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Autore: Stellato    07/12/2019    9 recensioni
Siamo nel 1775, rispetto alla storia originale Rosalie manca (manca?), il conte di Fersen è ancora in Svezia e le giornate scorrono monotone in quel di Versailles tra un brutto tiro e l’altro della Polignac e i capricci di Maria Antonietta.
E se Oscar avesse avuto un’amica?
Questo, signori, è il folle tentativo di innestare un po’ di frivolezza nella stoica esistenza di madamigella Oscar.
Ad aiutarmi nell’impresa ci sarà una tizia bizzarra inventata di sana pianta, naturalmente André, un viaggio nella profumata Provenza, delle illustrazioni ad acquerello e probabilmente degli scivoloni fuori personaggio perché questa sarà una storia (insostenibilmente) leggera.
Forse.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Abbiamo sbagliato tutto

 

 

“Ho come l’impressione che dovrei sentirmi offesa” fece Sabine non appena l’altra smise di spiegarle le sue preoccupazioni sui pettegolezzi che le vedevano protagoniste di appassionate esperienze saffiche a Versailles.
Ancora una volta Oscar l’aveva raggiunta al suo alloggio parigino, stavolta preannunciandosi in mattinata con un biglietto su cui continuava a tormentarsi. Forse non era necessario, forse la giovane guardia reale a cui si era affidata come messaggero non rappresentava il massimo della discrezione in un momento in cui gli occhi della reggia erano puntati con tanta attenzione verso i suoi movimenti, non avrebbe dovuto prendere alla leggera neppure simili sciocchezze.
“Mi dispiace – rispose, seria – io ho già vissuto situazioni simili, ma è la prima volta che queste voci coinvolgono in modo così ostile…”
“Mi riferivo alle vostre parole, siete voi ad offendermi – la interruppe Sabine – perché mi considerate così ingenua da non essere ancora al corrente della situazione. Posso non essere una conversatrice elegante in società, ma sono abbastanza sveglia da accorgermi di ciò che mi accade attorno, andiamo!” obbiettò con una smorfia, dimostrandosi chiaramente poco incline a prendere la faccenda come un dramma.
Dalla sua seduta Oscar intercettò il viso di André, su cui spiccava inconfondibile un muto ma altrettanto fastidioso Te l’avevo detto. Un’irritazione minuscola paragonata al sollievo di sapere la baronessa così tranquilla, già informata sui fatti.
Le scappò un sorriso.
Il tardo pomeriggio rendeva dorato il salone da loro preferito nella casa di Sabine, le cui pareti, del colore di un panetto di burro, sembravano irradiare esse stesse la luce. In quel giallo gli oggetti perdevano i contorni e ad Oscar sembrò di perdere il filo dei suoi pensieri, la voglia di discutere di quella faccenda evaporava in favore di una crescente, dispotica serenità.
Eppure non era cambiato nulla.
Il mondo lì fuori continuava ad intessere bugie, ma quel salone sembrava un nido sicuro. Ognuno aveva il suo posto: lei la poltrona di velluto carta da zucchero accanto la finestra, Sabine – parte della categoria di chi ha bisogno di tenere le mani occupate ad ogni istante – al tavolo rotondo centrale, a rigirare un mazzo di carte che scomponeva e mischiava senza uno schema preciso e André – al contempo osservatore esterno e arguto partecipante dei loro discorsi – alternava lo stare in piedi coi gomiti appoggiati allo schienale in un atteggiamento di ascolto sbarazzino, all’accomodarsi alla poltrona che faceva il paio con quella di Oscar, proprio di fronte a lei.
Fin dalla prima sera che avevano trascorso in quella stanza le postazioni erano state quelle e ormai sembravano assegnate.
Facevano parte di un quadro che via via diventava più solido di dimostrazioni infinitesimali di affetto reciproco, di attenzioni date e ricevute, come il piccolo gesto di far ritrovare ad Oscar i libri che aveva iniziato a sfogliare sul tavolino accanto alla sua poltrona. Le copertine si accumulavano in una piccola pila colorata, come i ricordi delle loro ore insieme.

“Se anche non avessi voluto accorgermene – riprese Sabine – mia suocera non si sarebbe mai lasciata sfuggire un’occasione così ghiotta per rimproverarmi: ha voluto ribadirmi la sua opinione con fiumi d’inchiostro in queste ultime settimane. Poverina; non so se sia più sconvolta dai pettegolezzi di per sé o ad aver dovuto mettere nero su bianco certi termini nelle sue lettere.”
Oscar sembrò interdetta: “Ma Sabine, vostra suocera non si trova in Borgogna? Come può aver saputo di queste storie?”
“Non ne ho idea, ed è l’aspetto che più mi secca. Non so come le siano arrivate le voci, ma qualcuno deve averla informata nel dettaglio.”
“Mi sembra una ragionevole conferma dell’origine dolosa del pettegolezzo.” Annotò André meditabondo. “Mirano a danneggiarvi, è evidente.” Aggiunse.
“Probabilmente solo me, Sabine. Non avrei voluto coinvolgervi – disse Oscar, gravata da un nuovo senso di responsabilità. – Avrà informato anche vostro marito?”
Era forse la prima volta che Sabine riceveva una domanda diretta su Raymond e non riuscì a fare a meno di mostrare un leggero turbamento. Quel capitolo che sembrava sempre troppo grande e che non riusciva ad introdurre era stato man mano messo da parte, e il proiettarsi verso la sua nuova amicizia con Oscar, il legame più esile ma saldo che si andava nebulosamente definendo anche con André, erano stati un anestetico efficacissimo per il senso di abbandono che aveva vissuto negli ultimi mesi.
Si era sentita più forte, a tratti pronta anche ad affrontare la separazione ufficiale che tanto l’aveva spaventata, sebbene ancora preda dell’ansia di non aver ancora ricevuto risposta dal marito, che per la prima volta prolungava il suo mutismo.
Certo che la suocera doveva averlo informato delle novità, sapeva che era in contatto con la madre.
Almeno finalmente si sarebbe deciso a scriverle, si era detta Sabine che ostinatamente non aveva voluto rettificare con un’altra missiva la famosa lettera di cui si era pentita.
Come avrebbe potuto rinnegare il suo sfogo? Forse aveva sbagliato nei toni, ma non poteva credere che la reazione del marito a quel dolore urlato continuasse ad essere il silenzio.
Ogni volta che ci pensava il suo orgoglio la lacerava. Lo stesso orgoglio la portò a minimizzare: “Non credo che la cosa possa avere conseguenze catastrofiche.” Commentò fingendo noncuranza e riprendendo a maneggiare le carte.
“Eppure è lontano; sono certa che non sia facile trattare certi argomenti a distanza. Anche in buona fede, immagino si stia preoccupando per voi…” azzardò Oscar.
“Ooooh, se ne infischia!” sbottò infine la baronessa lasciando cadere le carte francesi sul tavolo in un ammasso rabbioso di semi e figure, con gran sorpresa degli altri due, che presero ad osservarla in silenzio, senza permettersi di ribattere alcunché.
“Fidatevi, lo so per certo!” ribadì agli sguardi increduli, il verde e l’azzurro. “Ma ammetto che sono io per prima a sentirmi indignata per quest’astio che sento di non meritare, tutta questa gente aizzata contro di noi… dalla Polignac? Sbaglio a pensare che che ci sia lei dietro?” continuò Sabine.
“No, non vi sbagliate, molto probabilmente è così.” Rispose l’altra che pareva studiarla.
“Cosa possiamo fare per fermarla?” chiese ancora la baronessa.
“Nulla. Voi, nulla. Non esponetevi, non datele motivo di inasprirsi ulteriormente contro di voi.” Ribadì ferma Oscar, tutt’a un tratto glaciale.
“Eppure ci deve essere un modo… nessuno è intoccabile, non credete?”
“Sabine, il potere spropositato di quella donna è ormai paragonabile a quello della nostra sovrana… gode della sua fiducia illimitata e ne approfitta senza vergogna.”
“L’ultima è di oggi – intervenne André – pare che abbia chiesto un prestito inaudito alla regina, qualcosa come cinquantamila livres per coprire un debito del marito. L’ennesima truffa che andrà ad appesantire le tasche della famiglia Polignac e ad alleggerire quelle dello stato.”
“Ma come fa? Come fa a nascondere la sua situazione economica se è così benestante?”
“Investimenti non a suo nome, amministratori scaltri… sono operazioni semplici, sfiorano l’ovvio, ma sfuggono all’attenzione della sovrana che non chiede di meglio che essere la salvatrice della sua amica sfortunata.”
“È meglio aspettare che si calmino le acque, magari provando a fare ciò che possiamo per evitare di dar corda a queste illazioni.” Propose Oscar amareggiata.
“Quindi? Vederci meno?” Chiese Sabine amara. “Ma non notate che pur avendo provato ad essere meno presente a corte le voci hanno solo continuato ad alimentarsi, non può essere questo il modo, non possiamo essere noi a piegarci!”
Sotto lo strato di trucco che meticolosamente indossava anche in casa, i tratti del viso erano alterati in una smorfia di sdegno che non le avevano mai visto.
E Oscar la pensava come lei, in fondo, ma le era bastato sentire accennare alle difficoltà che aveva già dovuto fronteggiare Sabine senza che lei ne sapesse nulla per mettersi sulla difensiva, cambiare radicalmente l’atteggiamento spavaldo che aveva avuto lei stessa con suo padre.
Sentiva di dover proteggere la baronessa da quel veleno, dalle spire di Versailles che ancora non conosceva a fondo nei suoi sordidi risvolti; quel mondo dorato veniva diviso indiscriminatamente dalle sue stesse storie tra chi poteva fregiarsi della propria depravazione – reale o immaginaria che fosse – e chi ne subiva le conseguenze, anche tragiche.
“È normale che siate indignata Sabine, lo sono anch’io. Ma dobbiamo essere prudenti e voi che potete fareste meglio ad evitare ancora per un po’ la Reggia. Rassicurerete i vostri cari che la situazione è sotto controllo e andrà tutto a posto, fidatevi di me, farò il possibile.”
“E se le rendessimo pan per focaccia? Se inventassimo anche noi qualcosa sul suo conto?”
Ci mise qualche attimo a capire che era seria.
“No.” Rispose.    
“Andiamo, almeno sarà più divertente che ascoltare e basta le frottole che girano…”
“Nella vostra posizione come potete anche solo immaginare un simile scenario?! Oltre ad essere assurdo dovete pensare a tutelarvi, Sabine!”
“Sapete cosa, Oscar? Di solito le persone danno fiato alla bocca senza pensare e questo può essere un problema. Ma pensare troppo prima di dire la nostra in una situazione in cui tutti si aspettano una reazione è sciocco; dobbiamo pur far vedere che siamo indignate, dobbiamo dire, fare qualcosa, qualsiasi cosa per rispondere a tono! Potremmo raccontare che…”
“Non risponderemo alle menzogne con le menzogne!”
Ormai era in piedi, la sua voce di contralto severa come non era mai stata con Sabine.
André assisteva a quella tensione tra le due col fiato sospeso; non si aspettava un simile attrito. E provò anche un certo rispetto per la baronessa, perché non era da tutti non lasciarsi intimidire dal tono duro di Oscar. Lo interpretò come un altro segno di vitalità di quella vicinanza appena nata: il sapersi scontrare, senza complimenti.
“Non ci presteremo al loro gioco. – Continuò Oscar. – Le parole sono importanti e dobbiamo esserne responsabili; non voglio pensare neppure per un attimo che lasciar correre la lingua possa venir confuso con la sincerità. L’unica mossa sensata a questo punto è di trovare qualcosa di tangibile contro la Polignac, qualcosa che possa incrinare la sua maschera d’angelo con la regina. Ma di questo mi occuperò io, voi dovete promettermi che non rischierete di compromettervi ulteriormente.”
Sabine non parve convinta.
Alterata, fissò per qualche secondo l’altra in piedi, che perdeva l’atteggiamento marziale e tornava la creatura comprensiva che stava imparando a conoscere, con quello sguardo di cielo limpido che sembrava fatto per ispirare fiducia.
All’inizio, Sabine si era lasciata incantare dal personaggio eroico, da quella incarnazione della dea Atena che girava tra loro in uniforme e sedotta da quello non aveva pensato che a dare una buona impressione di sé usando un linguaggio più attento, dei modi forzatamente più ricercati. Delle sere aveva persino preparato delle letture erudite da poter sfoggiare all’incontro successivo, ma era stato inutile e stancante, i suoi sforzi avevano solo prodotto silenzi più densi di quella donna enigmatica che così facilmente metteva il mondo in soggezione. Era anche per questo motivo che i pettegolezzi su di lei si sprecavano: in tanti desideravano che quella perfezione venisse intaccata.
Solo che Oscar era umana.
E come ogni altro essere umano aveva il suo carico di incoerenze e fragilità, desideri e difetti, ma racchiusi in uno scrigno adamantino di cui solo il suo amico d’infanzia aveva le chiavi.
In verità cominciava a dubitare anche di questo: sembrava che quella vicinanza si nutrisse più delle intuizioni di André che delle sue confidenze. Non che la cosa scalfisse quel legame fondamentale, ma veniva da chiedersi se Oscar sapesse trovare da sé le domande giuste per capirsi fino in fondo in quella sua esistenza così singolare.
Per Sabine, a questo punto, si trattava di raggiungere la confidenza necessaria a potergliele porgere lei stessa.
“Andiamocene via!” esclamò esasperata come una bimba, teatrale come non mai. “Partiamo; andiamo dai miei in Provenza!” propose, ritrovando l’entusiasmo man mano che definiva l’idea nella sua mente.
Gli altri due risero a quel cambio radicale di tono.
“Dico sul serio, partiamo domani stesso, dopodomani al più. Non esiste nulla di più bello dei profumi di Grasse in primavera inoltrata! È il tempo della rosa centifolia, questo, ci sarà un tale fermento in città per via della raccolta… Cosa ne dite, Oscar?”
“Sabine… non posso partire di punto in bianco, lo sapete.” riassunse l’altra con un sorriso stanco.
“Ma se non prendete la decisione di farlo finirete col rimandare sempre; ci sarà sempre un motivo per non partire.”
“In questo caso mi è davvero impossibile.”
“Non è impossibile, sono altre le cose impossibili e io non vi ho chiesto né di volare, né di resuscitare qualcuno, vorrei solo prendeste una licenza per staccare da tutto questo per un po’.”
“Per arrivare in Provenza non avrebbe senso prendere un congedo di meno di tre settimane; non posso assentarmi così a lungo adesso, oltre a non trovare saggio un simile gesto nella nostra situazione.”
“Ma anche i reali a breve partiranno per un soggiorno a Fontainebleau; potrebbe essere l’occasione giusta per andar via sovrapporre il vostro viaggio al loro!”
“Proprio quello spostamento prevede la mia presenza; è un compito delicato garantire la sicurezza della famiglia reale nel trasferimento, non me la sento di lasciare solo il mio secondo, ha già dovuto affrontare molti cambiamenti quest’anno.”
In tutta risposta Sabine la ignorò, le diede quasi le spalle.
“André, dite la vostra, non credete sarebbe una buona idea allontanarci per un po’?” provò.
“Baronessa… - esitò lui combattuto - se fuggire servisse a qualcosa questa sarebbe una splendida soluzione, ma per quanto sia invitante l’idea di una villeggiatura… in questo momento sarebbe più saggio trovare un modo per arginare le chiacchiere della Polignac o questa storia andrà avanti con o senza di voi.”
“Uff, anche voi fate il guastafeste, insomma.” Replicò corrucciata.
André sospirò comprensivo. Gli piaceva il modo in cui Sabine gli ricordava costantemente che lo considerava un suo pari, anche quando come in quel momento lo faceva con una risposta brusca.
“Magari stiamo fasciandoci la testa prima del tempo – rifletté ad alta voce Oscar – non possiamo prevedere con precisione cosa accadrà nei prossimi giorni, potrebbe anche darsi che le cose si stiano già mettendo a posto…”

 

***

 

Ma il giorno seguente la frenesia sembrava solo essere in aumento, Oscar non ricordava di aver mai ricevuto una simile accoglienza persino tra i soldati della guardia reale.
Brusii, risatine. Nel branco nessuno è colpevole, perché lo sono tutti. Li rimise in ordine con più durezza del solito, rimpiangendo di non avere lo stesso potere nei corridoi della Reggia, dove quella piaga andava dilagando, si accresceva di particolari, chissà che presto non avrebbero iniziato a circolare pamphlet illustrati visto che la storia aveva una simile presa sulla folla.
Fu come se fosse salita la temperatura all’improvviso.
Avvertì il peso dell’uniforme sulla pelle, lo spesso tessuto, i gradi. Le parve d’un tratto di soffocare, come se i pensieri avessero deciso di avvilupparsi attorno alla gola e di gravarle sul respiro, i cancelli dorati oltre il piazzale assolato così simili alle sbarre di una prigione che chiuse gli occhi per scacciarne l’immagine.
Andare via.
Non le sarebbe dispiaciuto andare via per un po’.
Le vennero in mente le distese fiorite descritte da Sabine, le descrizioni minuziose di tradizioni a lei ignote che l’amica accumulava nei discorsi senza un ordine preciso, con quel suo modo enfatico e sinestetico di catturare le sensazioni.
Un viaggio. Non viaggiava per piacere da così tanto.
Cercò André con lo sguardo, ricordando con un istante di ritardo di averlo spedito a cercare sua madre con l’intenzione di organizzare quanto prima un incontro privato con la regina, senza aver ancora un’idea precisa di cosa dirle, ma con la flebile speranza di riuscire ad esercitare quello che un tempo era stato il suo ascendente su Maria Antonietta. Nell’ancor più flebile speranza di incontrarla in assenza della Polignac.
Talvolta rifletteva su quanto facilmente la sovrana avesse messo da parte la simpatia che aveva nei suoi confronti, dai recenti eventi alle chiacchiere mai rettificate sul suo possibile coinvolgimento nella perdita dello stato interessante mesi prima. Cercava un bandolo a cui appigliare un filo di logica in qualcosa che logico non era, in un rapporto che comunque era di subordinazione e non altro, ma che nel bene e nel male sembrava avere dei cardini di solidità nel rispetto reciproco. Da quando era entrata in scena la Polignac quel legame cavalleresco si era sfilacciato, continuava a farlo. Per quanto facesse male ammetterlo, la fiducia iniziale che aveva accordato alla regina andava allentandosi, cedeva il passo a una delusione senza domande, arida, mentre la speranza del cambiamento nasceva altrove, lontano dal covo di vipere che ora puntava a lei e a Sabine…
La prima persona con cui avesse stretto un legame.
Proprio questa veniva attaccata, sbeffeggiata, il suo già fragile matrimonio di cui poco sapeva veniva messo ulteriormente in pericolo.

 

Bisognava pazientare.
Tollerare…
Distaccarsi…

 

Basta.

“Girodel, devo allontanarmi. Sostituitemi qui, tornerò al più presto.”

 

***

 

C’era gente, tanta gente nella sala delle Crociate, e tra tutte quelle persone ne riconobbe una in particolare che le aveva promesso prudenza meno di ventiquattro ore prima.
Isolata nella folla, con la dama di compagnia silenziosa a seguito e l’abito più semplice che le avesse mai visto indossare, Sabine sembrava avere un’aria diversa; ma non per l’abito chiaro e privo di troppi orpelli, si trattava più di un atteggiamento composto e inanimato che tanto contraddiceva il suo carattere: un’aria da vittima sacrificale che mise immediatamente in allarme Oscar.
La vide anche lei, sembrò rabbuiarsi ulteriormente.
Ma poi Sabine mise su un accenno di sorriso e le andò incontro solenne, tra le ali di folla sovraeccitate dal pettegolezzo del giorno che si avverava davanti ai loro occhi.
“Mia cara, che piacere vedervi qui.” Disse con una cordialità eccessiva che stupì anche la sua dama di compagnia.
“Anche per me è un piacere incontrarvi.” Rispose in tono piatto e stonato, mentre con lo sguardo le chiedeva che diamine ci facesse lì, preoccupata, completamente dimentica del fatto che lei stessa si era precipitata in quella sala in preda ad un raptus di sfida e senza un piano preciso.
Venne annunciata la regina col suo seguito e Maria Antonietta si diresse immediatamente verso la coppia chiacchierata, come se le avesse individuate da lontano.
Praticamente stava accadendo tutto ciò che la sera prima si erano raccomandate di non far accadere.

“Madamigella Oscar! È una fortuita coincidenza, questa: stavo proprio parlando di voi, è così raro incontrarvi, ormai… baronessa de Plantier, buongiorno anche a voi.”
Sabine si inchinò aggraziata, Oscar accennò allo stesso gesto in versione maschile, ma tesa, incrociando la contessa di Polignac che la squadrava compiaciuta, trionfante, un generale con l’intera corte come sua armata.
“Vostra maestà, avete ragione. Ultimamente i miei doveri mi hanno tenuta più spesso lontana dalla vita di Versailles.”
“Ma Oscar, pare che proprio negli ultimi tempi voi abbiate trovato modo di frequentare spesso la baronessa, invece – obiettò candida e indispettita, una bambina a cui venga negato un dolce – se penso ad ogni volta che avete declinato un mio invito negli ultimi anni… ma non volevo rimproverarvi, suvvia, non fate quella faccia. Promettetemi che non mancherete ai miei prossimi ricevimenti… anzi, dovreste proprio prendere la buona abitudine di partecipare al mio tè del giovedì pomeriggio. Vero che ci sarete?”
“Certo, vostra Maestà.” ribatté senza un briciolo di entusiasmo, sull’attenti. Il tono monocorde di chi accetta un ordine, non un invito.
Sabine capì in quel momento che uno dei pochi difetti della sua amica – se di difetto si poteva parlare – era quello di essere completamente incapace di mentire. Persino la regina (che non spiccava per intuizioni brillanti in quel campo) diede segno di essersi accorta della sua scarsa partecipazione e una smorfia delusa passò sul bel viso dell’austriaca.
“Vostra maestà, non so nemmeno da dove iniziare per descrivervi quanto sia stata fondamentale la conoscenza di madamigella Oscar, per me.” intervenne Sabine, scatenando una costellazione di risatine dietro ai ventagli.
“Vedete – continuò imperterrita – da quando mio marito è partito per la Svezia per i suoi studi con von Linné sono stata preda di un profondo sconforto a cui non mi sembrava ci fosse rimedio. Nonostante la bellezza sublime di Versailles, io qui resto… come dire… una straniera? Sentirmi così sola in un momento in cui le cose con mio marito non vanno molto bene…”
“Sabine!” provò Oscar, inorridita dal contenuto riservato di quel suo discorso.
“Oh, no, vi prego, lasciate che mi sfoghi, sento che la nostra regina può comprendermi; voi avete un cuore tanto grande, maestà!” disse quella tornando a rivolgersi alla sovrana che l’ascoltava attentissima, chiaramente lusingata da quella confidenza così accorata e fuori luogo in cui riusciva a riconoscersi, per certi versi.
“È vero che temo per la stabilità del mio matrimonio, non ultimo a causa dei pettegolezzi ingiuriosi che circolano a corte. Ma per quanto io possa sentirmi affranta… ecco, io credo che la mia amicizia con Oscar mi abbia salvata. Lei… è stata l’angelo custode dei momenti più bui della mia solitudine.” Dichiarò con gli occhi cangianti improvvisamente velati d’emozione, e lei stessa suonò angelica, di un’innocenza infantile e fragile a cui Maria Antonietta non resistette, si avvicinò alla baronessa con le mani al petto come se volesse chiederle scusa di aver ascoltato tante maldicenze sul suo conto, genuinamente pentita.
“Baronessa…”
“Ma voi conoscete meglio di me l’importanza della vera amicizia – incalzò Sabine – vedo quanto vi sia vicina la contessa di Polignac e non posso che ammirarvi ed aspirare ad un legame similmente profondo e sacro… voi… voi siete un esempio per me!” concluse inchinandosi e un paio di lacrime rotolarono sul viso rinascimentale di Sabine a condimento di quella dichiarazione che fece definitivamente breccia nel cuore morbido di Maria Antonietta.
“Baronessa, vi prego risollevatevi, non c’è bisogno che mi diciate altro… io vi capisco profondamente - replicò ormai commossa. – Avete ragione, anche per me l’amicizia è sacra e proprio come voi ho ricevuto la benedizione di incontrare un angelo custode nella mia vita.”
Rivolse un sorriso dolcissimo alla contessa di Polignac, che pur fumando di rabbia riuscì a ricambiare quel miele, avvicinandosi alle due con grazia celestiale, mentre il cicalare attorno a loro mutava di tono: il vento era cambiato.

Oscar si ritrovò completamente spiazzata; la regina prendeva le mani della baronessa e si faceva giurare di non mancare ai prossimi appuntamenti a corte; Sabine annuiva ancora tra le lacrime e sembravano due sorelline ricongiunte, le parve folle, da che sapeva che i contatti della baronessa con la sovrana non si erano mai spinti oltre i saluti di circostanza nelle occasioni formali. In quel momento notò che persino la pettinatura di Sabine quel giorno somigliava fin quasi a rispecchiare quella di Maria Antonietta… e con un brivido Oscar intuì della premeditazione in ciò che stava osservando.
Un piano rischiosissimo, il suo, che pure stava avendo successo.
Livida, la Polignac nascondeva a stento l’irritazione. Era chiaro che dopo una scena simile in cui la stessa regina si pronunciava pubblicamente contro quei pettegolezzi l’intera popolazione di Versailles si sarebbe allineata in un batter d’occhio con quel perbenismo flaccido che – paradossalmente – aveva la sua amicizia con la sovrana come alibi.
“Siete una donna fortunata, baronessa de Plantier… ad avere accanto una persona eccezionale come Oscar François de Jarjayes.” Commentò zuccherina colei che si era appena vista crollare il castello di carte creato con tanta cura nelle ultime settimane.
“Davvero fortunata…” sussurrò poi in tono completamente diverso nascondendo la minaccia nel ventaglio, una volta vicina.
“Oh contessa, siete così cara!” rispose Sabine senza perdere un attimo. “Voi non sapete quanto vi sia grata per queste parole e per tutto quello che fate per me e per la mia famiglia!”
La donna rimase interdetta, pur continuando a sorridere ferina.
“Vogliate perdonarmi, baronessa, ma non capisco a cosa alludiate… Forse mi state confondendo con qualcuno?”
“Affatto, contessa. Non potrei mai confondere la migliore cliente della Maison Florentin con nessun altro!” scandì bene e il colore sul viso dell’altra scomparve.
“Dovete perdonarmi maestà – continuò Sabine rivolgendosi nuovamente a Maria Antonietta – è vero che la mia famiglia ha l’onore di servire anche la casa reale, ma l’opulenza degli ordini per i Poli…”
“Domando scusa… ma stiamo ignorando da troppo tempo i vostri ospiti spagnoli, vostra Maestà, dovremmo rimediare, non credete?” interruppe improvvisamente la contessa, terrea.
E quella parentesi di cordialità terminò nello stesso modo istantaneo in cui si era venuta a creare, in pochi attimi, ma lasciava i rapporti di forze invertiti.
Tutto grazie a Sabine.
Questa si volse verso Oscar con un sorriso a trentadue denti, ma l’altra la freddò.
“Non una parola, non adesso.”
“Avete ragione. Vi aspetto al solito posto, quando staccherete.”

 

***

 

“Siete un’incosciente!” esplose Oscar non appena André ebbe chiuso lo sportello della carrozza.
Sabine in tutta risposta iniziò a ridere a crepapelle, mostrando di apprezzare molto il titolo appena conferitole.
“Avete visto la faccia della Polignac quando ha capito che informazioni avevo sulle sue spese?”
Oscar si massaggiò la fronte, non poteva crederci.
“Che ne è stato dei ragionamenti di ieri sera? Non dovevate esporvi così, non pensate alle conseguenze?”
“È andato tutto a meraviglia, invece! André, avreste dovuto esserci!” provò a sdrammatizzare.
“Ma fornire quei dettagli sulla vostra vita privata…”
“Che il mio matrimonio sia in crisi non ne dubita nessuno da molto tempo, Oscar. Ho solo ribadito un’informazione che era sulla bocca di tutti da prima di noi, ve lo assicuro.” Ribatté con una voce rassegnata la baronessa; un’ombra di soddisfazione autodistruttiva le velava lo sguardo; doveva essere venuta a patti con quell’idea, ma degli sgoccioli di speranza ancora scavavano dentro di lei. Soffriva. Oscar intravide quella voragine e si odiò per non averle impedito di mostrare pubblicamente quel dolore.
“Sabine…”
“Via, non importa. Dico davvero.”
“Non dovevate, non è giusto… era una mia responsabilità e avrei dovuto fare qualsiasi cosa per fermarvi!”
Sabine scosse la testa, per la prima volta quel giorno commossa per davvero.
“Oscar, voi sareste disposta a farvi calpestare pur di difendere qualcuno a cui tenete. Non potevo accettarlo senza far nulla, soprattutto avendo a disposizione i conti salatissimi della povera Polignac: non potevo resistere.”
L’amica le strinse una mano con le sue, la raccolse con delicatezza in una muta promessa di ricambiare quel coraggio, a tempo debito.

 

La carrozza li portò a Parigi, l’idea era di festeggiare da Sabine, al solito, con una buona cena.
“Immagino che una delle conseguenze dell’incontro di oggi sarà la perdita della vostra affezionata cliente.” Intervenne André un po’ sarcastico, ma sinceramente ammirato dall’accaduto.
La baronessa fece spallucce: “Per la soddisfazione di vederla con la coda tra le gambe, ne è valsa la pena.”

Arrivati a palazzo andò subito loro incontro una delle domestiche.
“Baronessa, è… dalla Svezia, è arrivata oggi!” disse con voce incerta, porgendole una lettera.
Sabine quasi la strappò dalle mani della giovane, l’aprì senza neppure ritirarsi in salone, in piedi, ancora nell’atrio, con Oscar e André ad un passo.

Un solo foglio di poche righe, e subito le si appannò la vista, vicina al crollo.

Abbiamo sbagliato tutto.” Iniziava.

 

 

 

  
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