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Autore: Soul of Paper    08/12/2019    4 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nessun Alibi

 

Capitolo 5 - Rischi del Mestiere

 

Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.


Erano le nove del mattino e già avvertiva il bisogno di una doccia. Il sole ancora non cocente del mattino riverberava sull'asfalto, guadagnando intensità in modo esponenziale e facendola surriscaldare.

 

Ed il pensiero di chi stava attendendo su quella panchina non aiutava certo la situazione. 

 

Si era liberata rapidamente dalle domande di Pietro e di sua suocera, non appena, al suo rientro col cartone del latte ed i cornetti caldi, aveva annunciato che doveva assentarsi per quella giornata per un'incombenza imprevista di lavoro, che non poteva attendere il rientro dalle ferie, pena il rischio di far slittare il processo.

 

Se ne era ben guardata dallo specificare il genere di incombenza e quale processo, o dove sarebbe andata. Meno dettagli si fornivano e meglio era in questi casi.

 

Devo veramente smettere di avere a che fare con avvocati e criminali - si ritrovò a pensare, per l'ennesima volta in quei giorni.

 

Si era congedata annunciando che sarebbe andata a prendere la corriera - di nuovo senza precisare quale - e ora si trovava a Marina di Ginosa, a pochi chilometri dall'ecomostro che per un anno era stato la tomba di Vaccaro, che le era stato decisamente più simpatico in morte che in vita.

 

Il borbottio di un motorino la distolse dai suoi pensieri e si ritrovò di fronte Calogiuri, in sella ad uno scooter ancora più scassato di quello di Roma, che le sorrideva con lieve apprensione, pur mentre la guardava come se fosse stata un'apparizione angelica.

 

Non avrebbe saputo dire come se lo fosse guardato lei, ma nel giro di due secondi gli buttò le braccia al collo e se lo strinse più forte che poteva, tanto che lui rimase paralizzato per qualche istante, prima di ricambiare la stretta con altrettanta intensità.

 

Si staccò a forza dopo un lasso di tempo troppo breve e solo per evitare di dare nell'occhio. Si guardarono e si sorrisero, senza parlare per qualche istante.

 

"Ho pensato fosse meglio evitare l'auto di servizio. Lo so che non è un granché, ma è l'unico mezzo che sono riuscito a recuperare con così poco preavviso."

 

"Tranquillo, Calogiuri, hai fatto bene!" lo rassicurò con un altro sorriso, prima di chiedergli, con malcelata curiosità, "allora, dove mi porti?"

 

"Beh… veramente… visto che stiamo già qui… se ti va, pensavo di andare al mare," le propose, con quella timidezza adorabile quanto ingiustificata, visti gli eventi recenti. Ma ciò la rendeva ancora più preziosa.

 

"Certo che mi va, Calogiuri!" ribatté con un sorriso, avvicinandosi per saltare in sella dietro di lui, ma lui la bloccò con una mano.

 

"Se… insomma, per il costume... ho visto che c'è una bancarella qui vicino...” suggerì, affrettandosi ad aggiungere, all’occhiata di lei, “ovviamente possiamo verificare prima se hanno i permessi e se fanno lo scontrino.”

 

Imma scoppiò a ridere: la conosceva davvero troppo bene, Calogiuri, ma di sicuro, nella posizione in cui erano, l’ultimo suo pensiero era attirare l’attenzione su di sé, rubando il lavoro alla finanza.

 

“Tranquillo, non sarà necessario, tanto il costume non mi serve.”

 

Gli occhi di Calogiuri si spalancarono fino a far concorrenza al gatto con gli stivali dei film di Shrek, mentre il viso e il collo gli si tinsero di rosso a tal punto che Imma temette per un secondo che gli pigliasse un colpo.

 

“Ma che hai capito, Calogiù? C’ho già un costume in borsa!” chiarì, non riuscendo a trattenersi dallo scoppiare a ridere, “che non ti conosco a te?”

 

Calogiuri si toccò il collo, sembrando ancora più in imbarazzo, sebbene un sorriso timido gli spuntò sul volto. Ed Imma, come la stronza che era, decise di metterci il carico da undici, “magari la spiaggia per i nudisti ce la teniamo per la prossima volta, che dici?”

 

Al maresciallo andò di traverso la saliva ed esplose in un attacco di tosse che la fece sentire lievemente in colpa, ma adorava troppo il suo candore ed il suo stupore per non goderselo un po’. Gli diede un paio di colpi sulla schiena - che tra un po’ ci rimetteva lei la mano, con quei muscoli che si ritrovava - e si sentì agguantare stretta per la vita.

 

Sollevò lo sguardo e si ritrovò a pochi centimetri dal viso di Calogiuri, il suo fiato sulle labbra, ed ogni traccia di buonsenso sull’opportunità di baciarlo in pubblico svanì, sostituita da una corrente magnetica che la attraeva in modo irresistibile.

 

Fece per sollevarsi sulla punta dei piedi per colmare la distanza residua, quando sentì un peso sulla testa ed una visiera le calò davanti agli occhi. Non riuscì a trattenere un lieve sospiro di disappunto e sul volto di Calogiuri comparve un sorrisetto compiaciuto, gli occhi che brillavano come a dire “stavolta te l’ho fatta io!” anche mentre premurosamente le allacciava il casco, indugiando, di proposito ne era sicura, con le dita sotto al mento, facendole correre un brivido lungo la schiena.

 

Calogiuri era proprio cresciuto dai tempi di Roma, eccome se era cresciuto. E diventava sempre più pericoloso e più capace di scombussolarla e di tenerle testa, in modo imprevedibile.

 

Gli lanciò un’occhiata di avvertimento, come a fargli intuire che gliel’avrebbe fatta pagare dopo, con gli interessi, e lui, per tutta risposta, le sorrise in un modo che era un non vedo l’ora non verbale.

 

Su gambe improvvisamente tremolanti si arrampicò sul sellino incandescente, che lui aveva provveduto cavallerescamente a coprire con quella che sembrava una giacca di jeans, per evitarle ustioni e spellamenti.

 

E stavolta non ci fu bisogno di raccomandazioni su dove e come mettere le mani, perché Imma se lo strinse, eccome se se lo strinse, senza riserve, le braccia allacciate intorno alla vita, il petto attaccato alla schiena di lui, la testa poggiata su una spalla, mentre ammirava il paesaggio che scorreva loro affianco. Un po’ per vendetta, un po’ per desiderio e necessità.

 

Rimasero così, senza parlare, mentre il traffico intorno a loro si diradava sempre di più: i bar, i caseggiati e gli stabilimenti balneari si fecero meno frequenti e infine giunsero ai margini di una boscaglia.

 

Calogiuri ci si infilò con sicurezza, su una stradina in cemento che aveva visto giorni migliori e che li fece sobbalzare come forsennati - altro che le buche di Roma!

 

Ad un certo punto si arrivò ad uno spiazzo vicino allo sterrato e Calogiuri arrestò il veicolo e spense il motore.

 

“Da qui ci tocca proseguire a piedi, ma non è distante,” la rassicurò con un sorriso, sfilandosi il casco ed, automaticamente, sporgendosi per aiutarla a fare altrettanto, liberandola con rapidità sorprendente.

 

Imma squadrò lo sterrato e poi i suoi zoccoli e pregò di non lasciarci le caviglie. Fossero stati almeno sandali sarebbe già stato meglio, così era un osso duro perfino per lei che poteva vincere le maratone in tacchi a spillo.

 

“Ho portato delle ciabatte da mare,” si offrì Calogiuri con un sorriso, estraendo dal portapacchi, oltre che una borsa termica ed un borsone da spiaggia, un paio di calzature piatte in plastica del suo numero - come faceva a ricordarselo?

 

Il fatto che fossero leopardate le strappò una risata, mentre una specie di nodo le si formò in gola, nonostante fosse assurdo commuoversi per una scemenza simile. Ma il bello di Calogiuri era proprio questo: quei piccoli gesti, quelle piccole premure, come sapere che le sue scarpe non sarebbero mai state adatte ad affrontare uno sterrato e premunirsi di conseguenza.

 

Si liberò degli zoccoli, mollandoli nel portapacchi insieme ai caschi e, ciabatte ai piedi, si avviò con Calogiuri lungo lo sterrato, a braccetto, mentre lui la aiutava a navigare i sassi su quei pezzi di plastica che, pur essendo più comodi, non erano comunque certo l’ideale.

 

Quando cominciò a disperare per l’incolumità di caviglie e piedi, finalmente la boscaglia si diradò, rivelando una spiaggetta minuscola ed isolata, intrappolata tra gli alberi e due file di scogli.

 

Il rifugio perfetto per due amanti.

 

Troppo perfetto. 

 

Un senso di fastidio la prese alla gola e allo stomaco, chiedendosi come Calogiuri conoscesse quel posto - lui non era nemmeno di quelle parti e non aveva certo avuto tempo per fare ricerche in proposito quella mattina - ed immaginandoselo a rotolarsi su quella spiaggetta con una bellissima e giovane ragazza che nel suo cervello era Maria Luisa. O chissà che altra.

 

Era da cretina e da stronza essere gelosa del passato di un uomo quando lei, nel presente, a casa aveva un marito, ma certi sentimenti non sono razionali.

 

“Scusa per la camminata nello sterrato. Mi avevano avvertito che c’era ma pensavo fosse più breve,” pronunciò un po’ mortificato, sicuramente avendo notato qualcosa che non andava nell’espressione di lei.

 

“Ma chi?” gli domandò, incuriosita e sollevata, realizzando che Calogiuri in quel posto non ci era mai stato prima.

 

“Eh… beh… Capozza.”

 

“Ma sei impazzito?! Con tutta la gente che c’era, proprio a Capozza dovevi chiedere dove-”

 

“Ma non oggi, tranquilla! Gliel’ho chiesto un po’ di tempo fa. E poi mo sta pure in servizio, ho controllato,” la rassicurò, diventando nuovamente di un colore fucsiaceo, a quanto aveva dovuto ammettere, “gli avevo detto che mi veniva a trovare la fidanzata dal paese, non ti preoccupare.”

 

“Da quanto è che progettavi pure di portarmi al mare, Calogiù?” gli domandò, mentre rifletteva sulla fine ingloriosa di Maria Luisa, ridotta a scusa perfetta per due amanti, pure dopo essere stata piantata con le bomboniere già comprate - non che non se lo fosse meritato.

 

“E va beh… dottoressa, diciamo che sapevo che era improbabile che potesse capitare ma poi… per ogni evenienza mi preparo.”

 

“Tu ti prepari fin troppo bene, Calogiuri,” sospirò Imma, scuotendo il capo, intenerita.

 

Ma, ben presto, un’altra immagine mentale si fece largo nella sua mente: Capozza e Diana a rotolarsi su quella spiaggia, peggio che in archivio e, non avrebbe saputo dire perchè, ma le venne tremendamente da ridere.

 

"Che c'è?"

 

"No, niente, niente, tranquillo!"

 

Sorridendosi, iniziarono ad estrarre i teli dal borsone. Il sorriso le svanì per un attimo quando Calogiuri, con nonchalance, si levò la maglia e prese ad aprire i pantaloni, per restare in costume.

 

Mamma mia!

 

Sentendosi tremendamente accaldata, iniziò a slacciarsi il vestito, ma realizzò immediatamente che rimaneva il problema di come infilarsi il costume.

 

Calogiuri la guardava in un modo che le fece per un attimo venire la tentazione di spogliarsi completamente e cambiarsi davanti a lui - e poi so' cavoli tuoi, Calogiù - ma il buonsenso le ricordò che erano pur sempre all'aperto. 

 

Leggendole, come sempre, nel pensiero, Calogiuri prese i teli e glieli avvolse e resse intorno, creando a forza di braccia una specie di separé improvvisato.

 

Gli sorrise e gli piantò un lieve bacio sulle labbra, prima di iniziare a cambiarsi, guardandolo negli occhi e vedendolo di nuovo arrossire leggermente. 

 

Con mani tremanti, fece più in fretta che poteva coi lacci del costume e, con un cenno, infine si liberò dai teli.

 

"Ma è…"

 

"Visto che ti era caduto l'occhio, almeno mo puoi guardartelo con più calma, Calogiuri," ironizzò, indicando il costume azzurro, lo stesso del loro incontro in spiaggia un anno prima.

 

Imma aveva una memoria a detta di molti prodigiosa, allenata ed affinata in anni di studio, ma perfino per lei non era affatto normale ricordarsi certi dettagli a distanza di mesi. Ma era come se quasi ogni incontro con Calogiuri, specie quelli un po' fuori dall'ordinario, fosse memorizzato nella sua mente come la pellicola di un film.

 

Calogiuri sorrise imbarazzato, scosse il capo e la guardò in quel modo che la faceva sentire bella, bella veramente, come non si era mai sentita in vita sua.

 

Se lo prese per le spalle e se lo baciò con passione - dio, quanto le era mancato! - e, dopo un solo istante di incertezza, si ritrovò sollevata da terra, schiacciata addosso a lui, che ricambiava con una foga tale da farle capire che non era la sola ad avere patito terribilmente quel distacco forzato.

 

Ben presto le mani iniziarono a vagare, troppo, e, con quel residuo di forza di volontà rimasta, si scollò dalle sue labbra, sussurrandogli, con voce roca e il fiato corto, “Calogiù... è meglio che ci diamo una calmata mo... o facciamo un macello.”

 

Lui annuì, con quello sguardo meravigliosamente imbarazzato, e si staccò definitivamente da lei, dedicandosi con fin troppa cura a sistemare gli asciugamani sulla sabbia, che nemmeno in un resort a cinque stelle lusso ci si sarebbero applicati tanto - non che lei ne avesse mai visitato uno, si intende.

 

Da lì fu tutto quasi come un sogno di quelli che scorrono fin troppo in fretta, una di quelle fantasie che Imma coltivava da ragazzina, quando ascoltava, senza darlo a vedere, i racconti delle sue compagne più popolari e smaliziate, quelle che a settembre, al ritorno dal mare, narravano con dovizia di particolari le loro conquiste estive, mentre per lei il massimo dell’avventura era qualche giorno in colonia dalle suore, in mezzo a poche altre sventurate come lei.

 

Dallo spalmarsi la crema sulla schiena a vicenda. E prima fu lei a indugiare un po’ troppo, godendosi la sensazione di quei muscoli che si flettevano sotto le sue dita, godendosi, da brava stronza qual era, il colorito rosato di cui si tingeva il collo di lui e il modo in cui il fiato sembrava farglisi più corto. Almeno fino a quando Calogiuri le ricambiò la cortesia e si ritrovò con un fuoco che dalla spina dorsale le si irradiava in tutto il corpo, la pelle che formicolava nemmeno la crema fosse stata a base di peperoncino, la voglia prepotente di atterrarlo sulla sabbia e farci l’amore fino a perdere le forze.

 

Si scambiarono uno sguardo che non si sarebbe mai scordata finché avesse avuto vita e nel giro di un secondo, senza nemmeno rendersi conto come, il mondo finì letteralmente sottosopra, un urlo e una risata che le scapparono dalla gola, mentre dondolava appesa sopra ad una spalla incredibilmente forte. Chiuse la bocca appena in tempo per non bere l’acqua salata che la accolse in un abbraccio gelido, mitigato solo in parte dal calore del petto di lui, a cui si ritrovò aggrappata, non si sa bene come.

 

Non appena recuperò l’uso della vista, gli occhi che le bruciavano, stava giusto giusto decidendo se strozzarlo o baciarlo, quando lui la lasciò andare, le lanciò uno sguardo per la serie - prendimi se ci riesci - ed iniziò a nuotare parallelo alla riva. Lei ci provò pure a raggiungerlo, mentre lui si guardava alle spalle di tanto in tanto ma, se sulla terraferma lei gli dava piste pure sui tacchi a spillo, in acqua non c’era proprio gara.

 

“Veloce, dottoressa!” la provocò, voltandosi verso di lei da qualche metro di distanza, con un tono che le causò un rimescolamento fin nelle viscere e la voglia matta di levarglielo a suon di baci.

 

“Calogiuri, se t’acchiappo sei morto!” gli urlò di rimando, in quella che doveva essere una minaccia, ma risultò ben poco credibile per via della risata che non le riuscì di soffocare.

 

Lui, per tutta risposta, fece ancora qualche bracciata e poi, in un battito di ciglia, scomparve sott’acqua. Imma si guardò intorno, chiedendosi dove fosse finito, inizialmente divertita ma cominciando ad andare in apprensione mano a mano che passavano i secondi e non riemergeva.

 

Stava per chiamarlo, quando un’ombra scurì l’acqua cristallina e si sentì prendere per le gambe e sollevare di peso, emergendo dall’acqua, fendendo l’aria con un brivido di freddo, solo per finire nuovamente a mollo pochi secondi dopo, in un tuffo rovinoso quanto fragoroso.

 

Riemerse col fiato corto, prendendo aria a pieni polmoni. Si scostò alla bell’e meglio i capelli dagli occhi e ne incontrò un paio di azzurrissimi che la guardavano divertiti e soddisfatti, sebbene con una lieve traccia di apprensione.

 

“Calogiuri… oggi rischi grosso, molto grosso, ti avverto!” intimò tra un respiro e l’altro, anche se la verità era che non si era mai divertita tanto in vita sua.

 

E lui lo sapeva, eccome se lo sapeva, la conosceva e la capiva troppo bene, pur in fondo sapendo poco o nulla di lei.

 

Lo vide avvicinarsi, sempre di più, e le si mozzò di nuovo il fiato - non di certo per l’apnea. Le prese delicatamente le mani e se le mise sulle spalle. Lei, di istinto, gliele allacciò intorno al collo. Stava per cedere ad un altro bacio - nonostante l’impudenza, o forse proprio per quella - quando lui si immerse leggermente e si voltò, facendola finire spalmata sulla sua schiena.

 

Si era già preparata mentalmente per l’ennesimo tuffo, ma invece si sentì sprofondare delicatamente, insieme a lui, che iniziò a nuotare, trascinandosela con sé, attaccata alle sue spalle.

 

Non era sicura di come fosse possibile che Calogiuri non solo galleggiasse, ma nuotasse pure bene, con lei abbarbicata in quel modo, eppure presero rapidamente una velocità insperata e le sembrò di volare sull’acqua.

 

Inspiegabilmente, un ricordo riemerse da chissà quale anfratto remoto della sua mente: lei bambina, quattro anni, forse poco più, in spalle a suo padre, a nuotare a Metaponto, in una delle pochissime gite in giornata strappate a quegli orari di lavoro impossibili, prima che la malattia lo riducesse all’ombra di se stesso e poi se lo portasse via.

 

Gli occhi le bruciarono e non per il sale, mentre d’istinto strinse Calogiuri più forte, tanto che per un attimo lui sbandò, fermandosi per riprendere l’equilibrio e non affondare.

 

Torse il collo per guardarla, ma lei lo fulminò con un “veloce, Calogiuri!” che lo spinse a scuotere il capo e ad obbedire, riprendendo a nuotare senza una meta precisa.

 

Ad un certo punto, sentì qualcosa toccarle i piedi e realizzò che erano giunti in una secca. Calogiuri si fermò, non riuscendo più a nuotare in quelle condizioni, e si tirò in piedi. Imma gli rimase per un attimo aggrappata, ma si trovò ben presto a perdere la presa e scivolargli sulla schiena, i piedi che toccavano la sabbia, mentre una scossa elettrica la trapassava da parte a parte.

 

Lui si voltò, lo sterno che gli si sollevava ritmicamente appena sopra il pelo dell’acqua, il fiato corto tanto quanto quello di Imma, ma per motivi completamente diversi.

 

Un primo sguardo e si ritrovarono a baciarsi, con voracità, come a voler recuperare i giorni di arretrato. Allacciargli le gambe intorno ai fianchi fu naturale come respirare quell’ossigeno che ormai latitava, le mani che di nuovo facevano ammutinamento e andavano per conto loro, sott’acqua, sulla pelle e sotto i costumi.

 

Un secondo sguardo, una richiesta di permesso tacita di due occhi azzurri scuriti dalle pupille dilatate, nonostante il sole cocente. Un’occhiata furtiva per accertarsi di essere soli. Un cenno del capo e sentì i lacci scivolarle sulle spalle, accarezzandole la pelle insieme alle dita che la percorrevano senza più inibizione, il contrasto tra il calore che sprigionavano ed il freddo dell’acqua che la faceva impazzire.

 

Alla faccia della spiaggia per i nudisti!

 

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“Che… che intendeva tua madre?”

 

Il sussurro all’orecchio la riscosse da quello stato di beatitudine nel quale si sentiva di stare nuotando, pur essendo tornati sulla terraferma. I muscoli indolenziti di quella stanchezza piacevole e molle, la mente leggera e sgombra di pensieri, lo stomaco piacevolmente pieno di vino bianco, bruschette, olive e lupini.

 

Calogiuri cominciava a conoscere i suoi gusti fin troppo bene.

 

“Come?” gli chiese, confusa, sollevandosi leggermente dal petto di lui, appoggiandosi col gomito al telo su cui erano stesi, per guardarlo negli occhi.

 

“Tua madre… che intendeva in macchina, quando…”

 

Un tuffo allo stomaco la riportò bruscamente alla realtà, capendo finalmente dove lui volesse andare a parare.

 

"Calogiuri…" sospirò, il tono e lo sguardo che lo imploravano di rinviare la discussione ad un altro momento. 

 

"Se non ne vuoi parlare, lo capisco. Ma perché dirlo a Diana e non a me?" le domandò, con uno sguardo ferito, "lo so che siete amiche da tanti anni ma non avrei mai detto nulla ad anima viva, e speravo lo sapessi ormai."

 

"Lo so. Ma non ho detto niente a nessuno, Calogiuri, nemmeno a Diana. Le ho solo chiesto di fare una ricerca su Cenzino Latronico, non le ho detto il perché. Tu sei il primo a cui ne parlo, a parte un'amica di mia madre con cui ho dovuto parlarne per forza. Ma comunque non è come pensi."

 

"Che vuoi dire?"

 

"Mia madre ha la demenza senile, Calogiuri, c'è solo a sprazzi e confonde un po' le cose. Ha… ha avuto una relazione con Latronico tanti anni fa, quando era al suo servizio. Ma, a quanto dice l'amica di mia madre, è stata una sbandata di una notte e mia madre, quando era lucida, era certa che fossi figlia di… di mio padre. Ma nella demenza, forse per il senso di colpa, ha confuso un po' le cose."

 

"Ma tu ne sei convinta veramente?" le domandò, con un'occhiata penetrante. Il modo in cui sapeva leggerle dentro, al di là delle sue pose, la inquietava e affascinava al tempo stesso.

 

"Non lo so… ma oramai da mia madre non potrò mai saperlo con certezza. E non posso certo chiederlo ai Latronico, per carità. Posso solo sperare che la mia vita non sia stata tutta una menzogna, Calogiuri. E di non essere la figlia del Demonio di Matera e non aver preso niente da lui."

 

"Ma non lo è stata. I figli sono di chi se li cresce. E tu sei Imma Tataranni e sei la persona più onesta che io conosca."

 

"Talmente onesta che tradisco mio marito con te," esclamò con una mezza risata amara, pentendosene un po' quando vide l'espressione di lui, "ma questo forse l'ho preso da mia madre."

 

"Ma nonostante… questo...” disse, facendo un gesto come ad indicare prima se stesso e poi lei, “resti comunque la persona più onesta che conosco."

 

"Considerato che frequenti l’ambiente della procura, non vuol dire molto, Calogiuri.”

 

“Veramente un po’ di gente al di fuori della procura la frequento pure. E comunque siamo in due in questo, non solo tu.”

 

“Ma chi sta tradendo la fiducia di qualcuno sono io e non tu, Calogiuri, questo non confonderlo mai."

 

"E però lo so che quello che stiamo facendo è sbagliato. Ma, è più disonesto quello che stiamo facendo o fingere di non… di non sentire ciò che sentiamo?"

 

"Che mi sei diventato pure filosofo mo, Calogiuri?” gli chiese, scuotendo il capo, gli occhi che riprendevano a bruciarle, il dannato nodo che si formava in gola. Quanto lo adorava quando tirava fuori, dal nulla, questi momenti di incredibile profondità, che sembravano assurdi da un ragazzo tanto giovane e, per tanti versi, ingenuo.

 

E la verità era che nemmeno lei ce l'aveva una risposta. Forse perché in certe situazioni non c'è una soluzione giusta, o priva di errore, solo una meno peggio delle altre. Che non era affatto convinta fosse quella che aveva deciso di percorrere, peraltro.

 

Il trillo di un cellulare le fece quasi fare un salto. Stava per imprecare contro l'ennesimo scocciatore, quando si rese conto che la suoneria non era la sua.

 

Calogiuri si precipitò ad afferrare il suo telefono dalla tasca dei pantaloni, con tale rapidità che per un istante quel senso di fastidio le si riscosse nel petto - e chi è mo?

 

"Pronto? Mamma, che succede?" pronunciò preoccupato ed Imma si sentì un'idiota nel giro di solo quattro parole "è nata già? Ma sta bene? Quanto pesa?"

 

Imma colse solo poche parole, otto mesi e mezzo, due chili e seicento, tutto bene, prima che Calogiuri chiudesse la telefonata. 

 

"È nata mia nipote," annuncio con un sorriso, "la figlia di mia sorella."

 

Un cinguettio annunciò l'arrivo di un messaggio, Calogiuri l'aprì e le mostrò con orgoglio la foto di uno scricciolo dall'aria arrossata e un po' schiacciata tipica dei neonati, ma che già prometteva di essere assolutamente adorabile - se ha preso dallo zio, sarà bellissima.

 

"Come l'hanno chiamata?" gli domandò, intenerita, aspettandosi un nome tradizionale, ai limiti dell'arcaico, come Ippazio.

 

"Noemi," rispose, chiarendo, forse avendo notato lo stupore di lei, “sai, come la cantante, a mia sorella piace molto.”

 

Imma, che di musica leggera moderna sapeva poco o niente, della cantante in questione aveva solo presente la tonalità di rosso dei capelli, che Porzia una volta si era fatta fare uguale da Marisa. Annuì, sentendosi nuovamente vecchia.

 

“Devi tornare a Grottaminarda, immagino?” gli chiese con un sospiro, conoscendo già la risposta.

 

“Sì. E poi sono in ferie, quindi mi toccherà fermarmi qualche giorno in più, anche se avrei voluto evitarlo, ma così… non ho scuse,” precisò, con aria mogia.

 

“Coraggio, Calogiuri! I tuoi genitori non potranno essere peggio di mia suocera, credimi,” ironizzò, toccandogli una spalla e passandogli una mano tra i capelli ancora umidi, “allora, ci avviamo?”

 

“Ma possiamo restare ancora un attimo se vuoi, non c’è fretta. Ormai è nata, non cambia molto un’ora in più o in meno.”

 

“Non voglio farti passare per uno zio degenere. E poi è meglio se anche io rientro abbastanza presto. A meno che tu abbia una buona scusa da fornire su come, nel corso delle indagini, mi sia dovuta fare un bagno in mare.”

 

“Qualche altro dito vagante, magari?” scherzò Calogiuri, guadagnandosi un colpo sul braccio che, di nuovo, fece sicuramente più male a lei che a lui.

 

“Quante ore passi in palestra alla settimana, Calogiù?” gli chiese ironica, massaggiandosi la mano.

 

“Non abbastanza per starti dietro, dottoressa!”

 

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“Vuoi provare a guidare?”

 

Per un attimo pensò di aver capito male, ma sollevò il capo dalla schiena di Calogiuri e lo vide girato verso di lei, con un sorriso divertito, mentre il motorino rallentava fino a fermarsi.

 

“Come?”

 

“Vuoi provare a guidarlo tu? Mi sembra che ti piaccia andare in motorino, e allora…”

 

Poteva forse dirgli che la cosa che più le piaceva dell’andare in moto era che le forniva una scusa buona per abbracciarselo senza remore, per un numero sempre troppo limitato di minuti?

 

“Ma figurati! Non sono capace! E se ci schiantiamo è la volta buona che andiamo a finire sui giornali, Calogiuri.”

 

“Perché dovremmo fare un incidente? Prima di tutto qui è una zona molto tranquilla, a quest’ora la gente sta tutta in spiaggia e non c’è traffico. E poi… se vedo che sbandi, prendo io il controllo, non ti preoccupare.”

 

“Lo so…” rispose, mentre quella specie di dolenza al petto tornò a farsi sentire: perché era esattamente questo che Calogiuri faceva, e non solo in motorino, se ne rendeva sempre più conto. Le lasciava il comando, la lasciava fare, ma se la vedeva in difficoltà era sempre pronto a prendere le redini e a rimetterla in carreggiata, con un gesto, una parola, uno sguardo, o anche solo ascoltandola e lasciandola sfogare. E non era da tutti, anzi, era forse l’unico a cui riusciva così bene.

 

Forse interpretandolo come un assenso, Calogiuri si sciolse dalla sua stretta e scese dal motorino, mettendole una mano sulla spalle come ad esortarla a scivolare in avanti sul sellino.

 

Imma prese un respiro: era una follia ed era rischioso, ma alla fine se orde di quattordicenni brufolosi ci riuscivano, non vedeva perché non dovesse farcela lei.

 

Si posizionò come le indicò Calogiuri, che le spiegò il funzionamento del motorino in dettaglio, prima di montare in sella dietro di lei.

 

Si sentì abbracciare alla vita con delicatezza - non era affatto sicura di essere una presa salda a sufficienza per Calogiuri in caso di un’accelerata o uno sbandamento improvvisi, era troppo leggera rispetto a lui - e realizzò che concentrarsi alla guida mentre lui la stringeva in quel modo sarebbe stato a dir poco improbo.

 

Ma partì lo stesso, tirando un’accelerata involontaria che per poco finivano entrambi cappottati all’indietro, ma lui le prese le mani e le mostrò come fare.

 

E, sebbene Imma ebbe per un attimo la tentazione di continuare di proposito a sbagliare, per rimanere così il più a lungo possibile, ben presto si trovò sorprendentemente a suo agio alla guida, tanto da iniziare ad andare più veloce e a divertirsi sul serio. A godersi l’aria sul viso e quella sensazione di assoluta libertà.

 

“Ma c’è qualcosa che non ti riesce bene? Se continui così, mi toccherà inseguirti pure in motorino!”

 

Posso dire lo stesso di te, Calogiuri! - pensò, anche se non lo disse, limitandosi a lanciargli una rapida occhiata di sbieco ed un sorriso di sfida.

 

Se ne pentì per un secondo quando lui, per tutta risposta, le baciò la spalla destra, lasciata scoperta dal vestito, e lei prese una mezza sbandata che per fortuna lui le corresse prontamente, prima di rischiare veramente un incidente.

 

Calogiuri era davvero pericoloso, ed il problema era che ne era sempre più consapevole. E non sapeva se la cosa la eccitasse o la spaventasse di più.

 

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Si raccolse i capelli in un turbante, allacciandosi meglio l’accappatoio.

 

Per fortuna era riuscita a rientrare ben prima di Pietro, di Valentina e dei suoi suoceri che stavano ancora sotto l'ombrellone, come aveva verificato con una rapida telefonata per decidere se andare a casa o in spiaggia. Se avesse scoperto che erano già rientrati, infatti, sarebbe andata direttamente in spiaggia a farsi un bagno, fingendo che fosse stato l’unico della giornata.

 

Ma non era stato necessario: gli indumenti che aveva indossato erano già lavati a mano e stesi - prima che sua suocera ci mettesse il naso - e probabilmente le restava ancora un po’ di tempo in solitudine.


Ripensò con un sospiro al momento del saluto da Calogiuri, alla fermata dell’autobus. Se avesse potuto prolungare quell’istante all’infinito lo avrebbe fatto. Si erano abbracciati fin troppo stretti: un paio di persone li avevano pure guardati strani, ma erano turisti stranieri, per fortuna. Doveva resistere senza di lui ancora per quasi un’intera settimana e sarebbe stata una tortura, già lo sapeva. Almeno quando erano al lavoro si potevano vedere tutti i giorni.

 

Si sentiva ridicola a stare così, peggio di un’adolescente o di una cocainomane in astinenza, e non sapeva se sperare che, col tempo, questo genere di sensazioni si sarebbe affievolito o se ne avrebbe sentito la mancanza, qualora fosse successo.

 

Sentire la mancanza del sentire la mancanza, sto messa proprio bene!

 

Udì il rumore di una porta che si chiudeva in lontananza e di ciabattate che si avvicinavano inesorabilmente.

 

“Amò!” la voce la raggiunse, insieme alle braccia di Pietro che la stringevano da dietro, facendola irrigidire, senza volerlo, per qualche istante, “ma stai già a casa?”

 

“Sì, abbiamo finito prima del previsto e-”

 

Le labbra di Pietro sulla nuca la bloccarono, il collo che si tese di riflesso, insieme alla schiena, come una corda di violino.

 

“Amò, che c’hai? Ti voglio solo abbracciare, Imma, non…” le sussurrò Pietro, con un tono addolorato che le provocò una fitta al petto, allentando la stretta e facendola voltare per guardarla negli occhi.

 

“Scusami per… per l’altro giorno. Mi sono comportato come uno stupido e lo so, ma-”

 

“Non serve che ti scusi, Pietro,” lo interruppe, i sensi di colpa che le rimescolavano le viscere peggio di una mareggiata, “ho esagerato anche io. Ma è che-”

 

“Ma che pensi veramente che non l'ho capito perché stai così?” le chiese, deciso, dritto negli occhi e fu come se una morsa le stringesse il cuore e lo stomaco.

 

“Pietro, io non-”

 

“L’ho capito che ti annoi e che non ci stai bene qui, Imma. Tra… tra mia madre e la moglie di Vitolo e tutto il resto. Ma ti prometto che l’anno prossimo ce ne andiamo da qualche altra parte solo io e te, dove vuoi. Tanto Valentina sarà maggiorenne e già scalpita per andare in vacanza da sola e vorrà fare il viaggio della maturità.”

 

“E, prima che glielo faccio fare, dovrà dimostrarmi che la maturità ci sia di fatto, e non solo di nome, e che mi posso fidare, Pietro,” non si potè trattenere dal ribattere, pur mentre il sollievo da un lato ed un ancora maggiore senso di colpa dall'altro lottavano dentro di lei per il controllo.

 

“E allora al massimo vorrà dire che saremo io te e Valentina. Te lo prometto, Imma, niente più vacanze con mia madre,” proclamò, solenne, ed il senso di colpa vinse definitivamente la battaglia, inchiodandola alle sue responsabilità come se una freccia l’avesse trapassata da parte a parte, soprattutto quando Pietro aggiunse, in un sussurro, “io voglio solo che tu stia bene con me, Imma.”

 

Gli occhi che le bruciavano maledettamente, il cuore e lo stomaco in pezzi, si lasciò abbracciare e lo strinse forte, odiandosi come non aveva mai fatto prima, e non solo per il tradimento.

 

Ma perché, da qualche tempo a questa parte, anche per il senso di colpa, con Pietro non riusciva più a stare bene, non riusciva ad essere serena e a godersi i momenti con lui, per quanto lo desiderasse con tutte le sue forze.

 

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Si strinse nello spolverino rosa, cercando un po’ di riparo dall’aria improvvisamente troppo frizzante di quella giornata nuvolosa di metà ottobre.

 

Fino ad un paio di giorni prima, la gente girava in maniche corte e gocciolava coni gelato sulle vie lastricate di Matera. Ora l’atmosfera plumbea annunciava che il gelo dell’inverno era alle porte e che, come sempre, il natale li avrebbe sorpresi prima ancora che potessero rendersene conto.

 

Guardandosi intorno, si accertò che non ci fosse nessuno nei paraggi, prima di fermarsi e suonare ad un campanello ormai abbastanza familiare - forse lo spolverino rosa non è stata una grande idea, dopotutto, se volevo restare in incognito.

 

Un rumore metallico annunciò lo sblocco del portone e si infilò rapidamente in ascensore, accertandosi di nuovo che nessuno la vedesse, fino a raggiungere, con un cicalino, il piano desiderato ed il viso sorridente di Calogiuri, che l’aveva preceduta di una decina di minuti, per una rapida ricognizione, come era ormai d’abitudine in quelle poche volte in cui si erano concessi una pausa pranzo nel suo appartamento.

 

Non appena la porta d’ingresso si chiuse alle sue spalle, tirò un sospiro di sollievo e si accasciò mollemente sul divano, spolverino e tutto.

 

La clandestinità era difficile, molto difficile da gestire e parecchio stressante, a dirla tutta, sebbene avesse anche un certo non so che di eccitante. Ma ne avrebbe fatto molto volentieri a meno, se avesse potuto.

 

La... frequentazione con Calogiuri, comunque la si volesse definire, a parte di brevi momenti e di baci rubati in procura, quando in giro non c’era nessuno e per un attimo la prudenza poteva andare a farsi benedire, era fatta di rare pause pranzo allungate di mezz’ora o un’ora, sempre recuperate con gli interessi, ovviamente. O di qualche ora serale di straordinario, infilata di straforo soprattutto quando Pietro era a calcetto o alle lezioni di sassofono, che si era imposta di non fargli mollare, e non solo per crearsi un alibi. Ma perché, con tutto quello che stava combinando lei, sarebbe stato paradossale costringerlo a rinunciare a qualcosa che amava fare, nonostante la presenza dell’ormai famigerata Cinzia Sax, o Sex o quello che diavolo era.

 

Sentì il cuscino del divano sprofondare ed una presenza accanto a lei, ancora prima che un braccio le si posasse timidamente su una spalla, trasmettendole quel calore di cui aveva sentito terribilmente la mancanza. Se lo abbracciò senza remore, mentre ogni altro pensiero scompariva, sostituito dal bisogno prepotente di colmare quelle due settimane di mancanza.

 

Tredici giorni, per la precisione, li aveva contati, manco fosse in carcere.

 

Ultimamente non c’era stato un attimo di tregua in procura e gli straordinari li avevano dovuti fare sul serio, quasi tutte le sere. E, in quelle due occasioni in cui erano riusciti a ritagliarsi un momento solo per loro, erano stati interrotti sul più bello da una telefonata o al suo cellulare o a quello del maresciallo.

 

Alle indagini per il maxiprocesso alla cupola di Romaniello e soci, si era aggiunto l’omicidio, per percosse, della moglie di uno dei notai più in vista della città. Apparentemente durante una rapina finita male.

 

La testimonianza del marito, che indicava la banda di ladri come di nazionalità nordafricana, aveva scatenato un’ondata di indignazione e di vigilantismo che non ricordava da molto tempo, con due episodi di aggressione a sfondo razziale ad un paio di malcapitati che semplicemente si trovavano nella strada sbagliata all’ora sbagliata o avevano indugiato per più di qualche secondo lo sguardo sulla ragazza sbagliata.

 

E poco importava che, dalle analisi della scientifica, non fossero emersi riscontri della presenza di terze persone in quella casa o il precedente sospetto di una frattura al polso della vittima, un paio di anni prima, rubricato come incidente domestico. Zazza ed i media locali e nazionali avevano montato ed alimentato i sentimenti di paura e rabbia della cittadinanza, salvo poi annunciare l’arresto del marito, avvenuto il giorno precedente, con la stessa enfasi con la quale Valentina le parlava delle sue vicende scolastiche. E quella che fino a ventiquattro ore prima era una martire, una povera vittima, un’eroina moderna, si ritrovava ora con la vita analizzata al microscopio, alla ricerca di qualsiasi dettaglio possibile per screditarla agli occhi dell’opinione pubblica: dalle umili origini, all’età di gran lunga inferiore a quella del marito, all’ipotesi che potesse avere avuto un amante, alle frequentazioni ed amicizie.

 

Opera di Latronico, ovviamente, chi altri se no?

 

“A che pensi?” le sussurrò all’orecchio, portandola a sollevare un attimo il capo, per guardarlo negli occhi.

 

“Che viviamo in un mondo che fa schifo, Calogiuri. Soprattutto se nasci donna o vivi in un paese che non è il tuo,” sospirò, capendo con uno sguardo che lui avesse compreso benissimo a cosa si riferisse, per poi tornare a rifugiarsi nel suo petto.

 

Rimasero così per un po’, semplicemente a godersi quel contatto, dopo giorni e giorni di distanza e di ruoli imposti.

 

“Vuoi… vuoi mangiare qualcosa?” le chiese ad un certo punto, con quella lieve incertezza nella voce che ogni volta le strappava un sorriso ed alimentava quella strana sensazione al petto.

 

“Magari dopo, Calogiuri,” sussurrò, accarezzandogli una guancia, per poi posargli un bacio sulle labbra che, almeno nelle intenzioni, voleva essere delicato.

 

Si trovò invece, nel giro di qualche secondo, a baciarlo quasi con disperazione, a cavalcioni su di lui, le mani che si affannavano a slacciargli il colletto della maglia di flanella.

 

Dio, quanto le era mancato!

 

Lo sentì ricambiare con foga, e cercò di aiutarlo meglio che poteva a liberarla dallo spolverino, ritrovandosi mezza incastrata in quelle dannate maniche che non volevano saperne di levarsi di mezzo.

 

Il rumore metallico della cintura del soprabito, che precipitava a terra con il resto della stoffa rosa, le strappò una mezza esclamazione di trionfo. Era appena riuscita a mettere le mani sotto la flanella e a sentire le dita di lui ricambiare la cortesia, dopo averle estratto faticosamente la camicetta dalla gonna, quando il trillo di un cellulare li bloccò con le mani in pasta, il fiato corto ed un’espressione di frustrazione ed incredulità sul viso di Calogiuri che, ne era sicura, era niente in confronto alla sua.

 

“E chi è che rompe, mo?” ruggì, l’incazzatura che già iniziava a montare, sebbene verso ignoti, “se non è più che urgente, giuro che è la volta buona che faccio una strage. Gli fosse venuto un accidente a chi ha inventato ste macchinette infernali!”

 

Calogiuri, per tutta risposta, scoppiò a ridere, sebbene il suo sguardo non celasse che fosse ormai rassegnato all’inevitabile.

 

“Pronto?!” ringhiò nel telefono, accertato che si trattava del numero della procura e ipotizzando fosse Diana, a cui aveva detto chiaramente che aveva un impegno improrogabile e che non voleva essere disturbata per un paio d’ore almeno.

 

“Pronto, dottoressa.”

 

“Matarazzo…” sibilò Imma, la tentazione prepotente di mandarla a stendere che stava per straripare.

 

“Mi scusi se la chiamo dottoressa, so che non voleva essere disturbata, ma è urgente,” pronunciò trafelata, prima che facesse in tempo a beccarsi la lavata di capo.

 

“Che succede, Matarazzo? Se è veramente urgente, si muova a dirmelo, per cortesia, e senza tanti giri di parole.”

 

“Hanno ritrovato un cadavere sotto ad una delle trivelle della Firex, in Val d’Agri. I colleghi di Potenza hanno ritenuto opportuno avvisarci, con il maxiprocesso in corso. Vogliono sapere se intendiamo andare sul posto per un sopralluogo, prima che rimuovano il cadavere.”

 

Si bloccò come paralizzata, la rabbia evaporata di un botto, sostituita dall’ennesima fitta di senso di colpa - dispiacersi pure per Matarazzo però mo no, Imma!

 

“D’accordo, ha fatto bene ad avvisarmi, Matarazzo,” le toccò ammettere, per compensare i toni di prima, anche se si sarebbe fatta ammazzare piuttosto che scusarsene.

 

“Vuole che la passi a prendere, dottoressa? O preferisce che avvisi il maresciallo? Credo che sia fuori in pausa pranzo anche lui, ma immagino sarà raggiungibile.”

 

Si chiese se si stesse solo immaginando qualcosa di suggestivo nel tono di Miss Sicilia, a causa della sua coda di paglia, o se ci fosse veramente. Ma non erano questo né il momento, né il luogo adatti per scoprirlo.

 

“Non si preoccupi, Matarazzo, avviso io Calogiuri. Se non riuscissi a trovarlo entro breve, non mancherò di richiamarla, quindi si tenga a disposizione almeno per il prossimo quarto d’ora,” ordinò, secca e decisa, chiudendo la chiamata prima che la ragazza potesse ribattere alcunché.

 

“Che succede, dottoressa?”

 

Alzò gli occhi dal telefono ed incontrò uno sguardo preoccupato. Il maresciallo era già perfettamente rivestito e con la giacca di pelle addosso.


“Che ci tocca una bella gita in Val d’Agri, Calogiuri,” sospirò, raccogliendo lo spolverino da terra ed accingendosi a fare lo stesso.

 

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“Maschio, caucasico, età apparente tra i 35 e i 40 anni. Nessun segno esterno evidente di percosse o violenza, né di segni procuratisi nel tentativo di difendersi da un’aggressione, ma potrebbero essere celati dai traumi riportati a seguito della caduta. Saprò dirvi di più dopo l’autopsia, anche sulla causa precisa della morte, sebbene le ipotesi al momento restino lo schiacciamento della cassa toracica o il trauma cranico. In ambo i casi, la morte dovrebbe essere stata praticamente istantanea.”

 

“Quindi sarebbe caduto dalla sommità della trivella, dottoressa…?”

 

“Telese, Valeria Telese,” si presentò il medico legale, una brunetta tutta curve dal caschetto sbarazzino, che sembrava uscita dritta dritta da un manifesto da pin-up, più che da una scuola di medicina, “e sì, l’entità dei traumi riportati è compatibile con una caduta da quell’altezza, ma anche in questo caso vi saprò dare conferma dopo l’autopsia.”

 

“E a che ora risale il decesso?” si inserì Calogiuri, mentre Imma osservava con attenzione quella specie di torre che deturpava il paesaggio, prevedendo perfettamente la domanda successiva che anche lei avrebbe avuto intenzione di fare.

 

“Tra le sei e le dodici ore. Non di più.”

 

“Chi ha ritrovato il corpo?” chiese poi, non appena Imma, con un cenno del capo, gli fece segno che poteva continuare lui con le domande.

 

“Uno degli addetti alla sicurezza delle trivelle, alle dieci di stamattina.”

 

“Ma ora sono le quindici, dottoressa, e ci hanno allertato alle tredici. Che è successo in quelle tre ore?” intervenne Imma, incredula e con la tentazione di dare degli incompetenti ad un po’ di gente.

 

“L’addetto ha chiamato i superiori, che hanno chiamato i superiori, che hanno chiamato i superiori, che alla fine hanno chiamato noi, ma erano già le 11.30 quando la chiamata è arrivata al comando,” rispose il maresciallo di servizio, un certo Domenico Pace, “il tempo di allertare la scientifica ed arrivare sul posto, constatare quanto successo e poi chiamarvi.”

 

“Quell’ora e mezza di ritardo è inaccettabile e spero che tutti questi fantomatici superiori ne vengano ritenuti responsabili,” tuonò Imma, incredula di fronte all’attitudine all’insabbiamento che aveva certa gente.

 

“Purtroppo i grandi capi stanno a Londra, dottoressa, e di sicuro non si scomodano di corsa per una cosa di questo genere,” sospirò Pace, come se fosse un fatto inevitabile.

 

“Per me possono pure stare a Tokyo, maresciallo, ma se c’è un omicidio in uno degli stabilimenti della loro azienda, mi aspetto che venga comunicato subito. L’addetto alla sicurezza stesso avrebbe dovuto chiamarvi, senza nemmeno pensare di dover fare tutta sta trafila. Ora dov’è?”

 

“Si trova nel capannone, dottoressa, lo ha già interrogato uno dei miei uomini ma se volete-”

 

“Voglio, Pace, voglio,” ordinò, seccamente: più la giornata proseguiva, più l’incazzatura montava, “lo faccia venire qui, per favore, che almeno non perdiamo tempo.”

 

E non solo per il tempismo impeccabile del povero cristo sfracellato sulla terra sassosa, ma perché aveva la netta sensazione che questo omicidio o suicidio segnalasse che qualcosa si stava muovendo, qualcosa di grosso, tra i vari indagati del maxiprocesso. E un senso di fastidio, l'odore dell'adrenalina nelle narici le suggerivano che, chiunque fosse a tirare le fila, se Romaniello tramite i suoi scagnozzi o qualcuno degli altri gentiluomini della cupola, alla fine chi se lo sarebbe preso in quel posto sarebbe stata lei.

 

Pace, la cui flemma rispecchiava in pieno il suo cognome - e pure oltre - trasalì e si avviò a passo trafelato - che corrispondeva alla velocità normale di un essere umano medio.

 

“Dottoressa, se non ha più bisogno di me, io andrei e darei ordine di rimuovere il corpo,” la voce della dottoressa Telese la fece nuovamente voltare verso il cadavere.

 

“Per quando potrò avere i risultati dell’autopsia, dottoressa?” chiese, sforzandosi di tornare ad un tono civile.

 

“Direi tra un paio di giorni e-”

 

“Dottoressa, lei si rende conto di cosa c’è in ballo con il processo in corso contro la Firex? Non si può anticipare?” la interruppe, i buoni propositi dimenticati, di fronte all’urgenza di sapere di che morte sarebbe dovuta morire lei, pure senza autopsia.

 

“Domani ho già una giornata piena, dottoressa. Posso provare ad inserirla saltando la pausa pranzo, ma dipende da quanto tempo impiegherò ad effettuare le autopsie di oggi pomeriggio e quelle di domattina. Oltre alla possibilità di dover effettuare altre uscite, in caso avvenissero altre morti sospette tra oggi e domani.”

 

Dimmi qualcosa che non so già! - pensò Imma con un sospiro, ma si trattenne dall'esprimerlo ad alta voce e si limitò ad un, “questo caso ha la massima urgenza, dottoressa, la prego di fare il possibile e anche l’impossibile, perché abbiamo addosso gli occhi non solo di tutta la Basilicata, ma di tutta l’Italia, e forse pure oltre.”

 

La dottoressa sospirò e, con un vago “farò il possibile!”, raccolse gli oggetti del mestiere ed iniziò ad avviarsi verso la cancellata di ingresso.

 

Fece in tempo a fare appena tre passi che tirò una scivolata su un sasso, che per poco non ci si schiantava di faccia.

 

Calogiuri, sempre rapido - fin troppo! - si sporse e riuscì ad afferrarla al volo, agguantandola per la vita con un braccio.

 

Imma avvertì, nettissima, una colata di acido nello stomaco, insieme ad una specie di ruggito nel petto e ad un istinto omicida, assolutamente ingiustificato, completamente ridicolo, ma non per questo meno prepotente.

 

“Gra- grazie, maresciallo,” balbettò la pin-up, rivolgendo a Calogiuri un sorriso ed uno sguardo che le provocarono un secondo ruggito interiore, pure peggiore del primo.

 

“Di nulla, state bene?” si sincerò lui, mollando rapidamente la presa e guardando verso i piedi di lei, infilati in due stivaletti tacco sette al massimo - dilettante!

 

“Sì, credo di essermi presa una piccola distorsione, ma riesco a camminare,” lo rassicurò con un altro di quei sorrisi che incrementavano in Imma la voglia di farci finire lei e il suo caschetto sul tavolo autoptico.

 

“Vi accompagno alla macchina, allora,” si offrì lui, cavallerescamente, come al suo solito, lanciando un’occhiata verso Imma come a chiederle il permesso.

 

Ed Imma dovette fare uno sforzo a dir poco sovrumano per cercare di tornare ad un’espressione neutra, perché manifestare la sua gelosia sarebbe stato non solo ridicolo ed umiliante, ma anche profondamente ingiusto verso Calogiuri. La verità era che era l’ultima persona al mondo ad avere il diritto di essere gelosa.

 

Gli fece un cenno di assenso con il capo e si voltò, alzando gli occhi al cielo, per evitare di scoppiare e per mascherare la sua espressione, quando il bagliore del sole, che si rifletteva sulla cima della trivella, la abbagliò per un istante e allo stesso tempo le fece venire un’idea.

 

“Dottoressa, mi scusi!” la richiamò, bloccandola che aveva appena fatto due passi, reggendosi al braccio teso di Calogiuri in un modo di cui sua madre sarebbe stata orgogliosa - o magari gelosa pure lei.

 

“Sì?”

 

“Qualcuno è già salito là in cima?”

 

“Stanno aspettando che arrivino i colleghi dal comando, specializzati in questo genere di lavori.”

 

“Se, campa cavallo! Che ci vuole a salire una scala? Calogiuri, quando hai… finito con la dottoressa, puoi chiedere al maresciallo e al custode chi si occupa della manutenzione sopra le trivelle e se ci fa avere accesso?”

 

“Cioè… vuole salire lei?” le chiese incredula la Telese, con lo sguardo che palesava chiaramente che la ritenesse una folle.

 

“E il maresciallo, se mi accompagna,” disse con un sorriso, incrociando gli occhi di Calogiuri, che le sorridevano tra l’ammirato e l’esasperato.

 

“Agli ordini, dottoressa, mi attivo subito,” proclamò Calogiuri, offrendo di nuovo il braccio alla pin-up, che continuava a guardarla come se fosse ammattita.

 

Fecero pochi passi e la sentì chiedere al maresciallo, sottovoce ma non abbastanza, “ma fa sempre così?”

 

“Sempre! È veramente straordinaria!” la raggiunsero le parole ammirate di Calogiuri, strappandole un sorriso vittorioso.

 

Uno a zero palla al centro per lei.

 

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Afferrò con mano tremolante il piolo successivo della scala, maledicendo internamente la sua voglia di strafare.

 

La verità era che, arrivata fin quassù, il senso di vertigine cominciava a farsi sentire - guarda in alto, Imma, guarda in alto!

 

“Tutto bene, dottoressa?” le domandò una voce sotto di lei: Calogiuri, ovviamente, che la seguiva protettivo, per pararla in caso di caduta - sempre se non si sfracellavano entrambi.

 

Dopo aver interrogato l’addetto alla sicurezza, che si era limitato a ripetere paro paro quanto già riferito da Pace e aveva tenuto la bocca cucita, nonostante tutti i tentativi di fare poliziotto buono, poliziotto cattivo e pure poliziotto bipolare - chiaramente aveva paura, una paura folle, glielo leggeva in faccia - erano stati raggiunti da uno degli addetti alla manutenzione delle trivelle che, con l’aria di chi li riteneva due incoscienti, aveva fornito loro il materiale necessario per la scalata.

 

Elmetto, guanti, giubbetti e calzature protettive indosso - per le quali aveva dovuto tradire il suo tacco dodici - ed imbragati alla bell’e meglio, salivano a passo lento, mancava ancora un terzo della scalata ed iniziava ad essere esausta.

 

“Tutto bene, Calogiuri, occhio a dove guardi, piuttosto!” gli intimò con tono palesemente ironico, visto che gli stava sopra la testa con la gonna che svolazzava al vento.

 

Lo sentì esplodere in un paio di colpi di tosse e non si sforzò nemmeno di trattenere un sorriso soddisfatto: tanto chi l'avrebbe mai visto?

 

Ricacciò indietro quella sensazione di elettricità in tutto il corpo e guadagnò gli ultimi metri, arrivando finalmente, su gambe di gelatina, alla piattaforma più alta.

 

Fece spazio a Calogiuri perché la raggiungesse e si guardarono intorno, sopraffatti dalla bellezza del panorama che si stagliava ben oltre l’orizzonte.

 

Rimasero uno accanto all’altra, in religioso silenzio, ad ammirare quella terra bellissima e martoriata dalle trivelle, l’odore acre di zolfo che permeava l’aria come una cappa ineluttabile.

 

Era un momento assurdamente romantico, perché completamente fuori contesto e fuori posto. Si trattenne a fatica dall’allungare una mano verso quella di lui e si costrinse a rivolgere lo sguardo alla piattaforma, tornando alla realtà.

 

“Dottoressa, cos’è questo?”

 

Si voltò verso il punto indicato da Calogiuri e vide un segno sulla parte superiore della ringhiera, come se qualcosa avesse completamente graffiato ed abraso il metallo. Guardò sotto ed il segno sulla ringhiera era esattamente perpendicolare al luogo del ritrovamento del corpo.

 

“Che vuol dire, dottoressa?”

 

“Non lo so, Calogiuri, ma qui qualcosa mi puzza, e non si tratta dello zolfo.”

 

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“Che… che ne diresti se ci fermassimo a cena da qualche parte?”

 

Sollevò il capo dalla spalla di Calogiuri, dove si era appoggiata non appena lui aveva ingranato la quinta, intendendo rimanerci finché il traffico lo avesse consentito, e lo guardò negli occhi.

 

Era tentata, eccome se era tentata. Alla fine erano le diciannove passate, ora del rientro a Matera sarebbero state le venti, come minimo. Il margine per una sosta imprevista c’era tutto.

 

“Se no, posso cucinarti qualcosa io. Lo spaghetto dell’appuntato ancora non lo hai assaggiato,” propose con uno sguardo tra l’imbarazzato ed il sornione che era assolutamente adorabile e a cui era impossibile dire di no.

 

Sapeva benissimo che, se fossero finiti a casa di Calogiuri, oltre al pranzo avrebbero saltato pure la cena, probabilmente, ma la voglia di stare con lui dopo i giorni di astinenza e di ricordargli tutto quello che lei poteva dargli e che quella pin-up invece non-

 

Che cosa potresti dargli esattamente tu in più, Imma? Il marito che ti aspetta a casa? Tua figlia adolescente? Dieci anni buoni in più e altrettante rughe? O una storia fatta di momenti rubati di straforo e menzogne, invece che una alla luce del sole? - la voce della Moliterni riprese il microfono della sua coscienza, odiosa come sempre e, purtroppo, clamorosamente non in torto.

 

“Fammi fare una telefonata,” rispose, decidendo di prendere il toro per le corna e commettere anche quella follia: la tentazione era più forte di tutto, di qualsiasi grillo parlante e pure dei sensi di colpa.

 

“Imma? Ma dove sei finita, amò?” la voce di Pietro la raggiunse dall’altro capo del telefono.

 

“Ascolta, Pietro. Sto rientrando dalla Val d’Agri… è una storia lunga, ma ormai è tardi e-”

 

“Non dirmi che sarai in ritardo, lo sai quanto ci tiene mamma a questa cena…”

 

E, come in un flash, le tornò in mente la cena dai suoi suoceri, che avevano invitato loro e Vitolo e la Moliterni - quella vera.

 

Freud avrebbe avuto molto da dire su questa sua dimenticanza, ma la verità era che ne aveva voglia quanto di cavarsi un dente senza anestesia.

 

Ed, allo stesso tempo, sapeva benissimo che disertare sarebbe equivalso alla terza guerra mondiale. Per non parlare del fatto che non era certo il caso che prefetto e consorte notassero la sua assenza ed indagassero su dove fosse quella sera e con chi.

 

“Potrei essere un poco in ritardo, Pietro, manca ancora un’ora buona di strada e… e se non mi passo da casa a cambiare credo che a tua madre piglierà un colpo,” sospirò, notando le condizioni di gonna e camicetta dopo la scalata, “inizia ad andare che vi raggiungo appena posso. Tieni buone tua madre e la Moliterni finché arrivo.”

 

Chiuse la chiamata ed incontrò il disappunto negli occhi di Calogiuri, che si limitò a sospirare e ad un laconico, “ho capito, ti riporto a casa più in fretta che riesco.”

 

“Credimi, dispiace più a me che a te, Calogiuri," sospirò di rimando, prendendogli la mano e stringendogliela con tutta la forza di cui era capace.

 

Trascorsero il resto del viaggio in un silenzio carico di malinconia.

 

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"Dai, alla fine non è andata così male, no, Imma?”

 

“No, Pietro, è andata proprio benissimo, guarda!” proclamò, sarcastica, gettando la borsa ed il soprabito sul divano ed avviandosi verso la camera da letto.

 

Dire che fosse stata una cena un poco noiosa, sarebbe stato come dire che sua suocera ce l’aveva un poco con lei.

 

Una riduzione ai minimissimi termini, insomma.

 

“D’accordo, magari la cena non sarà stata il massimo… ma che ne dici se recuperiamo con... il dopocena?” propose Pietro con tono basso e caldo, abbracciandola e posandole un bacio su una spalla, “Valentina è da Bea e abbiamo la casa tutta per noi.”

 

“Pietro…” sospirò, sentendo i muscoli irrigidirsi involontariamente e cercando mentalmente una via di fuga, sebbene un’ondata di senso di colpa le invadesse lo stomaco.

 

Per carità, era una donna e non una santa - tutt’altro, con tutto quello che aveva combinato ultimamente - ed erano tredici giorni che era in astinenza e la voglia ci sarebbe stata eccome. Semplicemente non con Pietro: il suo desiderio nei confronti del marito era sceso ai minimi storici e peggio che mai subito dopo aver passato tutta la giornata con Calogiuri. Se una volta riusciva in un certo senso a sfogare con Pietro gli istinti che reprimeva col maresciallo, avendo la coscienza ancora tutto sommato pulita, ora che la repressione era finita, si sentiva in colpa a farlo. Nei confronti di entrambi. E poi… e poi dopo aver provato l’oceano, la piscina di casa sembrava improvvisamente ben poco eccitante, purtroppo.

 

Lo sapeva perfettamente che non era giusto nei confronti di Pietro, come praticamente non era giusto quasi tutto del suo comportamento degli ultimi tre mesi, che fosse assurdo pretendere da un rapporto ventennale la stessa passione della novità, che se avesse continuato a mandarlo in bianco - le volte in cui avevano fatto l’amore da agosto in poi si contavano sulle dita di una mano, e di dita ne avanzavano pure - rischiava non solo di ferirlo tremendamente, ma anche di buttarlo tra le braccia di un’altra donna - non che non se lo sarebbe meritato.

 

Quando il maschio non sa dove beccare, poi diventa uccel di bosco! - le ricordò la voce di Vitali, in uno dei suoi momenti di più becero maschilismo.

 

Ma la verità era che, pur ignorando se valesse anche per il maschio, di sicuro, a beccare fuori casa, a lei passava la voglia di farlo dentro le quattro mura domestiche. E non sapeva se sperare in un antidoto o che Pietro ad un certo punto si rassegnasse e la smettesse di insistere, almeno per un po’.

 

Quasi a sbeffeggiarla, sentì le mani di Pietro insinuarsi sotto la gonna ed iniziare a sollevargliela - era talmente sovrappensiero che non si era nemmeno accorta dell’assalto che proseguiva, o quasi. Gliele bloccò rapidamente, udendo chiaramente Pietro sospirare di frustrazione nella sua schiena.

 

“Imma…”

 

“Scusami, Pietro, ma sono veramente troppo stanca,” pronunciò, accogliendo la seconda colata di senso di colpa nella gola, scostandogli del tutto le mani e voltandosi per guardarlo negli occhi, anche se avrebbe preferito evitare, “oggi… oggi è stata una giornata infernale. Mi sono pure dovuta arrampicare su una trivella petrolifera e-”

 

“Hai fatto che cosa??!!” esclamò, sbigottito, strabuzzando gli occhi, “Imma, ma sei impazzita?!”

 

“Hanno rinvenuto un cadavere allo stabilimento della Firex, Pietro. C’è il maxiprocesso in corso e-”

 

“E ovviamente è proprio il sostituto procuratore che deve scalare le trivelle, non tutto il corpo di polizia giudiziaria e non, che al massimo evidentemente sono qualificati per farti d’autista,” proclamò Pietro con un sarcasmo che non era da lui ed Imma per un secondo si gelò, chiedendosi se ci fosse una stilettata ben poco velata verso Calogiuri e se Pietro avesse qualche sospetto su di lui, su di loro.

 

“Certo che sono qualificati per farlo, Pietro, e pure molto bene!” non potè trattenersi dal ribattere, aggiungendo, in un sibilo, “ma è stata una mia scelta e non ti permetto di dirmi come devo o non devo fare il mio lavoro!”

 

“E infatti non mi permetterei mai di dirti come fare o non fare il tuo lavoro, Imma. Ma è proprio questo il problema: scalare trivelle a mani nude non è il tuo lavoro, porca miseria! Già hai i rischi del mestiere tuo, vuoi prenderti pure quelli degli altri?”

 

In anni di matrimonio raramente aveva visto Pietro tanto infervorato. E sapeva benissimo che i motivi di tanta foga, da parte di entrambi, erano solo in minima parte riconducibili alle trivelle, ma a ben altro genere di frustrazione. Pietro era arrabbiato con lei e lei… lei era arrabbiata con se stessa, soprattutto.

 

“E allora meglio non prendersi nessun rischio, no, Pietro? Meglio non prendere rischi, non prendere posizioni, non prendere decisioni, magari non vivere neppure, già che ci siamo, almeno non si rischia mai di sbagliare, no?” le parole le uscirono senza riuscire a trattenerle, e si sentì una stronza, un’infame, la peggiore delle stronze e delle infami, ma era come se una diga si fosse rotta e fosse esondata tutta d’un botto, come se la collera verso se stessa avesse tirato fuori anche le frustrazioni represse nei confronti del marito in tutti questi anni.

 

Pietro rimase fermo immobile, come paralizzato, almeno per qualche istante, e poi gli vide un’espressione sul volto che mai aveva visto in anni di matrimonio: una combinazione devastante di dolore e rabbia. Aprì la bocca ed Imma si aspettò un urlo che non arrivò mai, perché la richiuse subito, scosse il capo e con un’occhiata che non avrebbe mai scordato, le annunciò: “dormo sul divano!”

 

Afferrò un cuscino e si avviò verso il salotto, sbattendo la porta della camera con tanto fragore che il rumore rimbombò nella casa nemmeno ci fosse l’eco.

 

Imma si lasciò sprofondare nel materasso, le lacrime che non volevano saperne di smettere di uscire, la sensazione di avere rotto qualcosa di tremendamente prezioso e che nessuno, neppure Pietro, pur con tutta la sua passione per rimontare gli orologi, avrebbe mai saputo o potuto ricomporre. Sempre se avesse ancora avuto l'intenzione di farlo.


Nota dell’autrice: Ed eccoci alla fine di questo quinto capitolo. Spero davvero che la storia continui ad essere interessante e soprattutto che la psicologia dei personaggi si mantenga credibile ed in personaggio. Ammetto di essere molto in apprensione da questo punto di vista, soprattutto per l’evoluzione del rapporto tra Imma e Pietro, ma come sempre lascio a voi giudicare.
Grazie mille ancora a tutti coloro che hanno letto la mia storia fin qui e un ringraziamento particolare a coloro che hanno speso o spenderanno un po’ del loro tempo per lasciarmi una recensione, che mi sono davvero utilissime per capire cosa vi piace e vi convince, cosa no, e su cosa posso fare meglio.

Il prossimo capitolo arriverà puntuale la prossima domenica, come sempre.

Grazie ancora!

   
 
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