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Autore: Roberto Turati    06/12/2019    1 recensioni
Storia ideata e iniziata dal mio amico Jack02forever, autore su Wattpad, scritta in collaborazione tra lui e me.
 
[Monster Hunter World + Monster Hunter Stories]
 
Ambientata tra Monster Hunter World e MHW Iceborne. Quattro mesi dopo la sconfitta dello Xeno'Jiiva, la Commissione di Ricerca continua ad operare serenamente nel Nuovo Mondo. Ma una minaccia colpisce l'ecosistema: l'Orrore Nero, una malattia nata in un'estensione recondita del Vecchio Mondo, che affligge i mostri e li rende estremamente pericolosi. Per rimediare a ciò, la Gilda manda un Rider dal villaggio di Hakum, affinché aiuti la Commissione a debellare la malattia. Ma per Xavia Rudria, una cacciatrice della Quinta Flotta, la giovane Rider che si è offerta per l'incarico si rivelerà molto di più di quello che sembra...
Genere: Azione, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La Commissione di Ricerca'
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Le zanne dei Jagras affondarono nella carne dei suoi compagni. Feriti e malconci, cercavano come meglio potevano di respingerli, mentre strisciavano nel fogliame per recuperare le armi. Quei lunghi mostri, simili a lucertole verdi, possedevano la corporatura di un canide. La loro pelle, formata da scaglie verdi, mostrava al centro delle scaglie di colore blu e rosso che andavano a formare delle strisce sui fianchi. Inoltre possedevano sulla schiena delle estensioni cartilaginee lunghe qualche centimetro. Erano il tipo di mostro che viaggiava e attaccava in branco. Erano considerati debolissimi da tutti, ma il loro era un gruppo di assoluti principianti: erano riusciti comunque a farsi tendere un'imboscata dai Jagras. Erika e molti altri giovani cacciatori all'inizio della loro carriera erano venuti nel Nuovo Mondo di loro spontanea volontà, a bordo del mercantile, e i veterani del posto li chiamavano scherzosamente "la Sesta Flotta", anche se non erano giunti tutti insieme e per niente su invito o richiesta della Gilda: non c'era stato più bisogno di flotte, dopo che il mistero della traversata dei Draghi Anziani era stato risolto. Una cosa accomunava i cacciatori della Sesta: erano tutti molto giovani e inesperti.

Poterono contarne almeno quindici esemplari, mentre loro erano solo in tre. Con i loro corpi, lunghi e snelli, erano riusciti ad evitare agilmente i colpi delle loro balestre. Successivamente era cominciato il corpo a corpo. A quel punto, le cose erano sfuggite di mano. Erika era stata morsa alla gamba, obbligando uno dei suoi colleghi a trascinarla e nasconderla nella vegetazione per darle il tempo di medicarsi. I due compagni ammazzarono dieci Jagras, ma alla fine furono disarmati e feriti. Mancava poco al colpo di grazia. Erika si trovava lì fra le fronde, spaventata a morte dalla scena di fronte a lei. Era tremendo, si sentiva inutile. I suoi compagni stavano per morire e sarebbe stato a causa sua. Un paio di lacrime scorsero sulle sue guance rosate, mentre si preparava al peggio. Poi, vide la sua spadascia: si trovava un metro più avanti, appena fuori dalle fronde. Nella sua testa scattò qualcosa. Provò rabbia nei confronti di quelle creature, rabbia verso se stessa per essere così impotente. Digrignò i denti, iniziando a strisciare verso l'arma, ma si fermò con un gemito: nonostante l'avesse bendata, la gamba le faceva molto male; il morso era profondo. Fortunatamente però quei mostri non la sentirono, concentrati com'erano ad avvicinarsi alle prede. Camminavano verso i feriti con prudenza, benché li avessero in pugno, ed emettendo versetti intimidatori. Con uno sforzo immane, Erika riuscì ad avvicinarsi abbastanza per prendere la spadascia. Riuscì ad alzarsi usando la punta dell'arma come stampella. Tentò di mantenere l'equilibrio e l'impulso che l'aveva investita iniziò a svanire: d'altronde, non aveva molte chance di uccidere quei Jagras rimasti. Ne avrebbe ucciso almeno uno, se avesse osato gettarsi su di lei. Poi gli altri l'avrebbero notata e, dimenticando gli altri due cacciatori, l'avrebbero uccisa per prima. Sinceramente non le importava: sarebbero stati condannati in ogni caso a morire di una morte imbarazzante, uccisi dai mostri più scarsi del continente, ma almeno ci avrebbe provato. A mente lucida, prima di agire, avrebbe richiesto assistenza con il razzo SOS. Ma la rabbia e la frustrazione, oltre al dolore alla gamba, la fecero agire d'impulso. Le sfuggì un lamento e tutti i mostri si voltarono a guardarla.

«Che stai facendo? Sei impazzita?!» esclamarono gli altri.

Le cinque bestie zannute ruggirono, avvicinandosi a lei. Il respiro della ragazza si fermò improvvisamente quando ricadde seduta, il suo cuore saltò un battito. Uno di quei mostri era davanti a lei. La fissava con quegli occhietti gialli dalla pupilla verticale, l'orbita dell'occhio destro avvolta da un cerchio nero. Il tempo sembrò fermarsi. Poi, di colpo, un grido:

«Abbassati!» una voce femminile risuonò nella testa di Erika, come un'eco in uno spazio vuoto.

Lei obbedì, più per istinto che per intenzione. Si distese sulla schiena. Udì un rumore leggero e meccanico, simile ad una molla che scattava. Vide un proiettile, riconoscendolo come un baccello perforante, entrare nella bocca del Jagras, ora spalancata e pronta a mordere la ragazza. L'affilatissimo bolide attraversò il cranio del mostro, fuoriuscendo dalla nuca e uccidendolo sul colpo. I quattro rimasti indietreggiarono, ringhiando e soffiando. 

«Siete feriti?» si sentirono domandare i tre novellini, sentendo il rumore di un'armatura metallica e di passi sulle fronde.

Lei annuì, guardando dietro di sé. Vide una donna con un'armatura in lega. Sulle spalle aveva un martello di Barroth. Si portò davanti alla ragazza, dandole modo di vedere una coda di capelli tinti di viola che spuntava da dietro l'elmo dell'armatura. A quel punto, mentre i compagni di Erika la raggiungevano ignorando il dolore, sfoderò l'arma e si gettò nella mischia. I Jagras le ruggirono contro, ma non potevano fare nulla. Le martellate della donna erano mirate e precise. Con un paio di colpi era riuscita velocemente a spezzare l'osso del collo a due di loro, mentre gli altri due indietreggiavano terrorizzati. La cacciatrice impugnò saldamente il martello con entrambe le mani, scattando verso di loro. Poi, si mise a roteare su sé stessa, colpendoli a ripetizione da tutte le parti. Le due bestie non resistettero a quella miriade di colpi, rimanendone uccisi dopo pochi secondi. La donna poggiò il martello, sospirando. Si guardò attorno, posando infine lo sguardo sui tre principianti: erano malridotti, ma niente di fatale. Rimase in silenzio qualche secondo, fissandoli. Erika aveva osservato il veloce combattimento della cacciatrice. La sua espressione era passata dalla meraviglia nel vedere le avanzate capacità della sconosciuta ad uno sguardo di soggezione.

«Siete una squadra?» chiese la donna e, quando annuirono, lei andò a recuperare le loro bisacce, cadute nell'attacco.

Restituì loro le borse e, preso un razzo SOS, lo sparò nel cielo.

«Lasciate pure tutto al centro scorte, quando i soccorsi vi riporteranno ad Astera» disse.

Poi, ripreso il martello dal terreno, aggiunse: 

«Resterò nei paraggi nell'attesa. Non vorrei che altri Jagras o simili tornassero a dare fastidio» 

Fece per allontanarsi, con un gesto di saluto. Erika deglutì, poi finalmente prese la parola:

«Aspetti! - la chiamò, vedendola fermarsi e voltarsi verso di lei - Lasci che la ringraziamo per quello che ha fatto!» 

Si portò una mano in tasca e prese i suoi zenny, che erano pochi perché in una caccia non servivano a nulla. Controllò quanti ne possedeva e digrignò leggermente i denti:

«Abbiamo solo duecento zenny: i ragazzi non ne hanno portati - disse sottovoce, poi guardò di nuovo la donna vedendo che si era avvicinata - Ma posso prenderne altri appena mi rimetterò in sesto! Mi dica una cifra e gliela pagheremo appena possibile!»

I suoi amici annuirono, dandole man forte. Passarono un minuto nel silenzio, fatta eccezione per qualche suono della natura. Poi, la donna si lasciò scappare una risatina. Quello confuse la giovane. La sconosciuta alzò la mano, in segno di rifiuto:

«Va tutto bene, tranquilla. Non avete bisogno di pagarmi. Fate solo attenzione, la prossima volta. Siete stati fortunati che passassi di qui» disse.

A quel punto, frugò nella bisaccia e tirò fuori un sacchetto di monete. Lo passò ad Erika, che lo fissò incredula vedendo che la cacciatrice si portava duemila zenny in giro, come se niente fosse.

«Questo è per le spese mediche, così non dovrete spendere la vostra riserva - spiegò - Tanto, questa cifra la rifaccio abbastanza facilmente con una taglia o due, non è un problema»

Gli occhi di Erika si fecero lucidi dalla commozione, il che fece alzare gli occhi al cielo a uno dei due colleghi e ridacchiare l'altro.

«Grazie infinite! Può almeno dirci il suo nome?» aggiunse, con un filo di voce.

La donna rimase in silenzio qualche secondo, poi mosse le braccia, portandosele alla testa. Si rimosse l'elmo, rivelando un sorriso gentile. Poté vedere meglio i suoi capelli dipinti di viola scuro, con una punta di blu. I suoi occhi erano ambrati. La pelle era rosea, solcata da giusto un paio di rughe leggere, una bocca piccola con labbra sottili e il naso fine. Poi Erika notò un paio di cicatrici sul suo volto. La prima si trovava sulla tempia destra, probabilmente dovuta ad un graffio profondo vedendone la forma. La seconda, invece, si trovava sull'occhio sinistro: partiva appena sotto il sopracciglio e scendeva dritta, fino allo zigomo. Se fosse stata una ferita più grave, probabilmente non avrebbe più avuto quell'occhio.

«Il mio nome è Xavia - disse lei, sorridendole - Ora, però, devo andare» concluse, voltandosi nuovamente.

«Grazie ancora, Xavia!» disse la ragazza tutto d'un fiato, gratitudine nella sua voce.

Xavia si allontanò velocemente, portandosi in un punto sopraelevato dove nessuno l'avrebbe vista, nel caso altri mostri si fossero presentati. Cominciò a tenere costantemente d'occhio l'area dall'alto, col martello a portata di mano.

«Forza, Ratha, sbrighiamoci: si sta facendo buio» disse una ragazza quindicenne dai capelli lunghi e neri e gli occhi azzurri.

Il mostro al suo fianco gracchiò, mettendosi in modo che la ragazzina potesse montargli in groppa. Dovevano trovare rifugio per la notte. Lo trovarono dopo circa un'ora di volo: una grotta coperta di muschio. La ragazza scese dalla schiena del suo mostro, accarezzandogli la testa gentilmente. Quello la lasciò fare, gradendolo. Lei si sedette su una roccia, guardando all'esterno della spelonca: aveva appena iniziato a piovere. Ratha poggiò la sua testa sul grembo della ragazza, permettendole di continuare ad accarezzarlo con delicatezza.

«Allora questo è il Nuovo Mondo - mormorò - Rimarremo qui per un po': dovremo farci l'abitudine. Spero solo che Narga e Nami siano riusciti a raggiungere la terraferma»

La ragazzina era stata accompagnata dal Vecchio Mondo da tre dei suoi mostri. Era stata richiamata dal suo villaggio dalla Gilda, che aveva assegnato ad uno dei suoi abitanti una missione urgente nel Nuovo Mondo così, da un giorno all'altro. Avevano attraversato l'oceano su una barca di modeste dimensioni, facendosi traghettare in privato. Durante il viaggio, però, erano stati attaccati da un gruppo di Plesioth. Nonostante gli sforzi dei tre mostri e della ragazzina, la barca era colata a picco. Lei era riuscita a salire sul dorso di Ratha, e lui si era librato in aria. Narga e Nami, invece, non si erano più visti.

«Forza, meglio dormire per la notte - disse gentilmente - Buonanotte, Ratha!»

Contemplò l'esterno della grotta ancora per un po', osservando la pioggia infrangersi sulle rocce e le fronde degli alberi della giungla. Poi, chinando la testa sul collo del suo mostro, si addormentò. Le sue prime ore nel Nuovo Mondo non erano state molto piacevoli.

   
 
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