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Autore: ONLYKORINE    17/12/2019    8 recensioni
Il cinque è un numero buono, tondeggiante e sorridente, mentre il quattro è rigido e cattivo. Ma cosa succede se al posto del cinque si sceglie il quattro?
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CINQUE

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Contai cinque autobloccanti e poi saltai su quello giusto. Poi lo feci ancora. Alla terza volta finii contro un bambino che mangiava il gelato e si sporcò la camicia: sua madre mi guardò male e poi sgridò il figlio.

Li guardai e poi mi girai per contare ancora. Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque. Salto.

Quando arrivai davanti alla porta della tabaccheria l’entrata era chiusa e io non ero abbastanza vicino per aprirla. Guardai gli autobloccanti per terra e li contai: quello su cui avrei dovuto saltare per poter aprire la porta con facilità era il quarto nella fila davanti a me. Ma il quattro era il male. Non andava bene. Il cinque sì, il cinque era un numero buono. Era tondo e sorridente e io lo adoravo. Mi faceva sentire al sicuro e sapevo che con lui tutto sarebbe andato bene.

Il quattro invece era brutto, con linee dritte e dure, non sorrideva mai.

Se avessi saltato sulla quinta mattonella non sarei riuscito ad aprire la porta, ma niente sarebbe mai riuscito a farmi saltare sulla quarta. Niente. Poteva succedere qualcosa di brutto se lo avessi fatto. Anche qualcosa di molto brutto.

Mi guardai intorno: non c’era nessuno. Possibile che nessuno avesse bisogno di andare in tabaccheria? Vendevano le sigarette, lì dentro. Le vendevano in pacchetti da venti che è un numero divisibile per cinque. Ma è anche divisibile per quattro, infatti io non fumavo.

Aspettai davanti alla porta della tabaccheria finché un uomo mi passò vicino e aprì la porta per entrare. Prima che la porta si richiudesse dietro di lui, saltai sul quinto autobloccante e poi saltai dentro il negozio.

Per fortuna era un negozio che conoscevo e sapevo che per terra non ci sarebbero state mattonelle. Camminai fino al bancone e guardai l’espositore di caramelle: i miei dolci preferiti, le Goleador alla liquirizia, erano caramelle confezionate una per una in una scatola di cartone. Notai che erano quasi finite, infatti ce n’erano solo cinque. Sorrisi: cinque andavano bene.

Purtroppo la mano di un bambino mi precedette e ne prese due, posandole sul bancone insieme a una moneta da venti centesimi. Cavolo! Mi aveva rubato due caramelle!

Guardai sconsolato il bambino che usciva dal negozio mangiando una liquirizia e tornai a guardare la scatola. Cavolo. Cavolo. Volevo una caramella. No, ne volevo cinque.

“Vuole delle caramelle?” mi chiese il tabaccaio dietro il bancone. Annuii e gli chiesi se ne avesse anche un’altra scatola da aprire. Lui guardò quella mezza vuota e mi disse che sarebbe andato a prenderla.

Quando tornò, aprì la scatola nuova e prese anche quella vecchia, per sostituirle. “Quante ne voleva?” mi domandò. Io gli feci vedere la mano aperta e lui annuì, allineando le Goleador sul vetro del bancone. Quando ne aggiunse un’altra e sul bancone ce ne furono quattro, io guardai da un’altra parte e, finché non sentii la quinta caramella raggiungere le altre, non posai lo sguardo sul bancone. Non volevo vederne quattro.

Quando tutte e cinque furono sul bancone chiesi anche un biglietto per l’autobus: dovevo andare a trovare mia madre e per farlo dovevo prendere i mezzi. Purtroppo non avrei preso il numero cinque, perché non passava dalla strada dove abitavo io, ma avrei preso il dieci barrato, che andava bene, perché il dieci era come un doppio cinque. Io lo avrei diviso e i due cinque avrebbero sorriso.

Chiesi di non darmi il primo biglietto del blocchetto e il tabaccaio mi guardò stranito. Gli spiegai allora di contare cinque biglietti e di darmi il quinto, ma lui non capì.

La donna anziana dietro al bancone si avvicinò e prese il blocchetto: lei mi conosceva e già sapeva cosa volevo. Spiegò a quello che sembrava suo figlio che io volevo il quinto biglietto del blocchetto e iniziò a girarli uno per uno contando fino a cinque. Quando arrivò al numero che avevo richiesto, quello giusto, lo staccò e mi sorrise, porgendomelo.

Mentre pagavo sentii che spiegava al giovane tabaccaio di come io avessi una mania per i numeri. Una mania! La sentii anche dire ‘fissazione’. Sì, certo, fissazione, ma se loro avessero saputo tutto quello che sapevo io…

Il signore che era entrato prima di me mi guardò con uno sguardo strano e rise battendo la mano sul bancone. “Che storia divertente! E cosa succede se prendi un altro biglietto, ragazzo?” mi chiese, ma non capii la sua domanda.

“Perché prendi il quinto biglietto, allora?” domandò ancora. Gli spiegai che il quinto andava bene, mentre gli altri numeri non erano proprio adatti. Gli spiegai anche il fatto del numero quattro. Il quattro che era il male.

Lui rise più forte e disse al giovane tabaccaio: “Dammi il biglietto prima del suo, il numero quattro!”

Gli chiesi se dovesse prendere l’autobus anche lui e sperai dentro di me che non dovesse prendere il numero quattro, ma lui scosse la testa e disse che lo faceva solo per divertirsi. Ancora non capii e lasciai perdere.

Uscii dalla tabaccheria e l’uomo mi seguì. Rise ancora quando sulle strisce pedonali cercai di non pestare i rettangoli bianchi. Si mise a ridere più forte e continuò a seguirmi. Rideva veramente tanto. Mi girai a guardarlo quando arrivai all’altro marciapiede e notai il suo viso rosso. Forse stava ridendo troppo.

Quando si accasciò per terra e tutta la gente si accalcò su di lui, alzai le spalle e mi diressi verso la fermata dell’autobus. Sentii la sirena dell’ambulanza mentre salivo sul bus.

Io lo avevo detto e lui non mi aveva creduto: il quattro era il male.


***Eccomi con un altro contest su traccia. Questa volta 'I limiti' e in particolare quelli della mente. 1000 parole
   
 
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