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Autore: Emmastory    15/12/2019    4 recensioni
Dopo essersi unita al suo Christopher nel sacro vincolo del matrimonio, Kaleia è felice. La cerimonia è stata per lei un vero sogno, e ancora incredula, è ancora in viaggio verso un nuovo bosco. Lascia indietro la vecchia vita, per uscire nuovamente dalla propria crisalide ed evolvere, abituandosi lentamente a quella nuova. Memore delle tempeste che ha affrontato, sa che le ci vorrà tempo, e mentre il suo legame con l'amato protettore complica le cose, forse una speranza è nascosta nell'accogliente Giardino di Eltaria. Se avrà fortuna, la pace l'accompagnerà ancora, ma in ogni caso, seguitela nell'avventura che la condurrà alla libertà.
(Seguito di: Luce e ombra: Essere o non essere)
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Capitolo XXXVII

Dalla tranquillità al nulla

Alla sera sopraggiungeva la mattina, e la luce soppiantava le tenebre. La notte appena trascorsa era stata per me movimentata e piena d’ansia, e se per fortuna non ne soffrivo, ora iniziavo ad avere dubbi anche su quel fronte. Stando a ciò che avevo sentito dire nella comunità umana riguardo alla gravidanza, un periodo come quello che stavo attraversando avrebbe dovuto essere leggero, tranquillo e soprattutto privo di stress, ma dato ciò che Chris ed io stavamo passando, non riuscivo a stare calma, e con ogni istante che passava, sentivo due idee lottare per farsi spazio nella mia mente. Una, positiva, mi incoraggiava ad andare avanti e combattere perciò in cui credevo, affidarmi a Christopher e battermi per il nostro amore come avevo sempre fatto, ma un’altra, negativa e sicuramente figlia di quei dannati spiriti che da poco avevo imparato a scacciare, mi parlava continuamente, a volte perfino con più insistenza rispetto alla prima, arrivando perfino ad urlare per convincermi del suo volere. Silenziosa, non avevo cuore di ammetterlo, ma se c’era una cosa che quegli spiriti volevano era vedermi ferita, da sola e incapace di rialzarmi, di rimettermi in piedi e continuare questa battaglia per me, anzi per noi, troppo importante. Più silenzioso del solito, Christopher non osa intromettersi. Preoccupata, mi voltai fino a incontrare il suo sguardo, e proprio sotto la coperta, notai qualcosa. Vinto dalla stanchezza, si era addormentato prima di me, e rimanendo immobile per tutta la notte, non aveva fatto altro che stringermi la mano. Al ricordo della sua stretta nella notte ormai scomparsa, sorrisi debolmente, e nello spazio di un momento, lui fece lo stesso. “Ti senti bene, vero?” chiese, calmo e tranquillo. “Sì, Chris, ti ringrazio, e poi…” risposi soltanto, la voce bassa ma non certo triste, e il cuore sempre colmo d’amore per lui. “Cosa?” azzardò, confuso e stranito. Sorridendo ancora, strinsi la presa sulla sua mano, e guidandola sapientemente con la mia, gli permisi di sfiorarmi il ventre. Ero in attesa ancora da poco, ma il terzo mese si stava avvicinando, e con i piccoli sempre connessi a me fin dall’inizio del loro metaforico viaggio verso la loro stessa vita, riuscivo sempre a sentire i loro movimenti, di giorno in giorno più evidenti e sempre in accordo con il passare del tempo. Lenta, l’estate avanzava fin quasi a trascinarsi, ma oggi, nonostante lo splendere del sole e la presenza in cielo di nuvole bianche, trovo difficile essere felice, e a riprova di ciò sorrido appena. Il ricordo di ciò che è successo è ancora nella mia mente, ma almeno ora non voglio pensarci, e concentrata, resto ferma fra le lenzuola. Passano così alcuni minuti, e nel silenzio della stanza in cui dormivamo, eccoli. I nostri piccoli, sicuramente vicini nel mio grembo e ognuno sicuro dei propri spazi, a giudicare da ciò che sento, un solletico piacevole anziché imbarazzante, probabilmente intenti a muoversi, girarsi e fare le capriole nella mia pancia. Non potevo vederli, era ancora troppo presto, ma nulla mi impediva di usare l’immaginazione, che ancora fervida nonostante l’età adulta, non mi abbandonava mai. “Dici che stanno bene?” tentò, con una vena di preoccupazione nella voce, simile a quella che avevo mostrato nel guardarlo. “Sì, Chris, ne sono sicura. Il cristallo ha funzionato, non li senti?” replicai, terminando quella frase con quella domanda. Alle mie parole, Christopher non rispose, ma un suo sorriso e un’ennesima stretta di mano furono più che eloquenti. Tranquilla, lasciai che mi cingesse un braccio attorno alle spalle, e ad occhi chiusi, non dissi più nulla. I momenti a venire furono pura tranquillità, e presi dalla quiete del momento, restammo fermi l’uno fra le braccia dell’altra. Era bello. Bello stare insieme, bello sapere di essere al sicuro, e sapere che qualcuno, un’amica strega, ci avrebbe protetti. Ad ogni modo, la bellezza è la prima a sfiorire, e improvvisamente, qualcuno bussò alla porta. In guardia, Cosmo fu il primo ad accorgersene, e sbucando goffamente dal groviglio delle nostre coperte, iniziò ad abbaiare furiosamente. Deciso, avanzava solo per tentare di affrontare il nostro potenziale nemico, ma sicura di non averne, almeno per il momento, mi avvicinai per calmarlo. “Cosmo, no. No, sta buono, è Marisa.” Dissi soltanto, parlando con lo stesso tono gentile che avevo usato nell’adottarlo. Non volendo sentire ragioni, il mio Arylu insistette ancora, e dopo meri attimi di silenzio, l’aria tornò a riempirsi dei suoi latrati. Volendo solo proteggerci, ora ringhiava, e con ogni passo, era sempre più vicino alla porta. Ansioso all’idea di essere scoperto, Christopher si alzò dal letto, e abbassandosi al suo livello, lo afferrò per la collottola, così da non fargli male. Per tutta risposta, l’animale gli si rivoltò contro, e per poco non lo morse. “Cosmo!” gridai, seccata. Non volevo farlo, sapevo di sbagliare, ma data la situazione, quello mi sembrava l’unico modo di acquietarlo. Spaventato, il lupacchiotto si ridusse al silenzio, ma anche tremando, non spostò mai lo sguardo dalla porta ancora chiusa. Nuovi istanti scomparvero così dalla nostra vita, e fu allora che capii. Il nostro Arylu faceva bene a difenderci, ed ero sicura che ogni suo comportamento avesse una motivazione, ma a quanto sembrava, quei colpi erano una sorta di avvertimento.  Chiudendo gli occhi, protesi una mano in avanti, e concentrata sull’incantesimo che avevo in mente, avvertii i poteri della mia amica ancora nell’aria. Grazie al cielo non si trattava di sua madre, e non appena mi sentii nuovamente al sicuro, annuii. “Sentito qualcosa?” provò a chiedere Christopher, sorpreso. “È lei. È davvero Marisa, aprile.” Risposi, finalmente tranquilla e libera dall’ansia. Annuendo, Chris fece ciò che gli era stato chiesto, e piombando ancora nel silenzio, attesi. Poco dopo, la mia magica intuizione si rivelò esatta, e la mia amica si mostrò oltre la soglia. “Scusatemi, non volevo causare scompiglio.” Esordì, tesa quanto e forse più di noi, la voce tremante e incerta. “Nessun problema, Marisa, vieni.” Concessi gentilmente, scostandomi per farla entrare. Sorridendo debolmente, la giovane strega mosse qualche passo in avanti, e solo allora notai che portava qualcosa. Cauta, reggeva un vassoio e alcuni piatti da portata, che a una seconda occhiata capii essere la nostra colazione. Nulla di troppo elaborato, solo una tazza di latte e cereali dalle strane forme che ricordavo però di aver già visto, e in una ciotola, di metallo come il vassoio, quella del nostro caro lupacchiotto. Croccantini che ero abituata a vedere e servire anche a Willow, forse comprati apposta per il mio Arylu o forse l’ultimo ricordo che Marisa aveva della sua gatta. Da tempo lei viveva con me, aveva trovato nella mia casa un rifugio perfetto, e mi sarei assicurata personalmente del suo benessere anche ora che ero lontana. La strada che ci separava era lunga, certo, ma ora non importava. Per quanto ne sapevo, le ninfe come Aster reagivano al dolore della natura perfino prima di fate come me, ragion per cui lei era la persona giusta a cui chiedere aiuto. Così, dopo un breve appunto mentale, tornai a concentrarmi sulla mia amica apprendista, e seria, lei si sedette con noi. “Prego, non fate complimenti. Immagino abbiate fame, dopo…” provò a dire, non riuscendo però a finire quella frase a causa di nervi e tremiti sempre più evidenti. Empatico come al solito, il piccolo Cosmo si avvicinò per offrirle conforto, e divertita dal suo goffo tentativo di aiutare, lei sorrise e gli accarezzò la testa. “Grazie, piccolino. Va a mangiare, va bene? Gli disse, indicandogli la ciotola lasciata in un angolo della stanza. Con un sorriso stampato sul muso, il cucciolo le obbedì, e ridacchiando, lo guardai mangiare felice. “Almeno lui è sistemato.” Commentò a quel punto Christopher, grato del silenzio creatosi nella stanza. “Già, ma fareste meglio a insegnargli a non abbaiare a chiunque in quel modo. Anche mia madre vive qui, lo sapete.” Rispose allora lei, seria. Sorpreso da quella reazione, Christopher non rispose, ma al contrario di lui, io annuii. Aveva ragione, lo sapevo bene, e se era riuscita ad accoglierci in casa era stato solo grazie a un colpo di fortuna. Guardandola negli occhi, ripetei quel gesto, poi parlai. “Ci stiamo lavorando, ma grazie, sin da adesso.” Dissi, sinceramente grata di tutto quello che aveva fatto e stava facendo per noi. Non volendo pensarci, non lo ammettevo, ma la situazione era delicata, e nonostante nessuno oltre a lei ci avesse ancora scoperto, ogni giorno in quella casa e quella stanza era una sorta di miracolo, e ogni errore, nostro o da parte del nostro magico e zelante animaletto, avrebbe potuto letteralmente spingerci nuovamente al punto di partenza, ovvero proprio dalla tranquillità al nulla.    

 
   
 
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