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Autore: Miryel    07/12/2019    15 recensioni
Dopo un anno dalla perdita di Tony Stark, la vita passa inesorabilmente, tentando di colmare la sua mancanza. Per Peter Parker la vita è ferma, immobile e Harley Keener vuole solo che Spider-Man esista di nuovo. Ancora una volta. Per lui.
Anche se si tratta solo di un istante.
[ Harley Keener x Peter Parker - Past Tony Stark x Peter Parker - Angst/Malinconico/Introspettivo - Post EndGame ]
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harley Keener, Harley Keener, Morgan Stark, Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tales About a Spider Kid and an Iron Guy'
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[ Harley Keener X Peter Parker - Post EndGame - Past Tony x Peter -  Angst/Malinconico - word count: 4327 ]

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« Why don't you like me without make me try? »
Mika - Grace Kelly
 



Capitolo II. Stardust
 

  È passato un anno esatto e le cose non hanno fatto altro che peggiorare; almeno per Peter Parker, sta andando così. La cosa paradossale è che, se non è Spider-Man a fare un passo avanti, sembra che quasi nessuno ci riesca. Harley non si capacita di come sia possibile, ma Peter sembra – e in effetti è – il centro di tutto. Sembra quasi che abbia rimpiazzato Tony, ma non ne è consapevole. Forse è meglio così. Sono tutti dannatamente coscienti che quel ragazzo, in qualsivoglia modo, abbia avuto un legame speciale con Iron-Man, che è andato oltre ogni immaginazione – in qualunque senso lo si volesse interpretare, ma tutti hanno travisato la realtà dei fatti. Tutti a parte Harley e Pepper, e sapere quali siano i veri sentimenti di Peter, fa molto più male di quanto dovrebbe. Per questo motivo Harley ha avuto bisogno di raggiungere il cottage degli Stark, prima dell'arrivo di Spider-Man. Ha bisogno della signorina Potts – signora Stark, in realtà, ma è così difficile chiamarla a quel modo – e di condividere insieme quella cosa che sanno, ma che nessuno dei due ha mai avuto il coraggio di affrontare e di ammettere all’altro.

 «Mi dà l'impressione di essere inarrivabile. Mi tende la mano perché vuole aiuto e poi la tira via. Ogni volta che sembriamo arrivare ad un punto di svolta, fa dieci passi indietro. Non so che devo fare, con lui.»

  Pepper sospira. Si siede su una delle sedie in vimini che decorano la veranda che dà  sul lago – di fronte a lui. Harley la guarda. Poggia i gomiti sulle ginocchia e congiunge le mani. Si allunga verso di lei, in attesa di un poco di saggezza che, dal basso dei suoi ventitré anni, non può possedere. Harley è stato fortunato. Non è stato vittima dello schiocco di Thanos. A differenza di molti altri – a differenza di Peter, non ha perso cinque anni della sua vita, in un secondo durato troppo, per chi è rimasto.

 «Stiamo cercando tutti di metterci del nostro. È ovvio che non è facile per nessuno ma, per quanto il dolore della perdita di Tony mi faccia male come il primo giorno, ho Morgan con me. Lei è tutto ciò che mi spinge a non crollare. Ma Peter... cosa gli è rimasto?»

  Una vita davanti, risponderebbe Harley, se solo avesse un briciolo di coraggio nel farlo, e invece sospira. Abbassa la testa e si guarda la punta delle scarpe nere, laccate, eleganti. Porta lo stesso abito nero che indossava al funerale di Tony Stark. È passato un anno preciso da quel giorno, e sono lì per non dimenticarlo. Come se fosse possibile... un anno senza Iron-Man. Sembra assurdo solo immaginarlo.

 «Era davvero un rapporto così stretto?», azzarda, anche se sa la risposta.

Pepper lo fissa. Serra le labbra. Si rizza sulla schiena e incrocia le dita tremanti tra di loro. Se le guarda, poi, cercando una risposta da dargli, aprendo la bocca un paio di volte, senza riuscirci. Gioca con la fede nuziale. Sembra quasi un mantra. «Più di quanto tu possa immaginare», risponde, imperterrita con gli occhi rivolti in basso, «Tra loro c'era molto più del rispetto, dell'affetto... c'era amore

  «Come immaginavo», risponde Harley, secco e sospira di nuovo. Un senso di fastidio e incomprensione lo pervade.

  «È una confidenza, Harley, che vorrei rimanesse tra noi. Non... non voglio che gli altri sappiano. È un peso troppo grande, per lui... e per me. Non ce l'ho con Peter, nemmeno con Tony, ma è stato un rospo esageratamente doloroso, da buttare giù. Tony ha fatto cose peggiori di questo e io non lo vedo nemmeno più come un tradimento. Non posso provare rancore solo perché non ero l'unica che ha amato.» Pepper si posa una mano sullo sterno. Harley non sa che dire, ed è per questo che resta muto. Vorrebbe prenderle una mano e dirle che capisce, ma la verità è che non è così. Non può capire. È solo un ragazzo appena affacciato all'età adulta, che spera con tutto il cuore di sanare qualcosa nell'animo spezzato di Peter, anche se questi non vuole.

  «Rimarrà tra me e te, Pepper. Ovviamente», la rassicura, con un sorriso. «E forse dovrei semplicemente farmi da parte. Io e Peter non siamo così in confidenza, dopotutto.»

  È lei, a prendergli una mano. La stringe. «Per questo forse hai qualche possibilità di riuscirci. Noi accendiamo troppi ricordo, nel suo cuore. Tu sei una ventata di freschezza, nella sua vita. Non dico che questo lo aiuterà, ma provarci non è del tutto sbagliato e, se ci tieni, non dovresti demordere. Più male di così non può stare, no?», sorride. Sono parole terribili. Ha appena dipinto Peter come un ameba senza cuore, senza speranza e senza obiettivi ma dopotutto è la verità. Può davvero cadere più in basso di così? No, forse no... «Ah, ecco i ragazzi!», esclama Pepper e si alza, con un sorriso. I pensieri di Harley sono interrotti dal suono di uno sportello che si chiude e la imita. Vede facce familiari – ma non troppo, raggiungerli. Sorrisi malinconici e di circostanza. Abiti neri e occhi vuoti, tornati indietro ad un anno prima; occhi di qualcuno che, Tony Stark, lo ha visto morire per salvare l'universo. Fa male.

...

  Sono riuniti tutti a tavola. Pepper ha appena servito il dolce e un paio di liquori, che non tutti hanno deciso di bere, ma che fanno atmosfera. Una sorta di tentativo di alleggerire quella tristezza che si è creata, perché sì, l'argomento di quel pranzo è stato uno solo: Tony Stark. Ognuno di loro ha condiviso un pezzo di storia; c'è chi lo ha fatto con affetto, chi lo ha fatto piangendo e chi, più spensierato, lo ha fatto ridendo, raccontando aneddoti interessanti, che non hanno di certo smorzato la malinconia, ma hanno rinfrancato un poco l'animo di quella giornata. Steve ha stancamente raccontato del suo rapporto controverso con Tony. Anni di dissapori, dimenticati in una stretta di mano, lasciata indietro nel 2012, quando insieme hanno deciso di recuperare il Tesseract in un tempo ancora più lontano; esattamente in quello stesso anno dove Steve – come ha raccontato più di una volta – ha capito che la sua seconda opportunità con Peggy, se la meritava. Lo ha raccontato di nuovo, con un sorriso dolce ad accentuare le rughe di quella vecchiaia a cui nessuno ancora riesce ad abituarsi.

  «È stato grazie a Tony. Se non avesse scelto di farsi una famiglia, io non avrei mai pensato di scegliere la stessa strada per me», ammette, e abbassa la testa sul suo dolce. Gli trema la voce. Per l'emozione e per la vecchiaia. Harley distoglie lo sguardo, perché fa quasi male vederlo così inerme. Avrebbe voluto conoscerlo in tempi migliori, non può non ammetterlo persino a se stesso. «Ho avuto la mia seconda possibilità.»

  «Ci sono treni che passano una volta sola, Steve», sorride Pepper, e gli posa una mano sul braccio, mentre tiene dentro tutto il dolore – quello di tutti, e lo conserva per dopo, quando resterà sola e esploderà in un pianto disperato, ma necessario. Harley la guarda come se potesse farsi carico di un poco di quel male, ma lei non glielo permette.

 «Che mi dici di te?»

 «Io?», chiede, quando si rende conto che tutto il tavolo lo sta guardando. Quando Sam Wilson annuisce, Harley incrocia le braccia al petto; si mette più comodo sulla sedia e alza un sopracciglio. «Non ho molto da dire, in realtà.»

 «La storia della pistola spara-patate, no? Quella è sempre divertente», lo incalza Steve, e lui alza gli occhi al cielo. Sbuffa divertito e vorrebbe solo che la smettessero di trattarlo come se, di fatto, fosse davvero parte di quel nucleo familiare che gli Avengers erano.

 «Ah, andiamo! Non vale metà delle storie raccontate fino ad ora. Oltretutto l'avete sentita un milione di volte.»

 «Credo che molti di loro non l'abbiano mai sentita!», ridacchia Pepper, poi si volta alla sua destra, «Vero Strange? Peter?», si blocca. Sì guarda intorno. «Peter?», ripete, confusa.

  Cala il silenzio. La sedia che fino a poco prima era occupata da Spider-Man – silenzioso e assorto, è ora vuota. Si era rintanato in un angolo remoto del tavolo, col solo ed unico tentativo di risultare invisibile e, di fatto, era stato così. Glielo avevano permesso, in realtà, lasciandolo nel suo doloroso silenzio e, nessuno di loro aveva cercato di coinvolgerlo, perché di fatto non era quello che Peter voleva, in quel momento.

 «Si è alzato poco fa, chiedendo scusa e dicendo che sarebbe tornato presto», spiega Stephen; Pepper guarda Harley, che ricambia e sospira. Non è irritato all'idea di dover andare a recuperarlo, lo infastidisce di più la consapevolezza che non è quello che Peter vuole. 

 «Vado a vedere come sta», dice e ha di nuovo gli occhi di tutti puntati addosso. Così fugge, si dilegua, cerca l'aria che ha appena compreso di abbisognare. Esce dalla porta del loft e se la chiude alle spalle. Una brezza gelida lo inonda. Si chiude nelle spalle. Fa frizione con le mani contro le braccia per darsi un poco di calore, e lo cerca con lo sguardo, che vaga dalla piccola banchina che dà sul lago, fino al boschetto poco lontano. Scende le scalette di legno, si inoltra in quel marasma di fusti e foglie secche, e lo vede. È appoggiato con una mano sul tronco di una quercia, mentre l'altra è aperta contro lo sterno. È piegato in due, e sta vomitando. Ansia, terrore, angoscia, senso di impotenza. Tutte sensazioni che Harley ha provato un tempo, quando era bambino, ma che in Peter può capire in parte. Lo raggiunge, anche se sa che lo caccerà via e gli dirà la solita, fastidiosa bugia di sempre.

 «Peter?», lo chiama. Lui si volta leggermente a guardarlo, dopo aver tossito e essersi passato il dorso della mano sulla bocca, per pulirla. Distoglie subito lo sguardo, e Harley non ferma quel cammino che lo sta conducendo da lui. Gli posa una mano sulla schiena e la accarezza. Non vuole dire niente, vuole solo aiutarlo. 

 «Sto bene», farfuglia, e Harley schiocca la lingua e guarda altrove, per non dover guardare ancora quel volto devastato, che mente a se stesso e agli altri, solo per non ammettere che fa tutto dannatamente schifo.

 «No che non stai bene. Come pretendi che possa crederti? Sei uno straccio. Vieni.» Lo prende per le spalle. Lo invita con gentilezza a posarle contro il tronco di un albero vicino. Gli sposta i capelli da davanti la fronte e lo studia. Peter boccheggia ansia, e il suo petto balla una danza macabra, fuori tempo. Non lo guarda. Ovvio. Come se lo avesse mai fatto davvero, da quando lo ha conosciuto...

 «Parlami», lo incalza.

 «Qualcosa deve avermi fatto male», cerca di giustificarsi, dando la colpa al cibo e non al suo destino avverso.

 «Qualcosa nei sentimenti, sì», lo canzona, e lo fa pur sapendo che non riceverà una sola reazione, da lui. Che sia rabbia, tristezza, allegria... non reagirà mai. Harley sa che Peter ha lo stomaco aggrovigliato per troppi motivi, legati a quel lutto, a quel pranzo, a quei ricordi e al fatto che i suoi – quelli che comprendono Tony, sono indicibili, indecenti e qualcosa di cui vergognarsi. Qualcosa di cui non parlerà mai con nessuno. «Che c'è?»

 «C'è che non sarei dovuto venire», ammette. Alza le braccia e si stropiccia gli occhi con i polpastrelli. Non riemerge. Resta così, arginato e nascosto, mentre grugnisce e apre un po' il cuore. «È stata una pessima idea. Non oggi, non con tutti quanti. Sto rovinando tutto.»

 «Non stai rovinando niente. E sì, saresti dovuto venire. Per Pepper, che ci teneva; per Morgan, ma soprattutto per te.»

  Peter sbuffa divertito, anche se nel cuore non lo è per niente. «Non c'è niente di buono, qui, per me.»

 «Continuare a sotterrare i tuoi demoni sotto al tappeto non servirà a niente, Peter. Scappare deteriora solo le cose. Affronta questo problema e tenta almeno di superarlo, o non ne uscirai mai.»

 «Ti ho già detto che tu non sai niente, di me», sibila Spider-man, e qualcosa di simile alla collera gli si specchia nelle membrane oculari, per un istante quasi impercettibile; poi tornano a velarsi di altre cose. Lo osserva inerme ricacciare nel petto lacrime ingiuste. «Non sai come sto, non sai cosa sto provando e, come ti ho detto, non ho alcuna intenzione né di superarla, né di affrontarla. Sto bene così.»

  Harley sospira. Chiude gli occhi, trattiene un pugno tra le dita, che vorrebbe poter elargire su quel viso già rotto, e spaccarlo definitivamente. Chissà se sotto quello strato di vittimismo e insofferenza c'è il vero Peter... quello che sorride sempre, quello che ha sempre la battuta pronta, quello che ha cuore solo per gli altri e si ama poco, ma splende. Quello di cui Tony gli ha parlato tanto. Forse troppo. Fa così male...

 «Questo non è stare bene, te ne rendi conto da solo?», chiede, a denti stretti e istintivamente alza il braccio nell’intento di prenderlo per il colletto e strattonarlo. Peter è più veloce. Gli stringe le dita intorno al polso e lo ferma prima ancora che lui possa farlo. Harley rimane spiazzato; dai suoi sensi e dalla stretta. Sgrana gli occhi e lo guarda inerme. Peter è più forte di lui, e non può farci niente. È una forza che non può reprimere, fa parte di lui. Di lui soltanto.

 «Sto bene», sillaba, dopo istanti di silenzio passati solo a guardarsi; a chiedersi chi sarebbe stato il primo a interrompere quel contatto visivo. «E non chiedermelo più… fallo per te.» Si addolcisce poi, e abbassa lo sguardo. Perde quella vena rabbiosa e ne acquisisce una più perentoria, più sofferta. Più premurosa.

  Harley sussulta. «Per me?», chiede, confuso. 

  L’altro sospira. «Senti, Harley... so che vuoi aiutarmi, so che vuoi starmi vicino, so che vuoi diventare mio amico, ma non sono la persona che tu pensi io sia. Ho una parte oscura che non voglio che tu veda mai. Non voglio che tu sappia... non voglio che tu sappia cosa... cosa io...»

 «È qui che sbagli. Io so. Io lo so... l'ho capito. Peter, non sono stupido. Quella di cui parli non è una parte oscura, è qualcosa che non puoi controllare. Nessuno può.»

  Peter scuote la testa. «Non hai capito davvero, allora.»

 «Lo amavi», sbotta e Peter gli lascia andare il polso. Lo guarda come se gli avesse appena infilato una lama nel cuore, poi nasconde il viso tra le mani. «E lui amava te. Cosa c'è di oscuro, in una cosa così?» Gli stringe gentilmente le dita intorno alle braccia. Lo invita a liberare il viso. Peter non fa resistenza, ma tiene gli occhi chiusi. È livido di vergogna, di paura, di ansia e rabbia. Sentimenti contrastanti, ma almeno sta provando qualcosa. Vorrebbe dirgli di aprire gli occhi e di affrontare la realtà. Gli ha confidato di sapere, nel solo ed unico tentativo di dimostrargli che no, non lo sta giudicando e che sì, vuole aiutarlo a trovare un appiglio. Vuole essere il suo appiglio. Lo vorrebbe con tutto il suo cuore.

 «State litigando?» La voce pura e squillante di Morgan rompe l'aria, e Harley vede Peter spalancare gli occhi sui suoi, distrutto dall'impatto che quella bambina ha su di lui. 

 «No, Maguna.» Peter sorride. Si slaccia dalla prigione in cui Harley è consapevole di averlo chiuso, e spezza la maschera solo per lei. Per lei soltanto. Il vero Spider-Man emerge e Harley lo guarda. Lo guarda e basta. «Parlavamo, e tu non dovresti essere qui, con questo freddo.» Lei si avvicina e lui si piega sulle ginocchia, per poterla fronteggiare.

 «Voglio giocare a acchiappa il ragno», ammette la piccola e Peter non riesce a trattenere un guizzo divertito, che gli fa vibrare le guance.

 «Okay, va a prendere un cappotto. Io mi do una rinfrescata alla faccia, ci vediamo qui fuori tra cinque minuti, va bene? Non un minuto di più», le dice; le passa una mano tra i capelli e lei annuisce, poi scappa via, ridendo. Come se Tony, lei, non l'avesse mai perso. Come se, in effetti, trovasse suo padre in ogni persona che le dedica attenzioni. Forse è così.

  Harley ha taciuto, ma avrebbe voluto dire molte cose, quando ha visto Peter splendere, per un solo, dannato attimo. Durato troppo poco – o forse abbastanza, per consapevolizzare perché gli sia così a cuore, quel ragazzo a metà. Poi però Peter si spegne di nuovo. Morgan sparisce in casa, e con lei porta via il sole e la spensieratezza, anche quella fasulla, di qualcuno che non ne possiede più. Harley sente i suoi occhi addosso, e non sa che dire. Ha paura. Paura di non sapere davvero chi ha davanti.

 «Ecco cosa c'è di oscuro, Harley... tutto questo.» Non c'è alcuna rabbia, alcun astio, alcun rancore in quella frase. Peter arriccia le labbra e gli lascia ammirare solo il vuoto che ritorna nei suoi occhi, poi si volta e se ne va; lo lascia lì, con mille domande, che non avranno mai una risposta, a quanto pare. Eppure ce n'è una, che gli tartassa la testa, e che gli stringe le meningi come se fosse una morsa; una corda troppo stretta intorno all'anima e al cuore.

  Cosa c'è di oscuro, in qualcuno che sa amare così tanto – incondizionatamente – come fai tu, Peter?
 

 



  Harley ha imparato ad osservare, piuttosto che parlare. Lo ha imparato quando Peter ha tolto la maschera, e si è mostrato a Morgan con quel sorriso quasi sincero, che è durato un solo attimo. Un istante solo, ma che non dimenticherà tanto presto. Ha imparato ad osservare, ed è per questo che lo fa anche ora. Una tazza di caffé bollente stretta tra le dita, e gli occhi puntati su quella finestrella della cucina, che dà sulla veranda. Seduti sulle scalette di fuori, a giocare a un gioco tutto loro, ci sono Peter e Morgan. Ridono, si spintonano, e fingono di aver dimenticato perché sono lì.

  «Qualcuno si è ricordato come si sorride.» La voce di Pepper lo ridesta. Harley si volta e la trova intenta a sistemare le posate nella lavastoviglie. Vorrebbe aiutarla, ma nota che ha già finito e che la sta caricando.

  «Quando è con Morgan, riesce a farlo quasi spontaneamente.»

  «Io parlavo di te», risponde lei, e lui alza le sopracciglia, preso in contropiede. Non si è reso conto di aver osservato Peter e Morgan con un sorriso sulle labbra; sa solo che sì, è decisamente più sollevato e alleggerito nel vederli giocare, ma il suo stato d'animo è ancora pervaso da una nube di incertezze. Sa esattamente cosa sta succedendo, nella testa e nel cuore, ma non riesce ad ammetterlo nemmeno a se stesso. Ha troppa paura di quello che sa di provare.

  «Non me n'ero nemmeno accorto», ammette. Si passa una mano tra i capelli e sospira. Ora sa di star sorridendo, perché i muscoli della mandibola gli ricordano che non lo faceva da troppo. Pepper si siede su una sedia. Cigola e stride, quasi ferisce le orecchie. Harley cerca di leggere il labbiale di Peter. Il ragno ti ha presa, ha detto la sua bocca, e poi ha fatto il solletico sulla pancia di Morgan, che ha iniziato a ridere.

  «Vuoi aiutarlo, ma non cadere nel baratro della sofferenza, Harley. Vi ritroverete a sprofondare nell'ombra, e non è quello che vuoi. Un giorno ti tenderà la mano e riemergerete insieme», gli dice, saggia. Parole che lo colpiscono, ma non così tanto da dissuaderlo dal suo obiettivo di salvare Peter. Vuole e così sarà. Lo deve a tutti, lo deve a Tony ma, soprattutto, lo deve a se stesso.

  «Credo che mi piaccia.» Lo dice senza alcuna remora. Ha ammesso quel fatto a Pepper e a lui; si sente meglio, ma sa con certezza che quell'ammissione non porterà altro che problemi, d'ora in avanti. Continua a guardare fuori, e lo stomaco gli si accartoccia. Vede Peter e nient'altro. Non vede nemmeno Morgan. Vede solo lui.

  «Ti piace? In che modo ti piace?», azzarda Pepper e lui non può mentire più.

  «In quel modo.» La tristezza esplode sul viso dolce e distrutto della signorina Potts. Ha gli occhi bassi. Un sorriso così triste, che fa male al cuore.

  «Peter piace proprio a tutti...», mormora.

  Harley arriccia le labbra. «Mi dispiace, non avrei dovuto dirtelo.»

  «No, è okay. Dopotutto è impossibile non volergli bene o... innamorarsene perdutamente, immagino. È un ragazzo meraviglioso, non posso nasconderlo. L'ho conosciuto in tempi in cui lo avresti trovato irresistibile. Quando c'era Tony, Peter brillava. Se ci penso ora, mi rendo conto che era inevitabile, che tra loro la cosa fosse reciproca. Si sono fatti del bene a vicenda.»

  «Pepper», la chiama. Si siede lapidario accanto a lei. Le prende la mano che ha appoggiato al tavolino e la stringe forte. La implora di guardarlo e quando lei lo fa, serra la mascella, alla ricerca delle parole giuste da dirle. «Non credere che Tony non provasse lo stesso, per te. Ti ha amata come nessun'altra. Lo sai, che è così.»

  Lei sbuffa una risata, visibilmente rincuorata da quelle parole. Inclina la testa di lato e il suo sorriso triste si vela di un pizzico di felicità e bei ricordi. «Lo so. È il motivo per cui non ce l'ho né con lui, né con Peter. È stato un amore diverso. Non ci ha condivisi. Ci ha amato entrambi. È stato difficile da assimilare, ma Tony era Tony... o lo accettavi così o lo perdevi per sempre. Non l'ho mai perso, e nemmeno Peter, ma tu... non fartene una malattia, Harley.»

  «Lo so che non è esattamente il momento giusto, per farmelo piacere, ma dubito che certe cose possano accadere con una certa logica», cerca di sorridere e il viso di Pepper è attraversato da un guizzo divertito. «Non mi importa se per lui è lo stesso o no. Io lo voglio solo aiutare, Pepper... so che è come chiedere la luna, ma se non ci provo nemmeno, lo rimpiangerò per tutta la vita.»

  «Mi sembra di sentir parlare Tony, lo sai?», ammette lei, poi gli passa una mano tra i capelli che poi blocca sulla sua guancia; così materna... Harley sente il cuore colmo di sensazioni che non provava da troppo. «Aiutalo. Se ci riuscirai, te ne sarò immensamente grata. Armati di pazienza, perché le persone che perdono un amore, non tornano a galla con facilità.»

  «Però tu ci stai riuscendo. Come?»

  «Non è esattamente così semplice, ma io ho Morgan. Lei è tutto, per me. Lei è il mio centro. Il mio obiettivo. Il mio Tony.»

  «Non voglio essere il Tony di Peter», replica lapidario, e sa di aver usato un tono amaro, in quella laconica risposta.

  Pepper accenna un diniego della testa. Poggia un gomito al tavolo e si passa una mano tra i capelli. «No. Io ho avuto la mia famiglia. Ho una figlia da crescere, una vita da portare avanti per lei. Peter ha un'esistenza intera, davanti. Sii quello che devi essere, ma liberalo dall'ombra di Tony, semmai dovesse ricambiare quello che provi.»

  Harley rimane spiazzato da quella risposta. Sa che riuscire ad estirpare il fantasma di Tony, dall'animo di Peter, sarà l'impresa più ardua che dovrà affrontare in vita sua. Dovrà accettare, nel fortunato e assurdo caso in cui il ragazzo del Queens decida di andare avanti – e decida di farlo con lui, che Tony c'è stato ed è stato importante ma che, prima o poi, dovrà far parte del passato. Non vuole che lo dimentichi, vuole solo che consapevolizzi che non tornerà più e che la vita, dopotutto, va avanti e va vissuta lo stesso. Fino alla morte. Apre la bocca per parlare, ma la porta della veranda si apre. Peter e Morgan tornano dentro, e sorridono. Hanno le guance rosse per il freddo, ma entrambi hanno gli occhi di chi si è divertito e ha dimenticato per un attimo. Harley incontra lo sguardo di Peter, solo per un istante, poi Spider-Man arriccia le labbra e nasconde di nuovo se stesso. 

  «Fa troppo freddo per mangiare un ghiacciolo?», chiede Peter e Pepper si esibisce in uno schiocco della lingua, fintamente indignato.

  «Perché non bevete un buon té, come farebbe chiunque, con questo freddo?»

  Spider-Man ridacchia. Morgan gli stringe la mano e lo guarda come se non esistesse nient'altro che lui, in quella tiepida cucina. «Perché noi non siamo chiunque, vero Maguna?» La piccola Stark annuisce. Pepper ci rinuncia, ma reprime un sorriso che gli occhi non celano. «Vieni a prenderne uno con noi, Harley?»

  «Sì, perché no. Con questo caldo...», ironizza ed è felice che Peter non abbia abbandonato quello sguardo un po' più presente. «Vi raggiungo subito.» Li vede sparire dietro la porta della cucina; li segue con lo sguardo e si alza in piedi. Non vuole lasciare Pepper da sola, ma è la prima volta che Peter reclama la sua presenza, e non vuole perdere l'occasione di passare del tempo con lui, quando è un po' più sereno del solito.

  «Non pensarci troppo e fai quello che senti. Non dimenticare di sorridere, però.» Pepper lo ridesta dai suoi pensieri. È diventata la sua confidente e la sua luce nel buio. Sa che può contare su di lei, sebbene non vorrebbe appesantirla con le sue fisime e i suoi dubbi che gli stringono l'anima in una morsa.

  «Ci proverò», sospira, ma le regala un sorriso, poi fa per andare, ma lei lo ferma.

  «Ah, e ricordati che non sarà semplice. Hai una rivale in amore: Morgan. Non te lo cederà, tanto facilmente, il suo Spider-Man.»

 


Fine Capitolo II


 



 

Angolo angoloso di Miryel:
Ma salve! Che bello trovarvi anche in questo secondo capitolo *__* Non ci speravo che la coppia, malgrado la novità, ha riscosso un discreto apprezzamento. Grazie davvero!
Per il resto, vorrei dire un paio di cose, su questa storia.
Molti di voi mi hanno chiesto se Pepper, in effetti, fosse a conoscenza della relazione "segreta" tra Peter e Tony. In questo capitolo si viene a scoprire che sì, la donna ne era consapevole e questo mi riporta a un'altra cosa che vorrei specificare:
molte delle mie storie hanno un legame e, questa, non è da meno. Protocollo Speranza dà a Peter Parker un nuovo motivo per andare avanti, ma non farò spoiler nel caso qualcuno voglia recuperarla... qui, è come se fosse un diretto seguito di quella storia, come se Protocollo Speranza si fosse ramificata in due parti: una si conclude con Almeno Tu Nell'universo e l'altra con questa qui. 
In sostanza, mi piaceva l'idea di sperimentare su questa coppia, ma non potevo in primis staccarmi da Peter e Tony, perché non ne ho né la forza, né la capacità, ma poteva comunque esistere un seguito felice. Tony non c'è più, ma la vita per Peter continua... e, malgrado tutto, si deve andare avanti.
Ora la smetto di cianciare come sempre e vi invito a lasciarmi un commentino, se vi va, che fa sempre piacere ♥
Al prossimo capitolo, gente di mare!
Miry
 
   
 
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