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Autore: _Lightning_    09/12/2019    4 recensioni
[INCOMPIUTA]
«Mi sembrava che ne avessi bisogno,» sussurra Natasha, con voce velata, e Tony sorride appena a quello sfoggio di spavalderia che sanno entrambi essere inutile.
«Decisamente,» non la contraddice, ma aumenta un poco la stretta e sente la sua farsi quasi disperata a sottolineare quanto ne avesse bisogno anche lei.
Come se quell’abbraccio potesse alleggerire il dolore di entrambi, o fonderlo in modo da renderlo più comprensibile, meno oscuro.
Non sa se Natasha lo stia trascinando verso il basso per piantare un ormeggio sicuro, o verso l’alto, a fluttuare incerto a mezz’aria. Ma sfiora la terra con la punta dei piedi e rimane lì, in equilibrio, in bilico con lei.

In un universo in cui lo schiocco ha reciso e distrutto legami, chi è rimasto è costretto a ricostruirli, ritrovarli, o crearne di nuovi, con il costante interrogativo di quanto sia giusto andare avanti quando ci si è lasciati così tanto dietro.
[pre-Endgame // Hurt-comfort // IronWidow + Pepperony // PoV Tony]
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera, Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate, Violenza
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Coordinate
 
 
"All the things that worry me
All the things you don't believe
I've been told just what to do
Where to look and point my view
All the things that I could be
I think I learned in therapy
Am I just a shadow you drew?"

[It Comes Back To You – Imagine Dragons]
 

 
Gennaio 2019, Complesso dei Vendicatori

Natasha l'ha ingannato.

Doveva aspettarselo. Dovrebbe essere sempre sul chi vive, con lei. Invece ha abbassato la guardia, perché dopo tre giorni passati a vegetare in camera propria, sudando alcol e imprecando costantemente contro i sintomi dell'astinenza leniti solo dai liquori formato tascabile che gli fornisce lei stessa, avrebbe accettato la compagnia di chiunque. Persino Rhodey si è tenuto a debita distanza, e ha fatto capolino da lui solo una volta. Un'occhiata gettata dallo spiraglio della porta, fugace, accompagnata da un sospiro al contempo frustrato e sollevato e dallo scatto della serratura subito dopo. Non l'ha trattenuto, è stato troppo orgoglioso per farlo.

E adesso Natasha l'ha ingannato. Ha un mal di testa così atroce che ha a malapena compreso cosa gli abbia detto esattamente per farlo alzare dal letto, ma si è lasciato convincere a vestirsi e ad uscire dalla sua stanza con la promessa di un rimedio efficace contro quella tortura auto-imposta. Invece l'ha spinto là dentro a tradimento per poi chiudergli la porta alle spalle, tagliandogli la via di fuga.

Stringe le labbra, amareggiato per esserci caduto come un bambino, e tiene lo sguardo piantato a terra mentre se ne sta a piedi penzoloni dal lettino, seminudo e con Bruce che gli ausculta intento cuore e polmoni. Ha dei lievi capogiri per i respiri profondi che gli ha detto di prendere, ma non si lascia sfuggire una sola protesta. Fa scattare lo sguardo attorno a sé come una tigre in gabbia, esaminando il cubicolo per le visite che occupa un angolo dell'ala medica, e contrae impaziente le dita dei piedi, spronando mentalmente Bruce a darsi una mossa. Lui stacca in quel momento il sondino dello stetoscopio dalla sua schiena smagrita, con un cenno d'assenso.

«Stenditi,» lo invita in tono privo d'inflessione, cambiando rapido strumento d'analisi e ficcandosi gli auricolari di quello nuovo e apparentemente identico nelle orecchie. [1]

Tony medita se fare qualche battuta sarcastica e scontata sul fatto che sembra non avere alcuna intenzione di lasciarlo andare via, ma si limita a trattenere un'alzata d'occhi al cielo ed eseguire. Sente il sondino freddo premergli contro l'addome, spostandosi a intervalli regolari, aggirando la cicatrice slabbrata e sensibile sul fianco; trattiene una smorfia e appunta lo sguardo al soffitto.

Non gli sono mai piaciuti i medici, né gli ospedali. Pepper diceva sempre, in parte a ragione, che era ipocondriaco e iatrofobico: una combinazione nefasta per i suoi nervi. Trattiene un lieve sospiro e scaccia il ricordo con veemenza, prima che gli si appanni la vista. A prescindere da tutto, non è comunque sulla sua lista di desideri farsi visitare da un ex-amico e collega che non vede da anni e con cui ha ancora un dissidio irrisolto riguardante un superbot omicida fuori controllo. Se non altro, l'altro si sta comportando in modo estremamente professionale. Sembra molto dottor Banner e molto poco Hulk.

«Potresti sentire un po' di dolore,» lo avverte in quel mentre, scostando il fonendoscopio ed esercitando poi col palmo una lieve e mirata pressione sul suo plesso solare.

Tony strizza appena gli occhi quando un sordo, molle fastidio gli risale le viscere, come se fossero compresse in uno spazio ancor più ridotto del normale, e non gli serve una laurea in medicina per capire che non è un buon segno.

«Uh, per ora sento solo uno schifidol nella pancia,» borbotta tra i denti, mascherando a fatica il disagio.

Bruce mugugna qualcosa tra sé, apparentemente contrariato, lancia un'occhiata accigliata alle sue costole sporgenti e completa il check-up medico forzato esaminandogli gli occhi e costringendolo a guardare in almeno cinque direzioni diverse prima di ritenersi soddisfatto. Tony sopporta quell'ultimo esame con insofferenza che ormai non si cura di celare più di tanto.

«Bene, possiamo escludere qualunque rischio di cirrosi epatica,» conclude infine Bruce, spegnendo la torcetta con uno scatto.

Tony scuote la testa, chinando il capo e massaggiandosi le palpebre ad attutire le chiazze luminose.

«Bevo da qualche mese, non da qualche anno,» bofonchia, un po' risentito. [2]

«Non sei mai stato un esempio di salute perfetta: volevo solo essere sicuro,» gli fa notare Bruce, assumendo un cipiglio severo.

Lui si sfrega in un riflesso nervoso lo sterno martoriato quasi a dargli ragione, e non trova di che ribattere.

«Quindi? Adesso sono libero?» chiede, scendendo dal lettino e recuperando i pantaloni senza aspettare di ricevere un consenso.

«Tra un attimo,» lo ferma Bruce, alzando un indice e mettendo nel frattempo da parte i campioni di sangue che gli ha prelevato poco fa.

Tony sbuffa sonoramente, ma finisce di rivestirsi e invece di fuggire rapidamente da lì si poggia contro il lettino a braccia incrociate, in attesa con le mani affondate nelle tasche della felpa. Osserva Bruce e si chiede quando mai l'abbia visto sereno da quando lo conosce. Crede che in questo momento si stia superando, per quanto riguarda le inquietudini, ma non dovrebbe stupirsi: ha delle occhiaie livide che fanno concorrenza alle sue e, anche se non nota un dimagrimento percepibile a occhio nudo, ha le guance pallide, la barba poco curata e i capelli ingrigiti che necessitano di una urgente spuntata. Forse "potatura" sarebbe un'espressione più corretta. Si passa una mano tra i propri, anch'essi troppo lunghi, e si dice che prima o poi dovrà decidersi a tagliarli, invece di sembrare una controfigura più malmessa di se stesso appena tornato dall'Afghanistan.

Si schiarisce la gola, a spronare Bruce prima che l'emicrania gli spacchi in due la testa con la sua mannaia, e questi distoglie l'attenzione da quella che sembrano le sue anamnesi e cartelle mediche fornite dallo SHIELD. Rassetta i fogli con un colpo secco sopra al tavolino e li posa ordinatamente sulla cartellina. Tony coglie una foto di se stesso dieci anni prima, che ricambia il suo sguardo dalla carta con una certa arroganza. Già... ha visto decisamente giorni migliori. Bruce rimane seduto di fronte a lui, tamburellando sui documenti, e sembra incerto su cosa dire.

«So che non sono la persona con cui vorresti parlare,» esordisce poi, con cautela, quasi avesse a che fare con un ordigno inesploso.

«No, ti fermo qua,» lo interrompe Tony, scuotendo una mano. «Non voglio parlare con nessuno, non prenderla come un'antipatia personale. Natasha mi ha attirato qui con l'inganno, se fosse stato per me...»

«... saresti rimasto in camera tua senza risolvere assolutamente nulla, esattamente nelle stesse condizioni in cui ti ha trovato qualche giorno fa,» completa lui, pungente, e Tony si chiede da quando il mite dottor Banner sia così spigoloso.

«Stronzate,» sbotta in tutta risposta con un po' troppa forza, e gli sembra quasi di sentirsi calare un martello sul cranio per la scossa punitiva che gli invia l'emicrania. «Sono sobrio come un bambino, adesso. Al cento per cento.»

«E come va l'astinenza? Il mal di testa? La nausea? La febbre, i brividi, i crampi e tutto il teatrino?» chiede lui, serafico, poggiando la tempia contro indice e medio e puntellandosi sul tavolino col gomito. «Tra l'altro, se fossi davvero in astinenza completa, saresti probabilmente già in delirium tremens,» aggiunge, sempre con lo stesso tono quasi noncurante. 

Tony serra le labbra fino a sbiancarsele, riuscendo a contare a uno a uno tutti i singoli sintomi da lui elencati, anche se lievemente smorzati, e Bruce sospira.

«Se vuoi, puoi imboccare la porta e andartene, Tony: io non ti trattengo. Magari non ci stimiamo più così tanto da parlare per ore, ma credo che ci rispettiamo ancora abbastanza da non prenderci in giro,» continua, con una punta d'irritazione ben percepibile, e i suoi occhi sembrano farsi più scuri.

Tony si agita sul posto, colto in fallo. Medita se seguire il suo invito e alzare i tacchi, ma si trattiene là, a forza. Con più forza di quella invisibile che lo arpiona allo stomaco e vorrebbe trascinarlo nei suoi fiumi alcolici. Si pianta lì in mezzo a quei flutti e cerca di non farsi trascinare sotto, anche se sarebbe infinitamente più semplice. Ma a lui non piacciono le cose semplici, da sempre.

Gli sembra comunque paradossale fare quel tipo discorso con Bruce. Bruce, che non vede da tre anni. Bruce, lo scienziato sofferente e un po' svampito, dal sorriso gentile, che gli aveva dato la scusa per studiare un manuale d'astrofisica in una notte solo per fare una buona prima impressione con lui, quando di solito quasi ci teneva a farsi odiare da tutti sin dal primo istante. [3] Lo stesso genio tormentato che si è perso per anni nel cosmo profondo, intrappolato in un corpo indesiderato e poi su un pianeta alieno. Che si è dichiarato esplicitamente colpevole per la fine del mondo, come tutti loro. Che forse ha il demone personale peggiore, quello che non gli permette nemmeno di scappare da se stesso. Lo fissa brevemente negli occhi e, in automatico, lascia scivolare la manica della felpa oltre il polso, a coprire meglio l'incisione biancastra che sembra ancora bruciargli pelle e vene.

«Ho bevuto. Un po',» ammette infine tra i denti, senza giri di parole. «Poco, solo per non andare fuori di testa,» aggiunge, guardandolo di sottecchi ed escludendo il ruolo di Natasha dalla sua equazione autodistruttiva.

Bruce sembra rilassarsi un poco a quell'atteggiamento più collaborativo e annuisce appena, aggrottando subito la fronte con fare concentrato. Poi riprende a parlare, e gli pone almeno una decina di domande specifiche sui suoi sintomi e sul grado di dipendenza che ha sviluppato. Tony risponde con stringatezza, martoriato dal mal di testa, riluttante, ancor più quando lo vede prendere un paio di appunti sul tablet, ma si obbliga a non schizzar via di lì come gli sta gridando di fare il suo orgoglio. Si sente troppo esposto, privo di pelle, con la carne viva che pulsa sensibile a ogni refolo d'aria. Continua a passarsi una mano sulla fronte ogni volta che Bruce abbassa lo sguardo, e la trova sempre più rovente, madida. Si sente in una sauna ed è consapevole di avere un aspetto tremendo e sfatto, ben lontano dalla sua solita e disinvolta eleganza. Considera un gesto di estremo tatto l'assenza di commenti da parte dell'ex-collega.

È con sollievo che lo vede fare un cenno apparentemente definitivo e quasi soddisfatto, per poi fissarlo un'ultima volta con fare inquisitore.

«Vuoi dirmi altro?» chiede, vago e specifico al contempo.

Tony corruga le sopracciglia, titubante, perché gli è fin troppo chiaro dove stia puntando con quella domanda: vede quasi l'indice puntato verso la sua testa. Ma non si sente affatto in vena di parlare della propria salute mentale – sempre che ne abbia ancora una. Soprattutto se il suo quadro clinico include voci che non dovrebbe sentire.

Sa che sarebbe sensato dirglielo. Al Dottor Banner, non a Bruce. Vorrebbe separare fisicamente quelle due figure, ma gli sembra un pensiero maligno, rivolto a qualcuno che ha già indiscussi problemi di personalità. Schiocca sommessamente la lingua in segno di diniego e rimane in silenzio, aspettando di essere rimesso in libertà con i suoi pacchetti di pilloline generiche e dei consigli medici sensati che probabilmente ignorerà. [4]

O forse no. Forse no, perché non vuole morire in una pozza d'alcol e vomito come ha costantemente rischiato di fare vent'anni fa. Sarebbe come gettare al vento tutti gli sforzi fatti per uscirne. Tutti gli sforzi di Rhodey, Happy e Pepper per tenerlo alla larga dallo squallore in cui è precipitato di nuovo, non sa neanche bene come. Quasi la sente, la voce di Pepper. Nei suoi ricordi, non per davvero; più che la sua voce, i sospiri rassegnati che si lasciava sfuggire agli albori, quando quasi ogni mattina lo trovava sbronzo, accasciato inerte in luoghi impensabili. Si sente torcere lo stomaco, e non c'entra l'astinenza.

«Tony,
» lo richiama Bruce, distogliendolo, «non te lo sto chiedendo per farmi i fatti tuoi, ma per capire come aiutarti. Professionalmente,» aggiunge, togliendosi gli occhiali da vista.

«L'ultima volta che ti ho parlato dei miei problemi, mentali e non, ti sei addormentato,» mastica Tony, tra i denti.

Bruce rilascia uno sbuffo incredulo.

«Sei seriamente ancora...»

«Sì, no, forse, chissà,» spara a raffica Tony, gesticolando svogliatamente qua e là con mani tremanti e, Cristo, sta sudando troppo e vorrebbe solo scappare di lì, lui che si è gettato a testa bassa in un portale alieno. «Non ha importanza e non è certo il fatto più grave. Il punto è: rimarrebbe tra noi, vero?» chiede, mordendosi un labbro in un tic nervoso e imponendosi subito di smettere. «Tutto questo. Le mie "confessioni cuore a cuore" e cazzate simili. Qui non ho esattamente l'imbarazzo della scelta per quanto riguarda il personale sanitario, sarebbe veramente uno schifo se tu decidessi di...»

«Dovrei sentirmi offeso,» lo interrompe Bruce, cupo. «Molto offeso. Ma capisco che la situazione è quella che è, e che non sono la tua prima scelta. Quindi posso solo dirti che, sì, rimane tra noi. Puoi scegliere se crederci o meno,» conclude seccamente.

Tony si passa entrambi le mani sul volto umidiccio e vorrebbe rimescolarsi i connotati per assumere un'espressione impassibile. Neutrale, e non combattuta e distorta dall'emicrania e dal principio di febbre che va e viene costantemente. Gli sembra di sentirli, adesso, lontani, ma sa che è solo suggestione, perché non ne distingue le parole. È solo suggestione... che però potrebbe diventare realtà un giorno non troppo lontano. Forse. Non sa nemmeno da dove scaturiscano, quei fantasmi, e non è certo la persona più adatta a capirlo... lo ammette a se stesso sentendosi sconfitto, incapace più che mai di dipanare le matasse aggrovigliate della propria mente. Parlare adesso non sarebbe nemmeno chiedere aiuto, quanto esigere un'opinione. Detesta sentirsi giudicato, ma è anche molto allenato a lasciarsi scivolare addosso i giudizi altrui, e porsi sotto questo punto di vista fa sembrare tutto più gestibile. Opinioni, come quelle che gli avrebbe chiesto su un progetto in corso – non Ultron, non deve pensarci – e che avrebbe poi avuto la libertà di ignorare – come in effetti ha sempre fatto.


«Credo...» comincia infine di slancio, scostando una mano e facendo poi una lunga pausa col volto coperto a metà. «Non sono sicuro, è solo una supposizione logica, ma...» nega vigorosamente col capo, negando a se stesso ciò che sta per dire, «... credo di aver avuto delle allucinazioni,» dichiara poi, d'un fiato. «Solo... solo uditive. Niente spettri e fantasmi a spasso qua e là in stile Casper. O forse sì, una volta… una e basta,» aggiunge, in fretta, alzando un indice a sottolineare il concetto.

Lo sguardo di Bruce si fa più acuto.

«Sulla Benatar?» chiede, e quella domanda lo coglie alla sprovvista.

«Uh, no... cioè, non solo. Dopo. Subito dopo e... poi sono peggiorate,» si strappa fuori, immaginandosi di parlare a se stesso e non con un'altra persona fisica; un concetto che non è comunque molto invitante.

«L'avevo immaginato,» dice lui, mestamente, e si affretta a continuare nel cogliere il suo sguardo interrogativo. «Potrebbero essere sintomi di space dementia [5]. Avevo ipotizzato che avresti potuto soffrirne dopo la tua permanenza nello spazio, ma... ho lasciato correre, perché francamente nessuno di noi era nelle condizioni di prendersi cura di se stesso, o degli altri,» confessa con un mezzo, teso sorriso che sembra di scuse, nonostante tutto. «È per questo che hai ripreso a bere?»

Tony finge di riflettere sulla domanda, mascherando la sorpresa per il suo intuito. D'altronde, sta parlando con un genio con sette dottorati. E problemi di gestione della rabbia che per fortuna sembra aver archiviato. Comprime le labbra, riducendole a una linea sottile, poi annuisce in modo impercettibile. Bruce ricambia il cenno, e sembra concentrarsi.

«E in seguito ne hai avute altre?»

«Non mi sembra, ma... non sono stato la quintessenza della lucidità, ultimamente,» si trova costretto ad ammettere. «Ne ho avuta una... una specie, qualche giorno fa, quando Nat mi ha fatto uscire a calci dal mio antro. Ma forse stavo solo... ero sobrio, ma forse quella volta erano... volontarie?» esita sull'ultima parola, incerto lui stesso riguardo a cosa abbia sentito, o immaginato, che l'ha convinto a venire qui, per poi essere ingannato e farsi psicanalizzare da un ex-mostro verde rabbioso. «Sogni ad occhi aperti, più o meno,» conclude, così in fretta da mangiarsi le parole.

Bruce non fa commenti, né si mostra sorpreso. Tony ha l'impressione che tutti loro abbiano ormai un po' troppa dimestichezza con cose che non dovrebbero esistere.

«Se ti ricapita, dimmelo,» lo invita semplicemente, e Tony conclude che in tal caso quelle famose pilloline sarebbero in deciso avvicinamento.

Prendi dei farmaci? No. Dovresti prenderli? Probabilmente. Gli sfugge un sorriso privo d'allegria e si ripromette poi di non fare alcuna chiamata in Tennessee. Preferisce non sapere. [6]

«Quindi... cosa consiglia il dottore?» chiede, staccandosi dal lettino con tutte le intenzioni di andarsene dopo aver detto molto più di quanto avrebbe voluto, cosa di cui si sta già abbondantemente pentendo.

«Ti consiglia di uscire dalla tua tana, mangiare in modo decente e tenerti lontano in modo definitivo dall'alcol,» risponde Bruce, puntuale.

«Non... non voglio cadere in... in quella cosa orribile che voi fissati del latino continuate a ripetere,» cerca di scherzare lui, senza molto successo e stringendo un palmo fremente. «Ci sono già andato vicino, e non è piacevole,» si acciglia poi, contrariato, e gli sembra di prendere a sudare di più solo al pensiero di quanto fosse stata dura la sua disintossicazione all'epoca – e la sua dipendenza era infinitamente meno drammatica di quella attuale.

Si sfrega la fronte madida, dolorante dall'interno, e vuole solo rimettersi a letto e dormire per tre giorni, se solo non rischiasse di svegliarsi in preda alle convulsioni.

«Se i sintomi si aggravano, ti somministro delle benzodiazepine. E per la storia delle allucinazioni, potresti averne a prescindere: sono un possibile effetto collaterale dell'astinenza. Di quelle ci occuperemo quando sarai completamente sobrio, se dovessero persistere,» spiega Bruce, in modo pacato ma fermo, clinico. «Ignorale, o almeno provaci. Per il resto, devi mettere su peso e ripulirti il fegato che ti sei distrutto,» lo rimprovera poi, con sguardo duro.

«Sissignore,» bofonchia Tony, poco entusiasta.

«E fai un bel po' di attività fisica quando riuscirai a reggerti in piedi senza collassare,» aggiunge ancora, quasi sovrappensiero.

«Attività fisica?» sbuffa Tony, sperando di aver sentito male.

«C'è una maxi-palestra, qui al Complesso: potresti averla notata,» ribatte Bruce, con un sarcasmo inaspettato, per poi sospirare appena. «È principalmente per distrarti e tenerti occupato. Se senti l'impulso di bere, corri una decina di minuti,» spiega poi, in tono un po' rassegnato, come se si aspettasse di venire ignorato. [8]

«Preferivo il classico metodo del "se ti viene voglia, mangia una caramella",» commenta Tony, giocherellando con la zip della felpa e già rivolto impaziente verso l'uscita.

«Non vorrei dovermi occupare anche della tua iperglicemia,» lo rimbecca prontamente Bruce.

Stavolta un'ombra di scherzosità sfiora i suoi occhi pacati, suscitandogli a sua volta un mezzo sorrisetto e un occhiolino spavaldo a mo' di saluto.

 
§


La prima cosa, o meglio persona, che vede non appena esce dalle porte automatiche dell'ala medica è Natasha. Tony alza platealmente gli occhi al cielo e svolta nel corridoio a passo di marcia – più o meno zoppicante – ignorandola. Sente i suoi passi che lo tallonano e vorrebbe avere addosso l'alloggio per nanoparticelle, almeno potrebbe mettersi il casco e insonorizzare l'ambiente circostante per non doverla sentire.

«Allora?» quasi trilla con una giovialità inopportuna, affiancandolo con uno scatto.

«Allora, sei davvero una traditrice. Fatta e finita. Hai un marchio di fabbrica, con copyright e tutto,» borbotta Tony, senza però voglia di mostrarsi davvero risentito, soprattutto perché nel suo stato attuale non risulterebbe molto minaccioso.

Natasha solleva le sopracciglia arcuate senza dare peso alle sue accuse, invitando ancora una risposta. Lui prende un respiro, fermandosi a un passo dall'ascensore per fronteggiarla. Si caccia le mani in tasca e inclina il capo all'indietro, rilasciando poi lentamente l'aria tra i denti.

«A quanto pare, devo darmi all'aerobica,» dice infine, concludendo la frase con un ultimo, secco sbuffo dal naso ad esprimere il suo scetticismo in merito.

Gli sembra quasi di veder brillare gli occhi di Natasha come quelli di un gatto di fronte al topo, e si pente già di aver parlato.

«Questa è un'ottima notizia.»
 

 
 
 
Note:

[1] Per amor di realismo e mia pignoleria, Bruce qui passa dallo stetoscopio, usato per l'auscultazione del torace, al fonendoscopio, preposto a quella dei visceri.
[2] La cirrosi epatica si sviluppa appunto dopo anni e anni di assiduo alcolismo: sarebbe totalmente inverosimile che Tony ne soffrisse. Prendetelo come un segno di sfiducia da parte di Bruce, considerando che non si vedono da AoU. La visita è quanto più possibile realistica, in quanto questa patologia causa, tra le altre cose, ingrossamento del fegato e ittero nelle sclere.
[3] Riferimento al primo Avengers.
[4] Ci tengo a specificare che queste sono opinioni di Tony, in linea col suo personaggio, che non rispecchiano in alcun modo le mie per quanto riguarda la cura e il trattamento di disturbi psichiatrici e/o depressivi.
[5] Disturbo di cui possono soffrire gli astronauti dopo un lungo periodo passato nello spazio. I sintomi includono appunto le allucinazioni, oltre a un senso di profondo isolamento ed estraniamento dalla realtà (che spero sia stato colto nei primi capitoli). 
[6] Riferimento ad Harley Keener, di cui cito le testuali parole che pronuncia in Iron Man 3.
[7] La correlazione tra attività fisica e diminuzione dei sintomi dell'astinenza non è scientificamente dimostrata (o meglio, non vi sono studi specifici al riguardo), ma si è comunque riscontrato un influsso positivo su molti pazienti.


Note dell'Autrice:

Carissimi, riecco il nostro appuntamento settimanale con l'angst :')
In questo capitolo ho ritenuto necessario fornire un po' di specifiche di tipo medico&co.considerando gli argomenti trattati, spero abbiano soddisfatto eventuali domande/dubbi, e in caso contrario sono pronta a smollare papiri indigesti in risposta a vostro rischio e pericolo.

Per quanto riguarda ciò che accade in sé... credo sia ormai palese che vi stia presentando un Tony molto più fragile di quanto faccia/sia di solito (credo davvero che questo sia il suo minimo storico nei miei scritti, e preciso che anche normalmente non lo tratto coi guanti).
Sono consapevole che potrebbe risultare difficile da associare al "nostro" Tony, ma c'è da dire che non ci hanno mai mostrato i suoi momenti di vero e proprio crollo emotivo (in Civil War vediamo la rabbia immediata e non l'elaborazione successiva; in Iron Man 3 si tratta, male, un disturbo che esula dalla pura sofferenza emotiva). Questo per dire che mi sono data un po' di carta bianca, sempre tenendo a mente che lui è uno che col senso di colpa ci va a braccetto, che col passato ha un rapporto controverso a dir poco, e che tenta costantemente di dissimulare ed essere sfuggente. Non a caso la confidenza con Bruce (riguardo al suo stato mentale) è un "falso passo in avanti", compiuto più per scrollarselo di dosso e assicurarsi di non stare così male, che per una vera e propria volontà di lavorare su quell'aspetto (di qui il commento cinico sugli psicofarmaci). Per tutto il resto, c'è la sua collaborazione più o meno imposta con Natasha :')
Scusate lo spiegone, ma essendo tematiche delicate preferisco essere il più possibile trasparente per evitare fraintendimenti.

Grazie a tutti coloro che hanno aggiunto la storia alle loro liste e a chi ha commentato gli scorsi capitoli (e non siate timidi, ogni commento/critica è bene accetto!)
Un grazie in particolare a
_Atlas_ e Miryel, che continuano a supportarmi assiduamente su questo progetto <3
Alla prossima settimana,

-Light-




 
   
 
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