Siccome
la madre non era andata a salutarla quando era tornata, Noël
pensò che fosse
arrabbiata con lei.
Così,
dopo mille ripensamenti, uscì di fretta dalla propria
stanza, riponendo il
diario e la matita nel cassetto della scrivania.
Andò
dritta verso le scale, bloccandosi al primo scalino.
Un
suono di singhiozzi trattenuti sembrava provenire da qualche parte
della casa: Noël
poteva udirli chiaramente da quella postazione.
Pareva
un pianto silenzioso, o almeno tale voleva essere,
Uno
strascico di lamenti sussurrati, rimasti prigionieri forse troppo a
lungo nella
gola del disperato.
Noël
non ci mise molto a capire di chi si trattasse e da dove provenissero.
Tornò
nella propria stanza a passi lenti, senza chiudere la porta.
Era
sicura che al piano di sotto non ci fosse nessuno e che tutte le
persone
presenti nella casa erano nella camera da letto di fianco alla sua, a
trattenere dei singhiozzi che, se liberati, Noël era sicura
sarebbero stati
feroci e insostenibili.
Chiuse
piano la porta, prendendo nuovamente il diario tra le mani.
A
volte la chiamavo senza sapere, e quando sentivo
rimanevo lì, probabilmente soltanto per darle il tempo di
asciugarsi l'ultima
lacrima.
~
Creutzwald,
Mosella, aprile 2004
Quella
mattina la madre lo svegliò presto e, appena aprì
gli occhi, Denis la vide già abbigliata
e acconciata, chiedendosi quando aveva avuto il tempo di fare tutto
ciò.
Con
voce impastata dal sonno e gli occhi chiusi, aveva chiesto alla donna
se
potesse dormire ancora un po', ma lei lo scrollò con forza,
ordinandogli con
voce irritata di tirarsi in piedi e mangiare in fretta qualcosa,
poiché quella
mattina avrebbero avuto molto da fare.
Tempo
dopo, ripensandoci, Denis si chiese se non glielo avesse domandato
soltanto per
rimanere ancora in quel letto, respirando il suo odore e sfiorando i
capelli
che erano rimasti incollati al cuscino.
Sapeva
che non ci sarebbe stato nulla da fare quella mattina.
Si
alzò, accorgendosi di aver dormito con gli abiti
giornalieri; ma non se ne curò,
pensando che non aveva più importanza.
Non
li avrebbe indossati più.
Si
sciacquò il viso con l'acqua raccolta il giorno prima, e ne
bevve un sorso.
Andò
in cucina e staccò due o tre morsi di pane.
Era
duro e secco, e Denis non aveva fame.
Seduto
su una sedia, osservò la madre armeggiare sul tavolo e per
la prima volta provò
un’ira intensa verso di lei.
Pensò
che forse suo padre aveva fatto bene a lasciarla sola,
perché non si meritava
altro.
Sistemandogli
la chioma chiara, la madre gli venne accanto, guardandolo negli occhi.
«Diventerai
un grande uomo» gli
disse, e lui avrebbe voluto sputarle in faccia il pane che ancora aveva
in
bocca.
Nel
suo sguardo non c'era amore, e Denis non si ricordava nemmeno l'ultima
volta
che la donna gli avesse fatto qualche carezza o dato qualche bacio.
Quando
chiuse la porta della loro povera casa di Creutzwald, il bambino
pensò che non
l'avrebbe vista più nella sua vita.
Si
sbagliava. L'avrebbe rivista cinque anni dopo, in televisione, in un
servizio
che parlava di una donna morta suicida nella sua piccola e povera casa
di
campagna, molto lontano da Parigi e da Montmartre.
Secondo
gli investigatori la donna si era impiccata legando una corda al
soffitto,
senza un apparente motivo.
La
trovarono i suoi datori di lavoro, i proprietari della miniera di
carbone poco
lontano dall’abitazione.
Quel
freddo giorno di aprile, Denis e sua madre ci misero un po' a
raggiungere la
stazione, e quando arrivarono, Sarah e Benjamin erano già
là, con un sorriso
enorme stampato sulle labbra.
Non
ci fu un solo momento in cui Denis mise in dubbio il loro affetto, ma a
sua
madre pensò tante volte, male e bene; ebbe infiniti
ripensamenti, ogni volta
più profondi.
Dopo
otto anni smise di pensarci, ma sapeva che, anche se era morta, lei era
sempre
lì, nella sua memoria, pronta a domandargli chi fosse
veramente e se avesse mai
avuto dei dubbi sui propri genitori adottivi.
E
a suo padre, non pensava più spesso nemmeno a lui.
L'immagine
che aveva creato di lui col tempo svanì come vapore
nell'aria.
Sarah
e Benjamin non sapevano dove vivesse la madre, né come si
chiamasse.
Quel
giorno, prima che il treno partisse, la donna si accovacciò
dinanzi a lui come
quella mattina in cucina, questa volta senza osservarlo negli occhi.
Si
tolse la collana che portava al collo e la mise al suo.
Era
un po' lunga per un bambino come lui, ma la tenne sempre, giorno e
notte, per
otto lunghi anni.
Anche
quando scoprì della morte della madre, anche quando conobbe
Noël.
La
nascondeva sotto la maglietta, non voleva che nessuno la notasse.
Era
come una sorta di segreto, con la sola funzione di ricordargli chi
fosse e da
dove venisse. Qualcosa in cui gli altri non c'entravano nulla.
Probabilmente
l'aveva perdonata.
Forse
l'aveva fatto solo cinque anni dopo, o forse non l'aveva mai odiata
davvero.
C'era
solo una cosa che, nonostante tutto, Denis non riusciva a dimenticare:
il
momento in cui lei alzò lo sguardo e, fissandolo con i suoi
occhi castani e
vuoti, gli disse soltanto una parola, l'ultima che il bambino avrebbe
sentito
pronunciare dalle sue labbra.
Vivi.
Quella
parola non smise mai di far parte della sua memoria, e tempo dopo
decise che
era giunto il momento di metterla in atto.
Dopo
il telegiornale, quella sera, Denis si infilò nel letto e
pianse.
Gettò
lacrime salate, le sentiva bruciargli gli occhi, scendere sulle guance,
nella gola,
lasciando scie infuocate al loro passaggio.
Non
piangeva da anni e non lo aveva fatto nemmeno quando la vide scomparire
lentamente a bordo di un treno.
Prese
in mano il ciondolo della collana, inondandolo di lacrime, portandoselo
alle
labbra e cominciando a baciarlo.
Erano
baci lievi, leggeri, ma portavano con sé dolore e nostalgia,
assenza e anche un
po' di tristezza.
Dentro
di sé sapeva che avrebbe fatto qualsiasi cosa per poter
rivedere anche solo per
un breve istante quei capelli castani appartenenti alla donna che si
era
impiccata nella stessa casa in cui era venuto al mondo.
E
quando comprese che davvero non avrebbe potuto farlo più, un
moto di malinconia
lo invase ancora una volta, liberandolo solo qualche ora dopo in un
sonno turbato
e irrequieto.
Quella
collana di gomma naturale sarebbe stata l'unica cosa che lo avrebbe
legato alla
sua famiglia per sempre.
~
Un'altra
settimana passò in fretta e finalmente la scuola
terminò.
Noël
era riuscita a scampare al rimprovero della madre, che non disse nulla
quando
la vide comparire dietro la porta della propria camera.
Il
giorno prima aveva intravisto Samira fuori dalla scuola, ma sembrava
avere
molta fretta e non la fermò.
Nonostante
fosse giugno inoltrato, la ragazza indossava un cappellino leggero e i
capelli
sembravano essere stati completamente rinchiusi all'interno.
Quell'ultima
settimana avevano passato molto tempo insieme, e Noël non
aveva più dubbi sul
fatto che fosse una ragazzina in gamba e di buon animo.
A
volte la vedeva con Denis, ma quasi le piaceva osservarli mentre
parlavano.
Talvolta
si avvicinava in una postazione in cui era sicura non potessero notarla.
Osservava
le labbra carnose del ragazzo, gli occhi azzurri e piccoli luccicare ai
raggi
del sole.
I
capelli che, con il riflesso della luce, parevano quasi rossi,
nonostante
fossero chiarissimi.
E
il suo viso, la mascella prominente che tanto avrebbe voluto baciare.
Le
piaceva tutto di lui, e più cresceva, più sentiva
di desiderarlo profondamente.
Pensò
che prima di morire avrebbe dovuto assolutamente assaggiare quelle
labbra
rosee, sfiorarle e lambirle ancora, fino ad arrossarle.
Semmai
lo avesse avuto, gli avrebbe indubbiamente lasciato i segni del proprio
passaggio.
Quel
sabato mattina Noël uscì di nuovo a stomaco vuoto,
incamminandosi verso la piazza,
sollevando lo sguardo, osservando la Basilica del Sacro Cuore.
Era
alta e imponente sopra di lei: quel giorno lassù doveva fare
molto caldo.
Attraversò
la piazza, andò oltre le case; si chiese che cosa stesse
facendo Denis in quel
momento.
Pensò
che avrebbe dovuto parlargliene. O forse no.
Forse
era meglio così.
Quando
oltrepassò anche l'ultima casa rosa, vide che la porta del
laboratorio era
aperta.
Così
ci sbirciò all'interno, e, non trovando nessuno,
entrò.
Quadri
di tutte le dimensioni si stagliavano innanzi ai suoi occhi, imponenti
e
profondi.
La
volta prima si erano fermate soltanto dieci minuti, ma aveva avuto modo
di
osservarne la maggior parte.
Ma,
ora che li rivedeva, le pareva di non averli mai visti prima.
Ad
ogni sguardo scopriva qualcosa di nuovo, un particolare che
precedentemente non
era riuscita a cogliere.
Forse
era la solitudine, o forse la paura di essere scoperti.
Soprattutto
il quadro del tramonto, le pareva bellissimo: poteva quasi sentire la
schiuma dell'acqua
sulle dita, il rumore delle onde che si infrangevano sulla spiaggia, la
sabbia
sottile che si deformava sotto al suo tocco.
Sognò
di camminare lungo la battigia, da sola, per la prima volta.
Sognò
il sole svanire dietro l'immensità blu, e il colore del mare
confondersi con il
celeste del cielo pronto ad accogliere la notte.
Sognò
di restare lì, sdraiata sulla sabbia, con un ragazzo biondo
accanto e di
potersi tuffare nuda con lui.
Ma
un rumore improvviso le ricordò che era soltanto un sogno ad
occhi aperti.