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Autore: whitemushroom    17/12/2019    3 recensioni
Per festeggiare il decimo compleanno del fantastico thexiiiorderforum ho deciso, in collaborazione con altri utenti, di lavorare a questo progetto molto ambizioso.
Si tratta di un crossover tra il nostro adorato Kingdom Hearts e Your Turn to Die, un videogioco assai meno famoso ma che ci ha immediatamente conquistati per i suoi temi ed i costanti rimandi alla saga nomuriana per eccellenza. L'obiettivo sarà ripercorrere a modo nostro le vicende che ci hanno accompagnato per più di una decade, viaggiando con la fantasia tra le vicende di KH1 e attraversando tutti i giochi fino a KH3, il gran finale che ha visto forma proprio nel 2019.
Auguro a tutte le persone che passeranno di qui una buona lettura.
Se avrete bisogno di qualche spiegazione, consili o quanto altro sarò sempre felice di essere a vostra disposizione.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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La visita di Ranger ha lasciato come al solito il laboratorio in uno stato indecente. Safalin chiude il corpo ormai inutilizzabile di Sara Chidouin nell’inceneritore mentre i parametri del cilindro di sostentamento nutrizionale le confermano che i dati dell’Intelligenza Artificiale del soggetto sono stati compromessi dal trauma e necessitano di un’ulteriore revisione. Con un gesto secco Safalin spenge le spie rosse dell’allarme ed il suo computer inizia ad aggiornare per l’ennesima volta i file; non le sarebbe dispiaciuto usare la ragazza per la simulazione del terzo capitolo -a quanto riportato da Gashu la sua introduzione nella realtà virtuale da parte di Miley ha avuto delle ripercussioni interessanti- ma il tempo stringe e non ha tempo di attendere l’upload.
Il suo sguardo cade sul cilindro contiguo a quello di Sara, ed in pochi istanti comprende chi sarà la prossima cavia.



“Io le aiuole le terrei. Un po’ di fertilizzante, un bel colpo di forbici e tornano come nuove, parola mia. L’ingresso al giardino invece è terrificante, l’ideale sarebbe addirittura una bella vasca con dei pesci, ma mi costerebbe un capitale”
“Certamente, signore”
“Un vialetto con dei ciottoli andrà più che bene. Ho anche una mezza idea di dove procurarmeli …”
“Lei è una vera volpe, signore”.
Keiji Shinoji sospira, dando per la centesima volta un’occhiata al cellulare. Nessuna notifica, nemmeno uno dei soliti sms deliranti di Judy. Oltretutto in telefono gli segnala in via impietosa la totale assenza di campo e dubita che in quel buco abbandonato da oltre trent’anni ci sia un WiFi a cui aggrapparsi. Quando il suo interlocutore inizia a guardare con fare critico ogni singolo mattone della parete il giovane poliziotto capisce che ne avranno almeno per altre tre ore, sempre che non muoia di noia prima o si faccia sbattere dentro per papericidio aggravato. “Modestamente, ragazzo, quello già lo so”.
Riprende di nuovo il cellulare dalla tasca in cui lo aveva scagliato nella speranza che la luce dello schermo possa impedirgli di impazzire del tutto e dare così a Basettoni la scusa definitiva per mandarlo a dirigere il traffico dei carretti di Agrabah insieme a Manetta.
L’incarico all’inizio non era sembrato dei più terribili: il commissario si era premurato che l’ospite avesse una scorta h24 per tutta la durata della sua visita a Crepuscopoli. Un pezzo grosso, aveva borbottato il vecchio Basettoni, un magnate del Castello Disney che andava spesso a cena col Re in persona e che avrebbe potuto anche mettere una buona parola con Sua Maestà sull’operato del loro scalcinato distretto di polizia. Il papero aveva appena acquistato a costi stracciati diversi lotti sotto la loro giurisdizione ed aveva deciso di ispezionare una ad una le sue nuove proprietà; considerata la sua importanza il commissario aveva deciso di affiancargli una scorta nel caso accadesse qualcosa di grave al loro ricchissimo visitatore, anche se nelle ultime ore la cosa più pericolosa che avessero incontrato era stato un gruppo di monelli sullo skateboard che per poco non avevano travolto il nuovo arrivato.
Grazie al cielo la vecchia villa oltre il bosco era l’ultima della giornata: Keiji si era chiesto chi fosse stato l’imbecille che avesse costruito quell’edificio in un punto così isolato, tanto per cominciare, e chiunque fosse aveva lasciato crescere l’erba così tanto che del signor De Paperoni ne affiorava soltanto la vecchia tuba.
“Un vero affare, considerato quanto l’ho pagato. Si vede che il proprietario aveva voglia di disfarsene”.
Lo credo bene, pensa il poliziotto, ma tiene il commento per sé. L’idea di una lezione di finanza da parte di un vecchio riccone era piacevole quasi quanto un pomeriggio a firmare scartoffie ed ascoltare la denuncia di un paio di ragazzini che sostenevano che qualcuno avesse rubato un paio di scalini dalla stazione. “Ragazzo, ti sto dando una lezione gratis. Il tempo è uno dei migliori soci in affari quando si tratta di mercato immobiliare”.
Dice, e dopo un paio di salti arriva all’ingresso e gira una vecchia chiave dentro la toppa della serratura.
“Questa baracca diventerà un resort a sette stelle, parola mia!”
Guarda di nuovo il telefono nella speranza che Flaminio abbia risposto al messaggio, ma da quando il suo collega si era distinto per la questione dei bambini smarriti al Paese dei Balocchi era finito sotto l’ala del prefetto del Castello Disney ed era in missione trenta ore su ventiquattro. Tre giorni prima gli aveva scritto dicendo che sarebbe andato alle Terre del Branco: roba di quelle che scotta, per gente d’azione, la morte in circostanze misteriose di due membri “importanti” della famiglia reale ed una richiesta di indagine formale da parte della moglie di una delle vittime. Ma non gli sarebbe dispiaciuto nemmeno accompagnare Judy a Nottingham per quell’inchiesta sul livello di corruzione locale e su certi contrabbandieri che infestavano la foresta; certo, gli scatti che la sua collega gli mandava negli ultimi tempi erano diventati terribilmente monotoni e tutti riguardanti uno dei banditi con arco e frecce che faceva il bagno sotto una cascata -Judy era in quella fase mammifera dell’anno riassumibile con un “basta che respiri”, e se disgraziatamente aveva il pelo rosso era finita- ma avrebbe volentieri ascoltato per la ventesima volta le paturnie romantiche della sua collega pur di partecipare ad un’indagine vera.
Certo, Flaminio era uno su cui ci potevi sempre mettere la mano sul fuoco. E Judy era una sveglia, sempre sul pezzo, una capace di stare mesi sotto copertura e non destare nemmeno un sospetto.
Mentre lui era più … come aveva detto Basettoni … l’adorabile poliziotto di quartiere di Crepuscoli.
Specie dopo il caso Megumi.



Safalin osserva il giovane poliziotto attraverso lo schermo che la separa dalla realtà virtuale: rispetto alla simulazione del professor Mishima ha aggiunto una mole considerevole di ricordi, ma nonostante la compressione forzata delle cartelle mnemoniche sembra che Keiji Shinoji non manifesti alcuna difficoltà nell’interazione con l’ambiente circostante. Il pad la avvisa che l’Intelligenza Artificiale del poliziotto sta cercando inconsciamente di accedere ai dati di un’altra concorrente, la signorina Megumi Sasahara, ma trasferisce rapidamente la cartella su un driver esterno impedendone la lettura.
Miley e Ranger non sono d’accordo, ma per lei è vitale che i file di un candidato non interagiscano con quelli degli altri. Una questione di affidabilità e riproducibilità dei dati che chiaramente gli altri Floor Master non hanno afferrato.



Keiji scuote la testa non appena la porta si apre con un sonoro cigolio, e qualsiasi pensiero gli stia attraversando il cervello svanisce non appena la puzza di aria stantia lo accoglie come la più zelante delle padrone di casa.
Le ghette del signor De Paperoni sono l’unico suono che attraversa il pavimento dalle ampie lastre marroni che senza dubbio ha visto un’aspirapolvere non meno di tre decadi addietro; i suoi mocassini sfondati mandano solo uno scricchiolio sommesso, anche se in quel silenzio innaturale sembrano comunque rumorosi come una banda di ragazzini al torneo Struggle. L’enorme salone occupa da solo più della metà del piano terreno, reso ancora più ampio dall’assenza di mobili di qualsiasi tipo. Lungo la parete adiacente all’ingresso nota una macchia chiara lungo i mattoni, segno che probabilmente quel luogo era stato occupato per diversi anni da un mobile di taglia grande, forse una credenza o una piccola libreria. Ai lati dello stipite ci sono due candelabri alti di quelli che non troverebbe nemmeno nel più vintage dei mercatini dell’usato, entrambi con il treppiede cigolante e privi di candele su tutte le braccia.
L’attenzione del vecchio papero viene attratta dall’unico elemento di spicco del salone, una teca di vetro ormai annerito posizionata proprio al centro della struttura. Si regge su un basamento in ferro battuto decorato ma piuttosto pesante, osserva Keiji, probabilmente il motivo per cui i precedenti proprietari non l’avevano portata via. Riesce a vedere gli occhi del signor De Paperoni oltre le lenti dei suoi occhiali venire calamitati da un lieve baluginio dorato che guizza nella teca quando i raggi del crepuscolo attraversano la stanza da una finestra sul lato opposto del salone e raggiungono il vetro. D’istinto si porta al suo fianco, e si accorge di star studiando le due rampe di scale che conducono al primo piano con molta più apprensione del necessario.
Si rende conto solo in quel momento di non avere con sé la pistola.
E, come a confermare i suoi timori, nel silenzio spettrale rimbomba il rumore di una porta chiusa al piano di sopra.
“Giovanotto, qualcuno ha i nervi a fior di pelle!” borbotta il pennuto. Anche se gli dà le spalle deve aver intuito i suoi pensieri. “Sarà stato il vento”
“Fuori non c’è affatto vento, signor De Paperoni”
Con cautela sale i primi gradini di una delle scale. Annusa l’aria come fa sempre Judy, e nessun alito d’aria fresca gli solletica le narici.
Niente corrente.
Niente vento.
“Non siamo soli, signore”
Il vecchio cilindro gli viene vicino. Scruta il punto da cui è venuto il rumore, poi da sotto il pastrano -che senza dubbio ha visto giorni migliori- fa spuntare una torcia tascabile. “Beh, è un bel problema per questo terzo incomodo. Non si entra nelle aree della PdP senza pagare”.
Inizia a salire i gradini con una velocità sorprendente per la sua età. “E se è un malintenzionato … farà la conoscenza la mia spingarda”.
“Signor De Paperoni, aspetti un attimo!”
Urla Keiji, maledicendosi tre istanti dopo sentendo la propria voce riecheggiare probabilmente anche nell’angolo più infimo delle cantine della villa; con un salto attraversa i gradini e si para davanti all’arzillo magnate. Lo sguardo con cui il papero lo fissa deve essere quello con cui conclude i suoi leggendari affari, ma davanti al giovane poliziotto si staglia l’immagine di un Basettoni tuonante all’idea che il loro ospite possa tornare con anche solo una piuma sgualcita. “Sono io la sua scorta. La sua sicurezza è la mia priorità” dice, cercando di suonare più autoritario che disperato. “Lei mi aspetti qui. Io perlustro il primo piano e torno immediatamente”.
“Ragazzo, tu hai un’assicurazione, vero? Se non erro voi poliziotti siete tenuti ad averne una”
“Beh, certo, ma …”
“Perfetto. Non intendo accollarmi le tue spese mediche se ti fai male, intesi? Ma se sei assicurato allora non c’è problema”.
Si mette seduto su uno scalino e sgancia dalla schiena il vecchio archibugio che Keiji gli ha notato sin dal suo arrivo al commissariato. È un pezzo di antiquariato a tutti gli effetti -ad occhio e croce forse i meccanismi sono così arrugginiti da non riuscire a sparare- ma nelle mani del papero sembra molto più minaccioso di una pistola carica e funzionante nelle proprie. Si appoggia la spingarda sulle ginocchia e fissa il portone d’ingresso come un mastino. “Vai a vedere e torna subito. Me la so cavare, fidati!”
Il tono ammette ancora meno repliche di quelle che il poliziotto stava cercando di formare, quindi annuisce e percorre gli ultimi gradini della scalinata.


Nel momento in cui il concorrente percorre le scale e muove i primi passi verso il corridoio, Safalin inizia a cancellare i dati del livello inferiore. Al momento Keiji Shinoji le sembra uno dei candidati più adeguati alla vittoria del Death Game -9.5%, secondo soltanto alla gran favorita Sara Chidouin- e già le esperienze raccolte da questa simulazione potrebbero considerarsi sufficienti.
Il ragazzo è attivo, forte e con un buono spirito di osservazione. Ha appena dimostrato di saper scortare e proteggere.
La memoria del computer principale però non è infinita, e mentre il poliziotto adatta il proprio passo al pavimento scricchiolante per fare meno rumore Safalin rimuove tutto ciò che si trova al piano terra.


Il corridoio è, se possibile, ancora più stantio dell’ingresso. Se nel salone l’ampiezza della stanza e la buona illuminazione copriva in parte l’odore di chiuso, il corridoio stretto del primo piano non lascia alcuna via di fuga. Il naso viene assalito dalla sensazione che qualcosa di legno -forse una delle porte- debba essere muffita. Come già aveva notato dall’esterno, il piano superiore era nettamente più piccolo rispetto al basamento. Diverse porte si affacciano lungo il corridoio e nel gettarvi un occhio all’interno Keiji nota come, anche qui, la maggior parte dei mobili sia stata portata via ad eccezione di qualche scrittoio tarmato ed un paio di armadi troppo difficili da smontare. Probabilmente stanze private, una addirittura con un bagno al proprio interno, con i vetri delle finestre così anneriti da rendere impossibile anche solo l’idea che qualcuno vi abbia messo piede prima di lui nell’ultimo decennio.
Al massimo, si trova a ragionare tra sé e sé, si sarà trattato della bravata di qualche ragazzino. Una di quelle prove di coraggio idiote che anche lui e Flaminio hanno fatto ai loro tempi: sì, entrare nella villa abbandonata e far prendere un infarto allo stupido poliziotto ed al papero miliardario sembra proprio una di quelle scemenze degne di quel teppistello di Hayner e della sua banda. Già se li immagina oltre l’ultima porta rimasta da esplorare, con la finestra aperta ed il branco di mocciosi che sta scappando a perdifiato nel giardino della villa mandandogli dei gestacci; ma in fondo, sospira mentre abbassa la maniglia, immaginare un qualche ladro o un intruso è comunque la cosa più emozionante che gli sia capitata negli ultimi mesi.
Fino a quel preciso momento.
La stanza è completamente bianca. Bianca, ma di un bianco così innaturale che per un istante Keiji si ritrova a trattenere il respiro e coprire gli occhi con le mani. Le finestre sono pulite, illuminate, con delle tende sottili che è sicuro di non aver visto nella perlustrazione esterna. C’è un tavolo grande, chiaro, di un materiale che non gli sembra né legno né marmo e con sopra un vaso con dei fiori così candidi da essere semplicemente innaturali. Le narici riconoscono subito dell’aria fresca nonostante i vetri siano chiusi.
L’intera stanza è tappezzata di disegni: ne riesce a contare oltre una dozzina lungo le pareti, ma gli basta abbassare lo sguardo per vedere almeno un’altra ventina di fogli sparsi anche sul pavimento. Tutti realizzati con dei pastelli, l’unica fonte di colore in quella stanza che stona senza ombra di dubbio con l’intera struttura della villa. Le immagini sono state fatte da una mano senza dubbio infantile, ma attirano i suoi occhi e si ritrova a fissarli uno dopo l’altro senza alcun motivo apparente, quasi come se vi fosse una storia snocciolata davanti a lui il cui significato non risulta accessibile. Ed è seguendo quelle note di colore che si accorge di lei.
Si dà dell’imbecille per non averla notata subito. Sarebbe pronto a scommetterci la mano sul fatto che fino a qualche istante prima la sedia contro il tavolo fosse vuota, ma una cosa del genere è talmente tanto impossibile che può imputare il tutto alla sua distrazione. Sta di fatto che la bambina è lì, la schiena dritta contro lo schienale, le mani incrociate sopra un blocco da disegni con dei pastelli appoggiati in disordine sul tavolo. Ha gli occhi azzurri, di una tinta ancora più innaturale di tutto il bianco che la circonda. Sorride, o forse no.
“Ehm … ciao …”
Mormora Keiji, cercando di trovare qualche parola quantomeno di senso compiuto. “Uhm … ecco … cosa ci fa una ragazza così carina qui dentro?”
Nulla.
Tutto questo al signor De Paperoni non piacerà nemmeno un po’. E nemmeno al commissario.
Guarda ancora una volta i fogli sparsi tutt’intorno. “Bei disegni, sai? Li hai … fatti tu, vero? Sai, mi piacciono proprio!” mormora “Sono una … uhm … nota di colore interessante in questa stanza …”
La bambina muove un po’ la testa, e stavolta le labbra si inarcano in quello che è chiaramente un sorriso.
Keiji la osserva ancora: sembra in buono stato di salute, i capelli biondi sono puliti e tutto sommato in ordine, il vestito è molto semplice ma pulito e stirato. Fa ondeggiare le gambe al di sotto del tavolo, dunque non è bloccata su quella sedia o paralizzata. Lo sfiora il sospetto che possa essere autistica, ma questo non spiegherebbe cosa ci faccia in una villa abbandonata. “C’è qualcuno con te in questa casa?”
“Ci sei tu, Keiji”.
Le parole lo spiazzano come un colpo di pistola a bruciapelo. Potrebbe giurare di averle immaginate, ma la bambina ha chiaramente mosso le labbra. Nonostante questo, la voce sembra davvero provenire da un altro posto. “Uhm … conosci quindi l’adorabile poliziotto di quartiere di Crepuscopoli?”
Va bene, delle tante cose impossibili delle ultime ore quella le batte tutte. La osserva ancora, poi con la mano sinistra si dà un bel pizzicotto sulla coscia tanto per assicurarsi che non sia …
“Un sogno. Non esattamente, ma quasi”.
A quelle parole d’istinto il ragazzo fa due passi indietro. Sbatte contro la porta e la mano cerca nervosamente la maniglia, ma i suoi occhi non riescono a staccarsi da quelli della bambina che gli ha chiaramente letto nel cervello. Le dita scivolano lungo la superficie, ma dove dovrebbe esserci la toppa vi è solo del legno liscissimo. Vorrebbe girarsi ed aprirla di scatto, ma qualcosa gli dice che dare le spalle a quella fanciulla sarebbe la peggiore idea della sua vita. “Non ho molto tempo, Keiji Shinoji. Ma sappi che per quelli come noi è tutto un sogno. I nostri ricordi, la nostra vita, le nostre avventure … il nostro domani”.
“Non …”
“I sogni sono soltanto un flusso atipico di dati. Ma frammenti di sogno sparsi … possono creare un mondo intero. Persino un futuro. Un futuro che altre persone scrivono per noi. Io posso aiutarti, ma la scelta se uscire da qui o meno è soltanto tua”.
Ogni cosa sembra surreale.
Il cuore inizia a martellargli anche dentro le tempie, e nell’istante in cui pensa che scendere sotto, afferrare il signor De Paperoni e darsela a gambe da lì sia la migliore pensata del momento si volta e scopre che la porta attraverso cui era entrato lì dentro non ha più né una maniglia né una serratura. Vi si appoggia con tutto il suo peso per saggiarne la resistenza, ma i muscoli del collo gli restano immobili e lo costringono ad osservare la bambina che nel frattempo ha impugnato un pastello.
Sta dicendo parole senza alcun senso, quello è chiaro, ma c’è qualcosa in lei che calamita in sé ogni sua paura, qualcosa di così artificiale da stonare con tutto il resto ma così ben nascosto che anche gli anni trascorsi come poliziotto non riescono ad individuare.
Una delle sue minuscole mani si stacca dal tavolo, e lentamente punta verso una delle finestre. “Ti dispiacerebbe dirmi cosa vedi?”
Non è certo di quale motivo sospinga le sue gambe verso una delle finestre dando dunque le spalle alla bambina, ma gli occorre poco perché le sue dita scostino le tende sottili ed il naso gli si incolli al vetro. La luce del tardo pomeriggio lo saluta e gli riscalda le guance, divisa in sottili raggi che illuminano alcune porzioni di erba cresciuta ben oltre le vecchie aiuole in pietra; l’enorme giardino è deserto, e se non fosse per il sottile sentiero calpestato da lui e dal papero nemmeno un paio d’ore prima potrebbe giurare che nessuno, negli ultimi anni, abbia mai trovato il coraggio di varcare il grande cancello arrugginito o di scavalcare il muretto solo come atto di spavalderia. Sorride alla tranquillità del boschetto al di là della villa, ai ricordi delle varie scappatelle e poi ancora prima, agli interminabili pomeriggi trascorsi tra i raggi del loro eterno tramonto in quelle estati folli e bellissime.
La ragazzina parla di sogni e di dati.
Ma oltre il sentiero perso nel sottobosco non ci sono sogni. C’è la sua città, il suo distretto pieno di noiose carte compilate, c’è il Bar Vespro a cui ha devoluto metà del suo stipendio per consolare Judy la sera in cui aveva visto su Keybook la foto di Flaminio con la sua nuova fiamma, una sventola di Arendelle con delle gambe lunghe due volte lei -orecchie incluse. E ci sono i pomeriggi trascorsi a prenderci mazzate su mazzate al torneo Struggle per farsi notare un pochino da Megumi, o l’onta di perdersi nei sottopassaggi durante la caccia ad un ladruncolo ed essere recuperato dal sergente Manetta.
Il passato non è un sogno. E, di quello ne è più che certo, non lo sarà il domani.
Ma forse quella strana bambina è solo tanto malata. “Non c’è nulla di strano, piccola. Solo il giardino”.
“Guarda meglio” risponde lei.
Sarebbe pronto a giurare di poter sentire il suo pastello grattare contro un foglio. “Guarda meglio, agente Keiji Shinoji”
Fissa ancora fuori, stavolta meno convinto di prima. Una delle tende gli sbatte un po’ contro il naso, e la scosta con fare pigro. Guarda ancora il muretto e le punte del cancello in ferro battuto, dove per movimentare un po’ la scena si è accomodata una cornacchia: l’erba è esattamente uguale a prima, e senza dubbio il signor De Paperoni non si è allontanato dal salone per fare una seconda esplorazione del perimetro. Si sporge verso destra, ma oltre a qualche tegola non riesce a vedere molto oltre lo splendido arancione del cielo ed il verde degli alberi. “Stai tranquilla, non c’è davvero null ...”
Poi nota qualcosa.
Un riflesso, o almeno così sembra. Una scia di luce anomala, diversa dalle altre, che potrebbe persino appartenere alla delicata trama delle tende, troppo chiara per appartenere al sole del Crepuscolo. Sbatte le palpebre per allontanare quel baluginio, ma si accorge di volerne seguire il movimento più di quanto gli occhi ne abbiano bisogno. La luce contro il vetro è ancora calda, bellissima, e quando anche la fronte preme contro il vetro si accorge che c’è qualcosa tra le fronde degli alberi. O forse, realizza qualche istante dopo, sono le fronde degli alberi stesse a chiamarlo nel loro colore forte, che ha sempre trovato rassicurante nella massa arancione della sua città.
Verde, in realtà, è il colore dei capelli della donna che lo sta fissando oltre il vetro della finestra.
Vorrebbe fare un passo all’indietro ed allontanarsi dal vetro, ma si accorge di non riuscire a muovere un muscolo, nemmeno per avvisare la bambina; qualcosa dentro di lui non vuole distaccare le iridi da quella figura al di là della finestra, una donna che non ha mai visto in vita sua con gli occhi pieni di lacrime ed un lungo nastro azzurro che le avvolge il corpo e le braccia. E più la osserva, più la retina assimila dettagli di quella figura e più gli sembra di non ritrovare davanti a sé il giardino, il cancello, l’erba alta o il bosco, ma tutto oltre la donna è diventato grigio e freddo tanto da poter giurare di vedere persino degli schermi di televisori o computer. La donna è immobile, ma i suoi occhi sembrano puntati solo su di lui.
Non è bella, ma le sue mani sfiorano il vetro, incuriosite soltanto di poterla sfiorare. Non le guarda, perso nelle sue lacrime, eppure a tentoni riesce a stringere la maniglia per aprire la finestra e raggiungerla ovunque si trovi.
“A TERRA, RAGAZZO!”
Gli anni e l’istinto da poliziotto gli salvano la vita. Il click alle sue spalle lo costringe a buttarsi contro il pavimento mentre schegge di ogni forma gli esplodono addosso. Si copre gli occhi col braccio, e proprio mentre sta per inciampare nelle tende sente qualcosa afferrarlo a livello della vita e spingerlo con violenza oltre quello che, realizza mentre i suoi piedi perdono contatto col pavimento, è il parapetto della finestra. Prima ancora di aprire gli occhi un dolore indicibile gli esplode all’altezza della spalla sinistra e, quando trova il coraggio di sollevare le palpebre, si accorge di aver appena fatto un volo di schiena al primo piano spintonato da un papero con un pastrano vecchio quanto lui e con una spingarda a sale grosso ancora fumante e puntata contro il vetro rotto della finestra. “Stai tranquillo, giovanotto, so come gestire le streghe” borbotta, perfettamente in piedi nonostante la caduta. “Intelligenza, aglio e una spingarda sempre carica. Meglio di tante diavolerie moderne, dai retta a me!”
“Signor De Paperoni, la bambina ...”
“Non c’era nessuna bambina, ragazzo! Solo quella megera oltre il vetro! Me lo sento nel cilindro, era tutto un suo piano per impadronirsi della mia Numero 1!”
Keiji fatica a rimettersi in piedi, e non appena prova a recuperare l’equilibrio una seconda fitta gli attraversa tutta la colonna vertebrale lasciandolo senza fiato. Guarda ancora il punto da cui sono caduti e dalla finestra in pezzi riesce ancora a scorgere le tende sottili, stracciate ma ancora al loro posto, che scivolano nell’aria sospinte da un vento leggero. Allunga il collo per guardare meglio, ma l’interno della stanza gli sembra grigio e poco illuminato, lontano dal bianco che lo aveva quasi ipnotizzato.
Della bambina, invece, nessuna traccia.
“Oh, quelli dell’agenzia immobiliare stavolta mi sentiranno! Eccome se mi sentiranno! Vendere al sottoscritto una casa stregata, cose dell’altro mondo!” starnazza, levandosi l’arma dalla spalla e sistemandola lungo le spalle mentre già corre verso il cancello ad un passo incredibile per le sue vecchie ghette. “Mi ridaranno tutti i soldi fino all’ultimo nichelino, parola mia! E tu, ragazzo, li sbatterai dentro per truffa, SIAMO INTESI?”
Il poliziotto annaspa, cercando di tenere il passo e di capire alla svelta come imbastire una spiegazione sufficiente per impedire al commissario Basettoni di sbatterlo a pulire i bagni dei cadetti non appena per Crepuscopoli si spargerà la voce di una villa stregata ai limitari del bosco.



Kai la osserva dalla soglia del laboratorio. Safalin sa benissimo che il giovane ha spiato ogni sua mossa sin da quando ha iniziato la simulazione, ma non per questo intende facilitargli il rapporto. Ci sono dei momenti in cui capisce perché quegli occhi vacui e quelle mani sempre strette contro la schiena disturbino tanto i circuiti di Ranger. “Sembra che l’anomalia riscontrata da mio padre non sia poi tale. Anche tu hai notato delle interferenze”
“Più di una” commenta lei mentre arresta il sistema. Sulla sua destra l’indicatore dei parametri vitali del candidato appena utilizzato lampeggia altre due volte e poi torna alla normalità. “Oltre al vecchio papero non doveva esserci nessuno in quella simulazione. C’è stata un’interferenza di dati provenienti dall’esterno che ha persino ripristinato una mia operazione”.
“Una sorta di antivirus interno? Plausibile”.
Per sicurezza Safalin controlla il tracciato delle sue ultime operazioni. La cancellazione del piano terra dell’edificio e del papero risulta essere stata eseguita correttamente, ed anche nel driver secondario non riesce a trovarne alcuna traccia. Eppure i file del personaggio di supporto sono stati ripristinati senza la sua autorizzazione, così come il flusso di dati anomalo che è entrato in funzione nell’esatto momento in cui il candidato era giunto nell’ultima stanza della sua esplorazione. “Forse avremmo dovuto eseguire una scansione più approfondita del Grillario prima di utilizzarlo per queste simulazioni, Kai. Ho come il sospetto che Gashu sia stato … affrettato”.
“Il Death Game prima di tutto, Safalin”.
Viene vicino alla sua postazione, come incantato dal monitor vuoto. “Non saranno delle anomalie a fermarci, dico bene? Cercate solo di fare attenzione, voi tre”.
Allunga una mano nella sua direzione, e per la prima volta qualcosa si muove dietro le sue iridi noiose e vacue. Lei rimane immobile mentre lui le sfiora il vestito all’altezza della pancia, poi afferra qualcosa e rapidamente se la porta alle labbra.
“Interessante … cosa ci fa del sale grosso sui tuoi vestiti?”
 
  
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