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Autore: Emmastory    10/12/2019    3 recensioni
Dopo essersi unita al suo Christopher nel sacro vincolo del matrimonio, Kaleia è felice. La cerimonia è stata per lei un vero sogno, e ancora incredula, è ancora in viaggio verso un nuovo bosco. Lascia indietro la vecchia vita, per uscire nuovamente dalla propria crisalide ed evolvere, abituandosi lentamente a quella nuova. Memore delle tempeste che ha affrontato, sa che le ci vorrà tempo, e mentre il suo legame con l'amato protettore complica le cose, forse una speranza è nascosta nell'accogliente Giardino di Eltaria. Se avrà fortuna, la pace l'accompagnerà ancora, ma in ogni caso, seguitela nell'avventura che la condurrà alla libertà.
(Seguito di: Luce e ombra: Essere o non essere)
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Capitolo XXXVI

Il bianco amuleto

Dopo il pomeriggio era scesa la sera, e al sicuro come sempre fra le braccia di Christopher, dormivo beata, cullata come una bambina dal battito del suo cuore. Tranquillo, lo sentivo battere in perfetta sincronia con il mio, e mentre entrambi riposavamo, ancora stanchi dopo il viaggio che ci aveva finalmente condotti alla nostra amica, qualcosa cambiò all’istante, facendoci sobbalzare. Aiutata o forse punita dal mio sonno leggero, fui la prima a svegliarmi, e con me anche Cosmo, che sdraiato ma allerta e con le orecchie dritte, aveva già ritratto le labbra e ringhiava sonoramente. Spaventata, incrociai in fretta il suo sguardo, e con un gesto della mano, lo pregai di arretrare. “Nasconditi.” Sussurrai, sperando che chiunque fosse dietro la porta non riuscisse a sentirmi. Con un’espressione di serietà dipinta sul muso, il mio Arylu obbedì senza fiatare, e veloce, sparì sotto al letto, chiudendo gli occhi nella speranza di non essere visto. “Kaleia, ma cosa…” balbettò Chris, appena sveglio e confuso tanto dal sonno quanto da quel rumore. Proprio come lui, anch’io ero sveglia da poco, ma data la situazione, era come se lo fossi già da un pezzo. Era strano, non ricordavo che mi fosse mai successo, o forse ora i ricordi fuori posto ingannavano la mia memoria, ma non sentivo altro che pura adrenalina nelle vene. Per quanto ne  sapevo, la paura era in genere la caffeina delle emozioni, e poteva allo stesso tempo rivelarsi alleata e nemica, o in altri termini, un’arma a doppio taglio. Riusciva a tenerti sveglio se la lasciavi agire, per poi bloccarti e impedirti di ragionare se solo osavi contrastarla. In quel momento, il cuore mi martellava nel petto, la mia magia fremeva per sfuggirmi dalle mani, e tremavo. Ancora una volta, la colpa non era da imputarsi al freddo, ma a qualcosa che vidi non appena la porta della stanza minacciò di aprirsi cigolando sinistramente. Terrorizzata, mi bloccai sul posto, e se Christopher rimase fermo a tenermi la mano per rassicurarmi, Cosmo ruppe il silenzio con un debole uggiolio. Che poteva essere? Un viso amico? Uno perlomeno conosciuto? O un altro di quegli spiriti da affrontare? Non lo sapevo, ma mentre il tempo scorreva, il mio corpo parlava per me, e la mia magia diventava sempre più difficile da controllare. Malgrado non volessi, era tornata in superficie per permettermi di difendermi, e dato ciò che ci accadeva intorno, ricordandomi la scena madre di un film dell’orrore poco prima del suo macabro finale, le carezze di Christopher servivano a poco. Lo amavo, lo amavo da sempre, ma nonostante questo ora non riuscivo a calmarmi. Riducendomi al silenzio, serrai le labbra, e solo quando fui sicura di poter uscire allo scoperto, parlai. “Hai sentito anche tu, vero?” gli chiesi, in tono serio e perentorio. “Sentito cosa?” rispose lui, incerto e dubbioso. Sveglio da meno di me, forse non comprendeva davvero la gravità della situazione, e se una parte di me temeva il peggio, sicura di non uscire viva dalle mura che avrebbe dovuto garantirmi la salvezza, un’altra confliggeva letteralmente con la prima, portandomi a chiedermi come facesse a mantenere la calma, calma che avrei unicamente potuto definire mostruosa. “Quello.” Mi limitai a rispondere, per poi scivolare nel mutismo e attendere il ritorno dei colpi che ero sicura di aver già sentito al risveglio. Non più sul legno della porta, ma sul pavimento. Lenti e cadenzati, mi gelavano costantemente il sangue nelle vene, e governata da mille emozioni diverse, tutte negative, non sapevo cosa pensare. Dentro di me c’erano paura, terrore, panico, dolore e infine rabbia. Dov’era Marisa? Perché non era qui ad aiutarci, e soprattutto, perché sembrava scomparsa proprio ora che avevamo più bisogno di lei? Non ne avevo idea, e con l’andar del tempo, ogni indecisione mi rendeva più tesa e nervosa che mai. A denti stretti, tornai a guardare, e andando alla ricerca di conforto, cercai la sua mano, che forse per la prima volta in tutto quel tempo, lui non mi offrì. Seppur sorpresa, non mossi foglia a riguardo. A quanto sembrava, ora capiva, e felice di non essere l’unica in ascolto e attesa di qualunque segnale come un attenta investigatrice, approfittai del silenzio fra noi per pensare, trovando a ogni suono una spiegazione logica. C’erano stati i rumori sul legno, quindi qualcuno aveva bussato, poi quelli sul pavimento, probabilmente qualcuno che camminava, e ormai onnipresente, il costante e continuo scodinzolio della coda di Cosmo, che senza volere la sbatteva contro le coperte finite in terra. “Cosmo, smettila!” gli ordinai, innervosita. Uggiolando, il cagnetto smise di agitarsi, e proprio allora, l’aprirsi della porta e la luce di una lampadina illuminarono la stanza. Colta alla sprovvista, mi voltai di scatto in quella direzione, tirando solo allora un sospiro di sollievo. Grazie al cielo era Marisa, e rilassando ogni muscolo del corpo, comprese le mani fino a quel momento strette a pugno, lasciai che l’energia magica defluisse dal mio corpo, rendendomi come sempre inoffensiva. A poco a poco, la tensione nella stanza scomparve fino a sciogliersi completamente, e camminando verso di noi, la nostra amica strega non tardò ed esaminarci, squadrandoci da capo a piedi con aria preoccupata. “Ragazzi, per fortuna state bene! Kaleia, ti prego, dimmi che hai ricevuto il gioiello nella lettera.” Si affrettò a dire, la voce spezzata e corrotta da un turbine di emozioni. “Gioiello?” azzardai, confusa e stranita. “Sì, era piccolo e bianco. Un cristallo, per la precisione.” Spiegò lei, seria come mai ricordavo di averla vista. Confusa, tornai a frugare fra le coperte in cui avevo dormito e proprio sotto al cuscino, assieme all’ormai famoso ciondolo capace di mantenere stabili i miei limiti di fata, ritrovai quella pietra, caratterizzata stavolta da una differenza. Non più bianca come in precedenza, ora era diventata grigia e priva del suo originale splendore. “Cosa… cosa vuol dire?” non potei evitare di chiedere, mentre il cuore tornava a battere come impazzito. Silenziosa e concentrata, Marisa si limitò a osservare quel monile con attenzione, e dopo un’interminabile battuta di silenzio, riprese la parola. “Mi spiace dirvelo ragazzi, ma siete in guai seri, a questo punto.” Disse appena, tenendo la voce bassa per non essere udita che da noi. “Come? Che significa? Per favore, spiegati.” Quella volta fu Christopher a parlare, nervoso e preoccupato come mai prima. Amandolo con tutto il cuore, potevo dirlo di conoscerlo perfino meglio di me stessa senza timore di esagerare, e nello spazio di un momento, gli occhi della nostra più cara amica tornarono a fissarci, profondi e indagatori. Per quanto ne sapevo, un modo come un altro di esaminare coloro che aveva intorno, come quando guardava intensamente nella sua nebbiosa sfera di cristallo, anche se ora le sfere erano addirittura quattro, ovvero i nostri occhi. Nei miei, più chiari, leggeva un misto di paura e confusione, mentre in quelli del mio amato, leggermente più scuri, sembrava scorgere chiare note di determinazione. Ora che le acque sembravano essersi calmate, mi avvicinai a lui per lasciarmi stringere, e pur non interrompendo quel momento, la cara strega non esitò a parlarci, dando voce a una verità per noi già consolidata dal tempo. “Gli spiriti vi hanno trovato, hanno scoperto di voi, e con ciò che vi sta accadendo, non sopportano i danni che gli state arrecando.” Continuò, facendo suonare quelle frasi perfino più tetre e spaventose di quanto non fossero. La sua voce, in genere dolce e gentile, si era ora fatta grave e profonda, simile a quella della madre, quando fra un discorso simile a quello e qualche strano colpo di magia, mi aveva metaforicamente e fisicamente forzata ad allontanarmi dal mio stesso protettore, che a suo dire mi stava lentamente annullando. Testarda, innamorata e forse ingenua, non avevo voluto darle ascolto, e ora ecco che altre forze esterne, probabilmente esseri impuri nati dalla magia nera, cercavano di impartirmi la stessa lezione che lei aveva tentato di impartire a me. Frustrata, sentii mille lacrime bruciarmi e inumidirmi gli occhi, e stringendomi ancora di più fra le braccia di colui che amavo, per poco non urlai. “No, non anche tu, ti prego.” Piagnucolai, delusa. “Perché? Perché nessuno capisce?” aggiunsi poco dopo, la voce spezzata dal pianto che ormai non mi sforzavo più di trattenere. “Kia, amore…” tentò Christopher, sempre vicino a me e desideroso di aiutarmi. “No, Chris, non ci provare. Non vedi? Ci sbagliavamo. Non volevamo ferire né adirare nessuno, eppure ci sbagliavamo. Tu ami me, io amo te, ma è sbagliato. È tutto sbagliato! Io e te non siamo fatti per stare insieme, ma abbiamo insistito, e ora anche i nostri figli soffriranno, e per cosa? Per colpa nostra…” continuai, sentendo una giusta rabbia crescermi dentro con ogni parola. In realtà non ce l’avevo con Marisa né con lui, ma avevo solo bisogno di sfogarmi, e non osando interferire, entrambi mi ascoltarono. Scivolando nel mutismo, attesi una qualunque reazione da parte di Marisa, e proprio quando pensai di averla disarmata, arrivando perfino a credere che tutto fosse perduto, lei parlò ancora. “Kaleia, ascolta…” iniziò, sicura di star per toccare un nervo scoperto. “Sì?” concessi, sentendo la gola bruciare e dolere per lo sforzo. “So che è difficile, e dovreste accettarlo come direbbe mia madre, ma ora lei non è qui, e avete già una soluzione. Il marchio che avevi sulla pelle non era d’aiuto, o se lo era non ha funzionato e ha peggiorato le cose, ma la pietra… quella pietra potrà salvarvi.” Più puro e semplice del precedente, quello fu il resto del suo discorso, che Christopher ed io ascoltammo senza interrompere, e al termine del quale, io l’abbracciai, tenendola stretta a me come con ogni amica che si rispettasse. In quanto strega come sua madre, anche se ancora ferma al rango di apprendista, anche lei avrebbe dovuto ostacolarmi, ma lasciandomi completamente andare e piangendo ancora fra le sue braccia, capii perchè non lo faceva, e perché si ostinava a combattere per noi. In due sole parole, lei sapeva. Sapeva che aiutarmi era sbagliato, sapeva che farlo avrebbe causato solo altro squilibrio nell’intero mondo magico, ma nonostante tutto, ogni eventualità sembrava non toccarla, sfiorandola appena come il tocco di chi davvero mi amava. Paziente, era rimasta in silenzio mentre mi sfogavo, mi avevo perfino sentita menzionare i miei futuri figli, e nella quiete di quell’appena accennato imbrunire, la vidi sorridermi prima che ne se ne andasse, e grata per tutto ciò che aveva appena fatto, restai chiusa in quella stanza con in mano nuove certezze e speranze, specialmente quando sotto la benefica luce della luna, quel grigio cristallo consumato dal potere di quei cupi spiriti tornò a splendere e a riempirmi di gioia, riacquistando davanti ai nostri occhi increduli le originali sembianze di bianco amuleto.

 
   
 
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