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Autore: Doomsday_    18/12/2019    1 recensioni
- Future!fic -
Dopo cinque lunghi anni di pace, la fragile quiete di Beacon Hills viene nuovamente spezzata. Un nuovo nemico minaccerà di sottrarre al Branco quel che per loro conta più della vita stessa.
Dal testo:
"Il corvo la fissava silenzioso, gli occhietti intelligenti sembravano scrutarle l'anima.
Fu allora che le piume si tramutarono in gocce di sangue. Colarono lente e calde lungo il braccio di Lydia. Eppure lei continuò a carezzare quel grumo rappreso fatto di morte con un sorriso pacifico a rasserenarle il viso.
"
Genere: Angst, Fluff, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kira Yukimura, Lydia Martin, Malia Hale, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Diciassettesimo Capitolo



 



Kira rimase ferma sulla soglia per un tempo che parve infinito.
In disparte, un piede dentro e uno fuori dalla camera dove era ricoverato suo figlio. Da quella angolazione riusciva a scorgere solamente i capelli scuri di Adam.
Il piccolo però non era più solo: accanto al suo era stato aggiunto un altro letto per Allie. Scott aveva dovuto insistere ma alla fine la sua richiesta era stata accolta. Così potevano stare insieme, per lo meno.
Sentirsi uniti era l’unico sollievo rimasto.
Tutto era cambiato, come il rapporto tra lei e Scott. Gli anni trascorsi insieme, prima come fidanzati e poi come marito e moglie, erano scomparsi e a legarli era rimasto soltanto Adam, un filo prossimo a spezzarsi.
Sembrava non esistere altro che lui, come se non ci fosse mai stato nient’altro a parte loro figlio a tenerli insieme. Nei recessi della sua coscienza Kira era consapevole che questo non era vero ma ormai vivevano in una nuova realtà, dove lei e Scott si trattavano da sconosciuti ed ogni gioia si era ormai dissolta nel nulla.
Era divenuto difficile persino gestire Caleb e Matty, perché il tempo e i pensieri venivano risucchiati interamente da Adam.
Ogni giorno trascorreva veloce e nebuloso, scandito da attese pesanti e parole di conforto.
Avere Jordan, lì con loro, accentuava ogni margine negativo.
Lo Sceriffo Parrish aveva chiesto la sospensione ufficiale dalla sua carica e Stiles, adesso, era il capo ad interim.
Jordan passava la mattina ad accarezzare i capelli ad Allie, ad aggiustare la giraffa peluche accanto a lei o a stringerle la piccola mano paffuta.
Vedere lì Allie spezzava il cuore già provato di Kira. Cercava di tenere duro, lei. Di mostrarsi forte per tutti loro.
«È solo un sonno indotto», ripeteva a Scott nelle rare volte in cui lui decideva di sedersi accanto a lei, «Si sveglieranno».
Scott solitamente restava in silenzio, per poi spostarsi, uscire per prendere aria. Quella mattina, invece, rispose alle rassicurazioni vuote di Kira: «Il Darach li prenderà prima ancora che riusciremo a capire in che modo possiamo farli tornare coscienti».
Kira vacillò a quelle parole ma cercò di non darlo a vedere. In fondo sapeva che la frase di Scott non aveva il fine di ferirla. Per questo bastava l’indifferenza che usava nei suoi confronti.
Scott era esausto e il modo rassegnato con cui parlava ne era la prova più lampante. 
Kira si guardò attorno per vedere la reazione del resto del branco.
Si trovavano tutti lì, tranne Lydia. Lydia era una donna forte, più di quanto avesse dimostrato in adolescenza. Ma ora si era spenta, come una candela che aveva raggiunto l’alba dopo aver bruciato l’intera notte.
Jordan stava ancora in piedi. Crollare era facile, restare a sostenere i frammenti distrutti delle persone che ami è tutt’altro conto. Kira era certa che se lui resisteva ancora era solo per Lydia. D’altronde lei non aveva mollato quando lui aveva ceduto per primo.
Erano lì anche Stiles e Malia, nonostante la loro espressione impaurita di chi si sentiva fuori posto.
Ma chi poteva mai avercela con loro per non aver ancora perso loro figlio?
Jordan si avvicinò a Scott perché potesse parlare discretamente pur facendosi udire da tutti.
Aveva su un volto grave, fino ad ora avevano evitato il discorso, ma nulla di quello che avrebbero potuto dire avrebbe potuto aggiungere altra sofferenza.
Insieme ai reali intenti del Darach, erano venuti allo scoperto anche le loro paure più nascoste.
«È chiaro che il Darach sta puntando ai nostri figli per compiere il rituale» disse con voce tetra, «Lydia ha detto che nella Profezia si parla di tre chiavi, no? Mi sembra ovvio che si riferisse a loro»
«Perché loro» gracchiò Kira.
«Affonda sulle nostre più grandi debolezze» mormorò Scott in un basso ringhio.
«Non solo» lo contraddisse Stiles «Io e Malia abbiamo letto vecchie note e pensieri di Talia Hale e in questi si parla di Mescolanze... ma credo che non esista un vero e proprio termine per definirli. Sono l’insieme di due o più razze di mutaforma».
Kira parve turbata da questa descrizione.
«Vuoi dire come… le Chimere?»
«No. Le Chimere erano esperimenti dei Dottori del Terrore. Erano stati creati, i nostri figli sono nati così, lo hanno nei loro geni. Pensate a Malia: è un coyote mannaro ma ha anche la ferocia e la robustezza dei Lupi Mannari. Contiene l’uno senza escludere le attitudini dell’altro. Una selezione naturale della specie».
«Fantastico. Ma sapere questo come può aiutarci?» chiese Scott, scettico.
Jordan riprese la parola «Lydia ha continuato a tradurre la Profezia della Morrigan. Ora sappiamo che le Chiavi sono i cuccioli del branco e le parti di luna che essi aprono sono le tre fasi lunari sacre per i celti: la luna piena, la luna nuova e il quarto di luna».
Jordan guardò i suoi compagni uno ad uno soffermandosi, alla fine, su Scott.
«Questa volta possiamo prevedere la sua prossima mossa».
«La sua ultima mossa, vorrai dire» lo contraddisse proprio l’Alpha, «Dopodiché i nostri figli verranno sacrificati e con il Controllo della Luna alla dipendenza del Darach non saremo in grado neppure di vendicarci. Diverremo patetici  schiavi dell’assassino dei nostri figli!».
Jordan annuì, le labbra strette in una linea dura «Sì, è vero. Questa sarà l’unica occasione che avremo. Ma almeno ne abbiamo una».
Jordan guardò Scott con gli occhi colmi di speranza e di una supplica silenziosa. Il Mastino Infernale non si sarebbe fermato finché non avrebbe riportato a casa la sua piccola. La speranza era l’unica cosa che lo teneva in piedi e a tenersela stretta gliel’aveva insegnato solo Scott.
Quei giorni nel corpo del lupo lo avevano cambiato, l’assenza di Kira aveva inflitto altro sale sulle ferite aperte.
Il cuore dell’Alpha era costantemente in tumulto, oramai. In costante agitazione, paura, rimorso. Un cocktail di sensazioni che gli facevano tremare gli arti pur non volendo.
Jordan sapeva che quello che cercava ora Scott era lo scontro, perché era ciò che desiderava anche lui: battersi con il Darach, sfoderare artigli e fauci, ferire fino alla disfatta di uno o dell’altro.
Ma c’era troppo in ballo per lasciarsi andare alla foga, senza contare che il Darach non si sarebbe mai fatto trovare a meno che non lo volesse.
Scott sosteneva lo sguardo di Jordan e forse – come lo Sceriffo sperava – stava pensando proprio a quella sera in cui si era presentato nel suo studio per infondergli quella stessa speranza che ora lo teneva in piedi.
Scott annuì impercettibilmente.
«Non c’è nulla di più prezioso di avere almeno un’occasione… immagino» mormorò, girando il capo verso Kira.
Lei aveva lo sguardo basso e forse neppure si accorse di quegli occhi scuri che bruciavano su di lei.


***

Avere il corpo caldo di Malia contro il suo era sempre la sensazione più bella che potesse provare.
Stava facendo un bel sogno, Stiles, poco prima di aprire gli occhi e trovare sul viso i capelli scompigliati di Malia. Provò a restarvi aggrappato fino a che poté, ma scivolava via veloce e i sensi si erano già risvegliati.
Sentiva l’odore di Malia e il suo bacino circondato dal suo braccio.
Un moto di sollievo lo invase. La strinse forte. Mai era stato così vicino a perdere il suo affetto, di allontanarsi da lei tanto da non poter più fare marcia indietro.
Quel distacco, arrivato al culmine, lo aveva terrorizzato.
Ora svegliarsi accanto a Malia gli sembrava una benedizione.
Nel stringerla a sé l’aveva destata dal sonno, ma non gli importava.
«Stiles… puzzi» si lagnò lei, affondando il viso nel cuscino. Lui sorrise poggiando le labbra sul suo collo.
«Mi ami?» chiese Stiles, «Cioè… mi ami ancora?»
«Certo» rispose Malia, senza indugio, voltandosi verso di lui, «Perché me lo chiedi?».
«Perché mi sono svegliato bene questa mattina. E vorrei che questo non cambiasse mai. Che quello che c’è tra noi non cambiasse mai» mormorò piano Stiles in risposta, poggiando il mento sul capo della donna.
Malia si accomodò meglio contro il suo petto.
«Mi dispiace per come sono andate le cose, per come mi sono lasciato inghiottire dai problemi» continuò, accarezzando i capelli scuri di Malia, «Ti ho già chiesto scusa e continuerò a farlo finché non tornerai a guardarmi come prima».
Malia poggiò la mano sulla guancia di Stiles a mo’ di conforto «Non serve. Va tutto bene, davvero...».
«Stavo pensando che io – al tuo posto – avrei dato di matto se ti avessi visto baciare un altro uomo. Anche se contro la tua volontà» disse lui, tutto d’un fiato. Una confessione che gli imporporò le guance.
«Smettila» lo pregò Malia, con voce sofferta, «Non voglio ripensare a quella scena. Mai più».
Stiles gli rivolse un sorriso sardonico «Se può consolarti per me è stato come vivere uno dei miei peggiori incubi. E sai perfettamente quanto sia difficile battere ciò che mi ha fatto vivere il Nogitsune».
Anche Malia accennò ad un sorriso e per Stiles fu come ottenere la più dolce delle vittorie.
La mano di Stiles corse in automatico ad accarezzare la base della pancia di Malia, come un richiamo antico.
«Come sta la piccola?». 
Malia trattenne il respiro. Si tirò su a sedere guardando dall’alto Stiles, ancora sdraiato.
«Ti devo parlare», disse lei.
D’impulso Stiles le strinse la mano «Che succede?».
«Ho rifiutato il consiglio della dottoressa Redwell. Voleva ricoverarmi. Ha detto che se continuerò a sforzare in questo modo il mio corpo noi perderemo Claudia», spiegò con voce grave e lo sguardo basso.
Stiles annuì come a voler metabolizzare quell’informazione. Si voleva dimostrare comprensivo, soprattutto dopo quell’ultimo periodo in cui non lo era stato affatto.
Gli costò enorme fatica, eppure alla fine disse: «Hai dovuto fare una scelta molto difficile» soffiò Stiles, con voce incrinata, «E senza avere me accanto...».
«Difficile ma pur sempre sbagliata, non è così?» chiese Malia.
Stiles non rispose.

***

Stiles, il diario di Talia Hale stretto sotto il braccio, raggiunse – con lunghe falcate – il portoncino di casa Parrish, sotto una fitta pioggerella primaverile.
Il branco aveva già potuto mettere mano alle memorie di Talia, all’appello mancava solo Lydia la cui reclusione volontaria non era ancora giunta al termine.
Malia aveva preferito attendere in ospedale il ritorno di Stiles, per avere l’occasione di dare quel conforto in più che entrambi sapevano mancare.
Quell’oggi Stiles aveva indosso la divisa d’ordinanza, imbottita di morbido pelo dove era un piacere nascondere il mento sotto il bavero alto della giacca impermeabile, considerato quanto dovette aspettare prima aspettava che l’uscio si aprisse.
La casa era un disastro e il volto della sua amica ancora di più.
«Lyds, tutto bene?» tentennò Stiles, entrando.
«Sì… sono soltanto stanca, Stiles. Ho sonno… Devo riposare per poter stare insieme ad Allie. Jordan questo non lo capisce» biascicò Lydia.
Stiles annuì con espressione grave e disse: «So da lui che non hai più messo piede fuori casa da quando...» fece cadere la frase, pensando che non fosse una buona idea rammentare tanto palesemente la condizione di Allie.
Lydia annuì, aggrottando la fronte mentre i suoi occhi restarono a guardare il vuoto.
Appariva persa e indifesa tanto che un magone crebbe nello stomaco dell’uomo.
Stiles guardò i flaconi di antidepressivi e sonniferi sparsi sul piano della cucina arricciando le labbra.
«Perché non usciamo, andiamo a prendere una boccata d’aria, che ne dici?»
Lydia fece segno di no con la testa «Ho sonno. Voglio solo dormire, per favore».
Ciabattò verso la camera da letto, dando le spalle a Stiles. Era chiaro che per lei la presenza di Stiles non cambiava nulla: il sonno la stava reclamando con troppa forza per restare desta ancora a lungo. Non aveva interesse neppure del motivo per cui Stiles si era presentato a casa sua.
Forse Jordan l’amava troppo per riscuoterla da quella inerzia e trascinarla nella dura realtà ma Stiles non aveva di quei problemi.
Considerava puro egoismo lasciarsi andare così alla disperazione,
«Lydia, Allie ha bisogno di te» le ricordò Stiles, incrociando le braccia al petto e digrignando i denti, attendendo la reazione dell’amica.
«Questo lo so!» sbottò, difatti, Lydia «Ho solo bisogno di dormire qualche ora, non riesco a pensare, sono troppo stanca. Torna a casa, Stiles. Per favore. Lasciami dormire».
Stiles si protese verso di lei per stringere le mani della Banshee nelle sue.
«Lydia» disse, cercando di trovare nei suoi occhi la giusta forza per poter reagire «Forse so chi è il Darach».
Gli occhi di Lydia si sgranarono, divenendo lucidi di lacrime.
«Come».
«La notte in cui è scomparsa Allison è successo anche qualcos’altro. Mi trovavo nell’ufficio di Jordan con l’agente Jonas per… scartoffie, insomma. Ma qualcosa non andava… mi ha soggiogato».
«Che vuoi dire?» Lydia apparve allarmata, sembrava non capire appieno ma Stiles poteva già notare che quell’aria di fitta confusione si stava diradando dai suoi occhi verdi.
«Ha provato ad ammaliarmi» tentennò Stiles.
L’espressione di Lydia si fece di colpo più lucida. Arricciò le labbra e disse: «Non ci credo. Sei stato con un’altra e vorresti addurre la colpa al Darach?».
Stiles si fece paonazzo.
«Non l’ho baciata io, Lydia!» esclamò, confermando l’ipotesi della Banshee.
«Era evidente che qualcosa tra te e Malia non stava più funzionando...» lo rimbeccò lei «Ma dopo tutto quello che avete affrontato insieme non credevo ti sarebbe bastato tanto poco!».
«Ero in un incubo» la interruppe Stiles, bruscamente, «Vedevo Malia davanti a me, bella come la notte in cui le ho chiesto di sposarmi ma non era lei. Io la amo, il fatto che questa situazione stia logorando i nostri nervi non cambia i miei sentimenti, né mi porta a cercare altro», sbottò in un ruggito fiero.
Lydia ammiccò come se quell’espressione d’ardore l’avesse finalmente convinta.
«La dea Morrigan seduceva i guerrieri prima della battaglia e ai suoi amanti era assicurata la vittoria. Forse dovevi approfondire la conoscenza con Martha Jonas» considerò Lydia con una forte nota di sarcasmo.
«Oh, non darmi contro anche tu, adesso! Ci sto male per aver ferito Malia e – inoltre – non credo che l’intento di Martha Jonas fosse proprio quello di proteggermi» ribatté Stiles a denti stretti.
«Allora se fosse davvero lei il Darach perché dovrebbe fare questo? A quale scopo servirebbe sedurti?»
Stiles arrossì, imbarazzato «Non si tratta di questo. Mi ha indotto a parlare. Tanto, di tutto il branco. Soprattutto di Malia».
Lydia sgranò gli occhi, come se un pensiero le avesse appena attraversato la mente.
«Ti ho mentito» proruppe Lydia, d’improvviso.
Stiles la guardò senza capire.
«O meglio, vi ho tenuto nascoste delle cose. Cose che sa soltanto Scott. Pensavo di proteggervi, che saremmo riusciti a fermare il Darach in tempo… ma ora nessuno è più al sicuro. Vi ho detto che non ho mai avuto visioni, ma è stata una bugia. O almeno una mezza verità. Questa volta le visioni si sono manifestate in modo differente perché indotte… Il Darach si è preoccupato di sopire i poteri della Banshee, ma Allie è diversa, in lei scorre anche il potere del Mastino Infernale».
La voce di Lydia si incrinò e le lacrime presero a rigarle il volto stanco.
«Solo adesso ho capito che non erano miei, i sogni, ma di Allie. Vedevo ciò che vedeva lei» singhiozzò Lydia «Per questo erano diversi, frammentati e incomprensibili».
Stiles le cinse le spalle, avvicinandola al proprio petto per darle conforto.
«Cosa ha visto Allie?».
«Il branco. Tutti noi, insieme a Peter Hale. E Malia… a terra, circondata da una pozza di sangue».
Stiles si irrigidì ma non smise di accarezzare con gentilezza la schiena della donna.
«Il Darach del passato voleva Malia» mormorò Stiles.
«Ed ora prenderà suo figlio per concludere il rituale. Prima Adam, poi Allison… lo sai anche tu che il prossimo sarà Jamie. Noi abbiamo reso possibile che il rituale avvenga. Siamo noi che abbiamo messo al mondo le Chiavi».
In cuor suo, Stiles, già dalla notte del rapimento di Allie, aveva compreso che il prossimo ad essere preso sarebbe stato suo figlio ma non era mai stato capace di metabolizzare quel presentimento.
Ora un dubbio si era instillato nella sua mente: e se fosse invece Malia ad essere in pericolo?
«Dobbiamo solo aspettare il momento opportuno» gracchiò Stiles, con i pensieri già lontani dalla conversazione.
«E quando? Non possiamo aspettare che il Darach faccia la sua prossima mossa. Abbiamo provato di tutto ma ogni tentativo sembra inutile. Non si fa vedere se non è lui stesso che vuole mostrarsi. Non ha un covo, né un’identità. Brancoliamo nel buio aspettando di venire colpiti. Non è vita, questa» le labbra di Lydia tremarono e poco dopo le lacrime tornarono a rigarle le guance.
«Dopo tutto quello che abbiamo affrontato… come possiamo essere tanto inermi?» singhiozzò, soffocando le parole sotto la mano stretta a pugno.
Stiles si riscosse a quelle parole e ricordò il motivo per cui si era presentato a casa di Parrish.
«Ci sta un diario, Lyds. Malia lo ha preso dalla cripta della sua famiglia. Vi sono contenuti i ricordi di Talia Hale: il Darach è già stato a Beacon Hills, ha tentato il rituale senza però avere successo. Per questo siamo marionette nelle sue mani. Ci conosce, ci ha studiato e messi fuori gioco. Si è assicurato che nessuno potesse fermarlo, questa volta».
«Il diario di Talia?» mormorò Lydia, con occhi persi.
Stiles prese la sua giacca e dalla tasca interna tirò fuori un piccolo taccuino nero e lo porse a Lydia.

***

Stare a pensare troppo non era di certo ciò che Malia preferiva fare in quell’ultimo periodo.
A dirla tutta si sentiva stanca, la bambina che portava in grembo la indeboliva e la paura incessante la stava soffocando.
Le sembrava pressoché assurdo ma, nonostante lo stress che doveva sopportare, quando gli occhi le si chiudevano dalla stanchezza i suoi pensieri non vertevano su Jamie o Stiles e neppure su Claudia, menchemeno su Adam o Allison il cui capezzale non mancava mai di visitare. Appena le palpebre minacciavano di cederle piombava nuovamente nel cimitero di Beacon Hills, davanti alla tomba di Claudia Stilinski, dove vi era il Darach ad attenderla, a spiarla di nascosto tra le fronde degli alberi finché la voce gentile di Deaton non giungeva a rassicurarla.
“Non lo guardare, il corvo rosso”.
Anche dall’oltretomba Deaton dispensava consigli importanti. Importanti, certo, ma indecifrabili per Malia.
Era incomprensibile per lei essere attratta tanto dalla tomba di sua suocera da quando aveva appreso che ella era stata un Druido tanto potente da avere avuto la stima e la protezione della famiglia Hale.
Malia aveva l’impressione che persino Claudia cercasse di dirle qualcosa, sebbene ignorasse persino questo.
Kira le poggiò una mano sulla spalla «Vai a casa, Mal. Sei distrutta»
Malia sbatté più volte le ciglia prima di riuscire a vedere nitidamente il volto dell’amica.
Da quando era tornata un'aura mistica avvolgeva Kira come un mantello. In qualche modo era cambiata, appariva consapevole più di quanto lo era mai stata.
Consapevole di essere ormai donna e non più ragazzina come il suo aspetto lasciava credere, consapevole di essere una kitsune dal potere inarrestabile, di essere moglie e madre.
Era facile cadere nel tranello degli anni e degli avvenimenti che, imperturbabili, viaggiano veloci regalando poco tempo per comprendere davvero ogni cambiamento, anche il più importante.
Kira sembrava essere rimasta intrappolata come una mosca nella tela del ragno e più cercava di vivere appieno ogni istante più esso si rivelava inafferrabile.
Nonostante sul volto avesse preso posto stabile la preoccupazione, la paura era invece scomparsa.
«No, voglio stare con voi» biascicò a stento Malia, guardandosi attorno per individuare Jamie e Mòn e assicurarsi che entrambi si stessero comportando bene.
Il piccolo era in braccio a Mòn ed entrambi stavano giocando con il cellulare di Malia. Quest’ultima, inconsciamente, sorrise. L’idea di un altro figlio non le faceva più così tanta paura. 
«Stai dormendo in piedi, Mal» le fece notare Kira, con la sua solita dolcezza.
La Coyote non poteva darle torto così decise che era arrivata l’ora di tornare a casa.

Malia diede un bacio sulla fronte ad Adam e poi ad Allie.
Mentre si dirigeva a prendere l’ascensore, con Jamie aggrappato al suo collo e Mòn stretta al passeggino, Malia ripeteva tra sé «D’fhear cogaidh comhalltar siochain».
La pace è garantita ad un uomo preparato per la guerra.
Era divenuto come un tarlo che le rosicchiava all’interno dell’orecchio. Deaton era sempre stato preparato ad affrontare una nuova guerra. E allora perché il suo spirito sembrava non trovare pace?
Malia chiamò l’ascensore, il quale arrivò subito. Le porte si aprirono: era vuoto.
La mano di Malia corse sicura sul pulsante che l’avrebbe portata al piano terra, ma esitò. L’indice si spostò di poco in giù.
La mente di Malia stava ripercorrendo l’estate di sei anni prima quando al branco era giunta la notizia della morte di Deaton.
Sua sorella Marin si era occupata di riportare il suo corpo in America, a Beacon Hills, con l’aiuto di Braeden.
Kira aveva dato alla luce Adam da poche settimane.
Malia cercò di ricordare di più ma quei giorni erano confusi e intrisi di una profonda tristezza.
Era partito per aiutare un gruppo di Druidi minacciati da magia oscura. Scott si era offerto di raggiungerlo dopo la nascita di Adam.
Braeden si era limitata a dire loro che il rituale era finito male.
L’ascensore si riaprì affacciandosi su di un largo androne e una grossa porta antipanico su cui vi era un’unica targa: obitorio.
Il piano appariva deserto. Malia attese qualche istante prima di abbandonare la cabina.
Lasciò il passeggino in un angolo nascosto dal corridoio principale e prese Jamie in braccio e Mòn per mano.
«Fate silenzio, okay? Ci vorrà solo qualche secondo» disse più per infondere sicurezza a se stessa che per ammonire i bambini. D’altronde Mòn non era una gran chiacchierona e Jamie era un angioletto da quando aveva una nuova compagna di giochi tutta per sé.
Per fortuna Malia sapeva bene come muoversi per l’ospedale senza dare nell’occhio. In questo, Melissa McCall, era stata un’ottima insegnante.
Il corridoio era lungo e stretto con le pareti turchesi che, sotto le luci al neon, acquisivano uno strano effetto verdino. Solo una decina di metri divideva Malia dall’ufficio a cui mirava. Doveva entrare all’interno dell’obitorio e l’unica cosa a trattenerla erano i bambini che doveva portare con sé.
«Chiudi gli occhi» mormorò, rivolta a Mòn.
Lei le lanciò uno sguardo dubbioso e Malia mimò il gesto di coprirsi gli occhi con la mano.
Mòn ubbidì e Malia la guidò lungo gli ultimi passi prima di entrare nel reparto.
Ad attenderli vi erano due barelle occupate dalle salme accuratamente coperte dai teli.
Jamie muoveva la testa infastidito contro la spalla di Malia, mentre lei cercava di tenerlo fermo quanto possibile, pur di impedirgli di vedere chicchessia.
Attraversarono l’obitorio e Malia entrò nella stanza a cui mirava.
Si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, poi si fiondò sull’unico computer nella stanza. Cercare tra i documenti digitalizzati era più rischioso ma ben più rapido e nella sala adiacente Malia aveva sentito con chiarezza il passaggio indaffarato di infermiere e specializzandi.
Raramente modificavano le password sui referti dei decessi e in men che non si dica Malia si ritrovò a scorrere tra i documenti del 2019 per trovare quello di Alan Deaton.
Aprì il documento in questione, mentre uno Jamie spazientito iniziava un basso lamentio che Malia sapeva bene si sarebbe trasformato in un pianto rumoroso.
Aprì il file e lesse rapita le informazioni che stava cercando.
Il corpo era stato recuperato dalla Croazia.
Erano agli sgoccioli, oramai, ma avrebbero potuto mandare Liam ad indagare. D’altronde era stato un incidente – come aveva detto Braeden, e lei non avrebbe avuto nessun motivo per mentire. Però non potevano sottovalutare nulla: qualsiasi informazione poteva portare ad un indizio.
Cancellò le tracce delle sue ricerche e tornò a cullare Jamie, tornando sui suoi passi, sussurrando una nenia all’orecchio del bambino per calmarlo.
Attraversarono nuovamente l’obitorio ma, non appena misero piede sul corridoio, una figura calò su di loro esclamando «Che cosa ci fate voi qua?».
L’infermiera, spaventata dalla loro intrusione, si teneva la mano destra poggiata sul cuore.
«Oh, finalmente!» sospirò Malia, mostrando un’espressione stravolta, «Questo posto è un vero labirinto!».
Malia continuò imperterrita guardandosi attorno, spaventata «Dio solo sa come siamo finiti qua sotto! Che sciocca sono! La stanchezza mi sta giocando brutti scherzi. Sa, la mia nipotina è stata ricoverata in terapia intensiva e le sono rimasta accanto finché i bambini» spiegò, dando una leggera pacca sulla testa a Mòn, «non hanno iniziato a lamentarsi per il sonno. Poverini, spero che non abbiano compreso in quale stanza siamo incappati per puro errore», concluse Malia, mordendosi il labbro con sentito rammarico.
L’infermiera annuì e, presa dalla empatia, cercò subito di venire in contro ad una madre spossata da una giornata difficile e indicò loro la strada verso l’ascensore.
Malia non perse tempo e si dileguò, prodigandosi in mille ringraziamenti sentiti.


***

Dopo qualche minuto Stiles si iniziò a chiedere se Lydia stesse realmente leggendo o se si fosse persa in quel fiume di parole indistinte trasportata via da altri pensieri.
I suoi dubbi furono dissipati quando, con voce malferma Lydia pronunciò «Beltane».
«Cosa?» domandò Stiles, incerto se avesse capito male.
«Beltane» ripeté Lydia con voce più ferma, «Qui, tua madre, dice: “Non hai atteso Beltane”».
Lydia indicò il punto in questione a Stiles ed egli annuì.
«Sai di chi si tratta?» si stupì, con ammirazione.
«Non di chi, ma di cosa. Non è una persona, Stiles. Beltane vuol dire “fuoco luminoso” ed è un giorno sacro ai celti. Il Darach sarà al pieno della sua forza» spiegò Lydia lanciandosi verso il tavolo della cucina, il quale era tuttora ricolmo di libri, ricerche e appunti raccolti dalla donna. Spostò a caso i vari testi, gettandoli di qua e di là finché non recuperò il calendario lunare.
«Cadrà il primo maggio in coincidenza con la luna nuova. L’ultima parte di luna verrà aperta quel giorno» la voce di Lydia uscì spezzata.
«Darà inizio al rituale e allora… tenterà di sacrificare le chiavi alla Dea Morrigan» comprese Stiles e un brivido incontrollato di terrore gli corse lungo la schiena.
Tolse il calendario dalle mani di Lydia, tenendolo a distanza come se non volesse realmente studiarlo.
«Beltane è tra due giorni» soffiò, sentendosi sopraffatto da quella constatazione «e sì, coincide proprio con la luna nuova».
«Dobbiamo tenere Jamie al sicuro. Trovare un nascondiglio sicuro per tutti i nostri bambini, Stiles. Non deve prenderli. Non deve prenderli mai più» Lydia si aggrappò alla divisa d’ordinanza dell’uomo, agitata, come se fosse in preda ad un attacco isterico.
Stiles si sentì in dovere di stringerla a sé per calmarla ma lui stesso era sopraffatto da quella nuova condanna.
Le mani di Stiles tremavano incontrollate e anche la sua voce era incerta quando disse: «Jamie potrebbe non essere l’unico in pericolo».
«Malia?» chiese Lydia, aggrottando la fronte.
«Malia è l’unica tra di noi ad essersi scontrata con il Darach. Temo che lui abbia una sorta di riguardo verso di lei. L’ha difesa dalla Lupa del Deserto. Perché dovrebbe prendere le difese di qualcuno che potrebbe ostacolare i suoi piani? Credo che abbia bisogno di lei», ragionò Stiles.
«Quindi… Martha Jonas? Pensi che sia lei a celarsi dietro la maschera del Darach?»
«Colpevole o no, Martha Jonas si è esposta come nostra nemica. Per tutto questo tempo avrebbe potuto alterare la scena del crimine e le prove raccolte, indirizzandoci nella via sbagliata. Ci aveva in pugno e ci ha manipolato sapendo che noi avevamo fiducia in lei!» decretò Stiles, pragmatico.
«Ma non posso dire con certezza che il Darach del passato e Martha Jonas siano la stessa persona»
Lydia strinse le labbra, incerta: «Perché avrebbe dovuto esporsi tanto? Martha Jonas, dalla descrizione che mi hai dato, potrebbe essere un Succubo e perciò anch’ella una pedina nelle mani del Darach».
«Io non lo so, Lydia!» sbottò Stiles. Respirava a fatica ma aggiunse, con più calma: «Non so proprio nulla, tranne che vendicherò mia madre. Non importa quanto siamo spacciati, non permetteremo che compia il rituale. Lo fermeremo, Lydia. Mi hai capito? Abbiamo quest’ultima opportunità a nostra disposizione e non permetterò che sia vana. Sembra poco, è vero, ma almeno abbiamo qualcosa».
Lydia annuì senza convinzione.
Stiles avrebbe voluto restare con lei per assicurarsi che si fosse realmente calmata e che non cadesse in un altro stato di agitazione ma l’idea che Malia fosse in serio pericolo si era fatta oramai pressante.
«Ora devo andare. Scusa, Lydia… riguardati, per favore» si congedò bruscamente, Stiles.
Lydia lo guardò smarrita ma annuì, accompagnandolo alla porta.
Una volta in macchina, Stiles provò a chiamare Malia e solo allora si accorse che il suo cellulare era del tutto scarico e che era trascorso più tempo di quanto aveva creduto di metterci. Si chiese per quale motivo continuasse a permettere agli eventi di dividerli.
Avrebbe dovuto essere al suo fianco giorno e notte, si disse.
Si stropicciò gli occhi stanchi e arrossati. Sapeva che avrebbe dovuto ma, delle volte, Malia gli rendeva così difficile starle accanto.
Si pentì subito di un pensiero simile. I suoi stessi errori avevano reso il rapporto con sua moglie complicato. Era ingiusto scaricare su di lei l’intera colpa.
Stiles fece due lunghi respiri, cercando di calmarsi. Malia lo avrebbe richiamato da un momento all’altro.
Ingranò la marcia e svoltò per tornare in ospedale. Lei era lì, non se ne sarebbe mai andata senza di lui.

***

Il telefono di Stiles era staccato.
Era passata quasi un’ora da quando Malia attendeva fiduciosa nell’atrio dell’ospedale ed era stufa marcia di aspettare.
Il dubbio che Stiles non fosse realmente andato da Lydia come aveva detto, le fece torcere le viscere. Chiuse gli occhi e fece un profondo respiro: non doveva farsi condizionare da una singola brutta esperienza, Stiles si meritava molta più fiducia di quella che Malia sapeva largire in quel momento.
Stiles le aveva detto che la sarebbe venuta a riprendere, per questo non le aveva lasciato la macchina. Ma Stiles non tornava e per Malia era facile cadere nella paura che gli fosse accaduto qualcosa.
Una volta a casa avrebbe potuto prendere la sua auto e uscire a cercarlo. Avrebbe avuto modo di muoversi più velocemente.

Camminava veloce tra le strade buie di Beacon Hills. L’ospedale era ancora visibile alle loro spalle ma presto avrebbero girato l’angolo.
Si era fatto tardi e i negozi avevano abbassato le saracinesche.
Avrebbe voluto essere insieme a Stiles, in quel momento, ma non sapeva se questo sarebbe bastato per toglierle di dosso quella sensazione  così spiacevole di pericolo imminente.
Jamie si era addormentato nel passeggino, Mòn camminava a testa bassa. Forse, persino lei, si era resa conto che qualcosa non andava, perché dopo altri pochi passi si arrestò facendo bloccare anche Malia.
«Maman...» mormorò Mòn. I grandi occhi azzurri, spalancati, si guardavano attorno.
Malia sorrise «Oh, piccola, non sono la tua mamma. Non affezionarti a me, per favore» la pregò pur sapendo che non poteva comprendere le sue parole.
«Maman...» ripeté Mòn con voce rotta.
Ormai non mancava molto per arrivare sulla via di casa e a Malia non andava di indugiare oltre, ma Mòn aveva puntato i piedi e non accennava a voler proseguire.
«Che hai?» le chiese Malia, chinandosi verso la piccola, «Sei stanca? Vuoi riposarti».
Mòn si rannicchiò a terra, nascondendo il volto dietro le gambe.
«Vieni» disse Malia allungando le braccia verso di lei «Vuoi venire in braccio? Ti porto io».
Mòn alzò lo sguardo e, vedendo le mani protese di Malia, iniziò a piangere. Ma non era il solito pianto dei bambini, Mòn piangeva in silenzio, senza emettere neppure un suono.
Malia iniziò ad agitarsi, si guardò attorno pensando che qualcosa avesse potuto spaventarla. Forse il Darach li stava seguendo, osservando i loro movimenti da lontano. Se Mòn si stava nascondendo davvero dal Darach, quando era stata trovata da Scott e Stiles, tale reazione poteva avere un senso.
«Torniamo a casa, Mòn» la pregò Malia, sentendo rizzare i capelli dietro la nuca, «Ti preparo il panino con marmellata e burro di arachidi che ti piace tanto. Ti va?».
Mòn scosse forte la testa e indicò il ventre gonfio di Malia.
«Mort! Doit mourir!» strillò all’improvviso, spaventandola.
«Non capisco cosa stai dicendo»
«Elle doit mourir pour nous sauver! S’il vous plait, maman!».
Malia si tirò su, toccandosi la pancia intimorita. Non capiva cosa stava dicendo Mòn, ma il messaggio era chiaramente rivolto alla figlia che portava in grembo.
Un forte rombo di motore e poi tre grosse automobili nere si fermarono inchiodando davanti a loro.
L’improvvisa crisi di Mòn passò velocemente in secondo piano e Malia afferrò la bambina per un braccio e la tirò dietro di sé, pronta a difenderla.
Dalla prima auto uscirono due uomini in giacca e cravatta. Seduta sui sedili posteriori Malia distinse una figura femminile che restò a guardare dall’interno dell’abitacolo.
«Signora Stilinski» il primo energumeno dal faccione squadrato spezzò il silenzio, «devo chiederle di restare calma. Non si deve spaventare. Siamo qui per la bambina».
«Mère» sussurrò la piccola, stretta alle gambe di Malia.
«Chi siete voi?» boccheggiò la donna quando le due guardie si fermarono a pochi metri da loro.
«Veniamo per conto di Eichen House. La bambina che è con lei era ricoverata nel nostro istituto ma è riuscita a sfuggire ai controlli. Si tratta di una questione delicata. La piccola deve restare sedata, è pericolosa, signora Stilinski. Pericolosa e aggressiva».
«Non sono d’accordo».
«La strage dei Beacon Rollers, ha presente?».
«I Rollers sbudellati» ghignò il collega più basso, dal volto di furetto e dai grossi denti gialli che rimanevano visibili, premuti sul labbro inferiore.
Malia ascoltava lo scambio di battute allibita, senza capire come Mòn potesse essere coinvolta in un caso di omicidio.
«La strage è avvenuta la sera stessa in cui la bambina è fuggita. Lei è una creatura assetata di sangue. Deve venire con noi, è sotto la nostra tutela».
Malia tremò, circondando con un braccio le spalle di Mòn, come se volesse proteggerla.
Quello che dicevano non sembrava combaciare con quello che Malia aveva potuto conoscere di quella bambina in quei giorni. O, per lo meno, non del tutto. C’era sempre stato qualcosa che a Malia disturbava di Mòn. Una sensazione profonda, legata al suo istinto. Un odore che la disturbava.
«Voglio vedere i documenti che attestano quanto stai dicendo» replicò, cercando di mantenere quanto più la voce ferma e autoritaria.
La portiera posteriore della prima macchina si aprì e la donna, che stava osservando la scena da dietro il finestrino oscurato, scese.
Era una signora alta, dalla vita sottile con indosso un vestito nero e alti tacchi a spillo. Il suo volto era pallido, circondato da gonfi capelli bianchi, candidi come la neve. I suoi occhi erano rossi e iniettati di sangue.
Malia la riconobbe subito: la direttrice di Eichen House, colei che si trovava al vertice della struttura. Stiles le aveva parlato di lei. L’aveva incontrata quando lui e Jordan dovettero patteggiare dopo la morte di Corinne.
«Ma mère» ripeté Mòn.
«Fille!» esclamò la direttrice, allargando le braccia.
Mòn sciolse l’abbraccio attorno alle gambe di Malia e, riluttante e a capo chino, si diresse verso la direttrice.
«Buonasera, signora Stilinski. Sono Eloïse Roux, la direttrice di Eichen House» si presentò, con forte accento francese.
«Buonasera» rispose Malia, riluttante. Guardava Mòn, sulle cui spalle erano artigliate le dita ossute della direttrice, senza comprendere il perché si fosse allontanata di sua spontanea volontà
«Vede, lei non ha alcuna voce in capitolo sulla bambina dato che - di fatto - è sotto la nostra tutela, non la sua. Vorrei evitare che la trattenga senza autorizzazione. In termini legali sarebbe pressappoco un sequestro di persona. Non pensa?» continuò la Roux, lasciando dei veloci buffetti sulle guance rosee di Mòn.
A Malia infastidiva quel contatto. Non voleva che la toccasse, era - in un certo modo - sbagliato. L’intera storia che le avevano propinato sembrava sbagliata.
«Mio marito è il Vicesceriffo di questa Contea» farfugliò Malia, senza sapere a cosa di preciso volesse mirare, «Vorrei aspettare il suo giudizio. Vi proibisco di portarla via così! La nostra famiglia ha preso in tutela questa bambina».
«Lei è, per caso, un Assistente Sociale, signora Stilinski?» chiese la direttrice Roux con sorriso felino.
«No».
«Credo che sia meglio, per il Vicesceriffo, lasciar da parte la legge. Al Sindaco potrebbero non piacere certi… sotterfugi».
«Nessun sotterfugio. Vogliamo solo proteggere questa bambina!».
La piccola Mòn girava la testa ad ogni scambio di battute, ascoltava in silenzio senza comprendere una sola parola. Ma non c’era bisogno di sapere quel che stavano dicendo per percepire l’astio nella voce delle due donne.
«Allora vi ringrazio, signora Stilinski, per aver adempiuto con tale passione alla cura della nostra piccola paziente» disse per poi rivolgersi a Mòn, «Ora torniamo a casa, ma fille».
Questo Mòn lo comprese fin troppo bene.
Con uno strattone si liberò dal braccio che la direttrice aveva posto attorno alle sue spalle e si rannicchiò su se stessa in un bozzolo spaventato. Nascose la testa tra le gambe e il suo piccolo corpicino prese a tremare convulso.
«Mòn!» esclamò Malia spaventata, provando a soccorrere la bambina, ma la Direttrice si frappose, impedendole di raggiungerla.
«No» disse, difatti, categorica, «Non le conviene avvicinarsi alla mia paziente»
«Una paziente che la chiama madre» ringhiò Malia, fronteggiando la Direttrice, «Che razza di persona tratta una bambina come una cavia? Cosa le avete fatto? Dove sono i suoi veri genitori?».
«Si calmi, signora Stilinski» disse Eloïse Roux e, alle sue spalle, le guardie di Eichen House si mossero per circondare Mòn, «Lo dico per la sua sicurezza»
Dalla prima auto scesero altri due uomini, uno aveva l’aspetto di un secondino, mentre l’altro era evidente fosse un dottore. Indossava un lungo camice bianco e i suoi occhi erano incorniciati da occhiali dalle lenti tonde, prive di montatura.
Il dottore in questione teneva sotto braccio una ventiquattrore nera.
La concentrazione di tutti i presenti era su di lui che, solerte, aprì la valigetta e frugò tra quelli che avevano tutto l’aspetto di siringhe e medicinali.
Era piuttosto ovvio, per Malia, comprendere quale fossero le loro intenzioni: sedare Mòn, interrompere la crisi convulsa prima che degenerasse in… che cosa, esattamente, poteva succedere ad una bambina con probabili poteri da mannaro, questo Malia lo ignorava.
Per quanto il dottore di Eichen House agisse con rapidità e sicurezza, ogni suo tentativo di tempestività fallì miseramente.
Finì di riempire la siringa sotto gli occhi sconcertati di Malia ma non poté fare altro.
L’esile corpicino di Mòn, il quale non aveva smesso di muoversi spasmodico fino a quel momento, mutò sotto ai loro occhi.
«C’est trop tard» mormorò la direttrice, guardando Malia con occhi colmi di paura «Presto, si allontani! Courir!» esclamò, arretrando verso le automobili.
Bastò un battito di ciglia e Mòn non c’era più, al suo posto vi era qualcosa di orripilante.
Un essere deforme dal corpo lungo e affusolato, la pelle squamosa, con quattro arti snodati e scheletrici provvisti di artigli simili a stiletti affilati di una lunghezza sbalorditiva, pari a non meno di mezzo metro.
Il cuore di Malia batteva all’impazzata, sentiva la bocca arida e la vista offuscata. Le gambe le stavano per cedere ma di certo non era il momento migliore per assecondare uno svenimento.
Jamie era proprio dietro di lei, nel passeggino e dormiva, indifeso e ignaro del pericolo dinanzi a loro.
La strana creatura che aveva preso il posto della dolce Mòn, grugniva sommessamente e quel tetro verso si interrompeva solo per emetterne uno più stridulo e lamentoso. Era ancora rannicchiata su se stessa e il volto restava celato alla vista, ma sulla sommità del capo erano già ben visibili due corna attorcigliate a spirale.
Malia udì distintamente le portiere chiudersi e le auto mettersi in moto. Era rimasta impalata lì, senza ben capire cosa davvero stesse accadendo.
Solo la direttrice Roux era rimasta fuori dal veicolo, ma non sembrava intenzionata a voler indugiare oltre.
«Non puoi più fare nulla per lei, ma chère» e così dicendo chiuse la portiera e le auto di Eichen House ripartirono.
Così la belva si destò, si innalzò sulle zampe posteriori – forse infastidita dal rombo improvviso dei fuggitivi. Il busto era tozzo, di un rosa pallido, il volto mostruoso simile a quello di un rettile.
Malia non ebbe tempo di notare altro, il mostro deforme individuò la sua unica preda rimasta e la attaccò.
Malia – ancora attonita – rimase inizialmente immobile. Percepiva il suo cuore battere a mille e gli arti pesanti, annichiliti.
Si riscosse quando la belva era ormai a un palmo dal suo viso. Allora si mosse, anche se in ritardo. Il mostro le cozzò addosso e, insieme, rotolarono a terra.
Gli artigli graffiavano ogni lembo di pelle disponibile. Malia non poteva far altro che arretrare, restando sulla difensiva finché i muscoli delle gambe avrebbero sopportato tale sforzo. Erano troppo lunghi per permetterle di difendersi in altro modo, men che meno di attaccare a sua volta. Presto l’avrebbe sopraffatta.
Tentò di allontanarsi il più possibile dal passeggino, attirando la bestia sulla strada.
Ben presto si accorse che Mòn puntava al ventre. Ogni zaffata era diretta al grembo di Malia e ciò la rendeva ancora più vulnerabile.
Quel mostro era instancabile, sembrava uscito dagli inferi. Neppure al pieno della sua forza Malia avrebbe potuto tenergli testa.
Malia cadde, atterrando sulla schiena e protendendo la mano davanti a sé.
La belva ringhiò, un urlo selvaggio, di vittoria. Sollevò la zampa adornata dai lunghi artigli, pronta a calare le sue lame mortali sul ventre di Malia.
La coyote boccheggiava, esausta. Vide gli artigli sopraggiungere e la fine ormai inevitabile.
I suoi pensieri corsero a Stiles. In quell’ultimo istante di terrore non vedeva altro che il volto di suo marito.
Socchiuse gli occhi, per poi riaprirli l’attimo dopo.
Non capì subito quel che era accaduto. La bestia era sospesa in aria e si agitava scomposto.
In un secondo momento Malia si accorse che dietro ad essa vi era una figura alta e possente, vestita  di un lungo mantello rosso e col volto celato da una maschera di legno.
Per la seconda volta, il Darach le aveva salvato la vita.
 


   
 
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