Crossover
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Autore: Registe    15/12/2019    4 recensioni
Tredici guardiani. Tredici custodi del sapere.
Da sempre lo scopo dell'Organizzazione è proteggere e difendere il Castello dell'Oblio ed i suoi segreti dalle minacce di chi vorrebbe impadronirsene. Ma il Superiore ignora che il pericolo più grande si annida proprio tra quelle mura immacolate.
Questa storia può essere letta come un racconto autonomo o come prologo della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
[fandom principale Kingdom Hearts; nelle storie successive lo spettro si allargherà notevolmente]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anime/Manga, Videogiochi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Epilogo







Roxas





Il laboratorio era deserto.
Poteva sentirli tutti: il principe dormiva nei suoi sogni di gloria, l’alchimista era in biblioteca per ottenere maggiori informazioni, la ragazza era andata in chissà quale mondo e l’uomo dai capelli rossi era in cucina. Il ragazzo, la variabile che non aveva considerato, era chiuso nelle sue stanze.
Le tre capsule occupavano un’intera parete, e da oltre i vetri tre volti respiravano nel liquido.
L’uomo in armatura non aveva davvero un corpo, ma si avvicinò.
Nel primo contenitore galleggiava un uomo massiccio, dal viso e dal corpo coperti di cicatrici. I capelli scuri stavano cedendo il passo a diversi ciuffi bianchi, ma anche in quella vasca di sospensione i muscoli tesi non tradivano le sue abilità di guerriero. In un angolo, una grossa spada e dei vestiti rossi logori confermarono la sua impressione.
Lo aveva scelto bene.
Sul secondo aveva avuto molti dubbi. Ricordava i tempi in cui era ancora un uomo, e la sua guerra. Una guerra dove la determinazione e la forza d’animo erano state fondamentali quanto la padronanza delle armi migliori.
Le mani del ragazzo erano giunte anche nel liquido. Forse sognava di stringere qualcosa tra quelle dita, ma ogni suo avere era stato riposto vicino all’armatura dorata che i nuovi padroni del Castello avevano faticato a rimuovere.
Un sacerdote, uno spirito guida. Non la persona più adatta al compito, ma sapeva quanto l’apparenza potesse ingannare, o quanta forza potessero nascondere le corna del montone più pacifico di un gregge. Fissò ancora i suoi capelli chiari, il movimento ipnotico che disegnavano tra le bolle rosse del liquido di combinazione mentale.
Poteva andare. Sì, poteva.
Cercò di guardare meglio la terza figura, un giovane uomo dal fisico asciutto, ma qualcosa cambiò.
Lei era lì.
“Sparisci”
Lei era lì, proprio come lui. Non avevano più un corpo, ma esistevano.
Erano, e sarebbero stati. Lo Spirito lo sapeva. “Ancora non ti decidi ad andartene?”
“Pensi davvero di poterti liberare di me?” disse lei. Non aveva più una voce, ma le parole risuonarono lo stesso dentro la sua stessa esistenza, fatte di melodie antiche e ruggito di draghi.
“Non potrai trattenermi a lungo. Gli ingranaggi dell’Invocazione Suprema sono stati attivati, e la nuova Organizzazione renderà di nuovo reale il sogno degli uomini. Il sogno di Autozam”.
“Sono solo sogni, Terra. Autozam non esiste più”.
“Risorgerà, invece”.
Aveva scelto bene i suoi guerrieri. Quello che si era riflesso nei loro occhi nell’istante in cui la visione della Città degli Uomini si era manifestata nelle Stanze lo aveva ripagato dei secoli trascorsi lì dentro, nelle catene che quella donna aveva stretto intorno alla sua stessa anima. Lei, che aveva condannato gli esseri umani all’eterna sottomissione dei demoni. “Risorgerà, vedrai. E stavolta non sarò solo. Lumaria, Arlen, Lea e Even saranno al mio fianco. Schiacceremo una volta per tutte la famiglia demoniaca”.
“Sai che ti combatterò con tutte le mie forze”.
“Ma le tue forze non sono più quelle di una volta”.
Lo aveva sentito, secolo dopo secolo. Anche le magie della famiglia dei draghi non erano immuni allo scorrere del tempo; si erano allentate ogni giorno, leggermente, come capelli spezzati in una lunga treccia. Aveva dovuto attendere migliaia di anni per potersi manifestare, parlare, apparire con una forma che potesse essere compresa dai mortali, ma l’attesa era stata ripagata. Aveva mosso i primi passi verso la propria libertà, e tra poco anche gli ultimi intralci sarebbero stati spazzati via.
La sua furia non si sarebbe spenta nemmeno in altri mille anni. “Quel ragazzino … sei stata tu a farlo entrare nelle Stanze della Memoria ed a risvegliare i suoi Keyblade. Hai consumato quasi tutte le tue energie per quella follia. Sei sempre stata una sconsiderata”.
“Le mie azioni non ti riguardano, Terra”.
Non aveva più una bocca, ma avrebbe sorriso volentieri. Avrebbe sorriso a quella donna capricciosa e volitiva, a quella creatura visionaria che aveva condannato il mondo intero per una persona sola. E adesso, ancora una volta, per quella stessa persona aveva rinunciato ai propri poteri, lasciando a lui abbastanza libertà d’azione da assistere Lumaria ed i suoi compagni nella ribellione. Lei, che aveva a cuore il Superiore e la sua famiglia, era rimasta inerme a guardarlo morire. “Sei stata avventata e stupida. Il tuo sentimentalismo ha condotto i tuoi protetti al massacro. E quando sarò libero dalla tua prigione porterò a termine la mia missione” disse, pregustando ancora una volta di sentire il vento tra i capelli, la forza, ed il proprio Keyblade stretto tra le dita. “La pace che tu desideravi è un progetto irrealizzabile. Una speranza fatta solo di parole vuote. Mi assicurerò che stavolta Cephiro vedrà il trionfo degli uomini”.
Una speranza di parole vuote, eh?”
Lei rispose, e la sua presenza scivolò nell’aria del laboratorio, sottile come una goccia d’acqua. Passò intorno al guerriero ed al sacerdote, un alito di vento che nessun umano sarebbe riuscito nemmeno a percepire. La sua essenza si avvolse come le spire di un drago intorno alla terza capsula ed i capelli della figura che vi dormiva si mossero verso l’alto in un turbine di minuscole bolle.
Capelli azzurri come il cielo.
“Non dovrei essere io a dirtelo, Terra …” mormorò con una sottile risata “… ma lo sai che la speranza è l’ultima a morire?”
 
 
 
Luxord appoggiò il panno al bancone, stringendosi le tempie tra le mani. Senza la luce del giorno la meridiana della taverna del Bivio Notturno era inutilizzabile ed i clienti ne approfittavano per restare sbronzi fino anche alle prime luci dell’alba, ma lui non aveva bisogno di alcuno strumento per capire che fossero trascorse oltre tre ore dalla mezzanotte. Si sedette sullo sgabello e subito le palpebre cercarono di chiudersi, ma si dette un pizzicotto sulla mano e si rizzò in piedi.
Si disse tra sé che era solo la stanchezza di essere stato di turno dietro al bancone per tre notti consecutive, e che avrebbe avuto bisogno solo di stendere un po’ le gambe e chiudere gli occhi. Cercò di concentrarsi sulla pila di boccali di birra che doveva ancora finire di lavare.
Il Bivio Notturno era una buona taverna. Era lontana dai quartieri poveri di Papunika, e la posizione a pochi metri dal comando della guarnigione non invogliava i borseggiatori o i delinquenti ad entrare attraverso la solida porta in legno. Nettel, la giovane proprietaria, era rimasta vedova del marito due anni prima, proprio quando lui e Demyx erano giunti alla capitale nel momento in cui era stato chiaro che nessuno del Castello dell’Oblio sarebbe più venuto a riprenderli. La ragazza era stata più che felice di trovare qualcuno che sapesse gestire quel posto, lei che si occupava soltanto della cucina e della pulizia delle stanze e che svaniva nel retro della locanda ogni volta che un avventore faceva un commento audace sulle sue forme.
Luxord sapeva di piacerle, ma aveva deciso di mantenere il loro rapporto strettamente professionale, limitandosi a distrarre i clienti più molesti con un sorriso ed una accogliente partita a carte.
Quella sera, però, era davvero al limite delle forze.
Da cinque giorni pioveva senza sosta: le strade della capitale erano quasi tutte impraticabili, ed i pochi mercanti che avevano raccolto il coraggio di uscire dalle proprie case si erano ritrovati con le ruote dei carri impantanate nei canali di scolo incrostati da sterco e fango mai rimosso. Diversi soldati della ronda si erano ritrovati bloccati nei peggiori vicoli della città, quelli dove i tagliagole ed altri criminali affini avrebbero reso preferibile persino la comparsa di un demone infuriato. Le stalle della guarnigione erano state invase dall’acqua, e diversi ufficiali avevano optato proprio per il Bivio Notturno per soggiornare e far riposare gli animali. Il salone della taverna ormai puzzava di umidità e stantio, ma aprire le persiane era fuori discussione. Avevano servito birra e manzo senza sosta, e nonostante in quei giorni avessero guadagnato più che nello scorso mese, Luxord aveva davvero bisogno di riposare e di occuparsi dei rifornimenti.
Demyx lo aveva aiutato, ovviamente: la sua magia allontanava la pioggia dalla taverna e dalle stalle, impedendo che l’acqua si infiltrasse nella cantina dove tenevano le riserve. La sua musica teneva alti gli spiriti degli avventori, ma allo stesso tempo la gente aveva così tanto desiderio di un po’ di allegria che ormai anche il giovane bardo non appoggiava la testa sul cuscino prima dello spuntar del sole. Vicino al camino un ragazzo si alzò in piedi ed ordinò un altro giro di birra per tutti i suoi compagni, gridando all’intera taverna che a breve sarebbe diventato padre. Si elevò una cacofonia di applausi, e Luxord si avvicinò alle botti più per riflesso che non per lucidità.
“Non servite ciambelle?”
Doveva essere davvero a pezzi per non essersi accorto dell’arrivo del nuovo avventore. Fece cenno a Demyx di aiutarlo ai tavoli e si sforzò di mettere su il sorriso più convincente che avesse per non cacciare a male parole l’imbecille che senza dubbio era entrato nella taverna a notte fonda solo perché non sapeva come meglio impiegare il proprio tempo. “La cucina è chiusa, mi dispiace. Ma la birra è ancora disponibile e forse mi è rimasto un po’ di formaggio”.
“Il formaggio mangiatelo tu! Io voglio le ciambelle!” borbottò la figura. Si arrampicò su uno dei sedili, sganciandosi il mantello gocciolante e abbassando il cappuccio. “E comunque sì, dammi della birra. Questo tempo del cavolo non vuole saperne di smettere di piovere. Mi si bagnano i libri, sai?”
Luxord tremò, e per poco il boccale che stava riempiendo non gli cadde dalle mani.
Aveva sentito quella voce una volta sola, ma non era riuscito a dimenticarla. Così come il viso della persona a cui apparteneva.
La ragazza si girò verso il centro della stanza, e quando fece un cenno di saluto verso Demyx per poco il ragazzo non versò la birra contro l’armatura di un avventore. Un gruppetto di soldati sollevò la testa dai resti della propria cena, ma erano chiaramente troppo ubriachi per domandarsi cosa ci facesse a quell’ora di notte una fanciulla dai capelli rossi tutta sola in una taverna.
Lei gli lanciò una moneta e ci mancò poco che non gli strappasse il boccale che teneva ancora tra le mani tracannando il contenuto tutto d’un fiato. “Ma voi non eravate al Castello dell’Oblio?”
“Beh … noi …”
Le mani di Luxord strinsero nervosamente un panno.
Aveva impiegato due lunghi, lunghissimi anni per lasciarsi quel luogo alle spalle. Aveva combattuto contro se stesso e contro i propri occhi quelle sere in cui i ricordi si facevano più pesanti ed immaginava che Xigbar e Xaldin entrassero lì, proprio dalla porta del Bivio Notturno, dicendogli che volevano la birra migliore di Papunika e che a breve sarebbe passato anche il Superiore per riportare lui e Demyx a casa.
E, nonostante i brindisi levati dai soldati dentro la taverna, parte della sua mente si ritrovò di nuovo al Castello il giorno dopo la fine di Stagview, con quella misteriosa fanciulla sopravvissuta al fuoco dei draghi che aveva rifiutato a male parole l’offerta di entrare nell’Organizzazione. I suoi occhi chiari erano un po’ umidi per la birra, ma in due anni non sembrava cresciuta nemmeno un po’. “È … complicato … suppongo …”
“Oh, sono bloccata qui per questo tempaccio, direi che per qualche ciambella potrei persino ascoltare quello che voi due avete da raccontarmi! Negli ultimi tempi mi sono davvero annoiata a morte, sapete?”
Tirò fuori dal borsello una seconda moneta, più grande di tutte quelle che avesse mai visto. Non riuscì ad identificarne il conio, perché la ragazza la fece volare in aria con uno schioccò delle dita e la fece sparire nel palmo sinistro in quello che fu poco più di uno scintillio. “E chi lo sa, magari potrei anche risolvere questa situazione … come hai detto tu … complicata
Gli lanciò una strizzatina d’occhio, e quello che attraversò la schiena di Luxord fu un brivido che nulla aveva a che vedere con il freddo e la pioggia battente “Valar Morghulis”.
 
 

Ci volle un po’ per convincere la gente a farlo passare.
L’area del Mercato del Ponte era impraticabile sin dalle prime luci dell’alba: i carri erano lasciati in qualsiasi punto vi fosse spazio, ed i banchi apparivano dal nulla come se la notte stessa li avesse rigurgitati. Erano anni che la Gilda aveva proposto un piano per regolare quantomeno la disposizione dei banchi e consentire un afflusso decente dal Rione del Vespro alla piazza, ma le poche guardie che tentavano di portare ordine in quel marasma di rumori e odori veniva ignorata nella migliore delle volte. Dalla sconfitta di Gnaag le campagne erano tornate praticabili, e sebbene molta gente avesse lasciato Sommerlund per recarsi di nuovo nelle proprie terre, ogni mattina le stesse persone si riversavano nel Mercato del Ponte per vendere, acquistare o anche solo per ascoltare i bandi che venivano declamati ad alta voce nella speranza che si offrisse qualche posto nella milizia o vi fossero volontari per gestire l’approvvigionamento della torre della Stella di Cristallo.
All’uomo piaceva quella confusione.
Mastro Kennar gli fece un saluto dalla bocca della sua fucina. Si riforniva da lui da anni, e le sue cotte erano tra le migliori che potesse rinvenire nell’intera Sommerlund. L’uomo dalla barba nera come il carbone gli lasciava spesso anche delle frecce in omaggio, e più di una volta si era attardato nel suo antro di fuoco e cenere per bere qualcosa di buono e canticchiare una di quelle canzonacce che risalivano ai tempi della guerra. Ricambiò il saluto del fabbro, ma alzò le spalle e proseguì.
La discesa che conduceva alla piazza era ancora più piena del solito. Si fece strada a fatica, rimpiangendo per qualche istante di non essere venuto a cavallo. Due ragazzetti scalzi e scuri appollaiati su una pila di casse dovettero aver riconosciuto la sua tunica, perché li vide scambiare dei fischi con qualcuno dall’altra parte della strada e, nel tempo si scavalcare un vaso caduto chissà quando, una folla di bambini e bambine erano apparsi dalle finestre delle case con ancora gli abiti da notte indosso.
Sorrise tra sé, sentendosi gli sguardi addosso.
Si disse che avrebbe dovuto esserci abituato, ma non era affatto così.
Un drappello di guardie con lo stemma di Re Ulnar stava tenendo lontana la gente. Il fiume di teste impediva di vedere l’accesso alla piazza, ma nemmeno il brusio ed il nitrito dei cavalli era in grado di sovrastare le grida che venivano dall’area della fontana. Una donna si staccò dal drappello e si fece strada a spallate nella sua direzione non appena si accorse del suo arrivo. La prima cosa che notò fu il pezzo di metallo informe che doveva essere stato un piccolo scudo.
Lei chinò la testa e serrò i piedi. “Maestro Lupo Solitario, la ringrazio di essere qui”.
“Cos’è successo, ufficiale? Il messaggero non è stato molto chiaro …”
“Ci perdoni, Maestro. Sappiamo che non dovremmo contare su voi Ramas per ogni …” lui la guardò, e lei si interruppe. La guardia cittadina non era famosa per saper gestire questioni di crisi più complesse di una banda di ladruncoli di strada o qualche criminale autonomo della borsa nera, ma lui non era lì per ricordarle quel dettaglio. “… mi scusi, Grande Maestro. C’è uno straniero molto pericoloso vicino alla fontana. Lo avevo notato già da qualche giorno, ma mi sembrava solo l’ennesimo accattone. Gli ho detto che non poteva stare lì, che era d’intralcio, ma niente. Allora ho cercato di spostarlo con la forza e questo …” disse, sollevando lo scudo “…è il risultato”.
Di certo gli scudi della guardia cittadina non erano allo stesso livello di quelli di Mastro Kennar, ma Lupo Solitario aveva combattuto abbastanza a lungo da sapere che nessuna ascia, spada o mazza forgiate da un armaiolo del Magnamund sarebbe riuscita a ridurre in quel modo uno scudo di un ufficiale.
Ma era stato abbastanza spesso nelle terre dei Signori della Guerra da sapere che alcune delle creature più antiche e selvagge del Magnamund e del Daziarn possedevano quelle ed altre capacità. Vide gli occhi scuri del soldato poggiarsi sul suo fianco, e capì per quale motivo un ufficiale della guardia cittadina aveva avuto il coraggio di far accorrere il Grande Maestro dei Ramas rischiando di essere derisa e degradata.
Sapeva cosa si dicesse in giro dei poteri della sua Spada del Sole.
“Va bene, fatemi vedere di cosa si tratta. Speriamo solo di non dover chiamare anche i maghi della Stella”.
Lei annuì, e con un grido cacciò tutti i curiosi che si erano accalcati alla fine della discesa. Alcuni lo riconobbero e gli lanciarono grida di incitamento, ed un paio applaudirono. Gli altri uomini della milizia non nascosero la loro espressione sollevata, e Lupo Solitario capì che la donna che lo aveva accolto non doveva essere stata l’unica ad aver cercato di avvicinarsi allo straniero. Uno di loro stava cercando goffamente di riparare con delle cinghie la propria armatura, ed un paio avevano lo sguardo fisso sull’unica figura al centro della piazza, una persona dagli abiti così neri che per un attimo gli ricordò le Ombre delle celle di Kraagenskull.
I lineamenti non avevano nulla di Sommerlund, ma probabilmente nemmeno dell’intero Magnamund. Anche da quella distanza riusciva a vederne gli occhi, due iridi di un azzurro così profondo da causargli un fortissimo disagio.
Nelle sue mani c’erano due armi che non aveva mai visto da nessuna parte, nemmeno sulla Terra II o durante le incursioni nelle roccaforti dell’Impero Galattico. Sembravano due enormi chiavi, una nera ed una color argento, e ci avrebbe scommesso l’intero Monastero che erano state quelle a ridurre a pezzi le armi della guardia. Il nuovo arrivato le puntava in avanti, senza fissare qualcosa o qualcuno in particolare, stringendole con molta più forza di quello che sarebbe stato necessario. Scintillavano in maniera strana, come se la luce dell’alba si riflettesse in modo confuso lungo la loro superficie.
Delle tante creature partorite dai Signori delle tenebre che si era immaginato, quello non ne faceva di certo parte. Gli venne da sorridere, e l’ufficiale probabilmente interpretò quel gesto in ben altra maniera. “Dunque ha la vittoria in pugno, Grande Maestro? Non è nulla davanti alla potenza della Spada del Sole, dico bene?”
“Questo non è un problema da risolvere con una spada, ufficiale”.
Prese il mantello, e con un gesto fece sparire il fodero e l’elsa sotto le pieghe. I soldati gli fecero ala non appena mosse i primi passi verso la piazza, e ancora una volta si rammaricò di quanto trovasse fastidioso sentirsi gli occhi di tutti gli astanti addosso. Ma, questo era ancora più chiaro, il ragazzo dalle enormi chiavi doveva trovarlo ancora più odioso di lui.
Si mosse nella sua direzione, ma quello non attaccò.
Anche a quella distanza poteva accorgersi che, sotto la lunga tunica scura, le braccia gli tremavano come una foglia.
Ancora una volta i soldati della guardia cittadina avevano sentito il bisogno di chiedere aiuto alla Spada del Sole per risolvere una situazione di cui invece non avevano capito assolutamente nulla.
Sotto il cappuccio scuro lo fissavano gli enormi occhi, forse un po’ strani, di un ragazzino spaventato, affamato e solo. Che probabilmente non aveva la più pallida idea di dove si trovasse.
“Tranquillo, piccoletto. Mi chiamo Lupo Solitario, e non voglio farti nulla di male”.
Quello lo fissò con più intensità. Lo squadrò da capo a piedi, nervoso, come se stesse cercando di vedere se nascondesse delle armi.
Rimase immobile, ma al Ramas non sfuggì il lieve abbassarsi della punta delle chiavi.
Ci sarebbe voluto un po’ di tempo, ma qualcosa dentro di sé gli disse che quel ragazzo valeva tutto il tempo del mondo.
“Come ti chiami?”
 
 
 
Ed abbiamo finito! Andiamo! Cento, mille, duemila, diecimila giorni di festa! Sono tre anni che quelle tiranne stanno scrivendo questo “rapido” spin-off, a breve torneremo tutti alla nostra serie regolare (Registe, ohibò, dove eravamo arrivati?)
Molto bene, molto bene! Dopo questi titoli di coda, che spero vi siano piaciuti, in qualità di Narratore arriva uno dei miei momenti preferiti, ovvero…
 
Registe: “Va bene, Narratore, ma fai in fretta. Ti piace proprio umiliarci, vero?”
 
Benvenuti, amati lettori, alla Director’s Cut. Il vostro Narratore preferito è qui per raccontarvi tutto, ma proprio TUTTO ciò che quelle due arpie non vi hanno detto della creazione della storia, ovvero come hanno coperto in corso d’opera le loro numerose cazzate. Preparatevi a vederle smutandate!
 
  • Nella prima, fantomatica stesura, tutti i Membri dell’Organizzazione esterni al blocco dei protagonisti sarebbe dovita morire. Sì, anche Demyx e Luxord. Poi le Registe si sono messe a piangere a metà del copione ed hanno deciso che non avevano cuore di giustiziare anche i due membri più deboli.
  • Sempre nella stesura originale vi era un ordine dei duelli davvero folle. Una volta saputo da Zexion del complotto, il Superiore non avrebbe mandato tutte le sue forze in campo per schiacciare i suoi avversari. Mentre Demyx affrontava Vexen in un titanico scontro (cogliete la mia ironia, ve ne supplico), Larxen e Marluxia avrebbero dovuto affrontare ed uccidere sia Luxord che Xaldin. Xemnas, Lexaeus e Saïx sarebbero giunti molto dopo e soltanto perché il Superiore aveva altro da fare che occuparsi dei guai della propria famiglia.
  • L’intervento dello Spirito del Castello è stato programmato in un secondo momento. La stesura originale risale a circa dodici anni fa, quando le registe non avevano ben chiara la genesi del castello e la sua natura. L’arrivo di Terra e la visione di Autozam sono richiami alla storia della guerra tra uomini e demoni che sarà uno dei pilastri portanti dell’intera saga.
  • Lo stesso dicasi per la misteriosa bambina dai capelli rossi. Quella poi è un’aggiunta veramente dell’ultimo secondo, sempre perché le Registe mettono mille trame ma non ne chiudono mai nessuna.
  • E sì, lo schiaffo tra Vexen e Zexion è una MIA aggiunta. Mie care lettrici, non sapete da quanto tempo stavo programmando questa “sorpresina” alle due tiranne.
 
Credo di aver detto tutto ciò che c’era da rivelare. Ma, prima, di scrivere la parola che tutti noi stiamo aspettando da diverso tempo, le Registe mi hanno fatto una richiesta. Si tratta di una piccola domanda rivolta a tutti voi lettori, nessuno escluso. Un piccolo sondaggio volto a creare un minuscolo extra per festeggiare la fine di questa impresa a dir poco titanica.
La domanda è questa: nominate i 5 personaggi comparsi in questa storia che vi sono piaciuti maggiormente.
 
 
E dunque, in attesa delle vostre risposte, io sottoscritto, il Narratore, sono orgoglioso di mettere ancora una volta la parola
 
 
 
FINE
  
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