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Autore: Xion92    20/12/2019    3 recensioni
Post-KH3. Kairi è disperata perché non c’è modo di riportare Sora indietro. Ma quando, poco dopo, Ansem il saggio le rivela la verità sul suo passato, per la ragazza si apre una nuova prospettiva di vita.
Cosa significa veramente essere il capo di un mondo e governarlo? Quanti modi ci sono per farlo, e qual è quello più efficace e accettabile al tempo stesso? Quali pericoli, minacce e congiure attendono un principe? Questa è la storia di tre generazioni di sovrani del Radiant Garden, in cui ognuno di loro, a modo proprio, cerca di portare il regno verso la prosperità. Una storia di governo e di politica, fortemente basata su “Il principe” di Machiavelli.
(Il rating è arancione solo per il capitolo 7, tutto il resto dovrebbe mantenersi sul giallo)
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kairi, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
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Capitolo 8 – Spiraglio di luce in fondo al tunnel


“Uno principe debbe tenere delle coniure poco conto, quando il populo gli sia benivolo: ma quando gli sia nimico e abbilo in odio, debbe temere d’ogni cosa e di ognuno.” – Capitolo XIX

 

“Che cosa?!, Kairi si è ammalata?!” saltò su Ansem.

“Purtroppo sembra di sì, maestà”, riferì preoccupato Ienzo. “Ho controllato la corrispondenza sul computer e me l’ha fatto sapere Re Topolino. È stato Riku a dirglielo.”

Ansem si fece avanti e lo afferrò per le braccia. “Dimmi di più! Che cos’ha di preciso?!”

Ienzo, nonostante non avesse nessun motivo per temere il suo principe, era visibilmente intimorito, visto che era un uomo abbastanza piccolo, mentre Ansem invece lo sovrastava, e così agitato era ancora più impressionante.

“Non lo so con certezza, ma sembra che siano almeno tre settimane che non mangia quasi più. Si è talmente indebolita che fatica anche a svolgere le normali attività quotidiane.”

Il vecchio principe gli tolse le mani di dosso e scosse la testa affranto. “Perché? Perché fa così? Nessuno è riuscito a capire che cos’ha?”

“No, mio sire, non vuole parlare... Riku è disperato ed è molto preoccupato per lei, ma lei non apre bocca nemmeno con lui. L’unica cosa che dice ogni tanto è che non vuole più stare lì e vuole venire via, ma Riku non capisce il perché.”

Ansem rimase col viso abbassato, in silenzio, per un lungo periodo di tempo. “Va bene, Ienzo, torna pure alle tue occupazioni. Io... vado a prendere un po’ d’aria.”

Il vecchio principe uscì dal laboratorio, percorse i corridoi e salì le rampe di scale con l’intenzione di raggiungere la parte superiore del castello. Per fortuna che Even, vicino alle scale che portavano ai piani superiori, aveva piazzato delle piccole costruzioni a forma di stella che emanavano una luce blu, che fungeva da teletrasporto. Ansem si avvicinò ad una di esse e la toccò, ritrovandosi al piano superiore. Era fortunato che Even fosse così ingegnoso, perché non si sentiva più così giovane ed in forze per affrontare tutte quelle rampe di scale fino in cima. Poté così arrivare su una delle torri senza affaticarsi troppo. Il Radiant Garden si trovava in piena stagione delle piogge: il cielo era cupo e nero e l’acqua cadeva a secchiate sul regno. Era sempre così quando finiva la stagione secca: quasi tutte le precipitazioni si concentravano in soli quattro mesi. Dopo sarebbe tornato il bel tempo, ma ancora era presto. Il sovrano si affacciò dalla balaustra, stretto nel suo camice bianco e con i due capi del mantello rosso avvolto alle sue spalle che venivano sollevati dalle raffiche di vento. Strinse forte il bordo bagnato in mattoni del parapetto finché le nocche gli diventarono bianche, ed aspirò forte l’aria carica di umidità.

“Figlia mia, figlia mia... che cosa ti è successo?...” si chiese, abbattuto. “E dire che ti avevo lasciato alla tua vecchia vita, senza rivelarti niente del tuo passato, proprio perché sapevo che così saresti stata felice...”

“Maestà, maestà!”, sentì una vocetta impaziente dietro di sé. Una persona piccola di statura gli arrivò dietro dopo aver salito le scale di corsa, e sollevandosi sulle punte dei piedi gli tirò il capo del mantello che gli pendeva sulla schiena.

“Kain, non adesso...” lo allontanò Ansem con una mano, senza guardarlo e continuando a fissare l’orizzonte.

“Ma maestà!”, protestò il bambino, pestando un piede. “Avevate promesso che mi facevate vedere le isole laggiù, oggi. Devo sapere tutto del regno, no? Lo dicevate voi.”

“Kain, devi stare buono... oggi non me la sento... torna giù, fai il bravo”, gli disse Ansem con tono paterno ed accomodante, facendogli una carezza distratta.

Il principe Ansem era perso nei suoi pensieri e non si rese conto che gli occhi marroni di Kain si erano riempiti di delusione. “Allora vado di sotto da Dilan...” disse solo il bambino prima di andarsene.

Ansem tornò a contemplare dall’alto il suo regno: dai giardini reali immediatamente sotto il castello, alla cittadina ed ai suoi quartieri, alla grande piazza del mercato dove avvenivano le riunioni per le comunicazioni importanti, agli ampi giardini, normalmente curati dai suoi sudditi, ed ora inzuppati d’acqua... e il suo sguardo spaziò fino alle imponenti mura che circondavano la città, più oltre sul mare di acqua dolce increspato dalla pioggia, fino all’orizzonte, dove si trovavano le varie isole, disabitate o con i villaggi dei contadini.

“Kairi...” mormorò. “Se solo potessi riaverti con me... se potessi riportarti nella tua vera casa, nel mondo a cui appartieni... chissà, forse staresti meglio...”

Ma quanto aveva fatto stare male sua figlia? Sia quando era piccina, non stando mai con lei e lasciandola insieme a sua nonna, come se la bambina fosse stata una paesana qualsiasi, sia quando gli era stata portata via, lasciandola perdere nel nuovo mondo in cui si era trovata, perché lui era troppo impegnato nei suoi piani di vendetta per preoccuparsi di lei. Con che faccia tosta ora poteva avere il coraggio di presentarsi da lei e dirle la verità? Ansem finora aveva cercato di comportarsi come se Kairi non fosse mai esistita, ma l’idea di proporle di tornare a vivere con lui gli solleticava sempre di più la mente.

“Ti ho lasciata dov’eri, perché ormai avevi trovato una famiglia ed altri amici, ed eri felice” parlò Ansem, come se lei fosse lì e potesse sentirlo. “Ma adesso per te le cose stanno andando male. Non so cosa tu abbia, ma dici che nel mondo in cui vivi non vuoi più stare... allora... chissà, forse mi perdoneresti anche, e accetteresti di stare con me.”

Aveva incontrato solo una volta Kairi, quando la ragazza aveva quindici anni. Ansem era rimasto sbigottito quando l’aveva vista, ed aveva dovuto fare del suo meglio per nasconderlo, perché non si aspettava di ritrovarsela così cresciuta. Si era dovuto trattenere per evitare di rivelarle la verità, ma si era reso conto che non avrebbe portato nessun vantaggio, né a lei né a lui, il fatto che lei venisse a conoscenza del suo passato. Le avrebbe sconvolto la vita e basta, e non lo avrebbe mai seguito, visto che non le avrebbe portato nessun vantaggio. Era dura però, comportarsi come un sovrano senza eredi. Ansem non avrebbe mai adottato un orfano come Kain, se avesse avuto ancora una discendente legittima. Oltre al fatto che i suoi sudditi avevano preso male la notizia che la loro futura principessa era ancora dispersa: certo, per le persone era facile dimenticare cose che non le riguardavano direttamente, ma Kairi era qualcosa di speciale. Infatti, da piccola non aveva vissuto come una dei reali, nel castello ma, stando con sua nonna, era sempre in mezzo al popolo. Quindi i sudditi si erano affezionati molto a quella bimba così bella, simpatica e amabile, così diversa da suo padre. Il fatto che Kairi fosse stata loro portata via era uno dei motivi per cui avevano iniziato ad odiare il vecchio principe. Riaverla di nuovo fra loro avrebbe aggiustato tante cose.

“Sei sempre stata una scelta migliore rispetto a Kain... sei già grande e saresti un’ottima principessa. Cosa darei per riaverti qui con noi...”

“Maestà, maestà!”, sentì una vocetta allegra, che stavolta non proveniva da dietro di lui. Guardò in basso, nello strapiombo. Poco dopo, un musetto di pelliccia bianca grondante pioggia, con un pon pon rosso sulla testa spuntò da sotto la balaustra. L’animaletto si mise in piedi sul parapetto e si scrollò l’acqua dal muso.

“Che succede adesso, Mog?” chiese stancamente Ansem. “Mi hai già fatto rapporto prima.”

“Certamente, maestà, kupò!” esclamò il moguri, portandosi una zampa alla fronte imitando il saluto militare. “Ma mi premeva di avvisarvi che con questo tempaccio non è che si stia bene molto in giro, kupò. E quindi, beh, tra una cosa e l’altra, si finisce che si sta rifugiati sotto le grondaie. E stando sotto le grondaie, si sente un po’ quello che la gente dice, kupò. E si sente che la gente ne ha abbastanza come te della pioggia...”

“Mog...” sospirò Ansem socchiudendo gli occhi. “Arriva al punto.”

“E sì, beh, come dicevo...” si affrettò a riprendere il moguri “stando là sotto ho sentito un po’ di chiacchiere in giro. Parlavano anche di voi. E beh, kupò... non erano molto lusinghiere... ho ritenuto opportuno venirvelo a riferire.”

Ansem sospirò forte, sentendosi ancora più stanco. “Niente di nuovo, insomma... faccio bene a non uscire mai... un passo falso, e me li ritroverei tutti addosso.”

“Volete che vi faccia compagnia, kupò?” chiese Mog, mettendosi a sedere sul parapetto.

“Dimmi, Mog... secondo te sono un pessimo principe, vero?”, chiese piano Ansem, aspettandosi un po’ di calore e supporto in quel momento così delicato.

“Non sia mai, kupò!” esclamò sdegnata la bestiolina. “Insomma, avete regnato saggiamente per tanti anni, e poi...” iniziò a fare la conta sulle dita delle zampe. “Avete fatto esperimenti dall’etica dubbia, lasciato che Xehanort rapisse vostra figlia senza mai riportarla al suo popolo, abbandonato il vostro regno e i vostri sudditi per motivi di vendetta lasciando soccombere il Radiant Garden nell’oscurità, kupò, e non vi fate mai vedere in giro, quasi che dei vostri sudditi non vi importi nulla. Insomma, sono errorini da niente, potrebbe farli chiunque. Perché qualcuno dovrebbe avere qualcosa contro di voi, kupò? Quelle lì erano chiacchiere isolate.”

Ad Ansem, man mano che il moguri parlava, si era affossata sempre di più la testa tra le spalle. Tirò un forte sospiro e tenne le palpebre abbassate cercando di restare calmo. Quello che lo faceva irritare era che Mog non lo stava provocando di proposito, ma era sincero nel suo parlare, e si stava anche impegnando. Quel moguri certe volte era talmente sciocco che Ansem non capiva perché, tanto tempo prima, avesse affidato a lui il compito di ricognitore. Forse perché era l’unico in quel mondo capace di volare. Ma non aveva la forza nemmeno per arrabbiarsi. In quel momento, anche una bestiolina del genere poteva andare bene come interlocutore.

“Sei stato gentile a tirarmi su il morale, ti ringrazio”, disse, cercando di suonare il più sincero possibile.

“Ma vi pare! È dovere del vostro umile servo essere di conforto al proprio signore, kupò. Sapete che avrete sempre il mio supporto morale!”, esclamò Mog, molto fiero di sé, congiungendo le zampe e chinando la testa.

Ansem si consolò parzialmente ragionando che, purtroppo, non era colpa del moguri, lui stava facendo del suo meglio.

“E dimmi... cosa penseresti... se mia figlia tornasse nel nostro regno?”

L’animaletto inclinò la testa di lato e scosse un orecchio. “Intendete Kairi? Oh, se posso darvi un consiglio, la riporterei qui subito subito. Avreste un’erede fresca e pronta a diventare la nuova principessa. Pensate con Kain quanti anni dovreste aspettare invece, kupò!”

Ansem annuì. “Questo è vero. Grazie, Mog, mi sei stato utile.”

Il moguri, con un gran sorriso, si congedò dal vecchio principe e svolazzò via nella pioggia, sostenendosi con le sue alucce e cercando un riparo asciutto.

Ansem restò a ragionare lì un altro po’ e poi tornò nel suo laboratorio, pensieroso e riflettendo su quello che sapeva e su quanto Mog gli aveva detto.

“Ienzo, Even...” disse appena entrato. I suoi due apprendisti smisero con le loro occupazioni e si girarono a guardarlo, attenti. “Cosa ne dite se...?” Tirò un gran respiro. “Sì, insomma... se chiedessi a Kairi di tornare a vivere con noi?”

“Maestà!”, esclamò Even, sorpreso e sollevato. “Come mai questo cambio di idea così improvviso?”

“Non ho cambiato idea!”, precisò Ansem. “Ci sto pensando. Voglio sapere il vostro parere, prima. Sapete quanto mi fidi di voi.”

“Se volete la mia opinione, sire”, disse Ienzo, “andrei da lei quanto prima. Ne avevamo parlato tempo fa. Sapete che il popolo non è contento della situazione in cui ci troviamo. Una nuova principessa solleverebbe la loro fiducia e la loro opinione sulla vostra famiglia. Inoltre, dicevate che non avete più possibilità di decidere quasi nulla di persona, perché la vostra figura è compromessa. Kairi avrà di sicuro ereditato la vostra saggezza, e con un minimo di preparazione, potrebbe diventare la principessa in qualche mese. Allora potrete passarle una parte del comando e lei potrà cercare di aggiustare le cose che nel regno vanno storte, al posto vostro, e il popolo si calmerà. Che ne pensate?”

“Hai assolutamente ragione, Ienzo”, annuì Ansem. “Diciamo che non volevo rivelarle nulla, perché non volevo guastare la sua felicità...”

“Ma maestà”, intervenne Even. “Questo è il punto. Kairi non è felice, dove si trova. Non ha detto lei stessa a Riku che vorrebbe venire via dal loro mondo? A questo punto, non mi farei più molti problemi. Qui con noi potrebbe ritrovare la sua felicità, qualunque sia il motivo della sua tristezza di adesso.”

“L’unico problema in tutto questo è Kain”, commentò Ienzo, grattandosi una tempia. “Sappiamo tutti quanto è eccitato ed impaziente all’idea di diventare principe... ci rimarrebbe molto male.”

Ansem scosse la testa. “No, non sarebbe un problema. Conoscete la legge, no? Ci possono essere più principi nella linea di successione, chi vieterebbe a Kairi e Kain di essere principi insieme? Lui è più giovane di lei, comunque diventerebbe principe regnante dopo di lei. Soltanto se Kairi dovesse avere un figlio Kain verrebbe escluso dalla linea di successione.”

Even fece un mezzo sorriso. “E secondo voi Kairi eviterebbe di sposarsi ed avere figli per tutta la vita solo per fare un piacere a Kain e mantenerlo nella linea? Lo so che ha il cuore puro, ma non penso che arriverebbe fino a questo punto.”

“Risparmia le parole”, lo interruppe il vecchio principe, facendo un gesto come a voler scacciare una mosca. Era un argomento fastidioso. “E comunque, da qui a quando Kain avrà l’età per regnare potrà succedere di tutto, inutile fasciarci la testa prima di romperla. Intanto, non è affatto detto che Kairi accetterà di venire con noi.”

“Dunque avete deciso, maestà?” chiese Ienzo, speranzoso. “Avete deciso di dirle la verità e riprenderla nel regno?”

Ansem fissò i suoi apprendisti coi suoi caldi occhi arancioni circondati da rughe, poi uscì dal laboratorio, percorse i corridoi ed uscì dal portone.

“Aeleus!”, esclamò alla guardia. “Dov’è Dilan? Perché non è qui con te?”

“È col bambino, maestà. L’ha portato un momento in camera per distrarlo un po’, visto che sembrava arrabbiato e qui è tutto tranquillo.”, esclamò rispettoso l’altro uomo. “Devo chiamarlo?”

“No, basti tu. Fai preparare la mia gummiship. La voglio pronta entro domattina”, ordinò il vecchio principe.

 

Erano passate tre settimane da quando Kairi era ritornata a casa. Era uscita dall’oltretomba senza farsi notare ed aveva riportato la gummiship al Castello Disney senza dare spiegazioni a nessuno. Alle Isole del Destino aveva ripreso la sua vecchia vita, almeno in teoria. Ma le cose per lei erano profondamente cambiate. Aveva perso tutta la sua grinta e il suo coraggio, e non aveva più nemmeno la profonda tristezza e nostalgia che caratterizzavano le sue giornate prima della partenza. Semplicemente, era un guscio vuoto. Svolgeva quello che doveva fare in modo meccanico e senza emozioni, quando qualcuno le parlava i suoi occhi lo attraversavano come se davanti a sé non avesse nessuno, e il suo viso pareva aver perso la sua capacità di esprimere sentimenti. L’unica cosa che era cambiata era il suo rapporto col cibo: si contentava solo di bere qualche sorso d’acqua ogni tanto, e se prima di partire bene o male riusciva a buttare giù qualcosa perché suo padre la imboccava, ora rifiutava anche questo. In quelle tre settimane i quarantotto chili del suo peso forma si erano ridotti a quarantacinque.

“Kairi, dimmi, dimmi cos’hai!”, la implorava Riku, disperato, afferrandola per le braccia e guardandola con estrema preoccupazione. “Dimmi cosa posso fare per aiutarti!”

Kairi lo guardava stranita e non rispondeva. Cosa avrebbe dovuto dirgli? Come poteva spiegargli che aveva appena perso l’amore della sua vita, quello stesso uomo che era stato il migliore amico di Riku ma di cui adesso lui non ricordava nemmeno l’esistenza? Kairi non aveva bisogno di un altro colpo al cuore come questo. Non voleva parlarne con lui. Non voleva parlarne con nessuno. Si era rifiutata di dire qualcosa a suo padre, alle sue amiche d’infanzia. Anzi, meno gente aveva intorno a sé e meglio stava. Sulle isole il tempo era bello tutto l’anno, ma a lei pareva di non vedere più i colori. Non c’era più nulla che poteva farla reagire ed emozionare, per lei nulla contava più qualcosa. Sentiva che dentro non aveva più niente, e non aveva più la spinta per fare niente. Una volta, presa da uno sprazzo insolito di autoconservazione, aveva provato a mangiare qualcosa, ma una sensazione di malessere terribile l’aveva travolta, ed aveva dovuto smettere. Anche il suo corpo spossato rifiutava il cibo. Ogni tanto ancora usciva di casa, camminando estranea a tutto quello che succedeva intorno a lei, ma quando alzava gli occhi al cielo azzurro delle loro isole, si sentiva gli occhi bruciare, senza però piangere, perché ormai le lacrime non le venivano più. Dovunque andasse, in ogni angolo delle loro isole, c’era qualcosa che le ricordava Sora o qualcosa che avevano fatto insieme. Magari una pietra dove lui si era seduto, o un tronco d’albero a cui usava appoggiarsi, o un angolo dove era sua abitudine giocare da piccolo. Kairi passava, guardava quei posti caratteristici e si sentiva l’anima sprofondare nel buio, semmai ne avesse avuta ancora una. Questi momenti di profonda depressione in cui vedeva tutto nero si alternavano come niente a momenti di profonda gioia: il suo corpo ormai debilitato e stanco faceva di tutto per farla aggrappare alla vita, e così capitava a volte che Kairi vedesse vicino a lei l’unica persona che avrebbe potuto renderle la felicità e la voglia di tornare a vivere.

“Ah, ma allora sei qui con me...” mormorava con un filo di voce, sorridendo in un modo che era solo l’ombra del suo sorriso aperto di una volta. Allungava tremante una mano, e sentiva il tocco forte e sicuro di lui, che in piedi vicino a lei, le sorrideva innamorato coi suoi occhi azzurri ed adulti, le accarezzava il viso, e lei sospirava sentendo di nuovo le sue mani ruvide e calde sulle guance.

A volte ripensava alle cose che si erano detti nelle loro pause per riprendersi, quando stavano sdraiati abbracciati su quel mare che li sosteneva. Quando parlavano di quello che avrebbero fatto se avessero potuto vivere insieme come desideravano. Passando lentamente ai confini del paese, sulla spiaggia, Kairi individuava un punto un po’ distante dalle altre case, con la vista direttamente sul mare. Allora si girava verso di lui e gli chiedeva, curiosa di sapere la sua opinione: “ecco, non dicevi che avresti preferito una casetta piccola, un po’ separata dalle altre, in modo che potessimo stare più tranquilli? Che ne pensi di quel punto, vogliamo farla costruire lì?” E Sora la guardava, con quello sguardo che riservava solo a lei, con gli occhi che avevano perso tutta la loro tristezza ed avevano ritrovato la loro allegria e serenità di sempre, e annuiva sorridendo, col viso pieno di speranza e fiducia nell’avvenire. Anche Kairi gli sorrideva. “Sapevo che ti sarebbe piaciuto il posto. Vedrai, saremo felici nella nostra casa, noi due.” Si sedeva poi sulla spiaggia, fissando il mare, tenendo una una mano nella sua. “Sai che so cucinare bene, vero? Ho imparato da piccola, preparavo un sacco di cose per te e Riku, ti ricordi? Vedrai, quando vivremo insieme mi alzerò prima di te e ti farò la colazione tutte le mattine.” Sora le sorrideva allettato all’idea e le parlava, e la sua voce era così concreta e viva che per Kairi non c’era nessun dubbio che lui fosse lì. “Ma anch’io so cucinare, sai? Ho imparato a farlo nella mia ultima avventura.” “È vero”, annuiva Kairi. “Sì, me l’hai detto, mentre ci riposavamo.” “Però non è sempre così facile”, precisava Sora. “Per esempio, le uova sono un po’ difficili da rompere nel modo corretto.” Kairi allora si metteva a ridere, e rideva con il suo cuore tornato intatto e la sua anima ritrovata. “Rompere le uova difficile? Sei tanto bravo in tutto e mi cadi su queste cose? Va bene, vuol dire che tu preparerai tutta la colazione tranne le frittelle, quelle le lascerai a me. Se riuscirai a svegliarti presto intendo, che non è scontato. Pigrone che sei!” Sora si metteva a ridere nel suo modo allegro e fresco, anche se un po’ diverso dal solito per la sua voce di uomo adulto, e avvicinandosi i due si davano un lungo bacio, uno dei tanti che nella loro vita insieme si sarebbero dati.

Kairi si crogiolava così nei suoi sogni e nelle sue allucinazioni, gli unici momenti in cui era davvero felice perché tutto della sua percezione le diceva che Sora era lì con lei. E tuttavia, non mangiava e diventava sempre più debole col passare dei giorni. La notte era ancora una volta il suo unico rifugio, perché, ora che sapeva davvero com’era stare insieme a Sora e fare l’amore con lui, lo vedeva e lo sentiva con magnifica esattezza di fianco a sé, finalmente in un letto comodo e asciutto, con dei cuscini morbidi dove affondare la testa e delle coperte calde che li proteggevano, anche se era un po’ stretto per contenere due persone. Kairi, abbracciata a lui, sentiva di nuovo le sue mani, il sapore caldo delle sue labbra, il suo profumo intenso e virile mischiato con la salsedine e le parole che le sussurrava all’orecchio. Saperlo lì di fianco a lei le permetteva anche di non impazzire al pensiero che lui in quel momento, in realtà, si trovava in quel limbo infinito, lontano da tutto e da tutti, completamente solo e senza nessuno a tenergli compagnia se non i suoi ricordi e rimpianti. “Quand’è che tornerai e starai con me per sempre?” gli chiedeva stesa di fianco a lui, mentre gli baciava il collo. “Presto, devi solo aspettarmi. Tornerò sempre da te, non importa quanto ci vorrà”, era la sua risposta sempre uguale. Kairi così ogni giorno aspettava, nell’incertezza fiduciosa che la faceva trascinare da un giorno all’altro, perché il suo corpo e la sua mente si rifiutavano di affrontare la realtà per quella che era, e cercavano di costruirle intorno delle illusioni. Ma, man mano che il tempo passava, la terribile realtà si faceva sempre più strada dentro di lei: Sora non sarebbe mai tornato, e lei non l’avrebbe rivisto mai più. Tutti i dialoghi che aveva regolarmente con lui, in realtà erano dei monologhi, e pur nella disperazione della sua mente, la donna si rese infine conto che, facendo così, non stava rispettando la volontà del suo amato. Cos’è che lui voleva da lei? Che vivesse la sua vita e tornasse ad essere felice senza di lui. Doveva trovare un’altra strada, una strada che non comprendesse una casa insieme a lui e i viaggi per i mondi insieme a lui, e lui nella sua vita.

Questo però Kairi lo sapeva a livello razionale. Ma il suo corpo stava cedendo, il suo cuore stava cedendo, e tutto dentro di sé tranne il ricordo delle parole di Sora la trascinavano in un abisso che le impediva di ripartire. Era come se fosse incapace di nuotare, e Sora fosse sempre stato il suo salvagente. Ora che non c’era più, per Kairi era come affogare. In uno dei suoi rari momenti di lucidità, si rese conto che, se voleva ripartire, doveva trovare l’appoggio di qualcuno. Ma di chi? Kairi era sensibile ed intelligente, e non ci mise molto a rendersi conto che a nessuno degli altri guerrieri con cui aveva combattuto importava granché di lei. Forse Lea... ma no, nemmeno lui. Le era stato amico soltanto durante la sessione di allenamento, ma dal momento che aveva ritrovato Xion, Roxas e Isa, i suoi vecchi amici, non si era fatto più sentire né vedere. Aqua? Era troppo impegnata a recuperare il tempo perduto con Ventus e Terra, nemmeno lei avrebbe avuto tempo o voglia. Naminé? Si era unita al gruppo di Lea a Crepuscopoli, senza più preoccuparsi della persona da cui si era originata. Erano tutti felici. Tutti tranne lei. A lei restava Riku. L’amico del cuore a cui voleva un bene dell’anima e che le voleva un bene dell’anima. Ma, paradossalmente, era quello di cui lei sopportava meno la presenza. Non per colpa sua o del suo carattere, poveretto. Ma per il fatto che, per lei, il fatto che lui non si ricordasse di Sora e si comportasse come se lui non fosse mai esistito era un dolore troppo grande da sopportare. Ogni volta che erano insieme e Riku le dava dimostrazione che per lui non era esistito un altro amico al di fuori di loro due, Kairi sentiva il cuore sbriciolarsi in tanti pezzettini. Perciò, per cercare di evitare di sentire ancora più male, cercava di vederlo il meno possibile. Sapeva che era sbagliato in fondo quello che stava facendo, e che Riku soffriva molto per questo. Ma Kairi non poteva spiegargli niente, né aprirgli il suo cuore e dirgli quanto stesse male: non voleva che Riku potesse pensare che fosse pazza o chiedesse a suo padre di mandarla in terapia. Preferiva soffrire da sola e portare questo dolore senza condividerlo con nessuno. Solo una volta, quando proprio non ce l’aveva fatta più, si era lasciata sfuggire un suo desiderio con Riku: andare via da quelle isole. Riku ci era rimasto male, perché l’aveva indirettamente interpretato come un desiderio di allontanarsi anche da lui. Ma Kairi non ce la faceva più ad andare avanti in quel modo: se davvero voleva rendere onore al suo innamorato, ripartendo con la sua vita, non poteva farlo sulle Isole del Destino. Quel mondo era un macigno per il suo cuore. Dovunque si girasse, c’era qualcosa che le ricordava lui, quando cercava di allontanare la mente da Sora e di pensare a qualcos’altro, vedeva o sentiva o percepiva qualcosa che glielo riportava alla mente. Quelle isole erano piene di lui, ed anche se le prove della sua esistenza erano state cancellate, i ricordi in Kairi rimanevano. Desiderava poter ripartire da capo da un’altra parte, in un mondo completamente privo delle tracce del suo amato, un posto dove lei nemmeno impegnandosi avrebbe potuto farselo venire in mente. Questa era la base, la condizione necessaria senza la quale sarebbe stato impossibile per lei ripartire. Ma come poteva fare? Prendere ed andarsene in un mondo a caso? Senza conoscere nessuno, senza un supporto? E come avrebbe giustificato la cosa con suo padre e con Riku? Tutte queste domande la tenevano bloccata nel suo limbo, impedendole di reagire e di fare qualunque cosa, mentre il suo sguardo si svuotava, il suo peso diminuiva e i capelli rosso scuro diventavano opachi e si staccavano appena li sfiorava.

Il giorno successivo in cui al Radiant Garden era stata recepita la notizia, la gummiship del principe Ansem si avvicinava al mondo delle Isole del destino. Aveva scelto di venire da solo, senza i suoi apprendisti, senza Kain e senza nessuno. Nonostante in tutti quei mesi si fosse portato appresso il bambino ovunque per fargli imparare più cose possibili, adesso sentiva che sarebbe stato un estraneo nelle interazioni fra lui e sua figlia. Se Kairi avesse accettato di seguirlo, avrebbe di certo dovuto conoscere Kain, ma lo avrebbe fatto con più calma, una volta tornati nel loro mondo. Ora doveva vedersela da solo. Per una volta, si era tolto il camice: indossava la divisa che tutti i principi del suo regno, con delle variazioni a seconda del compito di ognuno, portavano. Nel suo caso, era una giacca color panna con le maniche lunghe, che copriva parzialmente, lasciandola scoperta sul davanti, una maglia nera. La giacca era legata davanti con dei lacci di cuoio incrociati e in vita portava la cintura con la fibbia a forma di cuore, il simbolo della sua casata. Intorno al collo, sulle spalle, aveva sempre avvolta quella via di mezzo fra sciarpa e mantello, e da essa, a coprirgli le spalle, c’erano due placche metalliche con lo stesso cuore che aveva sulla fibbia. Inoltre, semplici pantaloni neri e scarpe di cuoio, nere anche quelle. Non era una divisa complicata, la loro.

Atterrò con cautela sulla spiaggia dell’isola più grande, dove si trovava il paese. Non aveva pensato ad un modo per nascondere la gummiship, ma sapeva che era una cosa inutile. Per trovare Kairi, avrebbe dovuto comunque presentarsi ai nativi, e loro avrebbero comunque saputo che veniva da fuori. Quindi era il caso di presentarsi come si conveniva ad un sovrano, mantenendosi però sul vago senza dire esplicitamente che esistevano altri mondi. Come si immaginava, la gente iniziò ad uscire dalle case e circondò la navicella tenendosi però a distanza, confusa ed atterrita. E quando Ansem uscì dalla gummiship, camminando sulla rampa ed appoggiando i piedi sulla sabbia, le persone si ritrassero intimorite. Era certo che non avevano mai visto nulla di simile in vita loro.

“Per favore!” disse Ansem alzando la voce, in modo che tutti potessero sentirlo. “Non abbiate paura, vengo in pace. Vorrei parlare col prin... volevo dire, col capo di queste Isole. Dove posso trovarlo?”

Subito le persone si iniziarono a guardare l’un l’altra, mormorando fra loro. Un signore più distinto degli altri spiccò tra la folla. “Sono il sindaco delle Isole del Destino”, rispose, staccandosi dal gruppo e avvicinandosi a lui. “Vedo che è venuto in amicizia. Le do il mio benvenuto”, lo accolse stringendogli la mano. “So che viene da un altro mondo”, disse poi a bassa voce in modo che gli altri non potessero sentire. “Come posso esserle d’aiuto?”

“Vede... sto cercando una ragazza di nome Kairi. Sapete dove la posso trovare?” chiese allora Ansem, rispettoso.

Il sindaco allargò appena gli occhi e si girò verso la folla intimorita. “Potete tornare nelle vostre case, cittadini. Qui va tutto bene, aiuterò io il nostro ospite.”

Le persone tirarono un gran respiro di sollievo e la massa rapidamente si dissolse. Quando sulla spiaggia furono rimasti solo i capi dei due mondi, il sindaco chiese al vecchio principe: “posso sapere con chi sto parlando?”

“Certamente. Sono il capo del mondo di Radiant Garden”, rispose l’altro, abbassando brevemente la testa.

“E perché desidera vedere Kairi?” chiese il sindaco, non troppo convinto.

“Ho... bisogno di parlarle”, rimase sul vago Ansem.

“Kairi è mia figlia. Ma adesso sta molto male e non è nelle condizioni di vedere nessuno.” Come capo delle Isole del Destino, anche il sindaco sapeva essere autoritario.

“È per questo che sono venuto. Forse dopo che le avrò parlato, starà un po’ meglio”, cercò di convincerlo Ansem.

“Le ripeto, signore: questa sua visita è un onore per noi, ma mia figlia sta male e non può ricevere visite.”

“Signore! Signor sindaco!” sentirono una voce di giovane uomo poco distante. Il sindaco si voltò: era Riku che arrivava di corsa.

“Oh, Riku!” esclamò sorpreso e sollevato Ansem appena lo vide.

“Come? Tu lo conosci, Riku?”, chiese sorpreso il sindaco.

“Sì. Non deve preoccuparsi, signore, Ansem il saggio è una persona di cui possiamo fidarci. Qual è il problema?”, chiese al principe.

“Riku... ho bisogno di vedere Kairi”, disse ancora Ansem.

“Tornavo proprio da casa sua”, rispose Riku, intristito. “Sta molto male, non c’è verso di tirarla su o convincerla a mangiare.”

“Esatto, Riku”, annuì il sindaco. “Per questo stavo cercando di far capire al nostro gentile ospite che non è il caso...”

“Ma signore”, lo interruppe Riku. “Se Ansem vuole parlare con lei, sicuramente è un motivo importante. Si fidi, io lo conosco bene, non sarebbe mai venuto qui per cose futili o per farle perdere tempo. Lasci che veda Kairi.”

Il sindaco guardò prima Riku, poi Ansem, ed infine sospirò socchiudendo gli occhi.

 

Kairi in quel momento era chiusa nella sua camera. La sua casa si trovava distante dalla spiaggia, e non si era accorta dell’arrivo di Ansem. Era abbattuta e in uno dei suoi momenti di dormiveglia: Riku era appena andato via, anche se avrebbe voluto restare. Era lei che lo aveva allontanato facendogli capire sottilmente che tutto quello che voleva era restare sola. Era distesa sul letto, sopra le coperte, girata verso il muro, facendosi dei segnetti sull’avambraccio con le unghie dell’altra mano. Non premeva abbastanza da ferirsi, ma con quel poco di dolore che provocava lasciando quei segni le sembrava di poter allontanare il male che sentiva dentro, almeno un po’. D’altra parte, ogni volta che si premeva l’unghia sulla pelle, immaginava la mano di Sora che cercava di trattenerle il polso, pregandola di non farlo e di reagire a tutto quel dolore che stava provando. Ma non poteva farne a meno. Nemmeno le parole che Sora le aveva detto riuscivano a farla un po’ riprendere. Sentì a quel punto la porta di casa che si apriva.

“Kairi, sei in camera?” Era la voce di suo padre.

“Babbo, stai fuori... non ho voglia di uscire...” rispose lei con voce stanca.

“Abbiamo un ospite che chiede di te”, aggiunse il sindaco.

“Mandalo via”, rispose semplicemente Kairi. Sapeva che era scortese e che non era opportuno comportarsi così, ma in quel momento non le importava.

Sentì a quel punto la porta della sua camera aprirsi senza tanti preamboli, e qualche passo deciso che sembrava lasciato da qualcuno che aveva appena perso la pazienza. Si girò di scatto.

“Riku, che ci fai di nuovo qui?”, gli chiese sorpresa e lievemente irritata. Il giovane era in piedi vicino al suo letto e la guardava duro.

“Kairi, adesso tu ti alzi da quel letto e vieni di là. Se non lo fai, ti faccio alzare io. C’è Ansem, è venuto sulle Isole apposta per parlare con te.”

Kairi era sbigottita. “Ansem?” chiese tirandosi su a sedere con fatica. “Sì, ma... quale Ansem?”

Riku alzò gli occhi al soffitto. “Ansem il Saggio. Il capo del Radiant Garden.”

“Lui? Vuole parlarmi?” Kairi si affrettò ad alzarsi in piedi, e seguì Riku nel salotto, dove il sindaco aveva già fatto accomodare il loro ospite.

In quel momento Kairi si vergognò di non essersi data una sistemata: aveva indosso la stessa maglietta e gli stessi pantaloncini che aveva messo anche il giorno prima, e non si era nemmeno data una spazzolata ai capelli. Non era così che si riceveva un ospite importante. Ma stranamente Ansem, appena la vide, allargò appena gli occhi arancioni, come se avesse avuto una visione. Non diede troppo mostra del suo stupore, rimanendo nella discrezione tipica di un vecchio sovrano. Kairi si avvicinò a lui e fece un profondo inchino.

“Ansem il Saggio... è tanto tempo che non ci vediamo più. Le do il benvenuto in casa nostra, e mi scuso per non essere... insomma... messa così bene.”

“Non c’è problema”, rispose rassicurante il vecchio principe. “Sono... felice di rivederti, Kairi.”

Kairi si stupì a quella frase. Perché mai avrebbe dovuto essere felice di rivederla? L’aveva vista di sfuggita solo una volta, e non avevano mai interagito prima d’ora.

“Quanti anni hai adesso, Kairi? È passato parecchio tempo, e non ricordo bene” le chiese Ansem.

“Quasi diciassette”, rispose Kairi, senza capire il perché di quella domanda.

 Ansem allora annuì con lo sguardo pensieroso, e si alzò in piedi.

“Siete stati gentili ad accogliermi in casa vostra, ma avrei bisogno di parlare con Kairi... da solo.”

“Da solo?” chiese il sindaco, un po’ stupito e un po’ sospettoso. Anche Riku era sorpreso, ma cercò di rassicurarlo.

“Stia tranquillo, conosco bene Ansem il Saggio, non ha cattive intenzioni. Se vuole parlare con Kairi da solo, avrà un motivo più che valido.”

“Grazie”, disse il principe, chinando appena la testa. Poi si girò verso Kairi, che lo guardava preoccupata. “Perché intanto non mi fai vedere un po’ qua attorno? Sembra davvero una bella cittadina, la vostra.”

Kairi si sentì male a quella richiesta. Percorrere nel dettaglio i luoghi in cui lei era cresciuta con Sora? E magari spiegarli al sovrano in modo accurato? Farsi venire in mente altri ricordi di lui? Tuttavia si rese conto che Ansem non lo faceva apposta, doveva averglielo proposto solo per rompere il ghiaccio. Evidentemente era una questione lunga e delicata.

“Certamente”, rispose allora, cercando di celare la sua sofferenza. “Aspetti, vado a darmi una sistemata.”

Si preparò in cinque minuti, almeno per avere un aspetto più accettabile agli occhi del loro importante ospite. Sì mise una maglietta smanicata e una gonna discreta, perché mettersi i pantaloni lunghi era fuori questione, date le alte temperature di quelle isole. Era da tempo che non si metteva più quella gonna, e visti i chili che aveva perso, se la dovette stringere di più di quanto era abituata a fare per far sì che non le cadesse. Si diede una pettinata ai capelli in disordine e tornò in sala. Non sapeva quanto effettivamente il proprio aspetto fosse migliorato, visto che il suo corpo smagrito non la aiutava di certo in questo senso, ma notò che Ansem la guardava con una certa insistenza. Kairi si sentì un po’ a disagio, ma capì che non era uno sguardo malizioso, anzi, più che altro meravigliato, e quindi non vide motivo di preoccuparsi.

Una volta fuori, Kairi scelse una via a caso in mezzo al paese, iniziando ad illustrare al suo accompagnatore i vari luoghi, gli ambienti, le piazze e gli scorci, mentre gli abitanti che incrociavano li guardavano sospettosi e preoccupati. Spiegava senza entusiasmo, cercando di allontanare Sora dalla mente, in attesa che Ansem, che camminava in silenzio di fianco a lei, si decidesse a dirle il vero motivo per cui era venuto lì. Certo non per un tour gratuito delle Isole del Destino.

“...e quella è l’isola più piccola dove...” inghiottì la saliva che le si era raccolta in bocca. “Dove io e i miei amici giocavamo da piccoli.”

Il giro dell’isola principale era finito ed erano arrivati sulla spiaggia, e Kairi stava indicando l’isoletta  che più di ogni altra cosa custodiva i ricordi del suo amato. Sperò con tutto il cuore che Ansem non le chiedesse di portarlo a vedere anche quella. Il suo cuore non avrebbe retto. Ma il vecchio principe non le chiese questo. Fece invece un commento.

“È davvero bello il tempo qui. Non come da me, dove in questi mesi non fa altro che piovere. Sai che anche nel Radiant Garden ci sono molte isole? Non sono come queste però. Sono montuose e disabitate, oppure pianeggianti con dei villaggi rurali.”

“Davvero?”, chiese Kairi, fingendosi interessata. In realtà la sua mente aveva mostrato uno spiraglio di curiosità. Aveva dei ricordi nebbiosi riguardo il suo mondo natìo, ma non ricordava la presenza di isole. Ricordava vagamente solo la città.

“Dimmi, Kairi, cosa ti ricordi del Radiant Garden? Lo sai che sei originaria di quel luogo, vero?”

Kairi annuì. “Sì, questo lo so. Mi ricordo... le vie acciottolate. E le mura. E i giardini coi fiori. Ma altro...”

“E non hai mai sentito il desiderio di tornarci?”, indagò Ansem.

Kairi scosse la testa. “Non sentivo questo desiderio. Anche se non sono originaria di queste isole, ero felice qui, e lo sono sempre stata, prima che... prima che...” Non riuscì a trattenersi e si appoggiò una mano sulla faccia, singhiozzando piano. “Scusi... non volevo...” mormorò poi, cercando di darsi un contegno.

“Non importa”, la rassicurò Ansem. “Non c’è bisogno di dirmi il motivo per cui stai così male, se non vuoi. Ma dimmi... non ti trovi più bene qui? Non ti piacciono più queste isole?”

“No”, rispose subito Kairi, scuotendo la testa. “Vorrei tanto... vorrei tanto andarmene. Non voglio più stare qui. Ma... non saprei dove andare, né cosa fare.”

“E se ti dicessi che potresti tornare a vivere nel Radiant Garden?”, chiese Ansem a quel punto, guardandola fisso.

Kairi si tolse la mano dalla faccia e lo guardò stupita. “Al Radiant Garden? Senza nessuna conoscenza, da sola, così?”

“E ti dirò di più”, aggiunse Ansem. “Se ti dicessi che potresti vivere non come una semplice cittadina, ma potresti esserne la principessa, fra non molto?”

A Kairi venne da sorridere, nonostante la tristezza. “Signore, sono già una principessa. Ce ne sono altre sei come me.”

Ansem scosse la testa. “Non intendevo in quel senso. Principessa come capo di un mondo. Tu un giorno potresti governare tutto il Radiant Garden.”

Stavolta Kairi non riuscì a trattenersi e rise davvero, anche se mantenendosi nei limiti del rispetto verso l’anziano ospite. Le venne in mente, inoltre, che era la prima volta che rideva da quando aveva perso Sora. “Io, principessa del Radiant Garden? E perché dovrei esserlo? È vero che ho il cuore puro, ma per il resto sono una ragazza qualsiasi. Non tutte le principesse del cuore sono principesse davvero. Non ho proprio niente di particolare.”

“Ne sei sicura?”

“Certamente”, annuì Kairi. “Il sovrano di quel mondo è lei, io cosa c’entro?”

Ansem non rispose a quella domanda, ma le rivolse un’occhiata che aveva qualcosa di autoritario e affettuoso al tempo stesso. Kairi conosceva bene quello sguardo, perché spesso suo padre adottivo la guardava allo stesso modo. Spalancò gli occhi, incredula. “No... non è possibile...” mormorò, quasi senza emettere voce e sentendosi svuotare.

“E invece è così”, annuì Ansem, mentre i suoi caldi occhi arancioni erano lucidi. “Kairi, quando eri piccola... avevi solo quattro anni... Xehanort ti ha portato via da me e dal nostro regno. Non puoi ricordarti di me, perché ero così impegnato coi miei esperimenti da non rivolgerti mai le attenzioni che meritavi. E anche quando ho scoperto dov’eri finita... non ti sono più venuto a cercare. Un po’ perché ero troppo occupato a cercare di vendicarmi, e un po’ perché sapevo che qui comunque saresti stata felice. Ma sei comunque mia figlia. Kairi, so che mi sono comportato in modo orribile con te, e se volessi perdonarmi... sarebbe l’onore più grande che un vecchio principe come me potrebbe avere.” Per quanto la sua corporatura lo permetteva, Ansem fece un profondo inchino davanti alla ragazza.

Kairi era sbalordita nel vedere un sovrano come lui inchinarsi così davanti a lei. Dunque, il mistero si era risolto... Ansem il saggio in realtà era suo padre? Erano quelle le sue origini? Il sangue reale le scorreva nelle vene? E lui era venuto apposta per rivelarglielo? Effettivamente le mancava solo quel tassello per ricostruire le sue origini fino in fondo. Aveva sempre saputo di non essere nativa delle Isole del Destino. A quattordici anni aveva scoperto che il suo mondo originario era il Radiant Garden. E adesso, a diciassette anni, scopriva chi era suo padre e che ruolo avrebbe dovuto avere lei in quel mondo, se fosse rimasta. Il puzzle era completo.

“Sono venuto apposta”, continuò il principe “perché ho saputo che stai molto male, e che vorresti venire via da qui. Me l’hai confermato di nuovo. E allora è bene che tu sappia... le cose da noi non vanno per niente bene. Tutti i miei sudditi ti amavano molto quando eri piccola, e tutti noi vorremmo tanto che tu tornassi al mondo a cui appartieni. Sono sicuro che sei una ragazza giudiziosa e intelligente, e sono convinto che con te al mio fianco il nostro regno potrebbe risollevarsi in poco tempo. Per questo, te lo chiedo con l’umiltà di un povero vecchio. Vuoi tornare al tuo mondo di origine, per diventarne la principessa e governarlo con saggezza? Non sarai mai sola: ci sarò io, i nostri funzionari e i nostri sudditi ti saranno vicini, e lì potrai trovare la tua felicità e la tua strada, ne sono sicuro.”

Kairi, a cui stava girando la testa per le troppe informazioni ricevute in un colpo solo, non riuscì ad afferrare immediatamente la gravità di quello che Ansem le aveva appena detto: era indebolita e deperita, e la sua percezione, che stava cercando di tenerla attaccata alla vita, le fece afferrare in modo completo una cosa sola, ossia che il principe le stava offrendo di ripartire da capo in un altro mondo, che non conservava nessuna traccia di Sora. Che Ansem fosse suo padre, che l’avesse trascurata ed abbandonata da piccola, che lei fosse la principessa perduta di un regno erano concetti che al momento non la toccavano. Quel sovrano le stava offrendo la nuova vita che tanto cercava su un piatto d’argento. Anzi, la stava addirittura pregando perché accettasse.

“Vengo”, rispose semplicemente, ma con tono convinto.

Quella semplice parola fece sbalordire il vecchio principe. “...Come hai detto?”

“Ho detto che vengo con lei”, insisté Kairi. “Anche subito.”

Ansem era sempre più esterrefatto. “Acconsenti in questo modo? Non sei arrabbiata con me per quello che ti ho fatto? Quello che ti ho detto non ti sconvolge? Non vuoi rifletterci un po’ prima di decidere?”

Kairi negò con la testa. “In questo momento no. Adesso voglio solo andarmene di qui... per favore, mi porti con lei!”

Ansem, che era stato colto di sorpresa, fece un passo indietro. Evidentemente non si aspettava che le cose sarebbero state così facili. “Non posso portarti con me adesso, Kairi. Devo preparare il regno e il castello al tuo arrivo, e... sicuramente anche tu dovrai prepararti e salutare un po’ di persone. Non vorrai venire via ed abbandonarle di colpo?”

Kairi allora rifletté. Il vecchio principe aveva ragione. Non poteva prendere ed andarsene in quel modo. Doveva prima parlarne con suo padre e tranquillizzarlo sul suo avvenire. Ed anche salutare Riku e le sue amiche d’infanzia. Era probabile che non li avrebbe rivisti più per molto tempo, ma non se ne preoccupava. Voleva tagliare ogni collegamento con quella terra e con quelle persone, solo così avrebbe potuto smettere di soffrire. Era tempo di tornare alle proprie radici, cioè in quel mondo che l’aveva vista nascere e trascorrere i primi anni di vita. In questo modo avrebbe potuto, forse, mettere Sora in secondo piano nella sua mente e ricominciare da capo.

“Va bene, signore”, annuì, più calma. “Aspetterò tutto il tempo che serve. Mi promette, però, che tornerà a prendermi?”

Ansem annuì. “Ti prometto che fra una settimana sarò di nuovo qui. Tu preparati un po’ di vestiti, ci vorrà del tempo prima che ti possa dare una divisa simile alla mia. Questa la indossano i principi, ma prima di diventarlo voglio che impari bene come è fatto il regno ed i problemi che ha. Solo allora ti darò una parte di governo e diventerai una principessa.”

Kairi annuì. “Farò del mio meglio per essere di aiuto alla popolazione.”

Ansem sorrise. “Questo volevo sentire. Adesso vieni, ti accompagno a casa. È giusto che tuo padre adottivo sappia.”

“No”, lo fermò Kairi. “Lei vada pure, non si disturbi. Glielo dirò io da sola. È sempre stato un uomo comprensivo, sono sicura che capirà la mia decisione. Ed anche se dovesse essere contrario, non lascerò che mi trattenga.”

Ansem la guardò a lungo, con i suoi caldi e comprensivi occhi arancioni. “Molto bene. Come vuoi tu. Tornerò fra una settimana.” La squadrò poi attentamente, e quando riprese a parlare, non aveva più il tono paterno e accomodante di prima, ma quello più autoritario di un sovrano. “Però una cosa voglio che tu faccia mentre mi aspetti. Sei davvero deperita, e questo non va bene. Non va bene per la tua salute, e non va bene se tornerai a vivere fra noi. Dovrai fare un’ottima prima impressione al popolo, quando ti vedranno per la prima volta. I sudditi vogliono come prima cosa che il loro sovrano sia in grado di proteggerli, se invece la prima cosa che vedranno di te sarà che non riesci nemmeno a reggerti in piedi per la debolezza, inizieranno subito a sparlare di te e non si fideranno. Quindi dovrai sempre mantenerti in buona salute e in ottima forma fisica. Voglio che in questa settimana in cui non ci vedremo, tu metta su almeno un paio di chili. Se quando tornerò ti troverò come sei ora, non ti porterò con me. Chiaro?”

Kairi lo guardò, stupita da quell’improvviso cambio di tono, ma annuì. Doveva? D’accordo. Se mangiare e rimettere su peso era il prezzo da pagare per andarsene via dalle isole, l’avrebbe fatto, anche se il solo pensiero di mandare giù un boccone le faceva venire i conati.

Ansem dovette ritenere abbastanza surreale il dialogo che avevano appena avuto, perché non si avvicinò a Kairi, non la abbracciò, né le mostrò il suo affetto in alcun modo. Sembrava scosso, come se non avesse previsto che le cose sarebbero andate in quel modo. La gummiship del vecchio principe non era distante da quella spiaggia.

“D’accordo. Allora ci vediamo fra una settimana. Preparati mentalmente e riposati, Kairi, perché una voltà che sarai tornata nel nostro regno ci saranno molte cose da fare.”

Kairi stava per dirgli che lo avrebbe accompagnato alla navicella, ma Ansem la fermò. “Non preoccuparti, vado da solo. Tu torna a casa e mangia. Sono...” la guardò per un po’ prima di continuare. “...davvero felice che tu abbia accettato”, concluse col tono addolcito, e si allontanò, ritto e con il portamento consono di un sovrano.

La ragazza rimase lì ferma a guardarlo, e si avviò per tornare a casa solo quando fu certa che fosse partito. Si sentiva frastornata ed in subbuglio, ora che era rimasta sola. Durante il dialogo col signore che si era rivelato essere suo padre biologico, aveva avuto il cervello quasi staccato, ma ora ripercorse tutti i passaggi e le frasi che si erano detti. Ansem il saggio, suo padre... se non gliel’avesse detto lui non l’avrebbe mai pensato. Non si assomigliavano per niente: lui biondo e con gli occhi arancioni, lei rossa e con gli occhi blu. Nemmeno i lineamenti erano simili. La ragazza non si sentiva minimamente coinvolta dalla scoperta, visto che quel principe per lei non era mai stato nulla, era in pratica un completo estraneo, e di certo non lo sentiva come suo padre. Per ora, per lei era solo l’ancora di salvezza che poteva strapparla via da quelle isole. Forse in futuro ci avrebbe stretto un legame, ma per ora, per lei questo era. Doveva fidarsi di lui se voleva andarsene, anche se per quello che ne poteva sapere, poteva anche solo trattarsi di un vecchio pazzo che le aveva raccontato un sacco di sciocchezze. E dunque lei era destinata dalla nascita a governare un regno... era la figlia di un principe, e quindi essere una principessa avrebbe dovuto essere la sua strada fin dall’inizio. Ma cosa voleva dire davvero essere una principessa? Kairi non ne aveva idea. Aveva una visione parziale, distorta e stereotipata della regalità, e ragionadoci su un attimo si rese conto che la vita, per un principe che aveva sulle spalle un regno intero, non poteva essere così facile. Anzi, doveva trattarsi di una grande responsabilità. Ansem non le aveva certo offerto di tornare sul trono così, perché gli andava, ma era chiaro che la sua presenza era necessaria al benessere del Radiant Garden. Kairi si sentì impaurita: non aveva mai comandato in vita sua, l’unica cosa di vagamente simile al comando che aveva avuto era stato il suo ruolo di organizzatrice quando da ragazzina stava con Sora e Riku. Loro erano la forza lavoro che raccattavano attrezzi e provviste per la zattera, lei si occupava dell’inventario e dei consigli. Ma governare un popolo non poteva essere la stessa cosa. Chissà se avrebbe portato al miglioramento del regno, o lo avrebbe condotto alla rovina? La ragazza si passò una mano sulla fronte, sospirando. Per ora erano questioni che non potevano avere risposta. L’unica cosa che era chiara, e che alla fine le importava più di tutto, era la consapevolezza che avrebbe cambiato vita ripartendo da capo in un altro mondo, e che poteva aver trovato la sua strada. Forse, si azzardò a pensare, se tutto fosse andato come doveva andare, in un futuro molto lontano sarebbe tornata ad essere felice. Come Sora voleva da lei. Anche se ora le sembrava impossibile.

“E allora?” le chiesero insieme Riku e il sindaco, ansiosi, appena fu entrata in casa. “Cosa ti ha detto? È andato via? Cosa voleva?” insisté il babbo, visto che Kairi aveva lo sguardo perso e non rispondeva.

Ma Kairi voleva fare una cosa importante prima di dare spiegazioni. Un compito difficile, ma Ansem le aveva detto che lo doveva eseguire. Scansando suo padre adottivo, si recò in cucina, aprì il frigo e tirò fuori una grossa ciotola di macedonia, piena di frutta tropicale fatta a pezzi. La appoggiò sul tavolo, prese un cucchiaio e la guardò fisso. Sentì una sensazione terribile di nausea salirle fino alla gola. Il suo stomaco ormai era talmente chiuso che anche la sola vista del cibo la faceva vomitare. L’istinto di rimettere via quella frutta fu forte. Ma Ansem le aveva detto che doveva riprendere peso, sennò non l’avrebbe portata con sé. O questa frutta, o rimanere su quelle isole, dove il ricordo persistente del suo innamorato perduto l’avrebbe affossata sempre di più, fino a farla morire. Allora tirò un gran respiro, trattenne il fiato per qualche secondo, imponendo alla nausea di non intromettersi, ed immerse con decisione il cucchiaio nella macedonia, cominciando a mangiare velocemente, inghiottendo quasi senza masticare, mentre il sindaco e Riku la guardavano esterrefatti.

 

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Piccola modifica che ho fatto al personaggio di Kain. Se avete presente FFIV, sapete che quel simpatico individuo indossa quasi sempre l’armatura e l’elmo, e quindi non gli si vede mai la faccia. Avevo dato per scontato quindi che avesse gli occhi azzurri, invece ho notato poi, dai pochi screenshot che esistono di lui senza elmo, che li ha marroni in realtà. Cosa assai strana e curiosa per un personaggio principale di FF, ne sono contenta però. Ritroviamo un po’ di normalità, tra tutti questi personaggi pieni di occhi blu e azzurri.

Ed abbiamo in questo capitolo un grande ritorno! Chi ha letto una decade fa l’altra storia magari si ricorda ancora. Come potevo non rimettere Mog, il moguri scemo? Anche se qui il ruolo che avrà sarà più limitato. Nella storia vecchia, era praticamente il guardiano/migliore amico di Kaji, qui invece non sarà così, visto che Kaji non sarà un marmocchietto per tutto il tempo, ed il ruolo di amici passerà ad altri personaggi che, dai capitoli scorsi, penso che si sia capito quali saranno. Tra l’altro: quando dico Mog, io me lo immagino così, non come vengono rappresentati i moguri in KH, dove sembrano dei pupazzi inespressivi più che degli animali.

Chiarimento sull’affermazione che ai guardiani della luce di Kairi non importa: ma voi avete visto l’ultima scena del gioco? Dove Kairi era morta e Topolino, il ratto infame, diceva tutto tranzollo “è finita”, e tutti calmi e felici ad annuire? Dove solo Sora si preoccupava per lei e di riportarla indietro e a nessuno fregava nulla? Ecco, io non dimentico. A mio parere si meritano l’oblio eterno solo per questo motivo. Per Riku però, nonostante sia stato infame come gli altri, riserverò un trattamento diverso, visto che, come avrete notato, sto cercando di fargli recuperare il bel rapporto di amicizia che aveva con Kairi nell’1 e che nel 3 è andato perduto (notato che non si parlano nemmeno una volta, vero? Nomura!). Speriamo che al Radiant Garden quella poveretta possa trovarsi gente più meritevole.

Nonostante il tema del capitolo non sia esattamente allegro, una mezza battuta sulle uova sono riuscita a ficcarcela dentro. Ragazzi, ma come si fa? Giuro che nel giochino di Remy sono riuscita a fare tutte le ricette, tranne quelle dove dovevi rompere le uova. Santo cielo! Le uova di KH battono pure Sephirot in quanto a difficoltà.

Auguro un buon Natale a tutti voi ragazzuoli, e mi raccomando: se preparerete voi il mangiare, e farete cose con uova, fatele rompere ad un esperto, lo dico per voi!

   
 
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