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Autore: Askel    11/12/2019    0 recensioni
“Scusa, hai da accendere?
Una semplice domanda può cambiare il mondo di una persona?
È questo quello che è successo a Liberty, una ragazza di vent’anni che ha dovuto mollare il college per aiutare la madre nella gestione del ‘Bowes Pub’, il sogno del padre deceduto.
È questo quello che è successo a Brendan, un ragazzo di ventisette anni che, grazie al suo lavoro, è riuscito a scappare da un terribile passato.
Entrambi si portano alle spalle il tormento delle responsabilità, degli errori e dei sogni dei genitori e la speranza che un giorno potranno vivere i loro di sogni.
Entrambi hanno qualcosa da raccontare che fanno fatica ad esprimerlo.
Entrambi hanno delle ferite aperte che negli anni si sono fatte sempre più grandi.
Si ritrovano per caso a condividere una sigaretta insieme e una bottiglia di tequila dopo la chiusura del Pub.
Si ritrovano per caso a condividere il proprio passato e a farlo diventare meno pesante.
‘Esprimi un desiderio’ parla di amore, di amicizia, della serenità che una persona sola può trasmettere e dell’inseguire i propri sogni.
Se siete pronti a sognare ad occhi aperti, allora benvenuti.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Un’ora e sarei uscita da qui.

Un’ora e poi avrei toccato un letto finalmente.

Oggi era stata una giornata da incubo, fin troppo per essere solo un sabato.

Alle otto, come ogni mattina, era suonata la sveglia e, dopo una doccia e un caffè al volo, avevo corso al SuperStore per il mio turno di cassiera. Alle diciannove, era finalmente finito il mio turno e dopo una doccia veloce a casa di mia madre, avevo iniziato il mio turno al pub. Alle venti avevo litigato con Nate perché gli dava fastidio passare anche questo sabato sera a guardarmi lavorare invece che passare del tempo insieme e se n’era andato a casa. Un’ora e mezza dopo, quando il gruppo stava prendendo posto sulla pedana pronto per esibirsi e la gente non faceva altro che ordinare, mia madre era corsa in bagno a rimettere e l’avevo mandata a casa mia per riposarsi, visto che lei abitava sopra il bar e tutto quel rumore era fastidioso per poter dormire. Alle due avevo salutato l’ultimo cliente e avevo iniziato tutte le procedure essenziali prima di chiudere.

Posai la pezza e il detersivo sul lavabo e mi girai per vedere a che punto erano i ragazzi con la sistemazione del locale. Quando vidi che i tavoli erano tutti puliti, le sedie sistemate, la pattumiera portata fuori e il pavimento spazzato, sospirai di sollievo. Mi sarei addormentata prima del previsto.

“Abbiamo finito, no?” chiesi retorica mentre mi toglievo il grembiule.

“Dobbiamo ancora lavare per terra!” disse Zoey sbadigliando.

“Ci penserò io, non vi preoccupate!” dissi sorridendo “Buona notte, a domani!”

“Buona notte!” dissero in contemporanea.

Recuperarono le loro cose dal magazzino e poi mi salutarono con un sorriso con la promessa di vederci il giorno dopo. Kristen, la mia migliore amica, invece aveva preso posto davanti a me aspettando pazientemente che posassi i soldi nella cassaforte.

“Ci beviamo una birra prima di andare?” mi propose.

“Dai, Kri. Sono stanca, vorrei andare a dormire!” mi lamentai mentre posavo la chiave al sicuro sotto il cestello della cassa.

“Cazzo Lib, abbiamo vent’anni e passiamo il sabato sera a lavorare! Ci meritiamo una birra!”

Il suo sorriso insieme a quelle parole mi convinsero ad accettare. Presi due birre dal frigo e dopo averle aperte, mi sedetti accanto a lei. Facemmo scontrare le nostre bottiglie, le sbattemmo sul tavolo e ingurgitammo un sorso di quel liquido dorato.

Quando il liquido freddo mi arrivò in gola, sorrisi alla ragazza ammettendo di aver avuto una buona idea. Non condividevo una birra ghiacciata con la mia migliore amica da quando avevo iniziato a lavorare al SuperStore. Da quel giorno sembrava passato un secolo, invece di un solo mese.

“Tutto okay?” mi chiese dopo il secondo sorso di birra.

Quella domanda mi riscosse dai miei pensieri. Annuii aprendomi in un sorriso tirato e mi lasciai sfuggire uno sbadiglio, che non passò inosservato. Bevvi un altro sorso di birra e mi sdrai sul bancone mentre Kristen iniziò a carezzarmi i capelli. Rabbrividii di piacere e istintivamente chiusi gli occhi con un sorriso stampato sul viso. Mi rilassavo del tutto quando mi toccavano i capelli.

“Dovresti prenderti una pausa” mi disse lei usando il tono più dolce che conoscesse “Il lavoro ti sta uccidendo!”

Feci una smorfia di disapprovazione e mi alzai per bere un altro sorso. Guardai la mia amica e la trovai che mi fissava con il suo solito sguardo preoccupato. Da quando a luglio avevo deciso di non rinnovare più l’iscrizione al college aveva messo su troppo spesso quello sguardo.

Volevo bene a Kristen. La conoscevo da quattordici anni, dal primo giorno della prima elementare. Dopo esserci tirati i capelli per una bambola durante la pausa, eravamo diventate inseparabili, avevamo frequentato lo stesso liceo e lo stesso college, fino a quando io mollai gli studi.

Finimmo in silenzio la birra e poi mi alzai. Buttai le due bottiglie vuote e preparai due shottini di tequila. Quando la mia migliore amica capì cosa stavo per fare, mi sorrise e tutta la preoccupazione sembrò svanita.

“Ecco la mia pausa!” dissi sedendomi di nuovo accanto a lei.

Scontro tra bicchieri, botta sul tavolo e poi giù tutto di un colpo. Il liquido bruciò nella mia gola e gli occhi divennero più lucidi. Qualche istante dopo, sentii la testa un po’ più leggera. Avrei dovuto mangiare più di una vaschetta di patatine fritte con formaggio fuso prima di bere una cosa così forte.

“Io vado, prima che mi ubriachi!” mi disse mettendosi il giubbino “Mia madre mi uccide se torno a casa ubriaca!”

“Mi dispiace che devi stare dai tuoi!”

“Non ti preoccupare. Da quando ho detto loro di volere diventare avvocato, sembrano essersi calmati! Non mi va di tornare al college a quest’ora della notte, nella strada troverò una fila di ubriachi! Ci vediamo domani sera!”

Le diedi un abbraccio e un bacio sulla guancia e poi le ricordai di mandarmi un messaggio quando sarebbe arrivata a casa. Solitamente, nei weekend in cui lavorava dormiva a casa mia ma in questo momento neanche io ne avevo una, così era costretta ad andare dai suoi genitori che abitava in una bellissima villa in uno quei quartiere più lussuosi di Boston.

Chiusi la porta principale a chiave e spensi la luce dell’insegna. Guardai il locale illuminato dalla luce soffusa delle lampade e sospirai. Questo pub era il sogno di mio padre e quando mio nonno gli lasciò in eredità una bella somma aveva deciso di aprire il Bowes Pub. Tutto in quel locale urlava il suo nome. Speravo davvero che mio padre fosse orgoglioso nel modo in cui stavamo gestendo il locale. Io e mia madre ce la stavamo mettendo tutta ma era davvero dura.

Guardai l’orologio appeso sulla parete sopra il piccolo palchetto improvvisato e sbadigliai rumorosamente. I pavimenti li avrei lavati domattina appena sveglia. Ero troppo stanca per uno sforzo del genere. Prima di andare a letto, decisi di fumarmi una sigaretta. Indossai il cardigan che tenevo nell’armadietto e dopo aver recuperato il pacchetto di sigarette da sotto il bancone, uscii dalla porta sul retro che dava a un vicolo cieco. Mi accesi una sigaretta e iniziai a ballare dal freddo. Non era stata una buona idea uscire solo con il cardigan anche se ormai era fine marzo.

“Scusa, hai da accendere?”

Balzai indietro dallo spavento. A quest’ora della notte mi aspettavo di essere sola e quella voce mi aveva spaventato parecchio. Mi portai una mano sul cuore e quando il mio cuore andò a un’andatura regolare, guardai lo sconosciuto di fronte a me. La prima che notai furono i suoi enormi occhi verdi che ti entravano dentro ma stanchi che non accompagnavano le labbra, rosse e carnose, in un accenno di sorriso. Quel magnifico sorriso che creava delle fossette ai lati delle labbra.

“Scusa, hai da accendere?” mi chiese di nuovo mostrandomi la sigaretta.

Mi ripresi dal fissarlo e annuii. Gli passai l’accentino e lo seguii in tutti i movimenti come se lui andasse in slow motion. Dalla felpa s’ntravedevano i muscoli delle braccia ed era circa di dieci centimetri più alto di me. Dovevo ammettere che era un bel ragazzo: il genere di bellezza che non aveva bisogno di tante parole per portarsi a letto una ragazza.

“Grazie!” mi disse attirando la mia attenzione.

Confusa presi l’accendino e lo infilai nella tasca della felpa. Accennai un sorriso e istintivamente mi avvicinai ancora di più alla porta. Erano quasi le quattro di notte e non c’era nessuno in giro per la città, solo io e questo sconosciuto dalla faccia terribilmente familiare. Lo avevo visto da qualche parte, n’ero certa, ma dove? Cazzo, io non mi dimenticavo mai un nome o un volto, ma proprio il suo lo avevo dimenticato. Lui se ne stava lì fermo in attesa che io lo salutassi amichevolmente, era l’unico motivo per cui ancora non si decideva ad andarsene, ma proprio non mi veniva in mentre. Tabula rasa.

“Scusami” dissi attirando la sua attenzione e continuai quando lui si girò verso di me con un sopracciglio alzato “ci conosciamo?”

Guardai i suoi occhi verdi andare fuori dalle orbite e fissarmi come se fossi un aliena. Buttai la sigaretta ormai consumata nel posacenere senza staccare gli occhi da quello sconosciuto che se ne stava immobile ancora sotto shock.

“Tutto bene?” chiesi curiosa e risi “Ti ho chiesto solo se ci conosciamo, non se vuoi sposarmi!”

“Scusa, hai ragione. Non so cosa mi sia preso!” disse accennandomi un sorriso e passandosi una mano tra i capelli “Mi chiamo Brendan!”

Mi porse una mano che io strinsi quasi subito, anche se nel mio sguardo rimaneva qualche nota amara. Dovevo ammettere che quel tipo un po’ mi stava mettendo paura. Era troppo silenzioso e distaccato.

“Lib!” risposi e poi lo guardai dritto negli occhi “Sei un maniaco? Mi vuoi uccidere?”

Lui si aprì in un sorriso e scosse la testa.

“Bene!” dissi appoggiandomi alla porta pronta per tornare dentro in caso di pericolo “Ti avverto che questo locale è mio e farò scattare l’allarme!”

“Buono a sapersi, ma non voglio farti del male. Te lo giuro!”

Mise una mano sul cuore in segno di promessa e qualcosa nel suo sguardo cambiò. Non so cosa era cambiato ma avevo come la sensazione che di lui avrei potuto fidarmi. Avevo la certezza che non mi avrebbe mai fatto del male. C’era qualcosa che stonava però. Mi straniva parecchio il fatto che a quest’ora di notte avevo trovato una persona sobria. Stavo cercando una risposta logica a questa domanda, quando mi decisi di prendere coraggio e glielo chiesi direttamente.

“Cosa ci fai in giro a quest’ora di notte sobrio?”

“Volevo fare semplicemente quattro passi da solo” mi rispose abbassando lo sguardo “e in assoluta tranquillità.”

“Non puoi farli di giorno?”

Lui fece una smorfia e scosse la testa senza aggiungere altro. D’altro canto io non chiesi più. Erano fatti suoi se di giorno gli era impossibile fare questi famosi quattro passi.

Lui abbassò lo sguardo e si perse nei suoi pensieri. Quel ragazzo aveva un velo di mistero e tristezza che mi attraeva. Volevo scoprire il più possibile su di lui, prendermene cura e consolarlo. Quegli occhi erano tormentati da qualcosa di inquietante e per un secondo mi risuonò la voce di mio padre all’orecchio come se fosse qui accanto a me: “Il lavoro di un barista è quello di far passare il tormento!”

“Dai, vieni dentro. Ti offro qualcosa da bere!”

Lui alzò lo sguardo verso di me e incatenò i suoi occhi verdi ai miei. Sembrò sorpreso dalla mia richiesta e un po’ lo ero anch’io. Non facevo entrare tutti i giorni degli sconosciuti quando non c’era nessuno ma lui avevo una sensazione diversa, del tutto positiva, che volevo assecondarla. Per una volta, volevo seguire l’istinto. Il mio cuore balzò quando accennò un sorriso.

“E se ti faccio del male?! Non puoi far entrare uno sconosciuto nel tuo locale chiuso!” mi accusò “Fai sempre così?! Incontri uno strano tipo alle quattro di notte e lo inviti ad entrare? Sei impazzita?”

“Hai intenzione di farmi del male?” chiesi.

“Ovvio che non ho intenzione di farti del male!”

“Anche perché non penso che ne sarai in grado. Faccio arti marziali da quando avevo sei anni e ho una pistola. Fidati quando ti dico che se tu dovessi farmi del male, non usciresti vivo da questo posto!” lo minacciai e poi continuai infuriata quando lo sentii ridere “Che cazzo ridi?! Parlo sul serio!”

“Okay, okay. Mi fido della tua parola!” disse alzando le mani in segno di resa “Allora presumo che quello di raccattare gente di notte e invitarla nel tuo locale sia ormai di routine!”

“No. Tu sei il primo per questo esperimento!” dissi sorridendo “Chissà magari ti ho invitato per farti a pezzi!”

Brendan rise. Spense la sigaretta nel posacenere ed entrai dentro il locale, mentre Brendan mi seguiva. Accesi la luce del locale e lui diede un’occhiata a tutto il locale prima di prendere posto di fronte a me. Recuperai la bottiglia di tequila chiusa visto che io e Kri l’avevamo svuotate e dopo aver preso due bicchieri, mi sedetti a gambe incrociate sopra il bancone. Adoravo mettermi così e avere la vista su tutto il locale. Quando ero piccola, mio padre mi prendeva in braccio e poi mi sistemava qui sopra per avermi sempre sotto controllo.

“Spero che la tequila ti piaccia perché non ho intenzione di faticare per prendere altro!” dissi risoluta mentre riempievo i bicchieri “Inoltre devi sapere che è il mio alcolico preferito, quindi stasera scelgo io!”

“La tequila va benissimo! Mio padre diceva sempre che la tequila è il miglior medicinale per tutti i dolori” disse lui assumendo una posizione rigida “Inutile dirti che è morto per un problema al fegato!”

“La tequila non lo ha curato?” chiesi retorica.

Il silenzio imbarazzante che ci fu dopo la mia battuta mi fece capire di aver detto una cazzata. Non si fanno battute sulla morte del padre, neanche se era divertente. Presi nota mentalmente della gaffe che feci per non rifarla e abbassai lo sguardo imbarazzata mentre sentivo le guance in fiamme. Alzai lo sguardo solo quando lo sentii ridere sguaiatamente e dopo un attimo di incertezza, mi unii a lui. Rise sguaiatamente per qualche secondo e si fermò solo quando l’aria nei polmoni terminò e gli occhi divennero lucidi.

“Dai, adesso bevi!” gli ordinai passandogli un bicchierino.

Facemmo scontrare i bicchieri più forte del necessario e dopo averlo battuto sul tavolo, bevvi un sorso. Brendan mi guardò scioccato per quel gesto e, anche se non ne capiva il motivo, al secondo shottino m’imitò.

“Cosa significa?” mi chiese curioso.

“Chi non batte, non sbatte!” risposi facendogli un occhiolino.

Lui annuì poco convinto delle mie parole e lo distrassi riempendogli un altro bicchierino che ingurgitammo senza troppe formalità. A un certo punto, concordammo che era noioso versare il liquido nel bicchiere preferendo di gran lunga tracannare direttamente dalla bottiglia. Qualche sorso dopo, ci ritrovammo sul pavimenti con la schiena poggiata sul bancone e a piedi nudi. Mi concentrai sulla vista dei suoi piedi che sembravano veramente enormi e dissi la prima cosa che mi passava per la testa.

“Sono stanca! Oggi è stata una giornata di merda!”

“Io ho fame!” si lamentò lui a sua volta.

Sbuffai rendendomi conto che anch’io avevo fame. Mi alzai un po’ a fatica mentre Brendan mi guardava ridendo. Mi sedetti sul bancone aiutandomi con una sedia ma scivolai rovinosamente a terra, sbattendo il braccio nel rubinetto del lavabo. Mi alzai un po’ a fatica ma quando riuscii a mettermi in equilibrio, iniziai a ridere seguita da Brendan. Mi sedetti con un movimento secco sul bancone ma caddi rovinosamente per terra, sbattendo il braccio sul lavello.

“Cazzo, che dolore!” dissi tenendomi il braccio “Ahi!”

“Tutto bene?” mi urlò Brendan “Vengo ad aiutarti?”

“Non va per niente bene. Mi fa male il braccio!” piagnucolai e poi guardai in giro alla ricerca di qualcosa di commestibile “Ho trovato le patatine e le noccioline. Cosa vuoi?”

“Tutti e due e vieni qui!” mi disse “Stavolta però fai il giro. Non posso uscire dal locale in questo stato e non potrei accompagnarti in ospedale!”

Feci il saluto militare anche se lui non riusciva a vedermi e dopo aver preso tutto quello che ci serviva, ritornai da lui sana e salva. Mi sedetti al suo fianco e gli passai le patatine per aprire il pacco. Appena le vide, i suoi occhi s’illuminarono. A un certo punto, ci fu una cascata di patatine visto il modo cruento in cui le aveva aperte. Quella scena mi mise di buon umore e non riuscii a trattenere una risata. Lui mi guardò male e io me ne fregai. Bevvi un sorso di tequila mentre lui iniziò a divorare le patatine. La risata continuò quando lui prese alcune patatine, iniziò a masticarle e gli andarono di traverso.

Gli passai la bottiglia, lui ne bevve un sorso ma non migliorò la situazione. Gli occhi iniziarono a lacrimargli e divenne paonazzo. Alla fine mi decisi ad aiutarlo dandogli delle pacche sulle spalle e la situazione sembrò migliorarsi. Quando lui si riprese, ci guardammo per un secondo negli occhi ed entrambi scoppiammo a ridere. Non trovavo neanche un motivo per ridere visto che la mia vita stava andando a rotoli ma era bello avere la testa vuota da tutti i cattivi pensieri che mi passavano per la testa. Questa notte era stata una pausa dalla mia vita.

“Io, in realtà, non potrei bere!” dissi mandando giù un altro sorso “Ho vent’anni!”

“Sei abbastanza grande per lavorare in un bar ma non di bere?”

“Non so se avrei potuto lavorare in un bar. Questo locale è mio, cioè di mio padre che è morto e l’ha lasciato a mia madre. Adesso lo mandiamo avanti io e lei!”

“Questo bar è tuo?” mi chiese visibilmente alterato “Tu compri gli alcolici per venderli agli altri e non puoi bere con loro! Dobbiamo mandare un reclamo al Presidente, questa è una giustizia!”

“Ingiustizia!” lo corressi gesticolando un po’ troppo e cercando di fargli capire il concetto “Cosa giusta, giustizia. Cosa sbagliata, ingiustizia!”

“Scriviamogli un’email!” disse lui “Caro Babbo Natale, non è giusto che i ventenni possono servire e vendere l’alcool e non possono berlo!”

Lo guardai per un attimo male. Esattamente quando Babbo Natale era diventato il nostro nuovo presidente? L’ultima volta che avevo controllato aveva vinto le elezioni Trump anche se a me non piaceva per niente. Per votare mi ero informata su cosa i due candidati promettevano e ci rimasi male quando non salì sul trono la prima donna presidente. Dopo di questo, ci rimasi talmente male che non seguii la politica. Avevo ancora quattro anni prima di trovare un altro che mi stesse simpatico per poi votarlo e rimanerci male se non avesse vinto.

“Chissenefrega di Babbo Natale! Noi beviamo alla sua salute!” dissi bevendo un sorso.

Mi strappò la bottiglia dalle mie mani e dopo un ultimo sorso, la bottiglia finì. Lui mi passò la bottiglia vuota che riuscii a posizionarla sopra il bancone e poi mandai giù una manciata di noccioline.

“Facciamo una sfida”

Mi girai distratta verso il ragazzo. Brendan era talmente ubriaco che per imitare la mia posizione, quindi a mettersi con le gambe incrociate, cadde rovinosamente all’indietro. Come potevo non ridere davanti a questa scena?

 

 

Risi sguaiatamente per il suo modo goffo di cadere e ci rinunciai quando non lo sentii ridere con me. Quando capii che non aveva intenzione di alzarsi, lo raggiunsi e mi sdraiai accanto a lui, guardando lo stesso punto che stava fissando lui. La stanza girava vorticosamente ma fin quando non mi provocava nausea ero tranquilla. C’era un problema se avessi iniziato a vomitare.

“Ascolta!” disse lui prendendomi la mano.

Rimasi ad ascoltare per un po’ ma non sentii nulla. Silenzio. Mi girai verso di lui per capire le sue parole e vidi una lacrima scendere dalle sue lunghe ciglia e toccare direttamente il pavimento. Anche le lacrime avevano la loro forza di gravità. Lui mi guardò per un secondo e io sbuffai. Eravamo già arrivati alla fase successiva: disperazione e commiserazione. Io cercavo di rimanere positiva perché se avessi iniziato a piangere, probabilmente non mi sarei più fermata.

“Cosa devo ascoltare?” chiesi non capendo quella sua richiesta.

“Il silenzio” sussurrò “È un paradiso qui, il silenzio con la ragazza più bella!”

Non pensai molto alle sue parole. Staccai la mia mano alla sua e poi appoggiai la testa sul suo petto. Il cuore gli batteva velocissimo ma questo rumore mi cullò. Il calore che il suo corpo emanava insieme al suo braccio che mi carezzava la schiena mi regalarono serenità. Mi davano la sicurezza di cui avevo bisogno.

“Dovresti venire a mezzanotte e si trasforma in un inferno!” sussurrai.

“Ci verrò” mi promise e poi si lasciò sfuggire uno sbadiglio “ma adesso ho sonno!”

Neanche il tempo di rispondere che sentii il suo respiro farsi più regolare. Alzai un po’ la testa e vidi il suo viso rilassato e gli occhi chiusi. Si era addormentato. Sbadigliai anch’io valutando l’idea di salire di sopra e dormire su un vero letto. Mi dispiaceva lasciarlo da solo e poi il suo petto era così comodo. Rimanendo in quella posizione, chiusi gli occhi e dopo nemmeno un secondo sprofondai in un sonno profondo.

***

Il mio culo stava vibrando. Come mai il mio sedere aveva iniziato a vibrare? Mi svegliai del tutto ma non aprii gli occhi. Compresi che non era il mio culo a vibrare ma il cellulare all’interno della tasca posteriore. Avevo dormito tutta la notte con i jeans, non ero riuscita neanche a togliermi da quando ero stanca. Con gli occhi chiusi, presi il cellulare dalla tasca e risposi portandolo direttamente all’orecchio.

“Spero per te che sia veramente importante!” mugugnai.

“Buongiorno tesoro. Sono la mamma. Volevo sapere se al locale è andato tutto bene!”

“Tutto bene” riuscii a rispondere “Come stai tu?”

“Meglio!” mi rispose “Ti lascio dormire un altro po’, passi da casa?”

“Si, ti porto del brodo, okay?”

Non sentii nemmeno la risposta di mia madre che mi addormentai di nuovo. Posai il telefono accanto a me e mi girai dall’altro lato. Mi scontrai con un ragazzo e usai il suo petto come cuscino.

Sentii qualcuno bussare furiosamente alla porta e aprii gli occhi di scatto, spaventandomi. Feci finta di non esserci e non sentire quel rumore fastidioso. Sicuramente era qualche ubriacone che cercava un nuovo locale da cui non era stato ancora cacciato. Ormai sveglia del tutto, aprii gli occhi e mi venne un mezzo infarto quando vidi che avevo il viso appoggiato sul petto di un ragazzo. Lo accorsi immediatamente che non era Nate. Mi guardai frastornata in giro e trovai patatine e noccioline in giro sul pavimento insieme a una bottiglia di tequila.

Il ricordo della notte precedente mi diede uno schiaffo in pieno viso. Avevo fatto entrare uno sconosciuto nel mio locale e ci eravamo ubriacati. Strano che non avevo nessun postumo. Mi alzai piano per non far rumore. Volevo scappare da quel luogo prima che quello sconosciuto si svegliasse. Gli avrei lasciato un post-it con su scritto di tirarsi dietro la porta per uscire. I miei piani andarono in frantumi quando sbattei il mignolo in una gamba della sedia e urlai dal dolore. Maledii per l’ennesima volta la mia disattenzione.

“Puoi fare silenzio? Sto ancora dormendo!” mugugnò lo sconosciuto.

Ormai la frittata era fatta. Lui si era svegliato ed era meglio che lui sparisse dalla mia vista.

“Devi andartene. Non puoi stare qui!”

“Altri cinque minuti!” mi supplicò.

“No. Niente cinque minuti. Non possiamo stare qui! Sono le dodici. La festa è finita!”

In un baleno, lui aprì gli occhi e con meno fatica di me, si mise in piedi. Fece un giro con lo sguardo al locale e poi si passò una mano nei capelli mentre si lasciava sfuggire uno sbadiglio. Aveva lo sguardo preoccupato.

“Devo tornare in hotel immediatamente! Come ci torno in hotel?”

“Come sei arrivato fin qui mi sembra un’ottima soluzione!” risposi distrattamente mentre cercavo di pulire il pavimento.

“Mi serve un cappellino!”

Puntai il mio sguardo su di lui e feci una smorfia. Chi si credeva di essere per parlarmi in quel modo? Quell’autorità che aveva messo nella voce, come se tutto gli fosse dovuto, m’infastidii parecchio. Lui era nessuno per parlarmi in quel modo. Irritata dal suo modo, mi sedetti sul primo sgabello che trovai e trafficai con il cellulare, ignorandolo completamente. Di sottecchi, lo vidi aprirsi in un sorriso per il mio comportamento e poi si allontanò per fare una telefonata. Feci finta di scorrere le notizie su Facebook mentre tutta la mia concentrazione era sulla conversazione che stava avendo in quel momento il ragazzo. Ero consapevole che origliare era da maleducati ma ero troppo curiosa.

“Ciao. Sì, lo so che non sono in hotel. Ho fatto una passeggiata stanotte. Ho conosciuto una ragazza e mi ha invitato a bere qualcosa nel suo bar. Sto bene e non mi è successo nulla. No, non sa chi sono! Che ne pensi se dici a qualcuno di venirmi a prendere e poi ti occupi dell’interrogatorio? Ci vediamo sul retro del Bowes Pub. Non portare nessun contratto. Ti ho già detto che non sa chi sono!”

Chiuse la chiamata e dopo aver posato il cellulare in tasca, si avvicinò a me. Io feci finta di non averlo visto avvicinarsi. La conversazione che ascoltai mi aveva messo mille dubbi ma non avevo intenzione di fargli alcuna domanda.

“Per favore, potresti prestarmi un cappellino?” mi chiese gentilmente.

Mi alzai dalla sedia e cercai di trattenere un sorriso compiaciuto. Avevo vinto. Aveva abbassato i toni con me. Entrai nello spogliatoio e presi il primo cappellino che trovai appeso. Era di Kristen. Lo usava esclusivamente qui quando lavava i capelli o doveva stare dietro il bancone.

Ritornai dal ragazzo e gli passai il cappellino che indossò immediatamente. Mi fece un sorriso sincero e io lo guardai truce.

“È della mia migliore amica. Devi riportarmelo!”

“Ovvio! Ti va una sigaretta?” mi propose.

Annuii. Indossai la mia giacca di pelle e la borsa a tracolla e uscimmo fuori. Ci misi un po’ ad abituarmi al sole e alla fine cedetti indossando gli occhiali da sole. Chiusi la porta del locale dietro di me e infilai le chiavi in borsa. Mi dedicai al ragazzo che c’era con me quando mi passò una delle sue sigarette e io presi l’accendino dalla tasca dei jeans. Fumammo in silenzio mentre in testa mi frullava la conversazione che avevo origliato.

“Chi sei tu?”

Quella domanda mi uscii spontaneamente.

“Brendan. Eri talmente ubriaca che non ti ricordi nemmeno come mi chiamo?!”

“Tu ricordi il mio nome, vero?” chiesi alzando un sopracciglio.

Lui scosse la testa e stava per replicare ma fummo interrotti da una berlina nera che si fermò accanto a me. Un’autista scese dall’auto per aprire la portiera del sedile posteriore e fece un cenno di saluto a Brendan che non ricambiò. Quella era l’auto che Brendan stava aspettando e che aveva ordinato durante quella telefonata. Chi diavolo era questo Brendan per permettersi una cosa del genere?!

“Ti riportò indietro il cappellino indietro!” disse lui dandomi un bacio sulla fronte e avvicinandosi all’auto “Grazie Lizzie!”

Lui entrò dentro l’auto e l’autista chiuse la portiera.

Ero scioccata. Sollevai la mano in segno di saluto e imbambolata guardai l’auto che si allontanava in retromarcia dal vicolo. Quando la berlina scomparve dalla mia vista, corressi mentalmente il mio nome anche se m’importava poco. Non lo avrei rivisto più e avrei dovuto comprare un cappellino alla mia migliore amica.

Cercando di ricordare la serata precedente, andai al super a comprare la zuppa pronta e poi andai a casa. Quando aprii la porta di casa, tirai un sospiro di sollievo. Ero felice di essere lì. Diedi un bacio sulla guancia a mia madre e dopo aver riscaldato la zuppa, mi accoccolai sul divano accanto a lei.

“Tu non mangi?” chiese preoccupata.

“Più tardi!” sbadigliai e poggiando anche la testa sul divano “Ho solo sonno.”

“Grazie per avermi lasciato il tuo appartamento”

“Non devi dirlo neanche!” strascicai “Io vado a dormire. Mi puoi svegliare verso le cinque per aprire? Se hai bisogno, chiamami pure!”

“Certo. Grazie tesoro. Ti voglio bene!”

Abbracciai mia madre e mi persi per qualche secondo nel suo profumo. La lasciai a guardare un po’ la tv e mentre sentivo la tv che stava preparando una ricetta, indossai velocemente una vecchia maglia di mio padre e poi mi sdraiai, prendendo subito sonno. Quel giorno sognai quello stano ragazzo dai capelli neri e grandi occhi verdi che sorrideva dentro il mio schermo della televisione mentre promuoveva un profumo per uomo.

 

  
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