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Autore: lady lina 77    12/12/2019    2 recensioni
Poldark, Season 5 Episodio 8: Cosa sarebbe successo se nell'episodio finale le cose fossero andate diversamente e Demelza si fosse imbarcata davvero coi suoi figli per la Jamaica, lasciando Ross al suo presunto tradimento con Tess? Cosa la attende ai Caraibi? Cosa le succederà? Che donna potrebbe diventare in quelle terre selvagge popolate da pirati? E i suoi figli?
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Carne, Nuovo personaggio, Ross Poldark
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Erano passati due mesi, due lunghi mesi di navigazione in acque a volte calme, a volte agitate e a volte tempestose. Il freddo clima del continente europeo aveva man mano lasciato lo spazio a un tepore sconosciuto a chi, come lei, non aveva conosciuto altro che la ventosa e spesso inclemente Cornovaglia. Il caldo si era fatto via via più intenso, a volte insopportabile di notte nel chiuso della sua minuscola cabina e Demelza aveva dovuto lottare strenuamente con la nausea a causa sia del cambio di clima, sia della gravidanza che ormai, anche se non era che al quarto mese, era evidente agli occhi più attenti.
In quei lunghi sessanta giorni non era quasi mai uscita, se non di sera quando non c'era in giro nessuno, dalla cabina. Troppo stanca, troppo spossata, troppo fragile, aveva passato a letto gran parte del tempo in compagnia di Garrick o di Prudie che non aveva mai smesso di soffrire di mal di mare e malediva ad ogni ora del giorno quel viaggio. Erano i bambini a portare loro il cibo, di pessima qualità, cucinato dal cuoco per i naviganti. Ma erano una benedizione lo stesso, loro che si prendevano cura di lei e quel cibo spesso pessimo ma mai assente, in quel mare di incertezza in cui navigava da mesi.
Lei si sentiva... una crisalide...
Qualsiasi cosa fosse stata prima, non lo era più. Si era chiusa a lungo in un bozzolo ed ora sapeva che quel bozzolo che la separava dal mondo in attesa di rinascere a nuova vita con fattezze nuove, era destinato a sgretolarsi nel giro di poche ore.
I bambini, che giocavano per la nave gran parte del giorno, le avevano comunicato che il capitano della nave aveva annunciato che l'indomani, al mattino, avrebbero attraccato al porto d'arrivo in Jamaica. Il viaggio era finito, non sarebbe più stata una crisalide ed ora la vita e le sue scelte l'avrebbero costretta... a vivere. In qualche modo, da qualche parte, in un mondo sconosciuto che non riusciva ancora ad immaginare, in posti e in mezzo a gente sconosciuti.
A quel pensiero, una grande nausea la invase ancora. Si alzò dal cuscino e i bambini, che stavano armeggiando con un libro, la guardarono preoccupati.
Mamma?” - chiese Jeremy.
Prudie si alzò, frizionandole la fronte con un panno bagnato. “Hai la faccia di una che sta per rimettere anche il pranzo del suo Battesimo, ragazza”.
Demelza sospirò, affranta. Santo cielo, aveva bisogno d'aria ma non aveva voglia di girare per la nave a quell'ora. Anche se era sera, non era ancora così tardi per trovare il pontile deserto... E odiava che la gente la vedesse in quello stato. “Parliamo! Devo tenere occupata la mente”.
Di cosa, mamma?”.
Guardò sua figlia, sempre così entusiasta davanti ad ogni cosa e con la grinta negli occhi tanto tipica di suo padre. “Della Jamaica. Di cosa faremo da domani”.
Prudie annuì. “Sì! Spese! Cibo, da bere, il rum... Riempie la pancia, dicono... Ed è di ottima qualità, dicono”.
Jeremy e Clowance risero davanti alle ottime argomentazioni che avrebbero fatto bene solo a stessa, di Prudie, ma la piccola aveva idee più costruttive.
Esplorare, mamma! E chiedere di Kitty e Cecily! E cercarle, trovarle e poi magari iniziare a cercare un posto per noi!”.
Demelza le sorrise, il senso pratico, sua figlia, l'aveva ereditato da lei. “Ottima idea, questo mi sembra saggio” - disse, sentendo la nausea allentare un po' la presa.
Jeremy, dondolando pensieroso le gambe a penzoloni dalla sedia, lanciò la sua idea. “Potrò lavorare, mamma?”.
Demelza sussultò. Jeremy aveva lanciato quell'iniziativa giocosamente e con entusiasmo, senza rendersi forse conto di quanto la ferisse pensare che erano soli e che ognuno di loro, anche i bambini, doveva darsi da fare. Sentì il cuore spezzarsi di nuovo al pensiero di Ross con Tess, al suo abbandono e alle tante promesse d'amore infrante. Ma no, non avrebbe permesso che questo rovinasse più di quanto non fosse già rovinata, l'infanzia dei suoi figli. Voleva che fossero giocosi e allegri come sempre, che vivessero quel trasferimento come una grande avventura e che non perdessero il sorriso che da sempre illuminava i loro volti. “No, assolutamente!”.
Ma mamma” - protestò il bambino - “Tanti bambini della mia età lavorano, in Cornovaglia! Anche alla Wheal Grace, in esterno”.
Sei troppo giovane, fine del discorso!” - tagliò corto lei. “E posso occuparmi di voi da sola, non c'è bisogno che tu faccia nulla finché non ti riterrò abbastanza grande”.
Ma sono grande!”.
Non lo sei”.
Imbronciato, Jeremy picchiò i pugni sulle gambe. “E allora perché tanti bambini lavorano?”.
In quel momento, Demelza impallidì. Nelle rimostranze di Jeremy c'era tanto del Ross che lottava contro le ingiustizie sociali, tanto del suo fervore per le cause che riteneva giuste e tanto delle lotte in cui si era impegnato, una delle quali era stata proprio l'abolizione del lavoro minorile. Chissà se ora che stava tradendo il suo paese, oltre che loro, avrebbe ancora lottato con coraggio per i più deboli... “Il fatto che molti bambini lavorino, non significa che sia giusto. I bambini devono giocare, stare al sicuro e crescere sani e forti. Molti bambini che iniziano a lavorare fin da piccoli, finiscono per ammalarsi alle ossa e crescono deboli. Non voglio che succeda anche a te. Ce la caveremo, come sempre... Sta tranquillo, amore mio”.
Clowance la guardò con quei suoi occhi indagatori. “Davvero?”.
Davvero” - disse, cercando di apparire sicura.
Jeremy le si avvicinò, sedendosi accanto a lei. “Ma io voglio aiutarti. E anche Clowance. Non lo dici tu che ognuno deve fare la sua parte? Non c'è più il papà con noi, non abbiamo i soldi della miniera e in Jamaica come faremo?”.
Si sentì commossa dalla maturità di Jeremy e in fondo suo figlio aveva ragione, erano senza nulla e con un futuro nuovo da costruire da zero. Poteva fingere di non pensarci ma in cuor suo era stato il suo pensiero tormentato per quei due mesi di viaggio. Ma non voleva che fosse un pensiero dei suoi bambini, era lei l'adulta, era lei che aveva scelto di partire ed era lei che avrebbe dovuto pensare a tutto. Accarezzò i capelli dei suoi figli, quelli dorati di Clowance e quelli castani di Jeremy e li strinse a se. “Dicono che in Jamaica si peschino pesci enormi e che per un provetto pescatore, sia divertente andare a pesca. Questo farai, con tua sorella, Jeremy! Pescherai e cercherai ogni tipo di crostaceo commestibile e assicurerai le nostre cene e i nostri pranzi. E' importante ed è una cosa che ami fare! E poi, ti ricordi cosa mi hai promesso?”.
Entusiasta per la proposta della madre e rinfrancato dal fatto di poter essere utile, Jeremy la abbracciò. “Quale promessa?”.
Demelza si accarezzò quel ventre che cresceva e che ancora non aveva imparato né ad accettare, né ad amare. “Che vi prenderete cura di Isabella-Rose. Conto su di voi per lei”.
Clowance annuì, rannicchiandosi fra le braccia di Prudie. “Sì, ci pensiamo noi alla sorellina!”.
Lo giuro” - aggiunse Jeremy, con aria da ometto.
Bravo, amore mio” - sussurrò, abbracciandolo di nuovo. Poi, con rinnovato entusiasmo, iniziò a programmare la sua vita per evitare di pensare al passato e trovare la forza di guardare al futuro: trovare Kitty e Cecily, imparare a conoscere quel luogo misterioso che era la Jamaica, procurare una canna da pesca a Jeremy e iniziare da lì, passetto dopo passetto, a vivere ancora.
I bimbi si misero a letto più contenti e all'apparenza tranquilli e lei, dopo aver letto loro una storia, li osservò addormentati in quel piccolo lettuccio nell'angolo della cabina più lontano dall'ingresso, che avevano condiviso in quei due mesi. Un luogo piccolo, angusto, ma che era diventato il loro rifugio in quella lunga traversata, che avevano imparato in un certo senso a considerare la loro casa. Dal giorno dopo lo avrebbero abbandonato e sarebbe diventata la casa di qualcun altro, custodendo nuovi sogni e nuove paure.
Quando anche Prudie si addormentò, decise che era ora della sua passeggiata serale. Era ormai quasi mezzanotte, la nave era avvolta dal silenzio e solo il rumore delle onde che si infrangevano sullo scafo spezzava la quiete della tarda sera.
Di soppiatto si alzò dal letto, uscì dalla cabina lasciando Garrick a poltrire sul letto dei bimbi e poi, a piccoli passi, si diresse sul pontile.
L'aria era umida e calda, così diversa dal clima ventoso della Cornovaglia dove anche in estate, di sera, dovevi portarti uno scialle per coprirti. La Jamaica era diversa, le avevano raccontato che lì faceva quasi sempre caldo e che solo brevi periodi delle piogge, violentissime, interrompevano quella perenne estate.
Sul pontile c'erano alcuni marinai intenti a sistemare e issare delle cime, che non fecero caso a lei. Gli altri passeggeri, che forse nemmeno conoscevano il suo volto viste le poche volte in cui si era aggirata di giorno per la nave, dovevano essere già a dormire.
Si appoggiò alla balaustra, pensierosa, immaginando l'aspetto di quell'isola, le persone che vi vivevano e l'esistenza che avrebbe condotto. Ma anche col pensiero, strisciante, rivolto al passato, alla sua Nampara, al suo giardino e al suo uomo, l'unico che avrebbe amato davvero e per sempre, ormai lontani e persi dietro altri amori, altre sfide e altri orizzonti.
A quei pensieri, al suo Ross e a Tess nella camera da letto che l'aveva vista diventare donna e madre, la nausea aumentò e una lacrima le scivolò sul viso, come spesso accadeva e permetteva che succedesse quando era sola. Santo cielo, sarebbe mai passata? Avrebbe mai dimenticato Ross e le tante cose che le aveva detto e promesso, le tante parole d'amore, le tante battaglie combattute insieme, fianco a fianco? Avevano condiviso così tanto nel bene e nel male, avevano rischiato di perdersi tante volte e avevano superato tutto. Quasi tutto... Ed ora era finita, in un modo che mai avrebbe potuto accettare, in un modo crudele, con un Ross che all'improvviso era diventato estraneo e freddo, distante e a tratti cattivo. Che ne era stato del suo uomo fiero e forte, dal cuore d'oro, capace di sbagliare ma anche capace di rialzare la testa e rimediare con amore e passione ai suoi errori? Che ne era stato di quell'uomo che anche nel giorno in cui era stata un'altra donna e si era concessa a un altro uomo – e Ross lo sapeva, era certa che lo sapesse perché lui sapeva leggere dentro di lei meglio di chiunque – era stato capace di accoglierla in un caldo abbraccio e dirle, pur senza parlare, che mai l'avrebbe lasciata andare?
Quelle domande non avrebbero mai avuto risposta e lei non avrebbe mai saputo nulla di Ross, mai più nulla...
Improvvisamente una figura veloce schizzò fuori dalle scale, correndo verso di lei e spezzando quel flusso di pensieri.
Demelza si asciugò il viso e una bambina dell'età all'incirca di Jeremy, corse verso di lei tutta trafelata. Capelli castano chiaro, boccoli tenuti a bada da due trecce, vestita con un abitino di ottima fattura di colore giallo e verde, era probabilmente la prima volta che la incrociava in due mesi di navigazione. Certo, lei non usciva spesso dalla sua cabina, ma probabilmente nemmeno la bambina era troppo di compagnia. Ricordò che Jeremy e Clowance le avevano parlato di una strana ragazzina salpata da Belfast, che fosse lei? E che ci faceva sul pontile in un'ora in cui i bambini di solito dormivano?
Incurante del suo sguardo dubbioso e del fatto che fossero due sconosciute, la ragazzina le si avvicinò. “Mi nasconda e non dica a nessuno che sono qui!” - chiese, col tono con cui si da un ordine. E poi, notata una grande cesta di vimini poggiata vicino al parapetto, ci saltò dentro, rannicchiandosi al suo interno e celandosi al mondo con uno straccio che trovò all'interno.
Vagamente interdetta, Demelza non fece in tempo a reagire che altre tre strane figure comparvero dal fondo del pontile, trafelate e decisamente preoccupate.
A guardarli bene erano tre soggetti decisamente strani, esattamente come la ragazzina nascosta nella cesta e tutta quella situazione: una di loro era una domestica dal viso smunto, non più giovane, dalla pelle pallida e dall'espressione talmente inespressiva da sembrare un fantasma. Gli altri due erano ancora più strambi. Sembravano fratelli, si somigliavano come due gocce d'acqua, bassi, tozzi, talmente grassi da sembrare due sfere in movimento, completamente calvi e con degli occhietti minuscoli molto ravvicinati fra loro.
I tre la sorpassarono senza degnarla di uno sguardo, continuando la loro strana corsa senza fermarsi a guardare attorno. E Demelza cominciò seriamente a pensare di trovarsi nel bel mezzo di uno strano sogno...
Fu solo quando i tre ebbero svoltato l'angolo e furono spariti alla sua vista, che la voce della ragazzina la riportò alla realtà.
La piccola sbucò fuori dalla cesta sedendosi sul bordo, scocciata e vagamente irritata. "Tre idioti... Come diavolo si fa a cercare uno che vuole nascondersi, senza fermarsi a chiedere o a guardare nei posti bui o nei nascondigli?".
Demelza osservò nella direzione in cui erano spariti i tre e poi la ragazzina. "Ti stanno seguendo? Ti vogliono fare del male?" - chiese, preoccupata. Non che la bambina sembrasse indifesa o abbandonata a se stessa, ma forse spesso le apparenze ingannavano e lei era un'adulta responsabile, dopo tutto.
La bambina la guardò esasperata. "Miss Thorpe? Tim e Tom? Farmi del male? Sono talmente stupidi e noiosi che al massimo avrebbero la capacità di farmi morire di noia! Cosa che stanno facendo, fra l'altro!".
Demelza tirò un sospiro di sollievo. "Li conosci, allora?".
"Sì, sono la mia domestica e le mie due guardie del corpo! Hanno tre cervelli che, sommati, non fanno un cervello normale. Tim e Tom quando parlano sembrano due bambinetti di due anni, Miss Thorpe... lei al massimo dice 'Signorina, vuole qualcosa?', 'Signorina, vuole coricarsi?', 'Signorina, vuole pranzare?'. Ecco, il massimo delle mie conversazioni, da quando sono partita, è di questo livello. Sto impazzendo! E ora tocca a me far impazzire loro, è l'ultima sera che posso farlo prima di arrivare da mio padre".
Demelza si accigliò. Quella ragazzina aveva circa l'età di Jeremy ma una capacità di dialettica notevolmente superiore a quella di suo figlio. Sembrava viziata e piuttosto portata al drammatizzare le situazioni, impertinente e risoluta. Ma decisamente, per fortuna, non in pericolo... Di fatto, se non aveva interpretato male la situazione, non aveva davanti che una bambinetta viziata che cercava di attirare l'attenzione in qualsiasi modo. "Beh, sono dei domestici. Si prendono cura di te e cercano di farlo con rispetto".
"Sono tre idioti! Voi, se cercaste qualcuno, vi limitereste a correre come loro, come tre scemi, in tondo su una nave? Se uno vuole nascondersi, di solito sceglie gli angoli bui! I nascondigli... Oppure, visto che vi siete incrociati, potevano chiedere se mi avevate notata da qualche parte... Stupidi, decisamente tre stupidi!!!".
Demelza si grattò la guancia, in effetti non poteva darle torto. "E perché ti nascondi da loro?" - chiese infine, per porre fine a quella strana situazione.
Lei fece un sorrisetto irriverente. "Voglio che provino un pò di paura! Di mio padre, intendo...".
"Che vuoi dire?".
"Non mi trovano, potrei benissimo essermi gettata dalla nave, in pasto agli squali o nelle grinfie dei pirati. E sarebbe colpa loro che non hanno vigilato su di me... E voglio che ci pensino e che pensino che se fosse così, quando mio padre lo saprà li frusterà a morte".
Deglutì. Santo cielo, era piuttosto diabolica e dotata di una mente contorta. "Ma per fortuna, tu sei quì. E non nella pancia di uno squalo...".
"Ma loro non lo sanno" – le rispose la piccola, sicura. "Lo sapete, ho passato DUE mesi su questa nave, con quei tre. Ho letto tutti i libri che mi sono portata per il viaggio nell'assoluto silenzio, chiusa in cabina, mentre loro al mio fianco si crogiolavano nel nulla della loro esistenza vuota. Ma coi libri da leggere, li notavo poco! Non ho più nulla da leggere adesso, ho letto tutto e senza distrazioni, che faccio? Girare sulla nave, no grazie, piena di poveracci selvaggi. Con tutto il rispetto per voi, signora... E in cabina ci vivo con tre MUMMIE! Sto diventando pazza, sto per avere un esaurimento nervoso, sto per urlare e svegliare tutta la nave che non ce la faccio più e che la mia vita, fino all'approdo in Jamaica, è simile all'inferno in terra".
Ammutolita, Demelza ci mise un attimo a trovare le parole per risponderle. Santo cielo, quella bambina e le sue parole erano come un fiume in piena! Dubitava fortemente che quella ragazzina sapesse cosa significasse vivere una vita d'inferno e forse il massimo che le era capitato era davvero un pò di noia, ma aveva un modo di esprimere i concetti davvero singolare e a tratti geniale e divertente da osservare, per chi non ci era coinvolto direttamente. "Ecco... Domattina attraccheremo. Cerca di sopportarli ancora qualche ora e poi... raggiungerai tuo padre e tua madre? Giusto, ho capito bene?".
La bimba alzò le spalle. "Solo mio padre, Viktor Copper. E' l'uomo più ricco e potente della Jamaica, lo temono tutti".
"E tua madre? E' rimasta in Inghilterra?".
La bimba ci pensò un pò prima di rispondere, ma poi alzò le spalle con noncuranza. "E' morta che avevo due anni. Stava scendendo le scale di casa con mio padre ed è caduta. Ha picchiato la testa ed è morta da stupida, come dice mio padre spesso. Era molto impacciata, come Tim e Tom, dice lui. Poi ho vissuto coi nonni a Belfast mentre mio padre faceva fortuna quì e ora che sono morti anche loro, lo sto raggiungendo".
Demelza si accigliò, sembrava spigliata anche nel racconto di fatti così dolorosi... Non conosceva quella bambina né suo padre, ma quella strana storia su sua madre le risultava un pò stonata e davvero strana. Di solito una donna non muore cadendo dalle scale... Ma non erano affari suoi e di problemi ne aveva già troppi di suo per preoccuparsi della vita di una bambina sfacciata e viziata.
La piccola la fissò incuriosita. "Aspettate un bambino? Raggiungete vostro marito?".
"No, l'ho lasciato in Inghilterra. Sono partita coi miei figli e il mio cane per vivere nuove avventure in Jamaica, soli con la nostra unica domestica" – rispose, con la stessa sincerità che aveva usato lei poco prima, cercando di apparire altrettanto sicura di se stessa.
Questo lasciò la sua piccola interlocutrice a bocca aperta e senza parole. Ma durò un attimo...La piccola fece per dire qualcosa ma fu bloccata di nuovo.
I suoi tre 'inseguitori' aveva fatto il giro della nave e, girando in tondo, erano tornati davanti a loro. E stavolta la piccola fuggitiva non ebbe il tempo di nascondersi di nuovo.
"Signorina Lilith" – ansimò la domestica.
"So come mi chiamo, smettila di ripetere il mio nome come una scimmia!" - rispose la piccola, a tono.
"Sei scappata, non si fa! Tim si è preoccupato!" - mormorò in tono stentato uno dei due uomini tondi, dall'aria forse davvero poco intelligente.
"Anche Tom si è preoccupato" – aggiunse l'altro.
E Demelza si rese conto che non sembrava brillare di intelligenza nemmeno lui.
"Perché sei scappata?" - chiese la domestica, mentre Demelza si sentiva di troppo in quella assurda situazione.
La bambina, Lilith, divenne rossa dall'ira. Picchiò il piede per terra, incrociò le braccia e guardò i tre con aria furente. "Perché mi ANNOIO! E voi siete le tre persone più noiose del mondo! E son due mesi che non ho una conversazione decente con qualcuno, a parte stasera in cui ho parlato con una sconosciuta più di quanto abbia fatto con voi da quando abbiamo lasciato Belfast! Ora urlerò, sveglierò tutta la nave coi miei strilli e quando tutti saranno svegli, darò la colpa a voi!".
La domestica pallida, divenne ancora più pallida. "No, vi prego Miss Lilith. Che possiamo fare per farvi divertire?".
Lilith la guardò con aria di sfida, avvicinandosi di alcuni passi. "Sali sul parapetto e buttati di sotto. E fatti mangiare dagli squali! QUESTO SAREBBE UN GROSSO CAMBIAMENTO, IN QUESTO MARE DI NOIA! Questo mi divertirebbe...".
E Demelza a quel punto intervenne. Quella bambina era terribile, insopportabile e di certo quei tre, anche se non particolarmente svegli, non facevano un lavoro invidiabile. Era indubbiamente una bambina intelligente, aveva una padronanza di linguaggio notevole per la sua età ma nessuno pareva averle insegnato il minimo senso del rispetto per gli altri. Certo, quel viaggio doveva essere stato pesante per lei ma quel modo di fare che teneva, iniziava ad irritarla. Di certo non l'avrebbe mai accettato da parte dei suoi figli e sperava che suo padre, questo potente signor Viktor Copper, la rimettesse un pò in riga. "Forse ho un'idea migliore, visto che mi pare di capire che ami leggere".
Lilith e i tre domestici si girarono. "Cosa?".
Si mise una mano in tasca dove si trovava un piccolo libro di poesie sul mare che aveva trovato sul molo, a uno scellino, prima di imbarcarsi dal porto di Falmouth. "Questo libro forse ti è ancora sconosciuto. E' piccolo, ci vuole poco a leggerlo tutto ma ti terrà compagnia fino a che non attraccheremo domani. Ed eviteremo ai tuoi domestici di farsi mangiare dagli squali per divertirti...".
Osservò i tre e loro ricambiarono il suo sguardo con gratitudine. E Demelza si chiese se per caso non avessero davvero preso sul serio la stramba pretesa della piccola. No, non erano davvero intelligenti, forse aveva ragione lei sul serio.
Lilith prese il libro, osservandolo con bramosìa. "Amo i libri. Davvero posso tenerlo? E quando potrò ridarvelo?".
"Te lo regalo! Ma tu promettimi di non maltrattare troppo chi si prende cura di te".
Lilith osservò Tim, Tom e Miss Thorpe. Poi sbuffò. "Va bene... E per il libro, chiedete di mio padre, vi indicheranno dove viviamo. Ve lo farò avere, se mi darete il vostro indirizzo o se verrete a cercarmi".
Demelza le strizzò l'occhio, si era calmata a quanto sembrava. "E' un regalo, puoi tenerlo".
"Grazie, allora!". Poi, impettita, guardò i suoi tre poveri domestici. "Voi, sbrigatevi! Io devo andare a letto e voi dovreste vegliare su di me e sul fatto che lo faccia! Lo dirò a mio padre che mi avete permesso di girare sul pontile a mezzanotte. Vi farà frustare un pò...". E così dicendo, sparì nelle scale.
La domestica la ringraziò a sua volta e poi le corse dietro, seguita da Tim e Tom che, da quel che notava, si muovevano e pensavano sempre all'unisono.
E rimasta sola, stranita, si rese conto che per una manciata di minuti non aveva pensato ai suoi problemi. E che, ironia della sorte, doveva ringraziare per questo una viziata ed isterica bimbetta...
Si massaggiò il ventre tornando a voltarsi verso il mare, immaginando che da lì in avanti la sua vita sarebbe stata sempre più stramba e strana e che la piccola Miss Lilith non era altro che l'antipasto di ciò che avrebbe visto, incontrato e vissuto. Tutto stava cambiando, il mondo, il clima, i paesaggi e le persone attorno a lei. E questo forse era un bene...
La piccola Isabella-Rose le diede un piccolo calcetto, quasi impercettibile, che la fece sussultare. I primi calci erano sempre stati motivo di gioia per lei quando aveva aspettato i suoi figli, ma ora era diverso. Ora non era pronta e forse non lo sarebbe stata mai. "Sta ferma, aspetta ancora un pò a farti sentire. Ho bisogno di altro tempo, ho bisogno di far finta che almeno tu non esista ancora per un pò... E' troppo, se ti ci metti anche tu. Sta ferma e nascosta finché non avrò capito cosa saremo in questo nuovo mondo chiamato Jamaica".
E in quel momento si rese conto che, come Lilith, avrebbe voluto gridare a squarciagola pure lei...


  
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