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Autore: MaikoxMilo    09/12/2019    7 recensioni
Atene, fine XX secolo.
Sono passati oltre duecento anni dalla fine della Guerra Sacra che sconquassò i destini di Shion dell'Ariete e di Dohko della Bilancia, unici sopravvissuti al conflitto. Il mondo è andato avanti, tutto è cambiato, nulla è come prima, eppure qualcosa forse è rimasto, un'impronta, una parvenza. Nulla sarà più come prima, eppure i nuovi Cavalieri d'Oro sono finalmente riuniti al Santuario di Grecia, le anime liberate dal Lost Canvas dopo la distruzione di Hades hanno finalmente trovato un nuovo corpo in cui reincarnarsi e tornare a vivere. Ancora una volta uniti. Ancora una volta come paladini della giustizia. Eppure... l'ombra è in agguato, un'ombra scura e malvagia, che attaccherà il Santuario dall'interno, forse proprio per mano di uno dei più potenti Cavalieri d'Oro.
Questa storia, pur appartenendo alla mia serie principale "Passato... presente... futuro!" è fruibile a tutti, essa vede come protagonisti i futuri Cavalieri d'Oro, che crescono, imparano a conoscersi, a sviluppare il cosmo, e che dovranno affrontare i timori, le paure e i doveri a metà strada tra il mondo della fanciullezza a cui ancora appartengono, e il sacro compito a cui sono destinati ad assurgere.
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aquarius Camus, Gold Saints, Leo Aiolia, Scorpion Milo
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Passato... Presente... Futuro!'
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Capitolo 1: Un luogo troppo grande per te

 

 

 

Atene, novembre 1994

 

 

“E questo sarebbe il futuro Cavaliere di Aquarius? Sembra lo abbiano già pestato ripetutamente!”

“Con quel fisico così gracile non camperà un giorno!”

“Non è all’altezza… si regge maldestramente in piedi e la sua pelle è assai pallida. Non è idoneo a ricoprire un incarico così alto tra le schiere dei Dorati Custodi!”

“Ma almeno si sa perché è già conciato così?!?”

Di tutti quei discorsi, Camus, il futuro Aquarius, non capiva niente e, tutto sommato, neanche gli importava, continuando a farsi trascinare dalla mano del Vecchio Shion che, lento, incedeva davanti a lui, con la solita composta eleganza che la gente abbinava difficilmente ad un anziano, ma lui era il Grande Sacerdote di quel luogo, un uomo fuori dagli schemi, anche se, effettivamente, tutti gli abitanti del tempio lo erano.

Camus manteneva lo sguardo basso, del tutto incurante dalle occhiate curiose e dal vociare intorno a lui. Non uno guardava in faccia. Non uno era degno della sua attenzione. La gente del posto parlava una lingua strana, una lingua che lui, dal basso dei suoi 5 anni e ¾, non aveva mai udito. Non li comprendeva. Non era interessato a comprenderli.

Il viaggio era stato lungo ed estenuante. Le ferite gli facevano ancora male, le giunture erano scricchiolanti, i muscoli bruciavano ad ogni movimento, così come le ossa, che avvertiva come rotte, sebbene non fossero tali. Aveva dormito per larga parte del tragitto, prima in treno, poi in aereo, poi ancora in bus. Il nobile Shion era meticoloso negli spostamenti, non voleva attirare l’attenzione utilizzando i suoi poteri speciali, scelta strana, Camus non si ricordava perché. A dirla tutta, non si ricordava nemmeno il perché fosse così ferito e dolorante.

Ciò che però rammentava era che qualcosa gli si era rotto. Dentro. Facendolo precipitare nuovamente nel vortice di un mondo grigio e inconsistente; un mondo dal quale, questo lo rammentava, gli sembrava di essere fuggito, di essersi salvato. Nonostante questa consapevolezza, ora vi era nuovamente intessuto dolorosamente dentro. E non poteva uscirne.

“Camus, non preoccuparti se non capisci quello che dicono gli altri, imparerai molto presto a comunicare in greco con loro, del resto sei un bambino molto intelligente e dotato, ti sentirai frastornato, ma passerà in fretta, vedrai!” lo incoraggiò Shion, con un largo sorriso.

Il piccolo Camus gli regalò una fugace occhiata, poco prima di abbassare nuovamente il capo, amorfo. Shion sospirò, mordendosi un labbro. Un peccato… era stato un peccato mortale separarlo dalla sua famiglia, lo sapeva, ne avrebbe accettato e preso la colpa.

Camminarono ancora un po’ in silenzio, arrivando così ad un anfiteatro contornato da colonne greche. Lì si fermarono, permettendo così al piccolo Camus di guardarsi un po’ intorno, pur non manifestando emozioni. Era di sicuro affascinante il luogo, ma non importava dove, o con chi, fosse, era stato strappato da casa, ovunque andasse non percepiva altro che freddo, un gelo insidioso ed estenuante. Per questo Camus, il futuro Aquarius, non mostrava interesse per nulla, rimanendosene lì, chiuso e corrucciato nella sua intimità.

Poco dopo dei passi vicino a lui lo indirizzarono verso destra, permettendogli di distinguere un altro bambino, arrivato lì come dal nulla, leggero come una piuma.

“Maestro, sono felice che siate tornato! Non è da voi impiegare così tanto in una missione, ho avuto paura che vi fosse successo qualcosa!”

“Ciao, Mu, sono felice di vederti! Scusami se ho dovuto allontanarmi per un periodo di tempo così lungo, non sei abituato, ma ti vedo comunque in gran forma!” lo salutò affabile Shion, sorridendogli con dolcezza.

“Ho continuato gli allenamenti come mi avete ordinato. Tutto bene la missione?”

“Non avevo dubbi, Mu, sei un bambino molto meticoloso! E, per la missione, sì, ho avuto più difficoltà del previsto, ma alla fine ecco qui l’ultimo Cavaliere d’Oro mancante. I 12 sono finalmente riuniti!”

A questo punto gli occhioni verdi di Mu passarono a scrutare profondamente l’altro bambino in maniera gentile e discreta. Non era bello fissare gli altri per un lungo periodo, ma quel piccolo che sembrava in tutto e per tutto suo coetaneo aveva dei profondissimi occhi blu, grandi come pochi. Quegli occhi… avevano già certamente visto qualcosa di terribile, così vuoti ma al contempo così brillanti. Vi era l’universo, come in tutti loro futuri Cavalieri d’Oro, ma in quel bambino c’era forse qualcosa di più.

“Ciao, piacere! Io sono Mu! E tu come ti chiami?” gli chiese con gentilezza, allungando il braccio nella sua direzione e regalandogli un largo sorriso.

Non ottenne risposta, portandolo poco ad abbassare il braccio, dispiaciuto.

“Oh, Mu… non pretendete troppo da lui, non ora! Non capisce il greco ed è un bambino molto chiuso, gli ci vorrà del tempo per aprirsi. Si chiama Camus, è nato il tuo stesso anno ma a febbraio. Ho preferito farlo conoscere prima a te, visto che sei un bambino molto pacato e tranquillo, a differenza degli altri!”

“Ho capito, Maestro Shion! - sorrise sempre gentilmente Mu, tornando a concentrarsi sul nuovo arrivato – E’ un piacere conoscerti, Camus! Ti ci vorrà un po’ ma ti troverai bene qui, benvenuto a bordo!”

Il piccolo Camus di quei discorsi, non capiva un’acca, aveva intuito gli avesse rivolto una domanda, probabilmente per chiedergli chi fosse e Shion aveva risposto per lui, ma comunque, a dispetto del sorriso bonario, parlavano due lingue diverse e incompatibili.

“Mu, volevo portarlo io stesso all’undicesima casa dell’Acquario, ma i miei doveri mi obbligano a recarmi prima al Sacro Tempio di Atena. Puoi farlo tu al posto mio? Se vedi che è troppo stanco per fare tutte quelle scalinate, aiutalo, ne viene da una esperienza assai brutta. Se puoi non fargli domande!”

“Certo, Maestro!”

Parlavano la stessa incomprensibile lingua tra loro, cosa che fece isolare ancora di più Camus nel suo mondo, almeno finché Shion non tornò a parlare a lui, tramutando la sua parlata nuovamente in italiano, l’unico linguaggio comprensibile tra loro due, giacché il vecchio Shion non conosceva molto bene il francese.

“Camus, ti lascio nelle mani di Mu, puoi fidarti di lui, ti porterà nel luogo che, da ora in poi, chiamerai casa. Passerai lì la notte, un letto è stato adibito per te dalle inservienti. Domani, all’alba, mi recherò da te, ti farò fare un giro del luogo, spiegandoti come muoverti e ti darò tutte le informazioni che vorrai! Ci vediamo presto, piccolo!” gli disse, regalandogli una carezza sulla fronte che meravigliò non poco Mu, non avvezzo ad un simile spettacolo. Camus non disse niente, ma aveva capito. Annuì brevemente, poco prima di abbassare nuovamente il capo, estraneo a quell’ambiente per lui inospitale. Di casa ce ne era solo una, questo non sarebbe mai cambiato.

Aspettarono che il vecchio Shion se ne andasse, poi il piccolo Mu decise di prendere la parola, attirando così l’attenzione di Camus, ancora frastornato da tutti quegli avvenimenti. Il bimbo dagli occhi gentili e dalle strane macchie viola sulla fronte, che prendeva il nome di Mu, gli sorrise di nuovo genuinamente, tanto da far sorprendere non poco il piccolo e timido Cammy: come poteva lui, un bimbo suo pari, far sentire gli altri così bene con un semplice sorriso? Quale era il segreto? Lui… lo aveva dimenticato… aveva dimenticato come si sorrideva, si sentiva mutilo.

“Se sei riuscito a far aprire così spontaneamente il Maestro Shion devi essere un bimbo speciale, Camus! Spero che, quando ti abituerai a questo luogo, potremo diventare buoni amici!”

 

 

* * *

 

 

Erano le tre di pomeriggio quando la vedetta Aiolia, soprannominata Lia, diede l’allarme. Si diresse a tutta birra verso la spiaggia delle colonne antiche, dove sapeva per certo di trovare gli amici, intenti ad allenarsi, i più giudiziosi, o a giocare tra loro, del tutto presi dal loro ruolo di bambini e non di futuri sacri custodi della giustizia.

“Nuovo arrivato!!! Nuovo arrivato!!!” esclamò infatti il piccolo Leone, precipitandosi a capofitto contro Milo, il quale, intento a saltare la corda attaccata ad un ulivo, inciampò e finì a terra sopra l’amico di sempre.

“Eccola di nuovo qui la piaga disturbatrice… - lo salutò Shaka, aprendo un occhio. In effetti doveva imparare a stare con gli occhi chiusi per sviluppare il cosmo, ma non gli riusciva ancora bene, pertanto accolse la via di mezzo: una palpebra chiusa e l’altra aperta in una muta ma educata espressione di sorpresa – Cosa succede questa volta?”

Aiolia intanto stava sotto Milo, entrambi erano scoppiati a ridere per il modo in cui il leoncino era piombato sulla scena e l’amico gli era caduto addosso come un sacco di patate. Comprendendo che non avrebbe ottenuto subito una risposta, Shaka sospirò, chiudendo di nuovo gli occhi e muovendo la testa rassegnato. I suoi compagni erano davvero stupidi, certe volte. Come pronosticato, non ottenne più alcun segno, se non quando Aldebaran, un bambino assai alto e massiccio per la sua giovane età, non si avvicinò incuriosito.

“Lia, cosa hai visto per essere così tanto agitato?”

“Ah, giusto!!! Ho visto Mu accompagnare un bambino taciturno dai capelli blu su per le scale del tempio, deve essere l’ultimo Cavaliere d’Oro!” si ricordò Aiolia, dandosi una manata in faccia.

Di colpo quel discorso interessò Milo, che si ricompose subito e si alzò in piedi, desiderosa di carpire di più.

“Un nuovo amico?” chiese speranzoso, gli occhi praticamente a cuore alla sola idea di fare una nuova conoscenza. Era sempre così lui, sveglio, vivace e ottimista, era il più piccolo del gruppo, con i suoi 5 anni appena compiuti, ma di gran lunga uno di quelli più attivi e dinamici.

“Qu-questo non lo so… Non parlavano lui e Mu, e se un bambino non riesce a parlare con uno come lui, così gentile e affabile, non so se potrà aprire bocca con noi… - si chiese dubbioso Aiolia, improvvisamente corrucciato – Forse… forse ha dei problemi!”

“Naaaaaaaaah, Lia, vedrai che riusciremo a portarlo dalla nostra parte, sarà un nostro compagno, non possiamo non essere amici!” trillò felicemente Milo, tutto agitato. Fosse stato un cane avrebbe di sicuro scodinzolato.

“Non lo so, Milo, non so...”

“Cosa potrebbe mai andare storto? Vedrete che riusciremo a...”

“O forse vuole semplicemente farsi gli affari suoi! - lo troncò sul nascere Shaka, minatorio – Non è che tutti voglio diventare amici di tutti! Non è che tutti vogliono diventare amici tuoi, Milo!”

Milo per tutta risposta gli fece pernacchie e gli mostrò il didietro tutto traballante, ancora più certo delle sue convinzioni.

Shaka sospirò per l’ennesima volta, tornando a meditare, isolandosi nel suo mondo. Non si poteva dare attenzione agli animali ottusi e istintivi, pertanto lasciò perdere, sicuro di essere nel giusto e pertanto godendosi il beneficio della superiorità.

“Pensiamo a qualcosa per dargli il benvenuto, per farlo sentire subito a casa! Si sentirà solo, poverino!” propose ancora Milo, iperattivo come non mai: ormai farselo amico era diventata una questione irrinunciabile, così avrebbe gliela avrebbe fatta vedere a quel guastafeste di Shaka!

Aiolia fece per aprire bocca, a metà strada tra l’enfasi del compagno e gli ultimi dubbi che gli ronzavano in testa, ma l’arrivo dei bambini più grandi, Death Mask e Aphrodite, lo fece ammutolire all’istante. Ringhiò, un’unica volta.

“Se vi state riferendo al nuovo venuto, lo abbiamo visto anche noi! E’ un bel bambino, pallido ma strutturalmente perfetto, se non avesse quel grosso livido in faccia e non zoppicasse!” intervenne Aphrodite, di due anni superiore a loro, già un Cavaliere d’Oro nel portamento. Aveva visto il nuovo venuto mentre girava con l’amico Deathy per il tempio, perdendo tempo negli allenamenti, e lo aveva trovato adorabile, ma… troppo debole. Non era solito mischiarsi con gli altri, se non con il futuro Cancer, ma quell’argomento meritava un approfondimento generale.

“Come, un livido sul volto? Di già? Lo hanno… picchiato?” chiese Aldebaran, dispiaciuto dalla rivelazione, che così grande e grosso aveva anche un cuore grande, forse il più grande di tutti.

“Non ne sappiamo niente, però come ha detto Shaka, non sembra particolarmente portato al dialogo, non ha mai parlato a Mu, e lo abbiamo pedinato per un pezzo di strada” continuò Aphrodite, andando ad annusare un olivo nelle vicinanze, colpito dalla fragranza che emanava.

“Anche questo è un comportamento sbagliato!” lo redarguì Shaka, tornando per l’ennesima volta a contemplare qualcosa che gli altri non vedevano.

Milo, dal canto suo, si scaldò, scontento che gli amici non gli davano la giusta fiducia. D’accordo, magari il nuovo venuto era timido… e quindi? Lui lo avrebbe fatto parlare!

“Io sono sicuro che...”

“Meglio per te se lasci perdere, pidocchio! Non è utile per te né per noi perdere tempo a conoscere un morto!” si aggiunse spietatamente Death Mask, masticando un ramoscello d’albero con grande mostra dei denti. Era più alto dei piccoletti e di Aphrodite, forse addirittura aveva un anno in più rispetto a quest’ultimo ma non si pronunciava sull’effettiva età. In ogni caso, la sua frase infelice attirò le ire del gruppo dei piccoli e persino il fastidio di Shaka che, disturbato da una simile frase, aprì gli occhi e lo guardò torvamente.

“Ritira quello che hai detto!!!” urlò Milo, provando a dargli un calcio nello stinco, del tutto vano. Death Mask infatti lo aveva fermato con il solo palmo della mano, in modo da non farlo avvicinare, il tutto mentre la piccola furia umana si dimenava come un ossesso, roteando i pugni in aria e provando a rompere il muro, inutilmente.

“Non è gentile quello che hai detto, sai?” gli fece eco Aphrodite, infastidito dai suoi modi.

“Non è quello che hai pensato anche tu?”

“Sì, ma gli do una possibilità...”

“Vana! Ahahahahahahah!!!”

Milo intanto era sempre più furente, stava diventando un fatto personale, anche se non conosceva ancora quel bambino misterioso, ma gli stava intrinsecamente simpatico.

“Ce lo hanno insegnato… non è solo la prestanza fisica a contare per diventare Cavaliere d’Oro!” sciolinò magistralmente Aiolia, ricordando gli insegnamenti del fratello. Era fratello di un Dorato tra i più puri, se non le sapeva lui certe cose!!!

“Sì, ma è fatto proprio male! Mingherlino, pallido, tappo, già ferito… siamo seri, dai, quello, se gli soffi, vola via e tanti saluti!”

“E poi magari ti da un pugno in faccia e ti spacca quel naso orribile che ti ritrovi!!!” esclamò in tutta fretta Milo, ancora intento nel suo operato di picchiare il compagno più grande.

“Ehi, il mio bellissimo naso, chiunque lo tocchi, si troverà con due costole rotte – ribatté Death Mask, spingendo via il moccioso con l’ausilio del solo dito indice. Milo rotolò diversi metri più in là, subito soccorso da Aldebaran e Aiolia, grintosi – Vedete? Posso questo perché sono potente, se non si ha la forza sono solo parole al vento!” disse, tronfio e supponente.

“Brutto….” si rialzò Milo, desideroso di vendetta, ma Shaka intervenne, stavolta prontamente.

“Finitela con questa pagliacciata! Disturbate me, la quiete e i sassi con il vostro rumoreggiare bagordo e infantile! Il silenzio è sacro, va rispettato, se non si hanno cose intelligenti da dire, e voi non lo state facendo, anzi, non lo siete nemmeno!”

Ovviamente di quel discorso pochi capirono, ma fu abbastanza per far terminare quella ridicola litigata. Shaka poteva dirsi soddisfatto.

“Comunque era solo un consiglio: fate come volete ma non affezionatevi troppo, morirà presto!” disse come commiato, poco prima di fare un cenno ad Aphrodite e allontanarsi dai piccoletti con baldanza.

“Io non mi arrendo… ora questo bambino lo voglio proprio conoscere!” affermò Milo, sempre più certo delle sue convinzioni, ormai andava come un treno, non l’avrebbe fermato più nessuno.

Aldebaran e Aiolia si ritrovarono pienamente d’accordo, anche se con qualche remora in più. Non erano certi sarebbero diventati amici, ma conoscerlo quello sì, assolutamente, non c’era neanche da starci a pensare!

“Prima di tutto dobbiamo chiedere delucidazioni a Mu quando tornerà giù dalle Dodici Case, lui lo ha conosciuto direttamente e ha buon giudizio, così ci faremo una idea sul bimbo!” propose Aldebaran, pratico.

“Io non ho bisogno di queste sciocche meditazioni, me lo farò amico e...”

“Mediazioni, vorrai dire!” lo corresse Shaka, puntiglioso.

“Ed io cosa ho detto?! Meditazioni!”

“Lasciamo perdere che a venirti dietro divento scemo anche io!” sospirò Shaka, arreso, assumendo nuovamente la posizione del loto e disinteressandosi dei suoi giovani compagni.

“Tu non verrai con noi, Shaka?” chiese gentilmente Aldebaran, non volendo escludere nessuno, anche se, effettivamente, la futura Vergine si escludeva da sola.

“No, Aldy, grazie… è lampante che questo bambino abbia bisogno di stare da solo, non gli rovinerò questo progetto seguendo lo sciocco piano di Milo, che riuscirà solo a farlo chiudere a riccio di più, o peggio...”

“Ecco, bravo, non venire che intanto non ti vogliamo!”

“Milo!!!”

“E’ la verità! Se questo bambino è veramente così chiuso non serve la pedelleria di Shaka!”

“Pedanteria…. Pedanteria! Non usare termini che non sai neanche cosa significhino, li storpi e basta e passi per poco intelligente!”

“Meglio poco intelligente che senza cuore come te! E allora andiamo, miei prodi!” fece strada il piccolo Milo, mettendosi alla testa del piccolo gruppo di guerrieri e avventurieri, il cuore già ricolmo del desiderio di diventare amico del nuovo venuto. A tutti i costi!

 

 

* * *

 

 

Le tenebre erano calate presto quel giorno, portando la quiete in quel luogo misterioso e immenso, troppo immenso per lui. I dintorni erano calmi. Il suo animo no.

Aveva fatto il giro con il bambino di nome Mu, che gli aveva mostrato i templi e lo aveva accompagnato al suo, situato quasi in cima alla montagna; da lì si poteva godere di una vista senza eguali: là in fondo il mare, lontano vi erano le luci della grossa città di Atene che riflettevano il loro chiarore sulle nuvole -il piccolo Camus si ricordò che quel fenomeno veniva chiamato inquinamento luminoso- e poi ancora, dietro al tempio, la cima del monte, il bosco fitto che abbracciava quel luogo in un misto di fantasia e realtà. Sembrava tutto così magico, eppure non una di quelle cose riusciva ad emozionare il piccolo, seduto sugli scalini del tempio, avviluppato nella coperta che aveva portato da casa insieme a poche altre cose.

Era tutto meraviglioso, già, eppure davanti a tutta quell’immensità che pure lo affascinava, non provava altro che il nulla. Soffriva solo di una grande nostalgia e desiderio di tornare a casa, talmente tanto che gli veniva da piangere, ma non lo fece. Aveva promesso di non farlo mai più. Lo aveva promesso a sé stesso e… alla sorellina. Il pensiero tornò a lei e fu davvero difficile trattenere un singhiozzo dentro di lui, quasi come scacciare il pizzicore degli occhi. Si strinse ancora di più alla coperta per ricercare il calore, aveva indosso solo la maglietta e i pantaloni senza la sua felpa preferita, che non aveva portato con sé, esprimendo il desiderio di tenerla a casa. Forse avrebbe potuto riscaldare la sorellina, farle percepire la sua presenza, il suo odore, come lui percepiva quello di lei tramite quella stessa coperta, che aveva utilizzato molto spesso per coprire sé stesso e la sorellina quando si intrufolava nella culla per dormirle vicino. E poi… e poi il vecchio Shion gli aveva detto che presto si sarebbe abituato al gelo, perché lo avrebbe controllato, pertanto non occorreva coprirsi di più di così, doveva solo acclimatarsi.

Il bambino di nome Mu era stato molto gentile con lui, non parlavo la stessa lingua, ma si faceva capire a gesti, lo aveva pure preso per mano per rassicurarlo, e lui in tutto quello non aveva fatto assolutamente nulla, se non discostare lo sguardo timido. Mu, impavido, non si era scoraggiato, intestardendosi ancora di più, come un vero e proprio montone che non si scoraggiava al primo assalto fallito. Era stato paziente e gentile ma mai noioso, Camus gli avrebbe sorriso se solo avesse ricordato come fare. Dopo il breve giro turistico, lo aveva portato lì, come gli era stato detto dal vecchio Shion e, sempre cordialmente, se ne era andato, lasciandolo a tu per tu con i suoi pensieri, con le sue malinconie, con il suo mondo perduto. Lì era rimasto, muovendosi solo per prendere la coperta dallo zaino e avvolgersi, odorando ancora della fragranza di casa e del profumo di fiore di sua sorella, tenero e delicato come nessun altro. Si era ritrovato ben presto ad abbracciare la coperta e sdraiarsi sulle scalinate di quel tempio che avrebbe dovuto chiamare casa ma che non odorava di tale. Si era coricato senza aver curiosato in quel luogo magico, si era coricato e basta, chiudendo gli occhi e nascondendo il viso in quel tepore. Poteva ancora immaginare di essere là con sua sorella. Poteva. E si era addormentato aggrappandosi con tutto sé stesso a quel pensiero.

Nel tempio sottostante, intanto, la missione, capitanata da Milo procedeva a gonfie vere, Mu si era unito alla ciurma ed erano dunque quattro, non molti ma indispensabili, il piccolo Milo non poteva che essere gonfio di orgoglio: come comitato di accoglienza erano perfetti!

Ma qualcuno aveva dei dubbi…

“Amici, io non so se facciamo bene… Camus è molto schivo e timido, si trova in un ambiente nuovo e, come ho appurato io stesso oggi, tende a irrigidirsi in presenza di troppa gente!” fece notare Mu, un poco agitato dalla possibile reazione del bimbo.

“E’ per questo che siamo in 4! Abbiamo fatto fuori i rognosi come Shaka, i cattivi come Death Mask e i più grandi come Aiolos e Saga! Ci siamo solo noi, che siamo i migliori e i più simpatici!”

“Sarà… ma forse dovevate dar retta a Shaka quando vi ha consigliato di non andare!” continuò Mu, sempre più interdetto.

Si fidava del giudizio del bambino biondo; lui stesso, che aveva passato il pomeriggio con il piccolo Camus, condivideva la sua impressione. Era meglio non affrettare le tappe, ma Milo era ottuso e testardo come pochi, non seguiva mai i consigli degli altri.

“Lo conosciamo solamente! - provò a tranquillizzarlo Aiolia, dandogli una pacca sulla spalla – Sarà un nostro compagno, mi sembra giusto presentarci, poi se non vorrà diventare nostro amico ci mancherebbe, intanto noi...”

“Vorrà diventare sicuramente nostro amico!” esclamò categorico Milo, affrettando il passo per salire all’undicesima casa. Gli altri sospirarono sonoramente, a metà strada tra il divertito e il rassegnato: quando il loro amico si metteva in testa una cosa, o si fissava su un punto, non c’era verso di distoglierlo. Incorreggibile!

“Mu, come ti sembra questo Camus?” chiese incuriosito Aldebaran, sempre il primo interessato al parere dell’amico, considerato comunemente dal gruppetto come il più saggio e perspicace. Non per niente era stato scelto come allievo dal Grande Sacerdote Shion in persona!

Come vi ho detto, è molto chiuso, non parla la nostra lingua, ma ho avuto una buona impressione su di lui. In più il Maestro Shion si è lasciato andare ad un gesto di affetto e ad un sorriso sincero, cosa non di tutti i giorni! Deve essere un bimbo davvero speciale!”

“Se è così davvero lo voglio conoscere!” rispose il grosso e buono Aldebaran, trovando nuovo slancio.

“E penso che non ci vorrà molto, Aldy! Eccolo là!” affermò improvvisamente Aiolia, indicando un punto nel buio.

“Dove?! Dove?!?”

“Ssssssh, Milo! Abbassa il tono che lo svegli, sta dormendo!”

“Da qui vedi che dorme?!? UAU!!!”

La vista di Aiolia era straordinaria, riusciva a vedere sempre un po’ più in là degli altri, come un felino, spesso a distanze inimmaginabili. Sembrava un predatore innato.

Il piccolo gruppetto di esploratori ridusse la velocità di salita delle scale nell’ultimo tratto, sebbene Milo fremesse come un birillo colpito dalla palla. La luna era piena, per cui si poteva vedere con nitidezza. Spensero le torce.

Arrivarono finalmente all’undicesimo tempio e si diressero vicino al fagotto che aveva indicato Aiolia, mantennero le distanze per prudenza e, al contempo, per non far svegliare il bambino profondamente addormentato. Milo, non seppe nemmeno spiegare perché, ma avvertì il cuore accelerare di un colpo nello scorgere quel visetto pallido e menomato da un grosso livido violaceo. Ebbe immediatamente l’impulso di approcciarsi a lui per toccarlo, ma Mu, lesto, lo prese per un braccio, scuotendo la testa.

“Mu… è lui?” chiese Aiolia sottovoce, rapito a sua volta da quel visetto rischiarato dalla luna e in apparenza così fragile.

“Sì, è Camus… si è addormentato qui, dove l’ho lasciato, abbracciato alla coperta!” rispose Mu, accennando un passo nella direzione del piccolo.

Effettivamente era assai gracile di costituzione, in testa aveva una marea di capelli ribelli che però gli ricadevano tranquillamente sulle spalle, creando un ossimoro tra la cresta, così insubordinata, e gli altri ciuffi, che invece scendevano già dritti e composti. Era abbracciato alla coperta ma non più avvolto da essa. A giudicare dalla maglietta scomposta, troppo leggera per quel gelido novembre, non stava passando affatto sonni tranquilli.

“Non ha… non ha freddo?” chiese Aiolia, avvicinandosi a sua volta a quel corpicino raggomitolato su se stesso, con le mani intente a stringere la coperta che si era portato da casa e le ginocchia piegate verso il busto.

“Dovrà diventare Cavaliere di Aquarius, se non ricordo male, colui che presiede alle energie fredde, ma… ma è troppo prematuro adesso, rischia di ammalarsi!- biascicò Aldebaran, preoccupato per quel piccolo che, ad occhio e croce, era molto più fragile di lui – Aspettate qui, vado a trovare un’altra coperta dentro e gliela porto, perché non sembra volersi separare da quella!” si propose ancora, sparendo poco dopo tra le colonne.

“Che strano bimbo… non ho mai visto un possibile Cavaliere d’Oro così apparentemente indifeso, la sua espressione è sofferente e, cosa ancora più stramba, è riuscito a ad ammutolire Milo!” espose i suoi dubbi il giovane leone, teso.

Effettivamente il bambino dagli occhi azzurri, il più piccolo tra loro, stava in silenzio da un po’, più di quanto lo era mai stato. Sia Mu che Aiolia cominciarono a preoccuparsi.

“Ehi, Milo? Milo!” gli diedero poi delle gomitate, non ottenendo altre reazioni.

“E’ bellissimo, non trovate?”

I futuri Ariete e Leone si squadrarono, perplessi.

“Per gli dei, Milo, non dire cose strane ora!”

“No, è la verità… è bellissimo nella sua fragilità!”

“Ehm, bene… e… - biascicò Aiolia, inarcando un sopracciglio, poi però fu attirato dai movimenti del piccolo, che si stava cominciando ad agitare nel sonno – E ora cosa gli succede?”

“Incubi...” ne dedusse Mu, nello stesso momento in cui anche Aldebaran stava tornando con una coperta recuperata in uno degli armadi dell’undicesima casa. Vedendo che la situazione stava peggiorando, si precipitò da loro.

“E ora cosa ha il piccolo?”

“Urgh… urgh...”

“Sta avendo un brutto sogno, non so cosa sarebbe meglio fare per… Milo! Cosa combini?”

Il bambino dagli occhi azzurri aveva infatti annullato le distanze con il corpicino steso a poca distanza da loro, accarezzandogli leggermente i ciuffi sopra la fronte. La situazione parve bloccarsi, almeno finché Camus, rivoltandosi dall’altra parte in un gesto inconsapevole, non lo scacciò via.

“Sta proprio male...”

“Grazie, Milo, ce ne eravamo accorti, sai? La domanda è ‘cosa fare’? Avvertiamo i più grandi? Avvertiamo il Grande Sacerdote? Non dovremmo essere qui!” si chiese retoricamente Aiolia, agitato a sua volta da quell’avvenimento.

Camus nel frattempo si era girato in posizione supina, il respiro corto, rotto e gli occhi serrati in un’espressione sofferente, il visetto sudato. Nel compiere quel movimento, la maglia gli si era parzialmente sollevata, lasciando così intravedere, sul fianco sinistro, un segno violaceo che tutti i bambini, lo sapevano bene, non avrebbe dovuto esserci. Quel segno ingiurioso destò l’interesse di Milo che, quasi fremendo, avvicinò la sua mano a quella zona.

“Milo, stai attento! Camus è molto agitato, potrebbe farti male senza volerlo!”

“Bisogna vedere cosa ha, no? Altrimenti come lo aiutiamo?”

“Non sono cose di nostra pertinenza, non siamo curatori, inoltre credo che Camus sia già stato...”

“Non ha importanza, Mu! Sta male, voglio sapere perché e aiutarlo! Guardalo come sta soffrendo, non posso lasciarlo solo!” rispose ottuso Milo, prendendo tra le dita il tessuto della maglietta del piccolo e sollevandola un poco in modo da scoprire il pancino.

A quel gesto, tutti i futuri Cavalieri d’Oro presenti ammutolirono, percependo appena la gravità di quello che, molto probabilmente, il piccolo doveva aver passato prima di giungere lì. Solo Milo, fremendo, trovò il coraggio di aggiungere qualcosa.

“Qualche codardo deve averlo picchiato!” arrivò subito alla conclusione infervorandosi; conclusione che condivideva anche con gli altri suoi amici e compagni. Mu si intromise ancora una volta.

“Sì, quelli sono i segni di un pestaggio… ma, come puoi vedere tu stesso, Milo, l’ematoma è in lento ma graduale riassorbimento! Lo hanno già medicato, deve essere stato il Maestro Shion, non c’è nulla che possiamo fare meglio di lui!” gli fece notare con educazione.

E aveva ragione. Il vistoso livido che pure copriva interamente il fianco sinistro di Camus fino ad arrivare quasi all’ombelico, andava da un colore violaceo ad uno giallognolo, fino a mischiarsi in tutto e per tutto con il colore della sua pelle sui bordi. Tuttavia non era il solo, altri ne aveva, di più piccole dimensioni e forse anche qualcuno sulla schiena, ma per saperlo avrebbero dovuto girarlo, e non era il caso.

“Che razza di bestia di Satana può averlo ridotto così?!?”

Milo spesso usava espressioni forti a cui il vero significato sfuggiva, a volte parlava per ‘sentito dire dei grandi’, perché i suoi genitori non li aveva mai conosciuti. Se una frase gli piaceva la utilizzava, punto, tanto poi ci avrebbero pensato Shaka o Mu a spiegarli il reale valore di quel modo dire.

“Non lo so, non ci è dato saperlo, l’importante è che stia presto meglio!” disse ancora Mu, mantenendo prudentemente le distanze come invece non faceva il piccolo Milo, che se ne stava lì, a rimirare quel livido abnorme per un esserino così piccolo e indifeso. Subito la rabbia, che non si era mai attenuata, montava come un temporale, facendogli stringere i denti e destare una furia cieca. Era vergognoso picchiare un bambino, ancora di più se così candido e delicato. Ebbe come la sensazione di un affronto insanabile che meritava di essere punito.

“Milo, dai, ricoprilo e spostati che gli mettiamo una coperta, o forse meglio portarlo nel letto?” chiese Aiolia, apprensivo, guardando Aldebaran.

“No, amici… io sono grosso e imbranato, non chiedetemi di spostare una creatura così fragile, ho paura di romperlo!” confidò Aldebaran, grattandosi la testa.

“E allora lo copriamo solo… Milo!” richiamò ancora una volta l’amico, in quel momento a gattoni sopra il dormiente. Continuava a tenergli la maglietta sollevata e a guardarlo intensamente, come se si trattasse di un suo tesoro prezioso appena ritrovato.

“Un attimo ancora… - biascicò il futuro Scorpione, del tutto preso da quello che stava facendo – Chi ti ha fatto del male, Camus? Cosa ti è successo?” gli domandò quasi lo avesse già conosciuto. Milo era sempre stato strano, sotto certi aspetti, ma per i suoi amici quella fu la prima volta che la sua stranezza oltrepassava gli schemi in quella maniera.

Il respiro del piccolo Camus era ora regolare e perfettamente bilanciato con i movimenti dell’addome, sembrava in fase di risveglio, Milo lo capì, per questo stette ancora lì, più del dovuto: voleva vedere assolutamente i suoi occhi, li voleva vedere ancora una volta e di nuovo, dopo moltissimo tempo. Automaticamente la mano libera si posò sul pancino di Camus, più caldo del dovuto. Ne ebbe una sensazione strana, invertita, e si ricordò di come, forse in un’altra vita, quello stesso tocco sulla sua, di pelle, fosse stato invece un refrigerio per lui, un’ancora di salvezza.

“Milo!!!”

“Forza! Apri gli occhi, li vorrei rivedere!” lo incitò ancora una volta, speranzoso.

E Camus fece quanto chiesto, lentamente, come guidato da un impulso più forte.

Milo sorrise raggiante: erano davvero blu, lo erano per davvero!!! Lo sapeva! Lo sapeva!!!

“C-ciao, Camus, io sono Mil...”

Ma Camus, focalizzandolo sopra di sé, cacciò un vero e proprio urlo e, per istinto, con il braccio sinistro, gli diede una gomitata dritta nel naso per spintonarlo via.

Quello che successe dopo, per Milo, fu un insieme confusionario e ricolmo di colori, i suoi amici Cavalieri d’Oro urlarono a loro volta, colti di sorpresa, lui si sentì il naso di colpo rovente ma trovò altresì buffa quella situazione che si era creata tra loro. Non vide cosa fece Camus, ma quando riuscì di nuovo a guardarlo, diversi metri più in là, era in piedi ritto con la coperta stretta sull’addome, come a volersi proteggere.

In tutto quel frastuono Milo, grondante di sangue dal naso, scoppiò a ridere a tutta forza, procurando nuovamente sconcerto in Aiolia, lanciato a soccorrerlo.

“Ma allora ce l’hai la forza, e che forza!!! Avevamo paura a muoverti perché sembravi così fragile, e invece!!!”

Que faisiez-vous?!?

Il sorriso di Milo si spense irrimediabilmente quando si accorse che non parlavano la stessa lingua. Quello era un grosso problema. Camus lo fissava sgomento dall’altra parte, il più lontano possibile da quella marmaglia che si era ritrovato aprendo gli occhi. Si sentiva violato da degli sconosciuti ed era una spiacevolissima sensazione. Non aveva sentito nulla fino a poco prima, ma riprendere la coscienza in quel modo lì, con un bambino che, oltre ad invadere il suo spazio vitale lo aveva pure toccato con noncuranza, lo ripugnava sopra ogni altra cosa. Si chiese come era stato possibile rendersene conto così tardi.

“Beh… lo hai fatto arrabbiare, ma almeno ora conosciamo il suo timbro vocale!” cercò di stemperare la tensione Mu, sentendosi colpevole dello stato emotivo del piccolo. Aveva fatto tutto Milo, era vero, ma era lui che ce lo aveva portato, eppure il Maestro Shion si era raccomandato di andarci con i piedi di piombo.

Pouvez-vous savoir qui vous êtes?!?”

“Credo si stia domandando chi siamo...”

“Mu!!! Ma allora tu lo capisci?!? Puoi comunicare con lui?!?” ribatté Milo, del tutto ammaliato, incurante di star continuando a perdere sangue dal naso.

“No, ma il tono mi fa presagire quello! - rispose, avvicinandosi all’amico – Ehi, Milo, vieni qua, che stai sanguinando!” lo acciuffò poi, premendogli un fazzoletto sul naso come un tampone.

“E’ francese… credo di averlo riconosciuto!”

“Lo sai parlare, Aldy?”

“No, mastico solo un po’ di italiano perché la nonna di mia madre era italiana, aspettate che ci provo, magari lo capisce di più che il greco!” si propose l’immenso e magnanimo toro, alzando le braccia in direzione di Camus con l’intento di mostrarsi il più amichevole possibile.

“Noi, ehm, amici… sei tu Camus, vero? Nuovo venuto?”

“Sono io, sì...” gli rispose prontamente il piccolo nella seconda lingua conosciuta, mantenendo comunque le distanze e non smettendo di guardarli torvamente.

Nel frattempo, nel gruppetto dietro, Milo era ammutolito dal fazzoletto, mentre Aiolia e Mu si scambiavano occhiate ricche di significato.

“Parla già perfettamente due lingue e ha solo 5 anni, potrebbe gareggiare con te, Mu! commentò Lia, ammirato.

“Il Maestro Shion aveva detto che era un essere speciale!”

Nel frattempo Aldebaran continuava, cercando di destreggiarsi alla ben meglio in quella lingua che conosceva appena, unico modo per comunicare col piccolo.

“Bene, noi siamo tuoi compagni: io Aldebaran, da sinistra a destra Aiolia, Milo, quello che hai colpito, e Mu. Siamo...”

“Non mi interessano i vostri nomi propri, cosa fate qui?” lo bloccò subito Camus, che sembrava ancora più inviperito rispetto a prima. Il dialogo non stava andando molto bene, lo capì pure il gruppetto dietro.

“...Conoscere te!”

“Bene… io non sono interessato, potete andare cortesemente via?”

Secco, lapidare. Aldebaran boccheggiò più volte, frastornato da quel tono così severo e dagli occhi così atrocemente freddi a dispetto dell’aspetto così fragile e debole.

“Scusaci davvero, noi...”

Ma Milo, sempre ottuso, come suo solito, si discostò dagli amici per avvicinarsi al bambino dagli occhi blu, per niente convinto di arrendersi.

Reste là!”gli intimò lapidario, allontanandosi di un balzo. Se già tutti quei bambini, ad eccezione di Mu, non gli ispiravano fiducia, meno di tutti avrebbe permesso che proprio lui si fosse ulteriormente avvicinato al suo spazio vitale, lui che aveva osato azzerarlo così impunemente.

“Camus, non avere paura di noi, siamo tuoi...”

“….amici!” concluse per lui Aldebaran, in italiano in modo che capisse.

“Amici? E chi vi conosce?! Io ho un altro concetto di amicizia, e voi state usando questo termine con noncuranza. Non siamo amici, non siamo nemmeno conoscenti! - esclamò Camus, punto sul vivo – E ora cortesemente andate via da qui, non voglio amici, voglio stare da solo!” troncò sul nascere ogni possibile rapporto, stringendo la copertina conto di sé e scappando all’interno del tempio, nelle stanze private, certo che nessuno lo avrebbe seguito.

E nessuno effettivamente lo seguì per quella notte, ma nei piani di Milo, il futuro Scorpio, tutti quegli avvenimenti furono tutt’altro che un deterrente, furono anzi da monito per dare il tutto e per tutto per entrare, o meglio, rientrare in quel cuore ferito e grondante di sangue che un tempo era stato tutto per lui.

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Non avendo già abbastanza storie da proseguire e pubblicare, eccomi con una nuova long, incentrata sulla crescita dei nostri amati Gold. Come scritto nella descrizione, essa, pur facendo parte della raccolta di Fic incentrate sulla mia serie principale, è fruibile a tutti, perché sono pochi i riferimenti che metterò in essa e quasi tutti convergeranno sul personaggio di Camus che, come al solito, è il protagonista.

Praticamente di lui viene mantenuta la datazione della mia serie (che lo vede nascere nel 1989) e il fatto che ha una sorella, mentre per i riferimenti sul perché delle sue condizioni fisiche, cosa comunque non pertinente ai fini della trama, vi devo rimandare a dei capitoli futuri della “Melodia della neve” ma questo, come detto, non influisce su questa storia, accessibile invece a tutti.

Ci sono invece dei riferimenti al Lost Canvas, come avete potuto leggere, perché io lo considero il vero passato dei Cavalieri d’Oro, mi perdonino i fan del Next Dimension...

Bene, per dovere di completezza, vi allego un breve schemino sulle età dei personaggi, se posso tratterò, chi più chi meno, tutti i Cavalieri d’Oro e i loro rispettivi rapporti. Ecco qui quindi le età dei personaggi ad ora:

 

Camus: 5 anni e ¾ (come ama ripetere lui XD)

Mu, Aldebaran, Shaka e Aiolia: 5 anni

Milo: 5 anni appena compiuti (per me è il più piccolo dei Gold)

Aphrodite: 7 anni

Death Mask: 8 anni (anche se non ama dirlo XD)

Shura: 8 anni

Saga: 13 anni

Aiolos: quasi 13

Shion e Dohko: più di 200 anni

 

Come sempre, ringrazio calorosamente tutti coloro che mi seguono e… al prossimo giro! ;)

  
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