratuitamente cattivo nei suoi confronti, perché era pur sempre un ragazzino e a quell’età si è sensibili, perché in fondo gli aveva tradotto quasi l’intero supermercato e non era stato mai ringraziato. Aprì il bagagliaio e sistemò velocemente le varie buste all’interno. Le mani gli facevano male ed il freddo rendeva il fastidio ancora più forte. Tirò su col naso e, una volta sbattuta la portiera, entrò in macchina imprecando sottovoce.

Non che il clima all’interno fosse significamente più caldo ma, Lovino pensò, almeno era un inizio. Si toccò le mani arrossate e sbuffò infastidito, notando il vetro appannato. Avrebbe dovuto abbassare il riscaldamento per poterci vedere qualcosa; ma prima tanto valeva scaldare la macchina- e il ragazzino. Ludwig stava fissandolo con quegli occhi chiari e la sciarpa ancora a coprirgli metà viso.

Probabilmente si aspettava che mettesse in moto da un momento all’altro o magari quello era parte di un suo malvagio piano per fargliela pagare. Lovino aveva quasi paura di ammettere a se stesso come si sarebbe meritato simile trattamento. Si schiarì la voce e guardò tutto fuorché il ragazzino.

Passarono forse quattro, cinque minuti ed il silenzio nell’auto era così pesante da ricordare terribilmente quello di una veglia funebre. Lovino non sapeva cosa dire, cosa fare; i pensieri nella sua testa avevano preso a ronzare rumorosi e gli ripetevano che c’era un perché, se nella sua vita, ci fossero solo stronzi. Era perché lui lo era per primo. Lui era un grandissimo stronzo. La persona peggiore del mondo, l’essere più empio e cattivo di questa terra- ce ne erano di titoli da conferirgli, a ben guardare.

«Mi dispiace se ho- se ho tradotto male prima, e se ho- se ti ho risposto male» parlò improvvisamente Ludwig, stretto nel proprio cappotto. Era strano come, pur essendo più alto, gli sembrasse improvvisamente un ragazzino spaventato. Probabilmente dipendeva dall’espressione di sincero pentimento che aveva sul viso: un uomo adulto non riuscirebbe mai a metterla su.

Lovino compreso. E dire che in quel momento si sentiva davvero in colpa per quello che aveva fatto. Non c’era azione o pensiero che in quel momento non gli sembrasse sbagliata: dal suo arrivo in quel paesino non ne aveva combinata una giusta. 

«Non sono stato migliore di te» si limitò a dire, sistemandosi le mani nella giacca per trarne un vago calore. La macchina non voleva saperne di scaldarsi, forse avrebbe dovuto farla controllare prima di partire.

Di nuovo silenzio e Lovino sentì, davvero, di aver fatto una cavolata ad aprire di nuovo bocca. Forse avrebbe dovuto dire a Ludwig che non aveva fatto nulla di sbagliato, che era lui ad essere nervoso e magari raccontare una storia credibile, di come fosse stressante per lui il Natale e lo stare così lontano da casa. Questo, però, sarebbe stato come schermarsi dal vero problema - vale a dire che Lovino era una pessima persona che non riusciva nemmeno a farsi andare bene un’occasione di festa.

«Però è vero quello che hai detto sulla mia faccia» riprese a parlare il ragazzino. Lo sentì tirare su col naso e, temendo stesse piangendo, vi buttò una rapida occhiata: il suo viso era, effettivamente, rosso ma questi sembrava in pieno controllo delle proprie emozioni. «Non sembra che- eppure ci provo- è difficile. È difficile farmi capire dalle persone. Pensano sempre tutti che non li sopporti, che li giudichi come stupidi e che mi pesi la loro compagnia»

Ad onor del vero, Lovino aveva pensato fosse un saccente perfezionista che si era impuntato con lui solo perché aveva espresso sensate critiche all’arredamento interno alla casa; questo, però, era meglio non dirlo - era sicuro sarebbe davvero scoppiato a piangere se glielo avesse rivelato.

«Feli dice che non è importante, perché sono le mie azioni a far capire chi sono; ma forse non è così- forse solo lui la pensa così. Gli altri non la vedono così» raccontò Ludwig abbassando leggermente il proprio viso, nascondendosi meglio nella propria sciarpa. «Ero contento che Feli fosse rimasto qui quest'anno. Lo scorso Natale è sceso in Italia ed è stato davvero triste- come le altre volte quando va via, del resto. Per questo ho pensato che se la festa fosse stata abbastanza bella e la casa abbastanza natalizia, a te sarebbe piaciuto tanto ed avresti detto "verrò qui anche i prossimi anni"»

«E mio fratello non sarebbe sceso le prossime feste» concluse per lui. Era strano, ma simile pensiero gli era sembrato incredibilmente lineare - come se fosse stato partorito dalla sua stessa mente. Si grattò la testa: «Si, beh: potevo arrivarci»

Ludwig annuì piano, ma non seppe dire se per le conclusioni a cui era arrivato Lovino o se, effettivamente, questi era stato piuttosto tardo nel ragionamento: «Feli mi ha detto che ti stressi tanto per il cenone così ho pensato che se avessi trovato la spesa già fatta—»

«Basta farmi sentire ancora più in colpa!» urlò stringendo il volante. Non voleva sapere quanto grave fosse stato il suo errore e di come, in realtà, il ragazzino accanto a sé fosse stato sensibile e gentile nei suoi riguardi. Non voleva prendere consapevolezza di se stesso e, quindi, di tutti gli sbagli che aveva accumulato in così poco tempo. «Lo so, ho sbagliato! Ho capito! Ho perso di vista il punto della festa! Ho pensato solo alle sovrastrutture, cazz e mazz quando il punto era altrove! Lo so! Lo so, ok? Ci sono arrivato!»

Stupidi crucchi, stupido Feliciano, stupidi tutti. Perché non era rimasto a Napoli? Perché era venuto qui a fare danni, a far star male un ragazzino che voleva semplicemente passare un bel Natale con la propria famiglia? 

«Sono io quello che ha rovinato tutto» Lovino sospirò, massaggiandosi le proprie tempie. Si sentiva così in colpa per quello che aveva fatto. «Non tu e la tua faccia da impiegato bancario incazzato»

Era così strano ammettere simile colpa. Era come lasciarsi cadere addosso un enorme masso. Si sentiva così confuso e debole: qualsiasi cosa avrebbe potuto fargli del male in quel momento. Bastava la minima spinta per farlo frantumare a terra. Più di qualunque cosa desiderava fuggire da quella macchina ed essere altrove. E, tuttavia, sapeva di non poterlo fare. In fondo, essere adulto era anche questo: capire ed affrontare i risultati dei propri sbagli.

«Feli, una volta, mi ha detto- mi ha detto che le persone non capiscono se stesse e gli altri- e che a volte le rende nervose» Ludwig appoggiò la propria testa contro il sedile e trasse un lungo respiro come se, quanto stesse dicendo, fosse frutto di un enorme lavoro che stava al momento facendo su se stesso. «Ha detto che questo è ok, che va bene perché, anche se sbagli e dici cose che non vuoi dire, se sei buono, le tue azioni lo dimostrano sempre»

C’era un vago retrogusto nostalgico in tutto questo. In un modo o nell’altro, le parole di suo fratello continuavano a tornargli. Poco importava in che forma fossero e in che luogo lui si trovasse: poteva essere sul balcone della casa del Nonno, in una macchina in Germania o magari a parlare al telefono con altra gente. Chiuse gli occhi e trasse un lungo respiro.

«Tu e tuo fratello dovete finirla di chiamarlo “Feli”» borbottò dopo qualche istante di silenzio.

«Perché?» chiese il ragazzino con una voce che tradiva fin troppo facilmente la sorpresa.

Lovino spalancò gli occhi e batté il palmo della propria mano contro il volante: «Perché il fratello è mio! Non vostro! Solo io lo posso chiamare così! Voi siete carne aggiunta! Carna aggiunta non approvata! E va bene l’amore, la famiglia il Natale e tutt cos ma Feliciano resta mio fratello quindi anche meno con tutto questo trasporto! Anche meno!»

Era leggermente rosso in viso e probabilmente questo dipendeva ancora per tutto quello che gli aveva detto Ludwig. Quel dannato ragazzino. Era ancora più fastidioso di Feliciano ed insidioso di Antonio; era riuscito a metterlo alla sbarra in poco tempo e - onestamente - Lovino ne era davvero stupito. Solitamente la gente ci impiegava più tempo nel capire come parlare con lui, rimaneva offesa più allungo e gli faceva pesare di più i propri sbagli. Quel ragazzino, invece, era riuscito a farlo pentire per quanto detto e consolarlo con poche frasi.

Probabilmente era una super-arma che Feliciano aveva machiavellicamente preparato fino a questo giorno. Mostrò un leggero sorriso nell’immaginare simile scenario. Girò le chiavi nella toppa ed il rumore del motore fece venire meno il silenzio.

«Siehst Du, Du verhältst Dich wie ein Kleinkind.» parlò Ludwig sistemandosi meglio sul proprio sedile. Stava sorridendo anche lui. Forse aveva capito le sue intenzioni di poco prima e non se l’era presa per quanto detto.

Lovino lo guardò e continuò a sorridere, poi però i dubbi lo assalirono: «Che significa? Che cosa hai detto adesso? E cosa mi significa ora questo sorriso? Smettila! Fai paura!»

 

Il salotto era davvero una piccola oasi di calore. Lovino si era rintanato davanti al camino da ormai tre ore e, assieme a Roderich, fissavano ad intervalli regolari i guizzi delle fiamme ed il televisore trasmettere la versione tedesca del Canto di Natale di Topolino che - a quanto pareva - era il principale motivo di commozione in quella casa.

La cosa buona di Roderich è che non ci provava nemmeno a comunicare con lui. Stava lì, sulla poltroncina, avvolto in un plaid gigantesco e si muoveva solo per sistemarsi gli occhiali sul naso. A quanto pareva, aveva preso freddo ai mercatini ed - una volta tornati - era stato prima gettato sotto un getto di acqua calda poi intrappolato alla sedia davanti al caminetto. Probabilmente questo essere trattato come un bambino malaticcio un po' lo aveva infastidito e questo spiegava l'espressione arrabbiata che non accennava a diminuire in quelle ore.

Lovino non lo commentò. Onestamente aveva altro da pensare, tipo che cosa volesse Feliciano quando chiamò entrambi dalla cucina. Roderich non pareva minimamente intenzionato ad alzarsi ed, infatti, suo fratello apparve ben presto sulla soglia per comunicargli qualcosa in tedesco.

Lo vide sospirare stanco e cominciare, lentamente, a dimenarsi nella propria coperta. Era uno spettacolo esilarante, ma anche piuttosto penoso. Lovino si sentì tirare su dal fratello che, stringendogli il braccio, cominciò a guidarlo verso il corridoio. 

Arrivati lì si sentì chiaramente la voce del fidanzato urlare il nome di Ludwig e, velocemente, afferrarlo e condurlo frettolosamente in una stanza - parlandogli fittamente in tedesco. Ciò gli fece sorgere diversi dubbi.

«Non abbiamo ritrovato il capitone» parlò, improvvisamente, Feliciano stringendo la presa al suo corpo - come per accertarsi che non gli sfuggisse al momento opportuno. «MA! Abbiamo pensato ad un degno sostituto!»

Detto questo lo condusse dentro la stessa stanza dove i due fratelli tedeschi erano entrati in precedenza. Ludwig lanciò loro una breve occhiata per poi tornare ad osservare con la bocca leggermente dischiusa lo spettacolo presente sul tavolo.

«Was ist das?» domandò Elizaveta alle sue spalle. Dalla voce sembrava entusiasta e forse aveva ben ragione di esserlo: davanti a loro si srotolava un enorme torrone di cioccolata che prendeva l'intero tavolo della sala da pranzo. Ma cosa- ma come- e soprattutto perché sul finire di uno dei due estremi c’era disegnata un muso di un pesce?

«Ho usato la ricetta per il tronchetto di Natale che mi ha lasciato il Nonno» parlò Feliciano al suo orecchio per poi allontanarsi per far passare Elizaveta. Questa era certamente la più entusiasta tanto che prese a ridersela con Gilbert, il quale continuava ad indicare la “testa” del tronchetto con fare orgoglioso.

«Ed hai dato vita ad sua versione dieci volte più lunga, vedo» commentò Lovino esterrefatto, continuando ad osservare prima la testa poi il resto del corpo. Come avevano fatto ad assemblare tutto questo? Cioè, lo aveva visto il forno: non era mica così grande!

«L'idea iniziale era di farvi una sorpresa per quando sareste tornati con la spesa, ma mentre lo stavamo preparando Gil è andato al bagno e mi ha urlato da lì che il capitone era scomparso. Ho pensato che una cosa del genere, non lo so, avrebbe potuto—» Feliciano esitò un poco, improvvisamente a disagio. «Mi dispiace se è un'idea stupida»

La testa del capitone-tronchetto era davvero orribile; ma Ludwig continuava a guardarla a bocca aperta e Gilbert sfruttò simile momento per arruffare i capelli del fratello. Questi cercò di divincolarsi, mentre l’altro ridacchiava divertito. Elizaveta, lì vicino, aveva addosso un’espressione intenerita e spostò lo sguardo solo quando Roderich apparve sulla soglia sconcertato da simile bestia di cioccolato.

«È un'idea stupida» concordò Lovino osservando per l’ultima volta il muso storto dell’animale. Avvicinò lentamente la testa alla spalla del fratello. «Ma è una bella idea»

Sentì Feliciano farsi leggermente più rigido e quasi temette di averlo infastidito con simile frase. Magari aveva fallito con quel goffo tentativo di farsi capire, magari anche questa volta aveva sbagliato ed aveva letto male la situazione. Magari non sarebbe mai riuscito a migliorare come persona. L’abbraccio di suo fratello fu, per certi versi, un sollievo.

«Buon Natale, Lovi» gli sentì dire contro il suo orecchio. Sembrava improvvisamente emozionato, come se quella semplice frase gli fosse bastata per farlo commuovere. Aveva quasi paura ad allontanarlo ed appurare che, si, bastava così poco per rendere felice la gente attorno a lui.

Per fortuna, ciò non fu reso necessario.

«Frohe Weihnachten!!!» urlò Gilbert prendendo entrambi alle spalle e stringendoli in un abbraccio piuttosto goffo. Feliciano scoppiò in una fragorosa risata e passò entrambe le mani intorno al collo del ragazzo, baciandogli la guancia. 

Lovino, rigido, non sapeva come fare. Non sapeva neppure perché Gilbert avesse abbracciato anche lui. Per certi versi ne era felice, perché voleva dire che nonostante tutto gli stava simpatico - e Lovino, forse, un po’ ci teneva a star simpatico al fidanzato del fratello.

Feliciano avvicinò Ludwig a loro e immediatamente Gilbert aggiustò la propria presa per fare in modo che il fratello fosse avvolto sia da lui che dal fidanzato. Il ragazzino aveva le guance leggermente arrossate e non faceva che balbettare qualcosa in tedesco che fece ridacchiare la coppia. Non ci volle molto prima che Elizaveta si unisse a loro, tirando dentro anche Roderich che stava - molto probabilmente - commentando la testa del capitone-tronchetto.

Lovino, in poco tempo, cominciò a dimenarsi in cerca d’aria: «Si si! Allegria, allegria; ma anche meno! Mi state stritolando- Felicià, il tuo ragazzo mi sta ammazzando! Senza contare che qui dobbiamo ancora iniziare a cucinare! Che hai intenzione di fare? Mangiare per tutta sera il tronchetto?»

E fu così che mangiarono per tutta la serata il tronchetto, riempiendo continuamente i loro bicchieri di alcool (eccetto, forse, quello di Ludwig che veniva continuamente abbracciato sia da Feli che dal fratello). Lovino si sarebbe svegliato sul pavimento la mattina seguente con la testa del fratello sulla pancia ed il messaggio di Antonio sul telefono.

Questi gli augurava un felice natale con allegata la foto di lui ed il fratello in ospedale. Aggiungeva, poi, che la chiamata era stata davvero divertente e che mancava tanto anche lui. Lovino si chiese di quale chiamata stesse parlando.



 

              

~Il Mughetto dice~

LAAST CHRISTMAAAS I GAVE YOOOU MY HEAAAART MA QUEST'ANNO MI SONO RIDOTTA ALL’ULTIMO PER PARTECIPARE A QUESTO CONTEST E NON HO IDEA SE SIA UN LAVORO FATTO BENE 🎶

Due parole su questa AU prima di ringraziarvi per aver letto questo lavoro! È una Human!AU ed è ambientata ai giorni nostri. Non ho la minima idea di quanti anni possa avere Lovino in questa shot, ma penso debba essere sulla trentina. Lavora presso un servizio di catering (anche se non l’ho esplicitato) e vive in affitto assieme ad Antonio (con cui, no, non ha una relazione – anche se a livello incoscio forse la vorrebbe) ed è un personaggio dannatamente difficile da scrivere.

Onestamente – nonostante mi sia davvero impegnata in questo lavoro – so di non averlo reso al suo meglio e che, in futuro, dovrò lavorarci di più. Sono, però, contenta di averlo immerso in un ambiente che lo adora e che lo sopporta nonostante il suo carattere problematico. Feliciano, Antonio, Belgio (la Hanne citata all’inizio) gli vogliono un bene dell’anima e a questa lista, durante la storia, si aggiunge anche Ludwig.

Questi è forse il personaggio che mi mette più ansia. Mentirei nel dire che l’avvertimento OOC non è per lui. Scrivere di lui giovanissimo – in mezzo a stati/uomini più adulti – è il mio guilty pleasure: mi piace troppo immaginarlo super-responsabilizzato, goffo e timido che viene continuamente viziato da chi ha intorno. Gilbert e Feliciano, in questa shot, praticamente gli fanno da genitori. Nella prima stesura, ludwig nutriva dei sentimenti romantici per il secondo citato; ma ho preferito alleggerire il componimento e lasciare intendere che tra i due ci fosse semplicemente un profondo affetto.

La PruIta è canon in questa AU e – anche se sento le occhiate d’odio di Giulia – non mi pento di averla resa in questa maniera. Era importante che Lovino si confrontasse con un Ludwig scevro da un rapporto romantico con Feliciano; questo perché entrambi – sebbene si passano diversi anni – dovevano confrontarsi da pari e tirarsi reciprocamente i capelli fino ad imparare la morale di questa storia.

Morale che sarebbe ... “rilassati”. Non scherzo, per me è il messaggio è questo: sia Ludwig che Lovino si ansiano continuamente in questa shot e… accannate, raga. Godetevi la vita, non caricatevi di ansia e agitazione. Tanto se fate qualcosa in buona fede, alla fine verrete compresi – o meglio – le persone che vi vogliono bene sicuramente capiranno le vostre azioni.

Detto questo, vi ringrazio per aver letto questo lavoro. Ringrazio anche Fanwriter.it per avermi permesso di scrivere questa storia e Giulia che l’ha letta nonostante la PruIta le facesse schifo al cazzo. Vi auguro delle buone feste e, mi raccomando, non mettete capitoni nella vasca perché Lovino ve li viene a rubare mentre dormite!

 
  
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