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Autore: Lila May    10/12/2019    1 recensioni
[Orpheus Centric]
Dal testo:
❝Gianluca era in squadra perché Nakata lo aveva pregato di tenercelo, e ciò che Hide suggeriva, era legge per tutti quanti. Ma quel rapporto nocivo tra compagni, quell'odio, continuamente alimentato dalle battute ironiche di Zanardi, continuamente incalzato dai suoi amici stupidi, come Raffaele, o Giacomo, lo stava travolgendo. Paolo non dormiva la notte, pensandovi. Si torturava davanti ai libri, tirandosi i capelli castani, piangendo di nervosismo, ansia.
Era bombardato di accuse, di sguardi torvi, risatine dietro le spalle.
Non erano più una squadra, e forse non lo erano mai stati; Bianchi non voleva credere che sarebbe finito tutto così, a causa di incomprensioni, ingiustizie. L'unico a tenerci, però, sembrava lui. Agli altri non importava nulla, a loro era bastato non fidarsi una volta, e da quel giorno, non fidarsi mai più. Erano stupidi, un branco di imbecilli buoni sono a fare zizzania.
Ed erano imbecilli perché Gianluca per primo lo era, portavoce e portabandiera di un conflitto per cui Paolo si era già arreso, ma non la Orfeo.❞
Genere: Introspettivo, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Gianluca Zanardi, Hide Nakata, Marco Maseratti, Paolo Bianchi/Fideo Ardena
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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S e i    f u o r i    d a l l a    v a l l e    d e i    R e
[Orfeo Italia]


 
 
 


Era una bellissima e luminosa giornata, a Venezia.
Il bagliore del sole giocava a tuffarsi nei vetri trasparenti delle mille finestre delle palazzine; accendeva i loro intonaci intensi, ora brillando il rosso, ora il giallo, o  il rosa, portando con sé un clima di serenità e calma tra le calli intasate di turisti e tra i tavoli apparecchiati di discutibili ristoranti. Sui canali sciava qualche gondola, dondolando incerta sulle onde increspate causate dalle barche.
Paolo avrebbe quasi potuto dire fosse tornata l'estate; ma anni e anni passati ad osservare, dall'enorme e alta finestra di camera sua, i raggi del sole riscaldargli le guance, gli avevano ormai insegnato a percepire il cambio di stagione ancora prima che questo avvenisse. Era dicembre, ma pareva giugno. Sembrava fare caldo, ma si congelava. Congelato era il suo respiro che gli usciva dalla bocca, congelato era il bordocampo quando era arrivato a Sant'Elena, e per la prima volta dopo anni aveva veduto brina, sull'erbetta sintetica del loro campo di battaglia. E l'amico sole era pallido, cercava di brillare a forza, quasi non avesse voglia. E pallido era lui, ora, riflesso sullo specchio ammaccato di disegnini dello spogliatoio della Orfeo.
Paolo era sicuro di essere meteopatico.
Quando c'era il sole, sorrideva, anche col freddo.
Quando era buio, o grigio, o pioveva, tutto in lui svaniva, si ammalava, e il suo corpo si ritrovava sempre disorientato, quasi depresso, stravaccato sul divano a guardare la pioggia cercare di inondargli casa come l'ultima Acqua Alta, che aveva fatto saltare la corrente, e aveva ucciso lui, di dolore, nel tentativo disperato di respingere un evento a cui ancora non aveva fatto l'abitudine.
Quel giorno c'era il sole, eppure Paolo Bianchi si sentiva come durante l'ultima Acqua Alta. Si sentiva di merda. Forse era il suo viso, a non convincerlo, forse erano le occhiaie troppo evidenti, oppure gli occhi blu, i quali alle luci fioche e mezze funzionanti dello spogliatoio, così in penombra, gli parevano due pozzi neri e alieni, e gli facevano paura.
O forse era l'atmosfera.
Forse era sua, la causa di quel silenzio che continuava ad opprimerlo alle spalle, quella sensazione di essere costantemente guardato, e giudicato.
Sospirò, e quell'unico suono da lui emesso riuscì a rompere, seppur di poco, il cheto bisbigliare che proseguiva imperterrito da quando la Orfeo si era lì riunita per il solito allenamento pomeridiano. Paolo non si chiese che avessero da sussurrarsi, così segretamente vicini gli uni con gli altri, né osò voltarsi.
Non voleva affrontare i loro sguardi. I loro occhi delusi, amareggiati. Non ne aveva ancora la forza, e forse non l'avrebbe mai tirata fuori. << Manca ancora qualcuno? O possiamo iniziare? >> domandò, piano, fissando il lavandino e tenendosi forte ad esso.
Silenzio. Gli rispose Marco, il suo migliore amico. << Manca Zanardi. >>
Paolo strinse di più il bordo del lavabo, fino a sbiancarsi le dita.
Lo aveva immaginato. Lo aveva sospettato quando, entrando lì dentro, non lo aveva visto, e si era detto "per certo oggi non si farà vivo." Ma sentirselo dire in maniera tanto ovvia, fu peggio di un pugno nello stomaco. << Qualcuno sa se verrà? >>
Silenzio.
Dovette appellarsi a tutta la sua pazienza per non prendere il cellulare e mandare a cagare Zanardi. Non che Paolo avesse qualcosa contro Gianluca. Entrambi di Venezia, erano cresciuti insieme giocando nello stesso sgombro campiello, usando due pozzi come porte; avevano frequentato insieme le elementari, poi, si erano ritrovati alle medie, e adesso, insieme anche in prima liceo. Non ce l'aveva con lui, ma dopo il FFI erano cambiate tantissime cose, tra loro. Non erano mai stati troppo amici, ma nemmeno nemici. Gianluca lo era divenuto nel momento in cui per tutto il torneo aveva cercato di andargli addosso, senza mai provare a capirlo, senza mai dargli una possibilità di poter dimostrare a lui e alla Orfeo, che fidarsi di quel Mister era stata la loro unica chance per evitare il fallimento. Non lo avevano mai voluto capire. Men che mai Gianluca, così egoista e arrogante da addirittura aver preteso senza consenso di poter comandare tutti quanti. Tutti, al posto suo. Incluso lui.
E a Paolo questa presa di potere non era mai andata giù. << Allora possiamo iniziare. >> sbottò, voltandosi di scatto a fissare la Orfeo.
<< Non lo aspettiamo–
<< No. >> Aspettarlo? Cosa? Seriamente erano intenzionati ad aspettare Gianluca Zanardi, quando lui non aspettava nessuno, si presentava agli allenamenti all'ora che voleva, con seimila ragazze diverse, entrava in campo per fare il belloccio e manco sapeva tenere una palla tra le gambe, eccetto le sue? << Mezz'ora fa dovevate essere tutti presenti. Lui non fa differenza. >>
<< Non la prenderà bene, se non lo aspettiamo. >>
A Paolo non interessava più nulla. Gianluca non prendeva mai bene niente, delle sue decisioni. Non era mai intenzionato a sforzare il cervello, non si impegnava, non gli importava, e qualsiasi scusa era buona per influenzare gli altri e portarli sul suo territorio di guerra. Era un cancro, Zanardi. Lo aveva mostrato al FFI, davanti alle tv italiane, davanti alle altre squadre, e mai una volta che avesse pregato ammenda per i suoi insulti, le sue prese di potere; dall'accaduto con Mister D non si era più placato. Il suo modo di fare ribelle, superbo e scassacoglioni aveva istigato, per così dire, gran parte della Orfeo ad imitarlo. E Paolo, da quell'estate, non era più riuscito a riportare l'ordine, né tra loro, né in sé stesso.
Gianluca era in squadra perché Nakata lo aveva pregato di tenercelo, e ciò che Hide suggeriva, era legge per tutti quanti. Ma quel rapporto nocivo tra compagni, quell'odio, continuamente alimentato dalle battute ironiche di Zanardi, continuamente incalzato dai suoi amici stupidi, come Raffaele, o Giacomo, lo stava travolgendo. Paolo non dormiva la notte, pensandovi. Si torturava davanti ai libri, tirandosi i capelli castani, piangendo di nervosismo, ansia.
Era bombardato di accuse, di sguardi torvi, risatine dietro le spalle.
Non erano più una squadra, e forse non lo erano mai stati; Bianchi non voleva credere che sarebbe finito tutto così, a causa di incomprensioni, ingiustizie. L'unico a tenerci, però, sembrava lui. Agli altri non importava nulla, a loro era bastato non fidarsi una volta, e da quel giorno, non fidarsi mai più. Erano stupidi, un branco di imbecilli buoni sono a fare zizzania.
Ed erano imbecilli perché Gianluca per primo lo era, portavoce e portabandiera di un conflitto per cui Paolo si era già arreso, ma non la Orfeo.
Non si trovavano più. Pareva una situazione irrecuperabile, talmente tanto grave da tenerlo lontano dal pranzo, dalla cena. Lui era il Capitano, non Gianluca. Eppure, non riusciva a risolvere quel problema. Non riusciva a valicare Zanardi, era un muro di convinzione troppo alto.
Era impossibile, e Paolo lo sapeva bene.
<< Andiamo fuori. >>
Al suo ordine, si mosse solo lui. Marco lo salvò appena in tempo prima di vederlo esplodere di rabbia ed inveire su tutti quanti. << Forza ragazzi, andiamo fuori, cominciamo gli allenamenti–
<< Non senza Gianluca. >>
Era stato Raffaele, a parlare.
Paolo scoppiò a ridere, e si portò una mano sul viso, oscurando per un attimo la vista iniettata di rosso rabbioso e lacrime isteriche. << "Raffaele non si muove mai, senza Gianluca." >> recitò in falsetto, e si voltò, cercando Generani. << Non ce l'hai una tua indipendenza? O devi fare tutto quello che Zanardi ti dice? >>
Raffaele non replicò.
Questa volta, però, Paolo non lasciò perdere. Brutalmente offeso dalle parole della punta della Orfeo, si voltò in loro direzione, ancora, cercando con disperazione un ponte oculare che potesse mettere in comunicazione lui con loro, e viceversa. Non lo trovò, ma non gli importò troppo. Dovevano dargli retta. Dovevano riprendersi, tutti quanti, e tornare a collaborare come prima dell'arrivo di Mister D nelle loro vite. Trovò solo Angelo, apprensivo a guardarlo, e Marco, il suo fedele compagno e migliore amico. Nessun'altro all'infuori di loro due. Se la fece bastare, come audience. << Se Zanardi vi dicesse di buttarvi in Canal Grande, voi lo fareste? >>
Gigi provò a dire qualcosa, ma Paolo lo fermò con la mano. << Chi è Zanardi, ragazzi, fate seriamente?! Io sono il Capitano! S-sono io il Capitano, non lui! Non mi avete mai dato retta cazzo, quanto vi costa starmi dietro per un giorno...? Adesso deve esserci lui per forza, o non si può cominciare l'allenamento, merda, fate sul serio–
Fu bloccato dal cigolio della porta d'ingresso, e tutti quanti si voltarono in direzione dell'entrata, ansiosi.
Entrò un fiotto di luce esterna, poi una gamba elegante avvolta in un paio di jeans neri.
Paolo riconobbe il portamento ancora prima di vedere di chi si trattasse. E quando Gianluca Zanardi finalmente si rese presente nello spogliatoio della nazionale italiana, il clima da nuvolo divenne nero, buio e soffocante; una cappa di nebbia indistricabile calò sul viso apatico e disperso di Paolo, il quale deglutì rabbia e cercò di orientarsi in mezzo a quel nulla devastante di cui tanto aveva paura.
Gianluca fu accoltò dai saluti dei suoi amici, ed entrò come se si trovasse a casa sua, in direzione del suo apposito armadietto. Paolo notò immediatamente i vestiti casual. Quel jeans orrendo, e quella felpa giallo canarino davvero sottotono.
<< Gianluca, alla buon'ora! Sempre in ritardo, eh? >> esclamò Angelo ridendo, e gli venne incontro.
<< Sarà stato per una ragazza. >>
<< Solo una, dici? >>
<< Eh, Gianluca...? Allora? >>
Gianluca ricambiò ai pettegolezzi dei compagni con un sorriso, ma nient'altro che un cenno di labbra a smentire le millemila ipotesi sul suo ritardo. Non sembrava in vena di troppo ciacolar, il che era piuttosto insolito, da parte sua. Era sempre il primo a sparare merda sugli altri. Appena valicata la soglia dello spogliatoio diventava una iena. La sua calma glaciale fu d'impatto per tutti quanti, inclusi coloro che di lui conoscevano solo il nome e il modo di fare. Prima di poter aprire l'armadietto, tuttavia, Paolo vi schiantò sopra la mano, e glielo richiuse quasi rompendoglielo.
Gianluca sollevò le iridi azzurre al cielo. Ad implorare un Dio che ancora non aveva teso la mano a nessuno di loro. A Paolo non importò troppo delle sue smorfiettine del cazzo. << Dove diamine pensi di andare, vestito così. >> ringhiò, severo, e a rafforzare il suo disappunto, gli indicò le scarpe da tennis con l'indice. << Ti sembrano scarpini, quelli? Sei venuto per fare jogging o per giocare a calcio?! Parla. Dov'è la tua divisa. >>
Il corvino lo fissò dall'alto del suo metro ben piazzato. << Leva quella cazzo di mano e datti una calmata. Ho la mia roba nell'armadietto. >>
Paolo la tolse, ma non se ne andò da lì per nulla al mondo. << Ho sempre chiesto una sola cosa. >> ribadì conciso, affilato, perché Zanardi recepisse il messaggio ancora una volta. << Di venire già in divisa, in modo da non perdere tempo. Non solo sei arrivato quando cacchio ti è venuto più comodo, ma adesso dobbiamo aspettare un'altra ora te che ti vesti e svesti e rivesti? >>
<< Non sono venuto qui per giocare a fare lo spogliarellista. >>
<< Stai già facendo tergiversare tutti quanti con i tuoi gesti eclatanti, da chi vuoi farti notare...? >>
<< Da nessuno. Non sono venuto qui per toglierti il tuo prezioso tempo, Bianchi. >> Gianluca, la mano sulla chiave, l'aria irritata, fece uno scatto col collo, in direzione di Paolo; poi, scorta la scintilla della litigata in mezzo al blu dei suoi occhi, digrignò i denti bianchi in una smorfia che aveva tutto meno che del collaborativo, e si mise subito sulla difensiva. << Non sono venuto qui per nessuno di voi, solo per me stesso. >>
<< Passeggiatina per digerire le lasagne di mamma...? >>
<< Passeggiatina per prendere la mia roba e andarmene. >>
Paolo sgranò le iridi, a quelle parole.
La frase già pronta per scatenare inutili faide con e contro di lui gli abbandonò la punta della lingua, andando a rifugiarsi nel silenzio ottuso e sconcertato di una gola che sembrava non riuscire più ad emettere nemmeno un solo suono. Volle chiedere in che senso, "prendere la mia roba e andarmene", ma temeva la risposta, e così rimase zitto, come tutti gli altri, a fissare Gianluca aprire il suo armadietto, prendere la divisa mal piegata, i calzetti sporchi, i parastinchi ed infilare tutto quanto all'interno di una busta di tela che si era portato da casa. Lo fece con scazzo, senza nessun tatto per la sua maglia numero 16, per i suoi scaldacosce attillati blu.
Paolo rimase sconvolto a fissarlo per un buon quarto d'ora.
Il suono dell'armadietto che si chiudeva bastò tuttavia a farlo rinsavire dal torpore impanicato che lo aveva colto alle membra. << D-dove pensi di andare..? >>
<< Lascio la squadra, >> gracchiò Gianluca storcendo il collo e fissandolo in cagnesco, << ancora non l'hai capito? >>
La Orfeo reagì barricandosi dietro un silenzio terrorizzato. Nessuno osò sollevare una mano per chiedere argomentazioni valide, né provare a convincere Gianluca che quello che stava facendo era brutto, bruttissimo, se non la peggior cosa che avesse mai osato muovere contro di loro. Alcuni di loro, come Raffaele e Giacomo, iniziarono a scambiarsi occhiatine complici, altri a pensare. Era la cosa giusta...? Arrivati a quel punto, a quel capolinea sperduto... aveva senso, rimanere su un treno che non riusciva più a partire? Paolo si toccò le labbra, scoprendole secche e fredde di disappunto. << Tu non lasci proprio nessuna squadra >> mugugnò, petulante, e quando Gianluca si limitò ad un'occhiata data di sbieco e si issò la borsa di tela sulle spalle curve, Bianchi lo artigliò al polso e lo trascinò indietro, facendolo barcollare dalla confusione dell'attimo. << Non hai capito! Non lasci nessuna squadra, è un ordine!! >>
<< Non sono venuto qui per litigare! >>
<< Cos'è, un'altra mossetta delle tue per attirare favoritismi?! >>
A quelle parole, la faccia atona di Gianluca subì un tremendo scossone emotivo. Un profondo solco gli si incise tra i due folti sopraccigli neri, inghiottendo dentro di sé rabbia, frustrazione ed incomprensioni. Le labbra si spalancarono, si chiusero. Si aprirono ancora, sconvolte e funeste, ma non dissero niente.
<< Mi stai buttando tutta la tua merda addosso, Zanardi! >> continuò Paolo mentre la Orfeo, muta, assistiva al litigio inerme sulle panchine fredde dello spogliatoio. << Mi stai facendo la guerra e mi stai rendendo la vita impossibile!! >>
<< Te la sto rendendo facile, andandomene, altroché! Dovresti ringraziarmi, ma so che non è tra le tue migliori qualità. Per cui mi va bene così. >>
<< No, è solo il tuo modo infame per vendicarti di un male che IO non ti ho fatto! E' passato un anno dal torneo, e da un anno mi stai rendendo l'esistenza un inferno! >>
Gianluca perse le staffe. Gridò, furioso, e liberandosi dalla stretta estranea di Bianchi, una ragnatela di vene gli emerse dal collo e dalle tempie; la pelle iniziò a palpitare nervosismo al ritmo di un cuore che non riusciva più a tornare calmo, di una mente che non riusciva a tornare lucida. << Pensi questo?! >> sciorinò urlando. << Tutti i miei tentativi di farti capire che stavi sbagliando sono stati presi così!? Come un affronto a te?! Una minaccia?! Ma chi ti caga!! Me lo vuoi spiegare?! Sei un egoista del cazzo, Paolo, pure quando non c'entri tenti di metterti tra i coglioni, diamine... >>
<< Qui l'unico che ha bisogno di farsi notare sei tu, Gianluca! >>
<< Eeeeh?! >>
<< Con questa uscita di scena tanto teatrale pensi che tutta la Orfeo ti seguirà?! Pensi che io non sappia che tornerai, con la coda tra le gambe, a chiedere di poter essere inserito di nuovo nella squadra? Tutto questo per farmi un affronto personale. Perché non sai parlarci, con le persone, Gianluca, sai solo sfottere e umiliare senza dare spiegazioni.. e poi pretendi pure che gli altri capiscano quello che a TE passa per la testa?! Cosa dovrebbe giustificarmi il tuo abbandono?! Fai le cose senza usare il cervello, manco lo hai, il cervello, ti basta il minimo per scatenare la miccia, che problemi hai?! >>
Gianluca lo prese per il colletto della divisa e lo sbatté contro gli armadietti. Marco provò ad intervenire, a dividerli, ma Angelo lo bloccò. << Che problemi hai TU ad esserti fidato di un pazzo! Hai visto quello che ci ha fatto?! Io non l'ho dimenticato, e sono sicuro di non essere l'unico, a sognarselo ancora la notte, quel dolore, quell'umiliazione...! Hai visto, eh?! O hai fatto finta di non vedere?! >>
<< Era la nostra unica chance di vittoria–
E di nuovo Gianluca lo schiantò contro l'armadietto, più e più volte, disperato, incapace di riuscire a credere a quello che stava udendo. << No, nooo, non dire fesserie! Era la TUA unica chance di vittoria, la tua unica possibilità per dimostrare a te stesso quanto vali, quanto puoi essere perfetto agli occhi degli altri, quanto puoi redimere chi commette peccati, come se fossi Dio! Ho provato a farti capire che stavi sbagliando, ho provato con le buone, ho provato con le cattive, ho provato in tutti i modi, Bianchi.. non ti sei mai accorto che chi rimaneva indietro eravamo noi! >>
<< Nessuno vi ha lasciati indietro..! >> urlò Paolo, e gli mangiò la faccia sbraitando. Gianluca lo lasciò andare, intollerante alla sua voce di gallinaccio spennato. << Me ne vado, basta >> ululò, ma Bianchi lo prese per i capelli lunghi, e glieli tirò fino a fargli male.
Finirono a terra, entrambi sconvolti dall'affronto subito. Paolo gli si buttò sopra, lo acciuffò per i lacci della felpa, tentando di stringerli il tessuto al collo; Gianluca gli prese la faccia tra le dita, urlando, sbraitando insieme a lui, e preso da un attacco d'ira incontrollata affondò le dita affusolate nelle sue guance, nella sua mandibola, facendogli sputare bava, saliva e parolacce.
Marco questa volta intervenne; li divise, prima che la situazione potesse precipitare. Prese Paolo per le spalle e lo tenne fermo quando il castano tentò un'altra volta di fare a botte con Gianluca. Zanardi si sollevò da solo, ansimando. Era spettinato, stravolto. Sotto strati e strati di fard all'orgoglio mostrò per la prima volta il viso disarmato di chi non sa più che fare per vivere nel giusto ed in armonia con tutti quanti. << Me ne vado! >> gridò, e divenne rosso in fronte per il soffocamento mancato e lo spavento subito.
<< Non litigate, vi prego... >> Angelo si intromise nella questione, delicato come sempre. Aiutò Gianluca a calmarsi, tenendogli una mano sulla schiena, dandogli il tempo di tornare a respirare mentre Paolo, agguantato da Marco, continuava implacabile a tossire ed imprecare sonori insulti. << Zanardi, ascoltami... >> mormorò, sfinito. << vattene via... >>
Zanardi si prese la busta di tela scivolata a terra durante la caduta. << Non hai mai provato a capire, Paolo... >>
<< Le tue intenzioni sono sempre state chiarissime, col tuo modo di fare hai sempre cercato di rovinare ME e LA ORFEO, perché a te di questa squadra non interessa–
<< Mi interessa, è a te che non importa! Non ci hai mai difesi contro le aggressioni subite da quel pazzo! Dov'eri quando il mio braccio implorava pietà? Dov'eri quando io, Raffaele e Giacomo avevamo bisogno di aiuto!? Dov'eri quando si sono fatti male tutti gli altri? Dimmelo, il prezzo del nostro dolore valeva meno della tua sete di vittoria?! >>
Paolo perse il controllo.
Marco forzò la presa contro i suoi fianchi, lasciandosi sfuggire una parolaccia tra le labbra pallide e strette.
<< Se non avessimo obbedito a lui, non saremmo riusciti a–
<< A cosa, a vincere...? >> Zanardi si massaggiò il collo stremato, e sorrise. << Alla fine abbiamo perso comunque. Siamo stati umiliati davanti al mondo intero, te lo ricordi? Per cui, non fa tanta differenza. ... ora lo vedi, che era solo il tuo desiderio di gloria...? Sei sempre stato accecato dalla smania perfezionista di essere il migliore, e non ti sei mai curato dei pezzi che ti lasciavi indietro. Non te ne è mai portato quando la metà di noi è finita in ospedale, non ti è mai importato dei nostri pensieri a riguardo. Non hai mai cercato un dialogo con noi, hai sempre fatto come cazzo pareva a te. Non è servito aizzarti contro la Orfeo, non è servito spiegartelo in tutti i modi. E' così, Paolo, ma sei talmente orgoglioso da non volerlo ammettere nemmeno a te stesso, perché sapere di aver fallito con sedici persone fa male, vero...? Fa male cadere così in basso, giusto...? Per uno come te, deve essere un affronto allucinante. >>
<< Vattene via! >> gridò Paolo, fuori di sé. << Sei fuori dalla squadra. Sei fuori dalla squadra, vattene via, non abbiamo bisogno di te! >>
Gianluca non ci pensò un solo istante. Non osò più provare a giustificare le sue azioni, né a convincere Paolo che il suo atteggiamento nei confronti della Orfeo era stato ingiusto e spregiudicato. Rimase nelle sue ferme convinzioni di vittima, rimase nel giusto almeno per buona parte. Lo sapeva, ne era consapevole, e andarsene era stato l'unico rimedio che aveva saputo trovare nel kit d'emergenza di quel triste declino collaborativo tra di loro. E salutata la squadra con un gesto della mano, se ne andò così come era entrato, spettinato e fiero.
Paolo chiuse gli occhi e deglutì. Il cuore continuava a rombargli contro il costato, là dove le mani di Marco facevano gentilmente pressa per invitarlo a riprendere le redini e la calma interiore. << I-io... >>
Guardò la Orfeo.
Erano ancora seduti sulla panchina, inermi. Alcuni fissavano la porta, come speranzosi di vedersi Gianluca tornare indietro; altri, invece, fissavano lui, alla ricerca di spiegazioni. Non poté ignorare quegli occhi pieni di punti di domanda. Non poté ignorare lo sguardo supplichevole di Angelo, o quello vicino di Marco, dolce ma perplesso.
Stavano chiedendogli "perché non hai fermato Gianluca?", ma Paolo il perché non lo sapeva, non lo volle vedere. Si tolse Marco di dosso con una scrollata fastidiata di spalle, e il rosso tornò al suo posto, in silenzio.
Ora tutti attendevano che lui dicesse qualcosa, una qualsiasi cosa, ma Bianchi non aveva nulla da dire se non "andiamo ad allenarci". Guardò la porta, alla ricerca di un Gianluca che non c'era più. Gli tremavano le mani, ansimava. Le chiuse a pugno, come una chiocciola spaventata che subito corre a rifugiarsi nel suo guscio. Anche se crepato. << Va bene, va bene così. >> disse, più a sé stesso che agli altri. E con uno scatto del collo si tolse un ciuffo castano dalla fronte, nervoso. << Possiamo fare a meno di uno come Gianluca, parliamone, manco sapeva giocare... e poi, non era nemmeno titolare. Insomma, uno buono a far zizzania e basta... insomma, su. Non pensate che di problemi ne abbiamo già troppi?  Alessandro. >>
Alessandro, con la testa tra le mani, sollevò piano il collo, quasi intimorito dal peso di quella scomoda situazione di squadra. << Prenderai il posto di Zanardi. Sei buono come centravanti, è questione di allenamento, pratica. Allenamento che, ci tengo a ribadire... Gianluca non faceva. Perderlo non farà la differenza, questa squadra è tutta da rimettere in moto. >> e quelle furono le parole schiette e irritate di Bianchi.
Dovette essere sincero con sé stesso, e le prime cose che gli vennero in mente di dire furono quelle. L'assenza di Gianluca, per quanto pesante, sarebbe stata superata; non era mai stato un giocatore eccellente, d'altra parte, né membro degli undici membri titolari. Lo era divenuto quando Nakata aveva lasciato temporanamente la Orfeo, poiché Paolo, assumendo il ruolo di Capitano, era scalato di un posto, lasciando un "buco" che prima del torneo doveva assolutamente essere colmato. Il fatto che Zanardi, il "colmatore del buco", si fosse ritirato di sua spontanea volontà, era come aver ritirato dal petto di Paolo il peso enorme di una questione ancora troppo aggrovigliata. Per lui, non averlo più tra i piedi, era un sollievo. Tuttavia, un piccolo sentore gli diceva che ancora non era stato risolto nulla, tra lui e gli altri giocatori. E se voleva tenerseli stretti, il primo a dover fare la mossa riappacificatrice era solo e soltanto lui.
<< Beh... andiamo ad allenarci? >>
<< Perché non l'hai fermato. >> chiese d'improvviso Raffaele.
Paolo provò ad ignorare la domanda. Si diresse verso la porta, la aprì, e il sole gli inondò il viso. Fu peggio di uno schiaffo. Si rese conto di non essere seguito, e controvoglia fermò l'avanzata. Ansimava, e sudava. Non riusciva a calmarsi, pareva che nemmeno un potente sedativo sarebbe stato in grado di metterlo buono. << I-io... >>
<< Non è un membro della squadra anche lui? Perché non lo hai fermato. >>
<< Non abbiamo bisogno di Gianluca. >>
<< Sì. Sì che abbiamo bisogno di lui. >>
<< No, non abbiamo bisogno di uno che usa qualsiasi scusa per venirmi addosso.. >>
<< Lo fa con ragione, almeno. >>
<< Ragione, quella la chiami ragione?! >> Raffaele cominciò a fargli prudere le mani di fastidio. Si voltò verso di lui, sornione, e gli chiese, << Vuoi seguirlo pure tu fuori da quella porta...? >>
Si aspettò un "no, assolutamente no", ma non andò affatto come predetto. Raffaele Generani infatti prese la sua roba e, come prima aveva fatto Zanardi, se ne andò, per poco tirando una spallata al castano. Paolo rimase a bocca aperta, spianato contro il muro. Si riprese quasi subito, però, e sconcertato fissò gli altri. << Seriamente...? Ragazzi, io... >>
<< Questa squadra non s'ha da fare dal primo momento in cui è stata messa su. >> replicò Giacomo, e come Raffaele, abbandonò la Orfeo, lasciando lo spogliatoio senza voltarsi indietro una sola volta.
Paolo era spiazzato. Guardò andare via pure lui, gli occhi che gli uscivano dalle orbite, il viso più bianco del muro. << Ma... cosa... state seriamente seguendo Gianluca...? DITELO, E' UNA COSPIRAZIONE CONTRO DI ME?! >>
<< Diccelo tu, Paolo, che di noi non ti è mai importato, che di noi hai sempre fatto a meno, che non ci hai mai aiutato, non ci hai mai voluto ascoltare e non lo stai facendo nemmeno ora. >>
E, a mano a mano che il tempo passava e il sole sbiancava, lo spogliatoio si svuotava.

Paolo dapprima rimase in piedi, impettito a fissarli andarsene uno ad uno. Provò a fermarli, ribadì come un forsennato che imitare Zanardi non avrebbe portato a nulla se non a sfilacciare ancora di più i nodi fatti male della povera, stanca Orfeo. Impose il suo orgoglio fino alla fine, li minacciò, ma non chiese mai scusa. La parola "scusa" non gli uscì dalle labbra una sola volta, a nessuna spalla girata, nessuna porta sbattuta.
Quando però vide che nessuno osò dare retta alle sue deplorevoli giustificaizoni, scivolò contro il muro fino a cascare a terra, e lì si cinse le ginocchia, schiantandovi su la fronte. Li lasciò andare, tutti, tutti quanti. Si arrese all'evidenza che erano nel torto, stupide pecore destinate solo a seguire la personalità forte, incapaci di farsi una loro idea e saper distinguere il giusto dall'errato.
Rimase chinato finché non sentì più il rumore sfiancante dei tacchetti sfilargli accanto.
Finché non sentì più nulla, se non il suo stesso respiro.
Aveva paura di alzare la testa. Aveva paura di aprire gli occhi, mettere a fuoco lo spogliatoio e realizzare che era rimasto di nuovo solo.
Ma lo fece.
Lo fece, e trovarsi davanti Marco e Angelo fu una visione che lo portò alle lacrime. Si alzò scivolando sui tacchetti, li raggiunse. << V-voi...? >>
Angelo e Marco si guardarono.
<< S-siete rimasti...? >>
Fu il turno del rosso, questa volta. Non era mai andato contro Paolo, per nessun motivo e nessuna ragione; Bianchi era, alla fine dei giochi, il suo migliore amico, e il suo comportamento durante le partite non aveva mai infierito troppo sulla loro relazione amichevole. A Marco, per quanto valido giocatore, forse non era mai importato di collaborare o non collaborare. Era sempre stato un menefreghista, abituato a farsi gli affari suoi, stare al suo posto e obbedire. Ma, dovette riconoscerlo, per quella volta Gianluca Zanardi aveva avuto ragione; e in fin dei conti il corvino non aveva obbligato nessuno a seguirlo.
Erano stati gli altri, a volersene andare, perché nel suo gesto coraggioso avevano visto la miglior soluzione, e per una volta si erano mossi di comune accordo, senza litigare o inveire tra di loro. I motivi erano ovvi ed evidenti, a tutti quanti. Tutti meno uno. Paolo. E questo, Marco, lo sapeva bene. Proprio come sapeva che ormai la Orfeo era morta, e che nessuno di loro, nessuno, nemmeno il pezzo di pane più buono, sarebbe tornato indietro ad implorare di rientrare in squadra. Né i titolari, né le riserve.
Né un Raffaele, né un Gianluca.
<< Paolo, io... >>
Paolo capì le intenzioni di Marco ancora prima di sentirsele dire. << Te ne vai pure tu?! >>
<< No, io non me ne vado. Io... penso solo che mi sembra la miglior soluzione. >>
<< Allora vattene, che ci stai a fare qui? Che ti aspetti da me?! Fa' come gli altri, Marco, si vede che sei uno senza palle da doverli imitare fino alla fine... >>
<< Non l'ho mai fatto in vita mia. >>
<< Non è mai troppo tardi per cominciare, eh...? >>
Marco guardò in basso, sconvolto dalla timidezza e ferito per quelle parole. Non era bello sentirsi dire dal migliore amico simili bugie. << Veramente, Paolo... >> mormorò, col mento in gola. << sarebbe bastato solo un passo indietro... >> disse.
E fu l'ultimo ad andarsene.
Paolo non si voltò. Si sentiva tradito da Marco, lui che lo aveva sempre seguito in capo al mondo, sempre criticato, vero, ma sempre appoggiato. Lui, la sua spalla destra, il suo migliore amico. Che se ne andava. Così. Buttava via anni di amicizia per un coglione stanco di giocare a calcio, gli sembrava tutta una gran barzelletta.
Una mano sulla schiena lo riscosse.
Era Angelo. Angelo, l'ultimo degli ultimi.
<< Paolo, io... m-mi dispiace tanto, io non credevo che–
<< Hanno ragione. Non siamo mai stati una squadra, se lo fossimo stati forse questo non sarebbe successo. Non si sono mai voluti impegnare. Non mi hanno mai voluto dare retta. Ma dimmi, Angelo, come mai sei ancora qui? Vattene pure tu. Vattene pure tu, come Marco, razza di voltafaccia... che aspetti? Aspetti che te lo dica io...? Sei libero. Va'. Va' a dire a tutti quanti come è morta questa stupida squadra di calcio... >>
Angelo non si mosse. << Che farai ora, Paolo...? >>
Una domanda alla quale Paolo aveva seriamente pensato di poter sfuggire. Si trascinò fino al lavandino, stanco, e con le mani corse a stringersi la fascia di capitano. Poi si chinò, aprì l'acqua e mise la testa sotto il getto. Il freddo congelante gli irrigidì il collo, gli strinse il cervello in una morsa di orrore che lo fece annaspare. E bevve. Bevve allungando la lingua bianca, smuovendo la gola riarsa di rimorsi. Cercò di lavare via un po' del saporaccio amaro che quella decisione di squadra gli aveva lasciato, ma questo non se ne andò. Persistette, lì, attaccato alla sua gola. Cercando di soffocarlo, ucciderlo.
Tornò su, e vide nero dalla confusione. Gocce d'acqua gli pendevano dai ciuffi castani lasciati incolti a crescere, scivolandogli lungo il viso, nascondendo agli occhi preoccupati e disperati di Angelo lacrime che Paolo non avrebbe mai voluto far uscire. Si pulì la faccia con la manica, e si tolse con rabbia l'elastico dorato che lo aveva sempre contraddistinto come il capitano assoluto di una massa di montoni decerebrati. << E' finita. >> mormorò, piano, e questa volta lo disse a sé stesso.
Si guardò allo specchio, quel viso senza splendore, quegli occhi più grandi della morte, più neri del nulla. << Sei fuori. >>




 
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notes:
Ciao Spumigli!
Erano anni che volevo scrivere una storia incentrata sulla Orfeo, ma solo ora ho trovato la giusta ispirazione per poter stendere quest'accozzaglia di litigi. Sarò veloce, dato che devo studiare in preparazione di un esame di economia - e ho buttato via già buona parte di questa splendida giornata di sole, aiuto.
Perché. Partiamo dal perché. PERCHE' QUESTA STORIA?
Perché per me (ma ripeto, questa è solo la mia visione dei fatti), la Orfeo non è mai stata una "vera" squadra: certo, è una bella nazionale, certo, loro sono belli, ma non sono una Unicorno, e già questa è una bella differenza. Manca intesa. Sono così distaccati che a volte mi hanno dato la sensazione di NON conoscersi, o comunque solo in parte. Ancora prima di Mister D, non li ho mai visti felicissimi di collaborare. MAI. Sono amici "a tratti", stanno a gruppetti (Gianluca  e Raffaele in molte scene li ho visti sempre vicini) e non accettano di dirsi addosso niente da nessuno.
Paolo, parliamo di Paolo - Paolo è il capitano, ma non sa gestirli.
Perché loro sono orgogliosi, ma lui lo è ancora di più. Il fatto di voler seguire ciecamente Mister D ignorando le giustificazioni della Orfeo è stata una cosa molto scomoda da vedere, e riguardandomi gli episodi (in questa storia si fa principalmente riferimento al 103-104-105 della terza stagione di IE... credoh) mi sono resa conto che questa cosa li ha letteralmente spaccati in due. Ricordiamo che quello che ha fatto Ray Dark non è certo una cavolata - molti di loro si sono lesionati solo per essere sostituiti dai diamantini, e Paolo in tutto questo dov'era? L'ho visto assente, molto sulle sue, incentrato sui suoi obbiettivi. E quindi mi sono detta "una squadra così prima o poi crolla, chissene frega vincere o perdere", e infatti eccovi qui il crollo della Orfeo.
PERCHE' GIANLUCA COME FACCIA DELLA RIVOLTA?
Perché è mio marito ♥♥♥♥♥♥ nell'anime durante il corso della partita  è lui, insieme a Gigi, che cerca di "andare addosso a Paolo", farlo ragionare... disobbedisce tantissimo e rimane molto sprezzante e diffidente, anche dopo la riuscita della Barricata Impenetrabile. Inoltre, alla ripresa del secondo tempo esce per far entrare Nakata. Della serie "mi arrendo cia'" LO AMO. L'ho trovato molto ribelle e ben calato nel suo tentativo di farsi giustizia con i suoi mezzi, e per questo ho apprezzato molto. Si vede che non è d'accordo, e non sta a guardare. Inoltre nel gioco, c'è una scena in cui la Orfeo litiga, ed è divisa in due schieramenti: chi vuole giocare con i diamantini e chi no (sì perché nel gioco è una scelta di mezza Orfeo quella di non giocare, nessuno viene lesionato). E alcuni stanno dalla parte di Paolo, altri invece da quella di, UDITE UDITE, Gianluca, che è il primo a dire di volersi ritirare (anche se poi si pente, ma questo è un altro discorso). L'ho sempre visto l'altra faccia della medaglia, la contrapposizione di Paolo, ecco perché il protagonismo.
MARCO.
Marco nell'anime segue gli altri, ma nel gioco non c'è una sola volta in cui va contro Paolo. Anzi, lo sostiene, lo appoggia, lo incoraggia. Non si fa mai domande, non si pone questioni, a lui va bene tutto tanto Paolo non gli ha fatto niente lol(?). Per questo la mia scelta di farlo rimanere fino alla quasi fine, insieme ad Angelo che NON SIA MAI LUI E' TROPPO PICCIN PER FARE TORTI AGLI ALTRI anche se nel gioco è piuttosto stronzetto
Ultima cosa. "Sei fuori dalla valle dei Re" è una frase della canzone di Mengoni "la valle dei Re". Trovo si addica molto a questa shot, e poi è un master della musica italianah.
spero vi sia piaciuta!
Ringrazio già chi la leggerà, o metterà in una delle tre cartelline
in attesa del natale e dei regali..

xoxo

Lila
   
 
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