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Autore: Yugi95    16/12/2019    1 recensioni
Quando si perde l’unica cosa al mondo che abbia davvero importanza; quando si perde una parte di sé che mai più potrà essere ritrovata; quando si perde l’amore della propria vita senza poter fare nulla per impedirlo… è in quel momento, è in quel preciso momento che si cede lasciando che il proprio cuore sia corrotto dalle tenebre. Si tenta il tutto per tutto senza considerare le conseguenze, senza pensare al dolore che si possa causare. Se il male diventa l’unico modo per far del bene, come si può definire chi sia il buono e chi il cattivo? Se l’eroe, che ha fatto sognare una generazione di giovani maghi e streghe, si trasforma in mostro, chi si farà carico di difendere un mondo fatto di magia, contraddizioni e bellezza? Due ragazzi, accomunati dallo stesso destino, si troveranno a combattere una battaglia che affonda le proprie radici nel mito e nella leggenda; una battaglia che tenderà a dissolvere quella sottile linea che si pone tra ciò che è giusto e ciò che è necessario.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Maestro Fu, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo XXV - San Valentino

La mattina seguente Adrien si svegliò più tardi del solito. Dopo aver aiutato il Preside a riaccompagnare Nathalie, si erano congedati davanti il ritratto della Signora Grassa. Evidentemente, si disse poco prima di andare a dormire, il professore aveva voluto assicurarsi che lui non deviasse dal percorso verso la Torre di Grifondoro. Non ne rimase sorpreso: aveva combinato un bel casino con lo Specchio delle Brame.

Tuttavia, ciò che gli aveva davvero fatto perdere il sonno non era stata tanto la mancanza di fiducia, o l’aver scoperto la vera natura dello specchio. Piuttosto ad averlo letteralmente scioccato erano state le ultime parole di Fu prima di andarsene: “Mi piaceva quel ciondolo di smeraldo, è un peccato non indossarlo”. Era stato a rimuginare su quella frase fino alle tre del mattino, poi la stanchezza aveva preso il sopravvento ed era crollato.

Si alzò a fatica dal letto, era ancora troppo stanco. Come se non bastasse, si sentiva mentalmente a pezzi: la sua mente lavorava incessantemente da dodici ore per processare tutte le informazioni in suo possesso. Possibile che il Preside sapesse? Forse era stato proprio lui a… L’acqua gelida cancellò all’istante quel dubbio dalla sua testa. Non poteva trattarsi di lui, non vi erano presupposti che lo lasciassero pensare.

Si vestì in fretta. Nonostante fossero ormai le undici e mezza, sperava di trovare ancora qualche croissant a colazione. Prima di uscire non rinunciò ad accarezzare il soffice manto nero di Plagg che, accoccolatosi tra le sue braccia, fece le fusa. Benché scontroso e permaloso, quel gatto sapeva sempre come farsi perdonare e rappresentava per il giovane un caro e prezioso amico. «Adesso devo andare, ci vediamo dopo» esclamò Adrien posandolo delicatamente a terra.

Plagg ricambiò il suo saluto con un miagolio svogliato, poi si andò ad appallottolare sul letto e si riaddormentò. Il ragazzo scosse la testa con rassegnazione: quell’animale era decisamente troppo pigro per gli standard dei felini. Afferrò la maniglia di bronzo della porta e la girò a malapena prima che un chiodo fisso nella sua testa non lo riportò sui suoi passi. Si avvicinò al proprio baule e, una volta aperto, si mise a scavare verso il fondo.

Il pendente di smeraldo era ancora lì, dove lo aveva lasciato. Luccicava debolmente alla fioca luce del sole che filtrava dalla finestra. Con titubanza lo prese e se lo portò all’altezza degli occhi. Avvertì una scarica lungo il braccio, ma non ci diede peso: ormai si era abituato. Si disse che era una mossa stupida e azzardata. Quel ciondolo non era un oggetto comune, nascondeva al suo interno un segreto che forse avrebbe potuto metterlo in pericolo.

Le parole del Preside Fu, però, tornarono a riecheggiargli in testa. Avevano sicuramente un significato molto più profondo di quel che poteva sembrare. Non le aveva dette a caso, erano mirate a fargli capire che non poteva separarsi da quel gioiello. Senza pensarci su ulteriormente, se lo mise al collo e lo nascose sotto il maglioncino grigio. In quello stesso istante fu investito da una piacevole sensazione di calore e benessere.

Era come se fosse lo stesso smeraldo a fare le feste per essere finalmente tornato al posto che gli spettava di diritto. Con il sorriso sulle labbra e una ritrovata felicità, il figlio di Gabriel Agreste si apprestò a raggiungere la Sala Grande. Lo Specchio delle Brame era adesso solo un vago e spiacevole ricordo; il suo unico desiderio in quel momento era quello di ricongiungersi con i suoi amici e, soprattutto, di non permettere più a niente e nessuno di separarlo da loro.

Quando arrivò all’ingresso della scuola, però, si rese conto che c’era qualcosa di strano. Nonostante fosse San Valentino, una festività abbastanza sentita all’interno della scuola, il clima non era dei migliori. Durante il tragitto aveva incrociato sporadiche coppiette intente a parlottare fittamente, mai sui loro volti non campeggiavano espressioni felici e rilassate. Al contrario, sembravano tese e spaventate, come se fosse appena accaduto un terribile evento.

Il portone della Sala Grande era stranamente socchiuso. Adrien dovette esercitare una buona dose di forza per spalancare una delle massicce ante in legno, ma a lasciarlo senza fiato fu lo scenario che si ritrovò dinanzi. I quattro tavoli erano scheggiati in più punti, mentre quello degli insegnati era stato completamente divelto. I marmi dei camini e dei bassorilievi erano andati in pezzi; la stessa sorte era toccata alle clessidre che tenevano il conto dei punti guadagnati.

Una cascata di pietre multicolori si era riversata sul pavimento, che presentava anche evidenti tracce di bruciature. Il giovane Grifondoro si guardò intorno alla ricerca di un dettaglio, un indizio che potesse spiegargli cosa fosse successo. Alzò lo sguardo in alto: il soffitto della stanza, nudo e privo di qualsivoglia effetto magico, era di un tenue color grigio, intervallato da travi lignee a sostegno. Non era mai stato così triste e smorto.

Non incrociò nessuno dei suoi amici. Il professor Damocles parlottava con alcuni colleghi e Prefetti del settimo e sesto anno. Ebbe l’istinto di avvicinarsi al fine di capire meglio la situazione, ma preferì desistere. Non voleva causare ulteriori problemi andando a ficcanasare in giro, la sua coscienza gli diceva di farsi da parte. Si sentì impotente: il misterioso aggressore aveva colpito di nuovo e lui non era presente, non aveva fatto nulla per impedirlo.

Percorse a ritroso la strada che lo avrebbe riportato al proprio dormitorio. Si disse che era orami inutile andare alla ricerca dei suoi compagni, anzi non avrebbe fatto altro che acuire la spaccatura venutasi a creare. Tuttavia, nei pressi del primo piano incrociò una ragazza di Serpeverde. Nonostante fosse sola e isolata dal resto degli studenti, non era per niente preoccupata. Gli diede l’impressione di essere alla ricerca di un qualcosa, ma avrebbe anche potuto sbagliarsi.

«Ehi, ciao! Scusa se ti disturbo, ma tu sai dirmi cos’è successo di sotto?» esclamò il figlio di Gabriel Agreste non riuscendo più a trattenere le propria curiosità.

«Il custode è impazzito» replicò lei con tono stizzito, mentre si accarezzava fiaccamente la frangetta castana. «Io sono scappata subito, non so dirti di preciso cosa sia successo. Questa volta però, a differenza della notte di Capodanno, il Preside non era presente.»

«Ma qualcuno deve pur averlo fermato…»

«Da quello che si vocifera sembra siano stati la Professoressa Bustier e alcuni studenti. Dovrebbero essere in infermeria in questo momento.»

Adrien non se lo fece ripetere due volte. Sibilato un debole “grazie” alla ragazza, si mise a correre nella direzione opposta. Era certo che i suoi amici non avessero esitato a dare una mano, del resto lui avrebbe fatto lo stesso. Saettò lungo uno stretto passaggio nascosto da un quadro raffigurante dei Goblin bellicosi: era la strada più veloce per l’infermeria. Sperò con tutto se stesso che i suoi compagni stessero bene, che nessuno di loro fosse ferito.

Giunto dinanzi l’ingresso, poté finalmente tirare un sospiro di sollievo. Marinette, Alya e Nino stavano bene. Erano seduti su una lunga panchina insieme ai suoi due compagni di stanza. Ivan e Kim, a differenza degli altri, sembravano abbastanza scossi. In particolare il grosso ragazzone dal ciuffo biondiccio era sull’orlo di una crisi di pianto. Stranito da quel comportamento inedito, il giovane Grifondoro decise finalmente di avvicinarsi loro. «Ragazzi! State bene? Cos’è successo?!»

«Amico!» esclamò Nino abbracciandolo forte, dando l’impressione che non aspettasse altro da settimane. «Non hai idea di quello che ti sei perso. Il Signor Haprèle era fuori di testa, cioè roba da non credere. Ha stregato le porte e le finestre della scuola: ci ha addirittura bloccato all’interno della Sala Grande. Tutti che urlavano e piangevano, il Preside assente e…»

«Si questo lo so!» lo interruppe con decisione l’altro scrollandoselo a fatica di dosso, «Ciò che volevo sapere era in che modo si sia arrivati al disastro. Qualcuno ha visto il padre di Mylène prima che perdesse il controllo?»

«La professoressa Bustier, stavano facendo colazione insieme.»

«E poi…»

«Poi il copione si è ripetuto come al solito: occhi vitrei, perdita di coscienza» replicò Marinette, mentre dava pacche consolatorie sulle enormi spalle di Ivan.

«Se non fosse stato per la prof, sarebbe finita molto male. Era l’unica degli insegnanti a ricordarsi le istruzioni di Fu: è stata eccezionale!» aggiunse Alya senza riuscire a nascondere l’energica ammirazione che provava per la direttrice della sua Casa.

Adrien convenne con lei: Caline Bustier era una strega eccezionale, forse la migliore che avesse mai conosciuto dopo Nathalie. Nessuno meglio di lei incarnava a pieno le virtù che rendono tale un Grifondoro. Coraggiosa e dall’animo nobile, non avrebbe mai permesso che i suoi studenti corressero un tale pericolo. Nonostante non avesse mai affrontato nulla del genere, aveva preso in mano la situazione e si era messa a difesa della scuola.

«Adesso si trova dentro con il Signor Haprèle. Lui sta bene, ma Madama Wilkins e la stessa Bustier hanno insistito nel farlo rimanere un paio di giorni sotto osservazione» sbuffò Kim massaggiandosi il ginocchio dolorante.

«Che hai combinato? Perché non te lo fai controllare se ti fa male?!» gli chiese il figlio di Gabriel Agreste notando il ghigno di sofferenza sul suo viso.

«Non è niente, tranquillo. Ho solo…»

«Si è solo gettato su una povera fanciulla indifesa proteggendola da un chiavistello volante» pigolò, divertito, il giovane Lahiffe dandogli dei colpetti con il gomito nel fianco. «Com’è che si chiamava? Ondine, se non sbaglio. Il nostro Kim è davvero un cuor di leone!»

«Io lo trovo un gesto molto romantico. Tu sei un buzzurro, non puoi caprile certe finezze» lo rimproverò Alya, mentre la faccia di entrambi i ragazzi si colorava di rosso per l’imbarazzo.

«E Ivan?»

Adrien si pentì immediatamente di essersi azzardato a chiederlo. L’allegria, che aveva momentaneamente aleggiato sul gruppo, scomparve all’istante. Furono nuovamente tutti inghiottiti dallo sconforto e un silenzio surreale calò su di loro, interrotto di tanto in tanto dal piagnucolare di Ivan. Marinette, che era seduta accanto a lui, cercò di stringerlo in un abbraccio; ma la stazza del compagno non le rendeva facile l’impresa.

Anche Alya e Nino, provati da quanto accaduto, si strinsero l’uno all’altra. Kim, invece, si alzò dalla panchina e si mise a camminare avanti e indietro per il corridoio antistante l’infermeria. Da buon orgoglioso qual era, non avrebbe mai permesso che i suoi compagni notassero l’umido che campeggiava nei suoi occhi. Il giovane Agreste li osservava con sincera preoccupazione: era normale che quegli attacchi li provassero, ma quella reazione era spropositata

La figlia del Signor Dupain incrociò il suo sguardo interrogativo. Abbozzò un sorriso comprensivo, però non si azzardò a dirgli nulla. Ci sarebbe stato il tempo di rispondere alle sue domane, ma non era quello il momento adatto. Il ragazzo, rassegnatosi all’idea di non poter insistere oltre, si sedette al suo fianco e le prese la mano. Non si rese immediatamente conto del gesto, in realtà non riuscì a comprenderne nemmeno il significato.

Aveva avvertito il bisogno di sentirla vicina, di legarsi a lei in qualche modo. Marinette, d’altro canto, sebbene stupita da quell’azione inaspettata, non si ritrasse. Nelle settimane che avevano seguito Capodanno aveva sofferto per la sua mancanza: si era sentita abbandonata per l’ennesima volta senza capire il perché. Eppure, nonostante si fosse ripromessa di non ripetere lo stesso errore, aveva preferito lasciargli i suoi spazi, di lasciare che gli altri si facessero avanti.

Intimorita dall’eventualità di un rifiuto, non si era neanche azzardata a parlargli del loro ballo durante il party. Nei primi giorni di gennaio aveva rimuginato a lungo su quanto fosse accaduto, però le continue assenze dell’amica l’avevano indotta a desistere dai suoi buoni propositi. Evidentemente, si era convinta nonostante Juleka e le altre sostenessero il contrario, quel valzer aveva avuto un significato importante soltanto per lei.

La situazione era però cambiata. Adesso il ragazzo era lì, le stringeva la mano e sembrava non avere alcuna intenzione di lasciarla. Sebbene si trovassero in un momento di piacevole intimità, nessuno dei due era imbarazzato o agitato. Si sentivano a proprio agio, come se non vi fosse altro posto al mondo dove entrambi avrebbero dovuto essere. Tenendo il braccio intorno al fianco di Ivan, Marinette appoggiò la testa sulla spalla di Adrien e chiuse gli occhi addormentandosi.

Il gruppetto rimase in attesa sul pianerottolo, finché, un paio d’ore più tardi, la professoressa Bustier non uscì dall’infermeria. I suoi studenti non l’avevano mai vista così trasandata: la sua veste bianca era sgualcita e spiegazzata; i capelli, di solito raccolti in una crocchia dietro la testa, erano arruffati e gonfi; gli occhi gonfi e lucidi non lasciavano dubbi sul fatto che avesse pianto copiosamente, ma il motivo restava un mistero.

Ad accompagnarla vi erano Mylène, scossa quanto l’insegnante, e Rose che era rimasta per tutto quel tempo in compagnia della sua amica. A differenza della Bustier, le due ragazze recavano ancora i segni fisici dell’incidente. La figlia del Signor Haprèle aveva infatti la mano sinistra fasciata e un cerotto sulla guancia; la sua compagna di stanza portava un bendaggio intorno alla testa e si reggeva su un bastone a causa di una caviglia slogata.

«Mylène, Rose! Come state?! E il Signor Haprèle?» esclamò Alya dando l’impressione di essersi tolta un grosso peso dallo stomaco, mentre si lanciava verso di loro ad abbracciarle.

«Stanno bene…» intervenne la Vicepreside, la voce tremula velata da una nota malinconica. «Madame Wilkins ha curato le loro ferite, ma la degenza sarà più lunga del previsto. Come è accaduto al Signorino Lahiffe, gli incantesimi oscuri lanciati contro di loro hanno lasciato delle tracce.»

«S-sono c-certa che tuo padre non volesse farci del male…» balbettò Rose notando l’espressione di puro sconforto impressa sul volto dell’amica.

«La tua compagna ha ragione, Mylène. Non devi incolparlo di nulla…»

Quell’inconsueto atteggiamento materno, che mal si adattava alla figura austera e autorevole della loro insegnante, li lasciò sbigottiti. Caline Bustier aveva sicuramente tanti pregi, ma l’essere di “cuore tenero” non lo era di certo. Severa ed intransigente, esigeva sempre il massimo dai suoi studenti. In più di un’occasione li aveva spronati a non cedere alla paura che quei misteriosi attacchi potevano incutere. Non vi era spazio per lacrime e rimpianti.

Ciononostante, il vederla adesso così fragile e comprensiva rappresentava un evento senza precedenti. A Marinette e Alya, inoltre, non era sfuggito il gonfiore e il rossore che aveva rimpiazzato il bel verde oceano delle sue iridi. Indagare su quel particolare, però, sarebbe stato davvero inopportuno; pertanto preferirono far finta di nulla. L’importante era che nessuno si fosse fatto male, il resto non aveva importanza.

«Che ne dite di andare a pranzo? Sono sicura che gli altri insegnanti hanno rimesso a posto la Sala Grande!»

«D’accordo, professoressa!» esclamarono in coro i ragazzi, sollevati nel costatare che la donna stesse riacquistando la sua determinazione.

Il gruppo, guidato dalla Bustier, si mise in marcia verso l’ingresso della scuola. Tuttavia, Ivan, che per tutto quel tempo era rimasto chiuso nel suo mutismo tenendo la testa basta, non si mosse dalla panchina. Adrien, resosene conto, tentò di raggiungerlo e di capire cosa lo turbasse. Nino e Kim, però, lo bloccarono all’istante facendogli notare che già qualcuno si era avvicinato al ragazzone dal ciuffo biondo.

«I-Ivan… Ivan…» pigolò la figlia del Signor Haprèle piegandosi davanti a lui, «Che ne dici di venire con noi? Sarai affamato.»

L’altro, senza alzare lo sguardo sulla figura minuta che gli stava dinanzi, non rispose limitandosi ad un deciso “no” con la testa. Mylène non si diede per vinta e, preso l’enorme faccione tra le mani, lo invogliò a guardarla dritta negli occhi. Le lacrime solcavano le guance di Ivan: fiumi di infinita tristezza che straripavano senza controllo
.
«M-mi d-d-dispiace, n-non v-v-volevo lasciarti da sola» singhiozzò il giovane non riuscendo più a sopportare il senso di colpa.

«Non devi preoccuparti per me, io sto bene. Stiamo tutti bene.»

«Io… io avrei dovuto proteggerti, invece mi sono lasciato prendere dal panico e tu ti sei fatta male. Ero troppo spaventato per fare qualsiasi cosa: non merito di essere un Grifondoro!»

«Tu hai cercato di fermarmi, sono stata io a mettermi in mezzo cercando di raggiungere papà. A volte il rinunciare rappresenta la più grande forma di coraggio e, per quanto mi riguarda, non c’è Grifondoro migliore di te.»

«Lo pensi davvero?» biascicò Ivan, ma la risposta che ricevette fu soddisfacente. Mylène si era, sotto gli sguardi soddisfatti dei presenti, si era buttata tra le sue braccia baciandolo dolcemente.
 
   
 
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