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Autore: Sabriel Schermann    09/12/2019    4 recensioni
[SCRITTA NEL 2014]
Vite che si intrecciano all'infinito.
Una storia di crescita, delusioni e amori giovanili.
Esperienze che formano il nostro essere, che plasmano la nostra anima.
L'arte nella sua forma più pura, vista attraverso gli occhi di un'anima creativa.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Siccome la madre non era andata a salutarla quando era tornata, Noël pensò che fosse arrabbiata con lei.
Così, dopo mille ripensamenti, uscì di fretta dalla propria stanza, riponendo il diario e la matita nel cassetto della scrivania.
Andò dritta verso le scale, bloccandosi al primo scalino.
Un suono di singhiozzi trattenuti sembrava provenire da qualche parte della casa: Noël poteva udirli chiaramente da quella postazione.
Pareva un pianto silenzioso, o almeno tale voleva essere,
Uno strascico di lamenti sussurrati, rimasti prigionieri forse troppo a lungo nella gola del disperato.
Noël non ci mise molto a capire di chi si trattasse e da dove provenissero.
Tornò nella propria stanza a passi lenti, senza chiudere la porta.
Era sicura che al piano di sotto non ci fosse nessuno e che tutte le persone presenti nella casa erano nella camera da letto di fianco alla sua, a trattenere dei singhiozzi che, se liberati, Noël era sicura sarebbero stati feroci e insostenibili.
Chiuse piano la porta, prendendo nuovamente il diario tra le mani.

A volte la chiamavo senza sapere, e quando sentivo rimanevo lì, probabilmente soltanto per darle il tempo di asciugarsi l'ultima lacrima.

 

~

 

Creutzwald, Mosella, aprile 2004
 

Quella mattina la madre lo svegliò presto e, appena aprì gli occhi, Denis la vide già abbigliata e acconciata, chiedendosi quando aveva avuto il tempo di fare tutto ciò.
Con voce impastata dal sonno e gli occhi chiusi, aveva chiesto alla donna se potesse dormire ancora un po', ma lei lo scrollò con forza, ordinandogli con voce irritata di tirarsi in piedi e mangiare in fretta qualcosa, poiché quella mattina avrebbero avuto molto da fare.
Tempo dopo, ripensandoci, Denis si chiese se non glielo avesse domandato soltanto per rimanere ancora in quel letto, respirando il suo odore e sfiorando i capelli che erano rimasti incollati al cuscino.
Sapeva che non ci sarebbe stato nulla da fare quella mattina.
Si alzò, accorgendosi di aver dormito con gli abiti giornalieri; ma non se ne curò, pensando che non aveva più importanza.
Non li avrebbe indossati più.
Si sciacquò il viso con l'acqua raccolta il giorno prima, e ne bevve un sorso.
Andò in cucina e staccò due o tre morsi di pane.
Era duro e secco, e Denis non aveva fame.
Seduto su una sedia, osservò la madre armeggiare sul tavolo e per la prima volta provò un’ira intensa verso di lei.
Pensò che forse suo padre aveva fatto bene a lasciarla sola, perché non si meritava altro.
Sistemandogli la chioma chiara, la madre gli venne accanto, guardandolo negli occhi.

«
Diventerai un grande uomo» gli disse, e lui avrebbe voluto sputarle in faccia il pane che ancora aveva in bocca.
Nel suo sguardo non c'era amore, e Denis non si ricordava nemmeno l'ultima volta che la donna gli avesse fatto qualche carezza o dato qualche bacio.
Quando chiuse la porta della loro povera casa di Creutzwald, il bambino pensò che non l'avrebbe vista più nella sua vita.
Si sbagliava. L'avrebbe rivista cinque anni dopo, in televisione, in un servizio che parlava di una donna morta suicida nella sua piccola e povera casa di campagna, molto lontano da Parigi e da Montmartre.
Secondo gli investigatori la donna si era impiccata legando una corda al soffitto, senza un apparente motivo.
La trovarono i suoi datori di lavoro, i proprietari della miniera di carbone poco lontano dall’abitazione.
Quel freddo giorno di aprile, Denis e sua madre ci misero un po' a raggiungere la stazione, e quando arrivarono, Sarah e Benjamin erano già là, con un sorriso enorme stampato sulle labbra.
Non ci fu un solo momento in cui Denis mise in dubbio il loro affetto, ma a sua madre pensò tante volte, male e bene; ebbe infiniti ripensamenti, ogni volta più profondi.
Dopo otto anni smise di pensarci, ma sapeva che, anche se era morta, lei era sempre lì, nella sua memoria, pronta a domandargli chi fosse veramente e se avesse mai avuto dei dubbi sui propri genitori adottivi.
E a suo padre, non pensava più spesso nemmeno a lui.
L'immagine che aveva creato di lui col tempo svanì come vapore nell'aria.
Sarah e Benjamin non sapevano dove vivesse la madre, né come si chiamasse.
Quel giorno, prima che il treno partisse, la donna si accovacciò dinanzi a lui come quella mattina in cucina, questa volta senza osservarlo negli occhi.
Si tolse la collana che portava al collo e la mise al suo.
Era un po' lunga per un bambino come lui, ma la tenne sempre, giorno e notte, per otto lunghi anni.
Anche quando scoprì della morte della madre, anche quando conobbe Noël.
La nascondeva sotto la maglietta, non voleva che nessuno la notasse.
Era come una sorta di segreto, con la sola funzione di ricordargli chi fosse e da dove venisse. Qualcosa in cui gli altri non c'entravano nulla.
Probabilmente l'aveva perdonata.
Forse l'aveva fatto solo cinque anni dopo, o forse non l'aveva mai odiata davvero.
C'era solo una cosa che, nonostante tutto, Denis non riusciva a dimenticare: il momento in cui lei alzò lo sguardo e, fissandolo con i suoi occhi castani e vuoti, gli disse soltanto una parola, l'ultima che il bambino avrebbe sentito pronunciare dalle sue labbra.

Vivi.
Quella parola non smise mai di far parte della sua memoria, e tempo dopo decise che era giunto il momento di metterla in atto.
Dopo il telegiornale, quella sera, Denis si infilò nel letto e pianse.
Gettò lacrime salate, le sentiva bruciargli gli occhi, scendere sulle guance, nella gola, lasciando scie infuocate al loro passaggio.
Non piangeva da anni e non lo aveva fatto nemmeno quando la vide scomparire lentamente a bordo di un treno.
Prese in mano il ciondolo della collana, inondandolo di lacrime, portandoselo alle labbra e cominciando a baciarlo.
Erano baci lievi, leggeri, ma portavano con sé dolore e nostalgia, assenza e anche un po' di tristezza.
Dentro di sé sapeva che avrebbe fatto qualsiasi cosa per poter rivedere anche solo per un breve istante quei capelli castani appartenenti alla donna che si era impiccata nella stessa casa in cui era venuto al mondo.
E quando comprese che davvero non avrebbe potuto farlo più, un moto di malinconia lo invase ancora una volta, liberandolo solo qualche ora dopo in un sonno turbato e irrequieto.
Quella collana di gomma naturale sarebbe stata l'unica cosa che lo avrebbe legato alla sua famiglia per sempre.

 

~

 

Un'altra settimana passò in fretta e finalmente la scuola terminò.
Noël era riuscita a scampare al rimprovero della madre, che non disse nulla quando la vide comparire dietro la porta della propria camera.
Il giorno prima aveva intravisto Samira fuori dalla scuola, ma sembrava avere molta fretta e non la fermò.
Nonostante fosse giugno inoltrato, la ragazza indossava un cappellino leggero e i capelli sembravano essere stati completamente rinchiusi all'interno.
Quell'ultima settimana avevano passato molto tempo insieme, e Noël non aveva più dubbi sul fatto che fosse una ragazzina in gamba e di buon animo.
A volte la vedeva con Denis, ma quasi le piaceva osservarli mentre parlavano.
Talvolta si avvicinava in una postazione in cui era sicura non potessero notarla.
Osservava le labbra carnose del ragazzo, gli occhi azzurri e piccoli luccicare ai raggi del sole.
I capelli che, con il riflesso della luce, parevano quasi rossi, nonostante fossero chiarissimi.
E il suo viso, la mascella prominente che tanto avrebbe voluto baciare.
Le piaceva tutto di lui, e più cresceva, più sentiva di desiderarlo profondamente.
Pensò che prima di morire avrebbe dovuto assolutamente assaggiare quelle labbra rosee, sfiorarle e lambirle ancora, fino ad arrossarle.
Semmai lo avesse avuto, gli avrebbe indubbiamente lasciato i segni del proprio passaggio.
Quel sabato mattina Noël uscì di nuovo a stomaco vuoto, incamminandosi verso la piazza, sollevando lo sguardo, osservando la Basilica del Sacro Cuore.
Era alta e imponente sopra di lei: quel giorno lassù doveva fare molto caldo.
Attraversò la piazza, andò oltre le case; si chiese che cosa stesse facendo Denis in quel momento.
Pensò che avrebbe dovuto parlargliene. O forse no.
Forse era meglio così.
Quando oltrepassò anche l'ultima casa rosa, vide che la porta del laboratorio era aperta.
Così ci sbirciò all'interno, e, non trovando nessuno, entrò.
Quadri di tutte le dimensioni si stagliavano innanzi ai suoi occhi, imponenti e profondi.
La volta prima si erano fermate soltanto dieci minuti, ma aveva avuto modo di osservarne la maggior parte.
Ma, ora che li rivedeva, le pareva di non averli mai visti prima.
Ad ogni sguardo scopriva qualcosa di nuovo, un particolare che precedentemente non era riuscita a cogliere.
Forse era la solitudine, o forse la paura di essere scoperti.
Soprattutto il quadro del tramonto, le pareva bellissimo: poteva quasi sentire la schiuma dell'acqua sulle dita, il rumore delle onde che si infrangevano sulla spiaggia, la sabbia sottile che si deformava sotto al suo tocco.
Sognò di camminare lungo la battigia, da sola, per la prima volta.
Sognò il sole svanire dietro l'immensità blu, e il colore del mare confondersi con il celeste del cielo pronto ad accogliere la notte.
Sognò di restare lì, sdraiata sulla sabbia, con un ragazzo biondo accanto e di potersi tuffare nuda con lui.
Ma un rumore improvviso le ricordò che era soltanto un sogno ad occhi aperti.


   
 
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