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Autore: _Bri_    12/12/2019    11 recensioni
[Storia Interattiva - Iscrizioni Chiuse]
Mentre ad Hogwarts si sta svolgendo il Torneo Tre Maghi, da qualche parte, in Inghilterra, esiste un "Giardino Segreto" apparentemente bellissimo ed unico, ma che nasconde ben più degli incanti che lo immergono nel costante clima primaverile. Dodici celle, occupate da dodici creature che il dottor Steiner ha rinchiuso lì. Il motivo è sconosciuto, ma chi vi è rinchiuso dovrà lottare con tutto se stesso, per ottenere la libertà.
Genere: Dark, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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CAPITOLO XIII
Memoro
 
Il dolore arrivò ben prima della vista. Adrian accompagnò il risveglio ad una lunga sequela di bestemmie; sentiva ogni angolo del proprio corpo dolere e la fronte, laddove percepì, sfiorandola, del sangue rappreso, pulsava incessantemente. Si tirò su a fatica e sedette su quel letto che subito riconobbe non essere il proprio; una misera brandina, scomoda. Intorno a lui una cella semibuia ospitava uno scrittoio vuoto e una sedia di legno fragile.
 
- Ma cosa cazzo… - Si avviò claudicante alla porticina dietro la quale era nascosto un bagno modesto; sciacquò il viso più volte, prima di alzare gli occhi di cristallo e guardare la propria immagine riflessa allo specchio: una grossa crepa in concomitanza con l’attaccatura dei capelli era nascosta dietro lo strato di sangue che aveva in parte tirato via con l’acqua. Asciugò alla bene e meglio il viso e subito tornò nella cella. Quindi era così che dovevano sentirsi i reclusi: soli, sperduti e in trappola, pensò mentre si avviava alle sbarre della cella che lo ospitava. Guardò oltre di esse, nel tentativo di riconoscere qualche elemento per permettergli di orientarsi. Poi tutto d’un tratto ricordò cosa fosse successo:
Lo scontro fra i licantropi. Elyon ferita. La morte del vampiro.
Ma i suoi ricordi erano fermi in un punto specifico e sembravano non volersi fare nitidi. Cosa fosse successo, non lo sapeva. L’unica cosa che ricordava, ma per quanto ne sapeva poteva anche sbagliarsi, era quel pezzo di merda di Greyback che assaliva Elyon.
Mentre gli occhi cercavano freneticamente qualcuno all’infuori di quella cella e la mascella serrata non dava pace all’arcata dentale, Adrian sperò di essere condotto da Robert il prima possibile. Quel bastardo lo aveva raggirato, ingannato ed infine sfruttato per i propri scopi. La consapevolezza che Elyon avesse ragione, stranamente, gli provocò una gutturale risata isterica, che sapeva di sangue stantio.
A Robert non era mai fregato nulla di lui, né di nessun altro. Il Dottore aveva uno scopo ben preciso ed aveva dimostrato di essere capace di passare sopra a qualsiasi relazione instaurata, pur di raggiungere i propri obiettivi. Adrian non si riteneva una persona particolarmente brillante, ma non credeva che il cugino di sua madre sarebbe arrivato a quel punto. Per molto tempo aveva rivisto in Robert un perfetto sostituto di quel pavido di suo padre ed era genuinamente convinto che il mago fosse arrivato ad affezionarsi davvero a lui.
Sputò oltre le sbarre della cella; un grumo rosso macchiò l’erba brillante che cresceva rigogliosa oltre la cella.
Robert Steiner lo aveva allevato per accondiscendere alle sue esigenze; lo aveva manovrato come un burattino, facendo leva sul bisogno di affetto e certezze e appena ne aveva avuto l’occasione, lo aveva ridotto alla stregua di carne al macello.
La risata che sgorgò dalla bocca screpolata di Adrian Reed si fece più intensa: forse gli sarebbe costata la vita, ma giurò a se stesso che Robert Steiner avrebbe pagato per ciò che aveva fatto ad Elyon e a lui.
 
*
 
Erano passate due, forse tre ore, da quel tramonto totalmente inatteso. Lucas aveva scalciato, gridato. Si era fatto coraggio ed aveva provato ad usare i propri poteri con consapevolezza, ma non aveva avuto nessun tipo di successo, se non lo sbatacchiarsi di qualche rigogliosa fronda. Era vero, Joshua aveva ragione: il Giardino non aveva alcuna intenzione di farli muovere da lì, eppure il temperamento focoso del giovane Auror aveva, al solito, preso il sopravvento e nonostante Joshua e William lo avessero pregato in più di un’occasione di non agitarsi tanto (gli sarebbero servite tutte le energie possibili, nel caso fossero dovuti scappare), Lucas non aveva dato loro ascolto. Infine, stremato e con la gola arsa, si era lasciando andare.
Joshua lasciò che Lucas si sfogasse. I suoi occhi grandi e chiari, vigili e reattivi, mai avevano abbandonato l’imponente figura di Lucas. Il metamorfo era di gran lunga più razionale e sapeva bene che qualcuno doveva mantenere la calma; quando vide Lucas arrendersi e gettarsi seduto sull’erba che si era fatta umida, visto il repentino sorgere della luna che aveva strappato via i regolari e caldi raggi solari, aspettò qualche secondo. Poi si avvicinò a lui, si accucciò al suo fianco e rimase in silenzio. Dopo gonfi respiri, Lucas si abbandonò ad un pianto isterico. Rideva e piangeva, L’Auror e passava in continuazione quelle sue mani grandi sul viso, per scacciare via le lacrime. Disse di essere un cretino, un idiota. Affermò che mai e poi mai lo avrebbero riammesso fra le file degli Auror, visto che aveva dimostrato la totale incapacità di far fronte alle prove a cui il dottore li poneva continuamente. Se mai fosse uscito di lì, sicuramente lo avrebbero radiato. Rise ancor più, Lucas, perché anche quella era una gran cazzata. Non sarebbero mai usciti da quell’incubo, mai!
William e Cora si lanciarono sguardi in più di un’occasione, titubanti sull’eventualità di intervenire o meno; ma Joshua riuscì a fare fronte a quella situazione con estrema maestria. L’algido maestro mal sopportava di vedere Lucas ridotto in quelle condizioni e ancor più detestava di sentire, nitido, l’affetto per il ragazzo ingombrarlo tanto.
Lucas gli toglieva lo spazio. Ma Joshua riuscì ad accettare che sentiva di essere ben felice di mettere da parte le sovrastrutture che aveva faticosamente costruito con il tempo, in favore di quel mago che lo aveva stordito fino a fargli provare una vasta rosa d’emozioni.
Tramite la sua presenza, Joshua aveva imparato ad amare un po’ più se stesso. Lui, che si era rifugiato nel mondo dei babbani per fuggire a tutto ciò che odiava di più, aveva trovato in Lucas la luce del mondo magico.
Lui, che mai aveva accettato la sua omosessualità con pragmatismo, aveva capito che non avrebbe mai potuto provare ciò che sentiva per Lucas, nei confronti di una donna.
Se anche fossero dovuti rimanere in quella prigione primaverile, probabilmente non gli sarebbe importato.
Per questi motivi allungò la mano per stringere quella di Lucas, che si calmò, stupito, con quel gesto.
 
- Andrà tutto bene, te lo prometto. – Si limitò a dirgli, aprendo il viso ad un sorriso delicato, morbido e rassicurante.
Poi la Mangiamorte si era presentata a loro pallida come uno straccio logoro, proprio quando la luna stava sparendo per lasciare nuovamente il posto al sole. Sembrava sconvolta, nonostante fosse evidente che tentava di mantenere un contegno. Nessuno dei quattro aveva mai visto Roxanne Borgin conciata in quella maniera, ma non uno solo fra William, Cora e Joshua ebbe il coraggio di dire qualcosa. Fu Lucas a farsi avanti, con ritrovata forza. Urlò nella sua direzione, pretendendo una qualunque spiegazione per quanto era appena successo.
 
- I nostri compagni stanno bene? Ed Elyon… con questa fottuta luna, dannazione! –
 
Roxanne indurì lo sguardo e tese le labbra in una morsa, come a voler trattenere una vasta gamma di vocaboli fuori luogo.
 
- Seguitemi in assoluto silenzio. Vi riporto nelle vostre celle. – Solo in quel momento si soffermò su Lucas, che ispezionò lungamente: - Tu più di tutti farai bene a tenere cucita questa tua boccaccia, siamo intesi? –
 
Così erano stati nuovamente smistati, ognuno nella propria cella. Lucas, però, non aveva preso sonno. Aveva atteso, di contro, che ci fosse qualche tipo di movimento nella cella adiacente alla sua. Temeva infatti che fosse successo qualcosa ad Elyon e sperava con tutto se stesso di sbagliarsi.
Guardava le sbarre con occhi febbrili ed il fiato corto, in attesa. Poi sentì dei rumori. Lucas si scagliò contro la cancellata della cella e tentò di capirci qualcosa, nonostante la visuale non fosse delle migliori. Vide, poi, due figure incappucciate e con le lavorate maschere dei Mangiamorte a coprire il volto, trasportare il corpo apparentemente esanime di Elyon, fin dentro la cella.
 
- Ehi! Cosa le avete fatto?! Bastardi! – Gridò con quanto più fiato aveva in corpo, ma nessuno dei due rispose alle sue parole. Lucas continuò a fare un gran baccano, mentre quelli trasportavano il corpo di Elyon nella cella finché poi, una volta usciti, non si avvicinarono alla sua. La figura più imponente dei due, colui che sfiorava la sua altezza, si rivolse a lui, lapidario e glaciale: - Vieni con noi, senza opporre resistenza. Non costringerci a schiantarti. –
 
Lucas ricercò la voce rassicurante di Joshua dentro di sé. Pensò che il metamorfo gli avrebbe di certo consigliato di rimanere calmo e di assecondarli e così lui fece. Lasciò che i Mangiamorte aprissero la sua cella e lo scortassero lungo un breve percorso, fino ad arrivare ad una porta di metallo rossa di ruggine, posta sulla più alta delle siepi che avesse mai visto in quel luogo.
Varcò la soglia e superò i cunicoli spaventosamente ventosi, fino ad arrivare all’interno della villa del dottor Steiner. Fu in quell’anticamera che i suoi occhi si fecero larghi di meraviglia: Joshua, dai capelli color cielo in tempesta, era affiancato da Robert Steiner, che lo osservava quasi curioso, senza lasciar trapelare l’ombra di un sorriso. Quegli occhi freddi come smeraldi appena lavorati, baluginanti di follia, lo ispezionarono lungamente, prima di parlare.
 
- La smetterai presto, di fare tutto questo chiasso. –
 
*
 
“ Amore… dove sei? “
 
Martha si guarda intorno. La stanza è buia e mettere a fuoco è praticamente impossibile. Deve essere notte e lei non ha dormito che una manciata di ore. Liscia le lenzuola del letto, nel posto accanto al suo: sono fredde, il che vuol dire che suo marito è in piedi da molto tempo. Con un colpo di reni si tira su e rimane seduta, cercando di focalizzare l’arredo della sua stanza da letto. Non riesce nemmeno a capire dove sia la finestra, evidentemente Phil deve aver abbassato le tapparelle a tal punto che nemmeno un timido raggio lunare sia in grado di raggiungere la stanza. La voce, quella voce, però, è la sua. E torna a chiamarla.
 
“ Martha, ti prego non nasconderti, abbiamo bisogno di te… io, ho bisogno di te! “
 
Non è allarmato, il tono di Phil. Più che altro triste, bisognoso. Sembra una preghiera rivolta con disperazione a qualcuno di importante.
 
“ Non farmi spaventare! Sono qui, vieni! “ Risponde lei, con assoluta ovvietà. Tenta di scendere dal letto, ma non ci riesce. È come se la metà inferiore del suo corpo sia paralizzata; è in quel momento che incomincia ad agitarsi. Qualcosa non va.
Il respiro si accorcia e Martha stringe i denti, mentre tenta ancora di spostare il corpo.
 
“ Phil! Aiutami… non riesco a muovermi! “
 
“ Martha… amore! Dove sei? Torna a casa… torna a casa da me. “
 
Possibile che non la ascolti? Eppure, seppur lievemente distorta, come sé quella provenisse da una vecchia radio, Martha è certa che la voce di Phil sia vicina, molto vicina. Che stupido scherzo ha architettato? È tutto buio, troppo buio e il suo corpo non reagisce e il panico corre a mordicchiarla. Tenta di calmarsi e cerca con disperazione i ricordi dentro la mente confusa. Cosa ha fatto la sera precedente?
Il panico diventa terrore, quando si rende conto che non ha nessun ricordo di quanto accaduto solo una manciata di ore prima.
 
“ Abbiamo una pista, signor Butler… ma non voglio dargli false speranze. Però ci stiamo lavorando: riusciremo a riportare da lei sua moglie, o almeno faremo di tutto per farlo. “
 
Di chi è quella voce? Non l’ha mai sentita prima di quel momento. Una donna, una strega, sta parlando con Phil. Ma di cosa diavolo parlano? Lei è lì! Nella loro stanza matrimoniale buia come il punto più profondo dell’universo, incapace di muoversi da quel letto.
 
“ Sono qui! Philip ti prego, ho bisogno di aiuto! Aiutami! “
 
“ Mi fido di voi… riportatela da me. Da me… “
 
“ Le mie gambe… le mie gambe non si muovono! Ho paura Phil… ti scongiuro vieni qui!”
 
E mentre riesce a muovere appena il piede destro, un rumore sordo arriva dalla finestra e con quello, la luce abbagliante del sole che quasi l’acceca.
 
Spalancò gli occhi e si tirò su di scatto. Stava iperventilando. Martha mosse scattosa il capo da un lato all’altro di quella che riconobbe essere la cella che la ospitava ormai da mesi. Era stato un sogno, o meglio un incubo. Non era nella stanza da letto di casa sua, non era paralizzata, non c’era Phil, il suo Phil, a chiamarla con disperazione, né nessuna donna a rassicurarlo.
Martha scoppiò a piangere. I singhiozzi riecheggiavano da un muro all’altro, mentre i ricordi del sogno andavano sommandosi a quelli, reali e concreti, dello scontro fra i due licantropi e Mazelyn Zabini, che aveva drammaticamente portato alla morte di quest’ultima.
 
*
 
Per Elyon era come se migliaia di spilli roventi la stessero trafiggendo in tutto il corpo. Il dolore acuto l’aveva portata a svegliarsi di soprassalto; certo, ci era abituata, visto che ogni volta che usava il proprio potere speciale, la sua stessa carne si ribellava ad esso procurandole ematomi, ferite ed escoriazioni. Ma era la prima volta che era arrivata ad uno scontro quasi fatale, che aveva messo in tale pericolo lei e…
 
- Adrian! – Gridò, d’istinto. Si alzò dalla brandina e a fatica raggiunse il bagno. Guardò il proprio viso riflesso nello specchio: era gonfia e livida e del sangue raggrumato si condensava intorno alla bocca, aspra e arsa. Bevve una lunga sorsata d’acqua, sciacquò ripetutamente il viso non curandosi di bagnare qualche ciocca vermiglia. La mente intanto s’impegno in un fitto e doloroso percorso a ritroso, nel tentativo di ricordare ogni singola cosa fosse successa durante quell’inaspettato plenilunio. Non sapeva quanto tempo fosse passato e per quanto avesse dormito, sapeva solo che era successo qualcosa di troppo assurdo.
Per un momento il tempo si era congelato. Ma non per tutti, quello era ovvio. Ad esempio lei poteva muoversi, anche Alistair aveva potuto farlo… ma Adrian e Fenrir si erano come congelati e no, non c’era di mezzo nessun incantesimo, in quanto anche l’aria s’era fatta immobile.
 E questo era accaduto solo a seguito della morte di Mazelyn Zabini. Ma no, non era stato così per tutti. Fenrir aveva subíto il tempo, così come Adrian.
Adrian. Elyon aveva assoluta urgenza di sapere come stesse; niente, assolutamente niente era più importate, in quel momento, di saperlo vivo.
 
- Yaxley! –
 
Elyon si pietrificò. Quella voce le fece dimenticare, per un momento, persino di essere un unico agglomerato di dolore. Ogni sua parte del corpo doleva in maniera innaturale, ma quello non era nulla in confronto a quella voce, che l’appellava con ira.
Perché, nonostante fosse chiusa ormai da chissà quanto nel carcere d’erba viva che Robert aveva messo su ad opera d’arte, non erano venute in contatto che una sola volta, per giunta in un incontro altamente spiacevole.
Diede un’ultima fugace occhiata allo specchio, prima di aprire la porta del bagno e rimettere piede nella cella. Gli occhi corsero alle sbarre: le iridi glaciali di Roxanne Borgin s’erano fatte sottili e la inchiodavano in una sensazione di rabbia furente. La bocca di Roxanne, sempre generosa nel riservarle parole poco gentili, si allargò a mostrare le file candide di denti stretti in una morsa funesta.
 
- Cosa ti è saltato in mente?! Non potevi startene buona e, chessò, farti ammazzare senza mandarci di mezzo Reed?! –
 
Elyon fu alle sbarre con pochi balzi, incurante del dolore che non la lasciava in pace. Quelle arpionò, in stretta ferina e non titubò ad agganciare lo sguardo della donna.
 
- Dimmi che è vivo! Dimmi solo questo… - il digrigno dei denti masticò le parole. Roxanne la squadrò, furibonda più che mai e poi rispose in un sibilo: - Certo che è vivo, ma per miracolo! Grazie a te, però, ora mi ritrovo senza il mio collega più fedele. Sappi che se poco ci è mancato che perdesse anche la vita, è per colpa tua! – Roxanne si distaccò dalle sbarre e si guardò intorno con rapidità. Ad Elyon, comunque, quell’attacco non l’aveva scalfita: sapere che Adrian fosse vivo era l’unica cosa che contasse davvero, anche se le parole nebulose della Mangiamorte le fecero presto scattare un campanello d’allarme.
 
- In che senso?! Cosa gli ha fatto Robert? Parlami Roxanne, devo sapere! –
 
La strega dalla lucida chioma color pece la fissò sprezzante, prima di sibilare che Adrian Reed non era che ormai condannato ad occupare una delle umide celle di quel Giardino. Prima di andarsene, si voltò di nuovo a fissare Elyon la quale, sgomenta, non aveva abbandonato la tenace presa delle sbarre: - Che tu sia maledetta, Elyon Yaxley. –
Elyon non ebbe la forza di controbattere. Sapeva, nel suo profondo, che Roxanne avesse ragione perché per quanto non avesse colpa diretta, se Adrian c’era andato di mezzo, non era che colpa sua.
 
*
 
Evangeline si sentiva stordita,  contratta da fortissime emozioni negative che non esitavano a lasciarla stare. Sedeva nella sua cella tentando di ritrovare le energie che ciò a cui aveva assistito le aveva sottratto con poco riguardo. Accanto a lei, con sguardo assente, sedeva Jules e difronte, con atteggiamento svogliato, Cora perdeva lo sguardo sulla piramide ancora illibata sul suo scrittoio.
 
- Sei proprio una ragazza per bene, Montague, - disse Cora, con tono divertito, - non ti sei beccata nemmeno una punizione, a quanto vedo. –
 
- Perché, vorresti dirmi che la principessa Dagenhart ha perso la verginità della sua piramide? – rispose affilata lei, come suo solito. Prima che Cora potesse controbattere con acidità, Jules si intromise: - Sapete, io un paio ne ho. Chissà che succederà, quando si colmerà. –
 
- Nulla di buono, immagino. – quasi sussurrò in risposta Evangeline, mentre la testa correva alla nitida immagine della cella di Victor, nello specifico il fotogramma della sua piramide, colma a rasentarne la punta. Non aveva assoluta intenzione di indugiare ancora su quel pensiero, perché se niente di buono sarebbe accaduto con il colmarsi di quella che i loro carcerieri usavano come metro di misura per le loro punizioni, allora voleva dire che quell’idiota di Vicky stava rischiando grosso.
 
- Comunque… ho bisogno di confidarmi con voi. – Bisbigliò Jules, che aveva di nuovo perso lo stupore dal viso, contratto invece in un’espressione che la rendeva molto più grande dei suoi quattordici anni. Evangeline la ispezionò a lungo e poi, con gesto delicato, le carezzò la spalla, incitandola a parlare.
 
- Insomma… Maze… Maze è… morta. – Le parole frammentate fecero scoccare uno sguardo fra Cora ed Evie. La prima annuì, seria. – Si, è così. Sei spaventata? –
 
Jules annuì e prese a stropicciare le mani sul suo vestitino di seta azzurra, che le lasciava scoperte le ginocchia pallide: - Lo sono, si. Voi non lo siete? –
 
- È normale esserlo… - rispose allora Evie. Jules aveva aperto l’argomento che le aveva portate ad ammutolirsi in uno strano silenzio per giorni. Giorni passati, fra l’altro, nella più totale solitudine delle loro celle, fino a quel giorno in cui un paio di Mangiamorte muniti di maschera e mantello avevano condotto Cora e Jules nella sua cella.
 
- Ma io non ho paura per me stessa, sapete? È la morte di voi altri, che mi preoccupa. Se dovesse succedere qualcosa a voi, o a Martha, a Yann, Victor o… o ad Alon, ecco… io non credo reggerei. –
 
Cora studiò la tassorosso con ingenua curiosità. Anche lei aveva paura, una paura agghiacciante, in realtà; ma il suo primo pensiero era andato a se stessa, ancora una volta, o almeno questo era ciò che aveva creduto fino alla confidenza di Jules. In realtà anche lei si era resa conto di temere non tanto per se stessa, quanto per i suoi compagni. Che senso avrebbe avuto, del resto, avere salva la pelle se sorte ben peggiore fosse capitata a persone che, valutò fra sé, erano riuscite a scucire buoni sentimenti da parte sua? Passò frettolosamente una mano intorno agli occhi, a cacciare quelli che Evie e Jules avevano riconosciuto essere grossi lacrimoni pronti a sgorgare. L’erede Montague accennò un sorriso e con la volontà di smorzare almeno un po’ quella che sembrava avviarsi ad una conversazione molto pesante, prese a canzonarla bonariamente.
 
- Non vergognarti di possedere un cuore anche tu, Cora. Butta fuori, su! –
 
La reazione istintiva e naturale di Cora fu quella di aggredire, verbalmente e non, Evangeline. Eppure si stupì ella stessa nel ritrovarsi a piangere e ridere al contempo. Jules, la quale inizialmente aveva riservato per Evie uno sguardo di rimprovero, si era poi imbambolata a osservare la stravagante reazione di Cora. Non seppe nemmeno lei perché, ma si trovò a commuoversi a sua volta; evidentemente la reazione si esagerata, ma vivida ed umana di Cora l’aveva smossa più di quanto avrebbe immaginato.
Così Evangeline si ritrovò con la bocca schiusa dallo stupore, a fissare le due piangere e ridere senza alcun tipo di ritegno.
Cosa avrebbe potuto fare, se non lasciarsi andare alle emozioni anche lei e condividere con loro un bel pianto liberatorio ed una fragorosa risata?
 
*
 
Roxanne tentava di frenare il fiatone e la fastidiosa tachicardia, con profondi respiri. Il termine pericoloso non era affatto sufficiente a descrivere il gesto sconsiderato che aveva appena commesso. Era nauseata da se stessa, ma oramai aveva deciso, con lucidità, che sarebbe dovuta andare fino in fondo a quella faccenda.
A seguito dell’entrata di Fenrir Greyback nel Giardino, appena ne aveva avuto l’occasione Roxanne si era presentata con furia cieca nello studio di Robert Steiner. Era davvero raro che la Mangiamorte si mostrasse iraconda, ma in quell’occasione l’ira aveva preso il sopravvento. Urlò a Robert di essersi sentita umiliata e ferita per non essere stata messa al corrente del suo piano e che mai e poi mai, avrebbe pensato che lui avrebbe potuto trattarla così.
 
“Sono costernato Roxanne, ma credimi che se l’ho fatto è stato solo per non permettere ad Adrian di arrivare alla conoscenza del mio piano. Se così fosse stato non avremmo ottenuto questi risultati incredibili.”
 
“Sai che non avrei aperto bocca! Credevo ti fidassi di me, Robert!”
 
“Sei la persona di cui mi fido più al mondo, mia bella Roxanne; è della debolezza umana, che non mi fido e tu, nonostante sia quasi impeccabile, avresti comunque potuto essere influenzata dal rapporto con Adrian Reed. Ora non fare quella faccia, mi spezzi il cuore… pensa al grande passo che abbiamo raggiunto: abbiamo congelato il tempo.”
 
Roxanne aveva impiegato tutte le sue energie per calmarsi e fingere di essere tornata in sé. Doveva dimostrare a Robert Steiner che si fidava ancora ciecamente di lui e delle sue decisioni. Non doveva fargli minimamente sospettare di tramare qualcosa di grosso, nei suoi confronti, altrimenti si sarebbe anche lei ritrovata chiusa in una di quelle celle. Mantenere il sangue freddo, era dunque l’unica soluzione e con quello spirito razionale e determinato, si era recata nella sua stanza in piena notte, la settimana successiva. Aveva liberato un muto incantesimo insonorizzante e con la bacchetta ancora stretta nelle mani, si era avvicinata cautamente al letto in cui Robert riposava composto. Fissò a lungo i suoi lineamenti rilassati, mentre la mano libera scivolò nella tasca del suo mantello scuro, dal quale estrasse una minuscola ampollina nella quale riverberava un liquido d’un pallido celeste. Senza indugiare ancora, aprì l’ampolla, trattenne il respiro e riversò il contenuto sul viso di Robert, consapevole che la pozione avrebbe assicurato al mago un sonno continuativo di molte ore. Solo a quel punto gli occhi chiari ricercarono la bacchetta di Robert, custodita sul comodino posto al suo fianco.
Roxanne la afferrò e corse via dalla stanza di Robert; non interruppe mai la sua corsa, che fu giusto rallentata dai cunicoli ventosi e nebulosi che dividevano la villa dal Giardino.
Oltrepassata la porta di ferro rossastro di ruggine si fermò per riprendere fiato: sentiva il cuore in gola e lo stomaco sottosopra, ma non aveva tempo da perdere; così sfilò le eleganti décolleté laccate del blu intenso della notte e proseguì la sua corsa.
Yann dormiva d’un sonno agitato; poteva capirlo, Roxanne, dal modo in cui si rigirava sulla branda. Accennò un sorriso spontaneo, che si obbligò subito a ritirare nella rigidità delle labbra mentre, ancora affannata, lanciò l’incantesimo contro le sbarre per aprire la cella. Odette, al suo fianco, tentava di capirci qualcosa: la strega era stata svegliata dalla Mangiamorte, affannata e isterica, la quale le aveva ordinato di seguirla in assoluto silenzio. Aveva farfugliato che avrebbero dovuto fare in fretta e non perdere nemmeno un prezioso minuto del tempo che avevano a disposizione.
Fu con lo sferragliare del ferro che il mago aprì di colpo gli occhi, che si scontrarono con la figura di Roxanne, in piedi al suo fianco e la mano tesa nella sua direzione, a porgergli la bacchetta del dottor Steiner.
 
- Facciamolo, adesso. –
 
*
 
Erano passati giorni dalla morte di Maze. A questo, Alon, non aveva mai smesso di pensare un solo istante. Ormai si era abituato a quella condizione terribile e nonostante i momenti di scoramento e tristezza, era comunque riuscito a scovare il pensiero positivo, grazie anche all’aiuto delle persone che condividevano quella sofferenza con lui. Era arrivato alla conclusione che in qualche modo ce l’avrebbero fatta, che unendo le forze sarebbero usciti di lì e che tutti, ma proprio tutti, si sarebbero potuti salvare. Eppure uno di loro ci aveva rimesso la vita ed ironia della sorte, a farlo era stata colei in cui la vita non scorreva da un po’ di tempo. Mazelyn era stata eroica, ma un carissimo prezzo aveva pagato per il suo coraggio.
Si maledì, Alon, per non essere intervenuto, ma come avrebbe potuto? Doveva pensare a difendere gli altri, a mettersi in salvo. Doveva proteggere Jules.
Cosa avrebbe potuto fare?
Questa domanda si era fatta spazio in lui in maniera alquanto insolente e gli aveva tolto il sonno più di quanto aveva fatto la stessa immagine raccapricciante del corpo esanime di Mazelyn Zabini. L’unica questione che lo aveva fugacemente allontanato dal rimorso di non aver fatto abbastanza, fu il pensiero di quanto successo a seguito della morte del vampiro: il tempo si era fermato, maledizione. Ne era certo, non era stato frutto della sua immaginazione. Nonostante non avesse più avuto alcun contatto con il resto dei presenti allo scontro fra i due lupi mannari, che immaginava fossero svenuti come lui a seguito di quel suono assordante, Alon era sicuro di cosa avesse percepito. Il tempo si era cristallizzato davvero, ma non per i reclusi: solo gli “esterni”, ovvero l’altro lupo mannaro e Adrian Reed avevano subito quel blocco temporale.
Perché il tempo si era fermato?
Perché su di loro non aveva avuto effetto?
C’entrava qualcosa con la loro reclusione?
Il ronzio fastidioso di quelle domande senza risposta, fu interrotto con l’apparire, dopo giorni di solitudine, di un paio di figure incappucciate e con il volto coperto da maschere d’argento liquido. A malo modo gli era stato ordinato di uscire dalla cella e di seguirli in silenzio ed Alon aveva obbedito, anche se avrebbe voluto non farlo.
Così, in quel momento, Affiancato dai due Mangiamorte, il tritone camminava in silenzio, nella sola speranza che se avesse fatto come gli era stato detto, la situazione non sarebbe peggiorata. Dentro di sé, infatti, sentì che non lo stavano conducendo da nessuno dei prigionieri, altrimenti sarebbe stata la Borgin, magari, a prelevarlo dalla cella della Madre, oppure Adrian Reed.
Gli occhi di denso verde scorsero le rive del lago che tanto bramava nei suoi sogni, ma chissà come mai, non fu affatto felice di quella visione. Forse perché mentre camminava, percepì una strana sensazione, come se il corpo avesse attraversato una parete liquida.
 
- Alon! Scappa! –
 
Il sangue raggelò la rete capillare del suo corpo maestoso, appena quella voce che parlò in marino, arrivò alle orecchie. Non poteva essere, sua sorella non poteva trovarsi lì. Non ci pensò un secondo di troppo a correre verso il lago, fregandosene delle bacchette che i due Mangiamorte tenevano strette nei pugni.
E nell’avvicinarsi, gli occhi si sgranarono nel constatare che la testa di sua sorella emergeva dalle acque placide del lago; l’espressione di Alissa era un groviglio di terrore.
 
- Alissa! Cosa ti hanno fatto?! Come ti hanno trovata?! – Gridò con quanto fiato avesse in gola, lui. Dalla sorella, però, non ricevette alcuna risposta, perché d’un tratto era come se la sirena fosse stata trascinata nell’acqua con la forza. Alon si spogliò e si tuffò; era magnifico come, ogni qualvolta entrava a contatto con l’acqua, il suo corpo assumesse nell’immediato le sembianze marine, ma al contempo fu terribile non poter dare importanza a quel cambiamento. Alon nuotò con forsennata rapidità, alla ricerca della sorella che, nonostante la scarsa ampiezza del lago, ci mise molto tempo a trovare.
Girò, invano, affannandosi nel cercarla, fin quando quasi non si scontrò con un groviglio di catene, strette senza pietà intorno al corpo della sorella, che fluttuava inerme sotto di esse.
 
- Oh no… no! Tesoro, ci sono io, sono qui, sono qui!- Alon tentò di sbrigliare Alissa da quella condizione, ma smise appena si rese conto che la piccola sirena sembrava… esanime. Sentì l’aria mancargli, così come i sensi venirgli meno, ma non poteva permettersi di cedere allo svenimento, non in un momento così. Le acque iniziarono a piegarsi intorno ad Alon e queste si insinuarono fra i ganci delle catene facendosi pesanti come piombo, nel tentativo di spezzarle e salvare sua sorella.
 
- Alon… povero ibrido… guardami. –
 
Troppo concentrato su quelle catene, Alon aveva allontanato lo sguardo dal viso della sorella. Ma quella voce, che si era appena rivolta a lui, non aveva nulla a che vedere con quella melodiosa di Alissa. Era lasciva, affilata, maschile. Lentamente gli occhi risalirono a cercare il viso della sirena. Ma al suo posto, un volto pallido e scavato lo fissava con un ghigno.
Non più Alissa, ma Lord Voldemort in persona era lì a fissarlo e deriderlo, divertito più che mai dal terrore che coglieva nel viso del tritone le cui grida arrivano a superare le acque.
E con le grida di terrore, tutto intorno a lui sembrò fermarmi e lord Voldemort non era più lui, bensì un essere informe ed immobile, che si perdeva nelle catene, rimaste sospese e perfettamente immobili nel bel mezzo dell’acqua di quel lago cristallizzato nel tempo.
 
*
 
Yann rigirava la bacchetta di Robert Steiner tra le mani con sguardo torvo. Di tanto in tanto guardava Odette, seduta al suo fianco e poi Roxanne, seduta compostamente sulla sedia della sua cella; poteva cogliere, nel suo volto tirato, agitazione, paura, stanchezza, rabbia, ma anche eccitazione. Si chiese se, davvero, i motivi di quei mal di testa erano stati scatenati da una qualche perdita di memoria dovuta ad un oblivion scagliato su di lei dal dottor Steiner, o se stesse prendendo un’enorme cantonata. In entrambi i casi, comunque, non sarebbe andata bene. Se fosse stato così, Roxanne Borgin avrebbe retto alla scoperta della verità? E se invece non lo fosse stato? Yann non voleva prendere in considerazione quella opzione, perché qualcosa, dentro di lui, si stava lentamente convincendo che quella donna non potesse essere così orribile; doveva essere stata vittima degli eventi, ecco. Doveva essere così.
 
- Yann, dobbiamo sbrigarci. – Il tono risoluto della strega lo riportò alla realtà. Odette passò rapidamente lo sguardo da Yann a Roxanne e fu a quest’ultima che si rivolse: - Ne sei sicura? Avrò libero accesso? Insomma… se dovessi ricordare qualcosa posso riportare tutto ad Yann? -
 
Roxanne annuì. La sicurezza con cui lo fece, assottigliò i sensi di colpa che si stavano aprendo la strada in Odette, la quale era convinta che esplorare in maniera tanto intima la mente di qualcuno, nonostante questa fosse quella della Mangiamorte che collaborava a tenerli sotto scacco, era quasi inaccettabile.
Con un grande sospiro, Yann si alzò in piedi e puntò la bacchetta contro Roxanne, la quale ricambiava lo sguardo senza l’ombra del timore.
 
- Pronta? –
 
- Lo sono. –
 
Yann dovette fare un paio di tentativi, prima di riuscire a produrre il giusto incanto con quella bacchetta che non gli apparteneva.
 
- Memoro! –
 
Il raggio dorato sgorgò dalla punta della bacchetta di Robert Steiner e come un sinuoso serpente, raggiunse la tempia di Roxanne. Gli occhi della Mangiamorte si sgranarono ed Yann rabbrividì, nel cogliere il velo dorato che coprì l’iride.
 
- Non se ne parla, tu farai come ti ho detto, stupida donna! –
 
Gli occhi curiosi della piccola Roxanne spiavano, da un angolo della stanza, i suoi genitori discutere. Trattenne il fiato e ascoltò una delle rare liti che avvenivano fra i due. Pronta ad uscire, chiusa nel suo cappottino di ermellino, attendeva che la madre la richiamasse.
 
- È troppo piccola, non può passare tutto il tempo al negozio, non le fa bene e lo sai anche tu! –
 
Martin Borgin sbatté una mano sul tavolo di noce scuro, lamentando poi un dolore fitto. – Sai benissimo che Caractacus non lo permetterebbe mai… mi sbatterebbe fuori senza farsi il minimo problema! Lo conosci meglio di me… - le parole dell’uomo assunsero una sfumatura allusiva, - Sai bene che non accetta essere contrariato, tantomeno che Roxanne venga allontanata da lui. –
 
- Non dico che non debba più venire, ma potrebbe prendere lezioni private in vista del suo ingresso ad Hogwarts… -
 
- Al negozio apprende molto di più di quanto farebbe con un qualsiasi insegnante privato. –
 
- Martin… -
 
- Taci ti ho detto! Ora andatevene, io qui ho da fare. –
 
 
Roxanne era stata accolta con calore da Caractacus e proprio quest’ultimo gli chiese di spostarsi a giocare in un'altra ala del negozio, di modo che lui potesse scambiare due parole da adulti con la sua mamma. Ma Roxanne non era una stupida: aveva capito che nell’aria ci fosse qualcosa che non quadrasse e per questo, dopo aver finto di allontanarsi, rimase invece all’ascolto. E spiò. Ancora.
 
Vide sua madre sfilare il cappotto e non avere nemmeno il tempo di abbandonarlo accanto al bancone, che suo zio l’aveva afferrata per i fianchi ed aveva affondato la bocca nell’incavo niveo fra la spalla e il collo. Sua madre mugugnò e lo allontanò con garbo; sembrava intimorita.
 
“ Può vederci, lo sai. “
 
“ E sia! È giunto il momento di ristabilire l’ordine. Voi due appartenete a me soltanto, lo sappiamo entrambi, Ludovica! “
 
“ Può sentirti! “ Sua madre tappò d’istino la bocca di suo zio con entrambe le mani, che l’uomo tirò via con un gesto violento. Le strinse i polsi e la tirò a sé; il rantolo cagnesco che uscì dalla bocca di Caractacus, fece sussultare Roxanne e portò ella stessa a tapparsi la bocca per non farsi sentire dai due.
 
“ Non mi importa niente… lo hai capito o no? Quella bambina… non può essere il frutto del seme di quell’idiota di Martin e io non ho intenzione di permettergli ancora di arrogarsi diritti su di lei… e su di te. “
 
La madre tremò sotto la presa salda del suo padrino e Roxanne fu presa per un momento dall’istinto di intervenire. Ma la strega fece una cosa che la fece desistere: lo sguardo si rabbonì, poi si fece languido mentre slacciò lentamente una mano dalla presa aggressiva dell’uomo. Quella stessa mano scivolò lentamente verso il basso, in un punto che Roxanne non poteva seguire con lo sguardo. Sentì solo Caractacus sospirare con veemenza, mentre sua madre accostava la bocca al suo orecchio per sussurrargli qualcosa di incomprensibile.
Roxanne si allontanò, stando bene attenta a non farsi sentire. Non voleva vedere oltre.
 
* La mente compie un balzo e tutto si fa buio. Poi un nuovo scenario si apre a Roxanne. Un nuovo, fondamentale, pezzo del puzzle. *
 
Il viso scavato di Regulus riverberava alle fiamme del camino. Roxanne passò una mano fra i suoi capelli lucidi, cercando di recargli maggior conforto possibile. Ciò che il suo amato aveva scoperto, dopo mesi di ricerche, li aveva spezzati; tutte le loro certezze, gli ideali in cui credevano, la fiducia che avevano riposto nei confronti di Lord Voldemort erano sfumati sotto il peso di quell’orripilante rivelazione.
 
“ Questo è… mostruoso. Mostruoso, Roxanne. Non siamo che pedine nelle mani di un mostro. Credevo davvero che la supremazia del sangue puro fosse la risposta al caos da cui il nostro mondo è governato, ma ora mi chiedo: a quale prezzo? “
 
Roxanne era un groviglio di sensazioni dolorose; come avrebbero fatto ad accettare l’inaccettabile? Regulus era sempre stato un fedele sostenitore di Lord Voldemort. Lui si era ricavato un posto d’onore fra i suoi eletti e Roxanne si sentiva gonfia d’orgoglio per questo. Ma più passava tempo al suo fianco, più all’orgoglio di Regulus di sostituiva la preoccupazione: sempre più crimini venivano commessi per far sì che Lord Voldemort acquisisse potere e poi… e poi la parola ‘immortalità’ usciva dalla bocca del Signore Oscuro con troppa facilità.
Fu così che Regulus venne a conoscenza di una potente magia oscura che Lord Voldemort aveva compiuto per allungare il passo verso l’immortalità. Regulus non fu mai specifico, ma non riuscì a non confidarsi almeno in parte con la propria compagnia, colei che in una manciata di mesi sarebbe diventata sua moglie. Così come crollarono tutte le certezze di Regulus, specularmente si sgretolarono quelle di Roxanne, perché la magia oscura che aveva compiuto Lord Voldemort superava abbondantemente i limiti d’accettazione della coppia.
 
“ Dobbiamo parlarne a Steiner, lui ha un grande ascendente su molti dei nostri alleati. Dobbiamo far cambiare loro idea! “
 
Regulus spostò il mesto sguardo sulla compagna ed un sorriso intriso d’amarezza gli solcò il volto: “ Credi davvero che Robert Steiner non lo sappia già? “
 
 
Galeotta fu la missiva che Regulus le inviò. Dopo un piano perfettamente orchestrato dei due futuri coniugi, Regulus Black partì nemmeno un paio di mesi prima del loro matrimonio. Lui avrebbe tentato di trovare dei contro incantesimi a questa potente magia nera, mentre Roxanne avrebbe sopperito alla sua assenza, calandosi la maschera da perfetta Mangiamorte. Del resto  Roxanne Borgin non aveva fatto altro per tutta la vita: non le sarebbe stato difficile giocare un ruolo che non le apparteneva, ancora per un po’.
Così i giorni passavano e lei tentava di non far trapelare la preoccupazione che cresceva a livelli esponenziali; tentava di distrarsi al negozio, mentre attendeva un cenno da parte di Regulus che si, arrivò, ma sotto una forma che lei non si aspettava.
Il campanello della porta risuonò in maniera sinistra, lasciando intendere che un cliente aveva appena varcato l’uscio del negozio. Non si stupì affatto di vedere Robert Steiner, che conosceva dall’infanzia. Il sorriso le illuminò il volto e la voce cinguettò melodiosa: “ Robert, che piacere vederti qui. Dove hai lasciato quel cane sciolto di tuo nipote? “
 
L’uomo ricambiò il sorriso, le mani allacciate dietro la schiena. “ Ho pensato di occupare Adrian in altre faccende, per oggi. Ho bisogno di parlarti, Roxanne… credi sia possibile chiudere per un po’ il negozio? “
 
La strega assottigliò per un momento lo sguardo, ma subito lo rabbonì; chiuse il negozio e fece strada a Robert, conducendolo nel suo piccolo ufficio.
 
“ Accomodati pure. “ Fece lei, prendendo poi posto dietro la scrivania maniacalmente ordinata. Robert Steiner sedette dinanzi a lei, ma non disse una sola parola; si limitò invece a slacciare la giaccia ed estrarre una pergamena dal sigillo infranto, che con movimento cauto consegnò a Roxanne. “ Credo che tu debba leggere questa, prima di tutto. “
 
Nel riconoscere il sigillo in ceralacca, il respiro le si mozzò in gola. Quella era una lettera di Regulus, ne fu consapevole ancor prima di spiegarla con mani tremanti.
 
‘ Amore mio.
 Questi sono stati giorni ardenti, difficili, a tratti insopportabili. Senza di te al mio fianco, pronta a sostenere la mia missione, ho creduto più volte di non farcela. Eppure ieri sono finalmente giunto ad un punto cruciale: c’è l’abbiamo fatta Roxanne, ho trovato qualcosa di molto importante. Non hai idea di quanto sia stato complicato recuperarlo, in quanto le protezioni poste su quel luogo divorato dall’oscurità mi hanno messo a dura prova. Ma c’è l’ho fatta, è finalmente nelle mie mani. Tornerò presto da te ed insieme troveremo una soluzione per distruggerlo. Questo sarà il mio regalo di matrimonio per te.
Aspettami, tornerò presto.
Tuo,
 
R. A. B. “
 
Roxanne deglutì. La lettera ricadde sulla scrivania, mentre i suoi occhi infuocati risalirono, fino a scontrarsi nuovamente con quelli di Robert Steiner.
 
“ Questa lettera… hai avuto il coraggio di appropriarti della mia corrispondenza. Come ti sei permesso? “
 
“ Credimi dolce Roxanne… “ L’uomo non perse mai la sua compostezza, “ È solo un bene che questa lettera sia finita in mano mia. Sarà solo Regulus Black a pagare a caro prezzo questo tradimento; con me dalla tua parte sarai salva. “
 
L’ira accecò lo sguardo della strega. Cosa volesse intendere con quelle parole, Roxanne non aveva intenzione di scoprirlo. Di una cosa però era certa: avrebbe agito in fretta, prima che Robert Steiner avesse la possibilità di spifferare il loro piano e colpire Regulus.
Ma Roxanne non fece in tempo ad estrasse il suo legno: Robert teneva il suo stretto saldamente nella destra, puntato contro di lei:
 
“ È meglio per tutti noi, mein geliebter : Oblivion! “
 
Fu come riemergere da una lunga apnea. La testa era diventata improvvisamente pesante e tutti i ricordi che Robert Steiner aveva rimosso, erano tornati con prepotenza ad occupare la mente: ricordò di aver scoperto chi fosse il suo vero padre e come le sue mani avevano indugiato in più di un’occasione sul suo corpo acerbo. Ricordò la scoperta di Regulus. Finalmente, con estremo dolore, capì perché egli non era mai tornato da lei, a consolidare la promessa di quel matrimonio.
Era stato Robert: lui l’aveva sfruttata, aveva fatto in modo che rimuovesse, dimenticasse, solo per sopire l’odio nei confronti di Caractacus e Martin, che avrebbe contribuito ad allontanarla dalle file del Signore Oscuro. Aveva invece alimentato il rancore nei confronti di Regulus e con quello, avrebbe concentrato tutte le sue energie a servire Lord Voldemort. E Robert sarebbe stato presente, per supportarla, coltivarla, aiutarla. Sarebbe stato il fratello maggiore che non aveva mai avuto, sarebbe diventato il suo primo punto di riferimento, pronto a scacciare il dolore e i rimpianti.
E con quella consapevolezza arrivarono le grida e i singhiozzi più disperati. Yann accantonò la bacchetta, giusto in tempo per accogliere Roxanne Borgin fra le sue braccia, fra le quali aveva continuato a singhiozzare con disperazione.
 
- Perdono… chiedo… chiedo perdono. – disse nel pianto. Yann guardò Odette, che aveva passato tutto quel tempo a riportare ad Yann, con estrema difficoltà, tutti i ricordi celati di Roxanne. Per Odette era stato terribilmente difficile non interrompersi, perché quelle scoperte l’avevano colpita nel profondo quasi quanto avevano fatto con Roxanne stessa.
Yann non disse nulla, ma fece una cosa per lui impensabile: strinse Roxanne nel suo abbraccio e con voce burbera e profonda, le assicurò sarebbe andato tutto al proprio posto.
 
*
Quello che gli era stato riportato da Victor Selwyn, era qualcosa di troppo difficile da comprendere, persino per una mente aperta come quella di William. Dopo giorni di silenzio e isolamento, William era stato condotto alla cella di Alistair assieme al magigiornalista: al loro arrivo avevano trovato Alistair in stato pietoso. Era evidente che il ragazzo avesse alle spalle una manciata di ore di sonno e che avesse rinunciato a consumare dei pasti completi. Se possibile era diventato ancora più magro e pallido e gli occhi non si erano che ridotti a due fessure in spessi rigonfiamenti. Victor, che aveva assistito allo scontro avvenuto fra Elyon e Fenrir Greyback, si era assicurato di aggiornare con puntualità William, mentre quest’ultimo, dopo essersi offerto per ascoltare anche le parole gonfie di angoscia di Alistair, con il suo potere lo aveva liberato almeno un po’ dalle proprie pene, tirandogli via il dolore e facendo in modo che il ragazzo crollasse in un sonno ristoratore.
Come ogni qualvolta che usava il proprio potere, in quel momento Will verteva in una condizione difficile, ragion per cui si era sdraiato sul suolo freddo della cella e tentava di ritrovare il giusto equilibrio fra la mente e il corpo. Victor, particolarmente pallido anche lui, lo osservava incuriosito.
 
- Senti, - Disse Victor, mentre le mani lunghe e ossute massaggiavano lo stomaco. – Sai dirmi da quando hai scoperto di possedere questo tuo dono? -
William lanciò un’occhiata stanca a Victor, seduto a terra di fronte a lui. Il lieve russare di Alistair accompagnava quella conversazione.
 
- Di preciso non saprei dirtelo… penso di essere stato un ragazzino, la prima volta che sono riuscito, inconsapevolmente, si intende, ad usarlo… ed ogni volta è come fosse la prima. Perché me lo chiedi?– Concluse con un mugugno. La nausea non sembrava passare e sperava che Victor riuscisse a distrarlo a dovere. Il mago seduto dinanzi a lui continuava a massaggiare lo stomaco e William notò che i suoi respiri si erano allungati, come se stesse trovando la forza di resistere a un dolore acuto: - Tu… sai del mio piccolo problema che probabilmente mi condurrà ad una morte più che precoce? -
 
William aveva imparato a conoscere Victor Selwyn, ben prima di incontrarlo in quel luogo maledetto. Per la precisione, la prima volta che aveva avuto l’onore di parlare a tu per tu con l’erede dei Selwyn, fu in occasione di un’intervista che quest’ultimo era riuscito a strappargli. Will conosceva di vista quel ragazzo allampanato e strafottente, ma mai lo aveva incontrato in veste ufficiale. In quella specifica occasione William Lewis capì che un libro non dovrebbe mai essere giudicato dalla copertina, anche se lui non si era mai concesso di farlo. Con lucida analisi, pensò che Victor sembrasse tutta un’altra persona, visto da fuori. Ad una conoscenza preliminare, si sarebbe potuto affermare che quel ragazzo fosse tutto fumo e niente arrosto e che la presunzione, l’arroganza e il sarcasmo nascondessero fragilità e superficialità. Invece dopo un pomeriggio passato a farsi rivoltare come un calzino dalle abili domande di Victor ed una serata finita in uno dei bar più loschi della Londra magica, il musico si rese conto che ci fosse un mondo intero, dietro il viso spigoloso dell’altro. Ed in questo mondo era instillata una piccola bomba ad orologeria, di cui Victor si ritrovò a parlargli in maniera pressappochista e banale. Non aveva dunque compreso la gravità della situazione e si augurò che quell’affermazione, da parte di Victor, non fosse che l’ennesima dimostrazione della sua abile dote nell’attingere allo humor nero.
 
- Cosa intendi? – Chiese dunque con cautela William, ma Victor alzò lo sguardo in maniera pensierosa e apparentemente, sembrò cambiare argomento: - Pensavo che qualcosa deve essere andato storto, ad un certo punto… - Gli occhi neri piroettarono verso il basso ed infine si scontrarono con quelli chiari di William, che tentava di mettersi faticosamente a sedere: - Secondo te in che mese siamo? Se non sbaglio dovremmo essere ai primi di Febbraio… - Ridacchiò poi, - Sette mesi… sono chiuso qui dentro da sette mesi. -
 
- Ti va di dirmi come mai mi hai posto quella domanda, poco fa? -
 
Alistair mugugnò nel sonno e si rigirò su un fianco. Per qualche momento Victor si soffermò ad osservarlo: - Chissà se lui si è mai reso conto prima di saper fare cose fuori dal comune… e chissà se… - Victor tornò a puntare l’attenzione su William, il quale ricambiava con la solita espressione sorniona: - Sai Lewis… sono abbastanza convinto che i primi subdoli segni della mia malattia siano spuntati… poco prima del primo scudo che ho prodotto. Non ci ho mai dato peso prima… ma è qualche tempo che penso che questa si, che potrebbe essere una strana coincidenza. –
 
Gli occhi di William si appesantirono sotto le sopracciglia. Victor, nel riscontrare quell’espressione, accennò un sorriso:
 
- So che hai capito quello a cui mi riferisco, signor Lewis, ma in realtà non è di questo che voglio parlare. -  Victor si inclinò nella sua direzione e a quel punto Will notò quanto spessi fossero i cerchi neri intorno ai suoi occhi. – Invece voglio parlare di come il caro dottore abbia scoperto che riusciamo a controllare il tempo, perché è evidente che sia così, non trovi? E allora mi chiedo… se siamo in grado di congelarlo, credi sia possibile viaggiare all’interno di questa nostra linea temporale? -
 
 



Chi non muore si rivede, direte voi. Buon pomeriggio cari lettori, finalmente sono tornata! Pensavate di esservi liberati di questa storia? Beh, vi sbagliavate di grosso.
Eviterò di dirvi quanto il tempo a mia disposizione non sia affatto sufficiente a mantenere un dignitoso ritmo di pubblicazione; questo capitolo è stato scritto pagina dopo pagina nell’arco di un mese di tempo, perché oramai lavoro una media troppo alta di ore al giorno e se al conto aggiungiamo mangiare, dormire e farsi pure la doccia beh… questo è il risultato!
Detto questo eccomi qui. Stiamo scoprendo un sacco di cose, non vi pare? Finalmente è stata fatta luce sulla storia della povera Roxanne e spero che la sua trama vi sia piaciuta, nonostante la tragicità della sua storia. Ah… fortuna che esiste Yann, a questo mondo!
Piccolissimo appunto: ho compiuto una ricerca approfondita sulla questione, ma non ho trovato il nome dell'incantesimo che riporta la memoria. Sappiamo però per certo che tale incantesimo esiste, in quanto Hermione stessa pare lo usi per riportare la memoria ai suoi genitori. Quindi ho scelto di assegnare io questo nome all'incantesimo di "recupero della memoria". 
Per il resto la morte di Maze ha portato scompiglio, domande, Mangiamorte rinchiusi (povero Adrian, tesoro mio), ma questo non sta impedendo al Dottor Steiner di portare avanti i suoi esperimenti (Alon, altro povero tesoro mio).
E niente, la fine si avvicina (meno tre capitoli). Vi do una piccola anticipazione: nel prossimo capitolo si darà un’altra risposta fondamentale (e no, non è “42”. Ok se non conoscete Guida galattica per autostoppisti questa cosa non avrà alcun senso per voi): parleremo di un oggetto a punta, di eroi e di scudi.
Prima di chiudere voglio fare un po’ di pubblicità ad una os scritta e pubblicata da Demoiselle Anne: indovinate chi sono i protagonisti di questa storiella dalle tinte rosse? Proprio loro: Elyon e Adrian!
Io l’ho amata e mi piacerebbe aveste l’opportunità di leggerla anche voi, nel caso vi fosse sfuggita. Vi lascio il link qui di seguito.
 
https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3866099&i=1
 
 
Per il resto spero che le vacanze natalizie mi concedano di scrivere un altro capitolo, visto che ci stiamo avviando alla conclusione. Mi manca tanto scrivere, specialmente di questa storia qui.
Fatemi sapere la vostra, vi mando un abbraccio.
 
Bri
   
 
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