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Autore: shilyss    20/12/2019    45 recensioni
Thor ci pensa spesso, a com’era il mondo prima che il Ragnarok si abbattesse sulla sua terra. Quando visita le regioni poste all’estremo nord di Midgard, il suo petto si riempie d’orgoglio e di tristezza perché lì, dove il mare e le montagne si fondono in spettacoli tanto simili alla perduta terra degli Æsir che non esiste più, gli pare ancora di sentire la voce stentorea e profonda di suo padre, saggio e crudele, bugiardo e lontano, perso tra le stelle che lo hanno accolto.
Loki, col suo sorriso affilato e lo sguardo brillante, gli avrebbe ricordato, imitando sfacciatamente Odino, che casa è dove c’è la tua gente.

Durante una festa natalizia su Midgard, Thor si ritrova a sorridere un'altra volta ancora. La nostalgia resta in fondo al cuore.
[post Avengers: Endgame] [Loki/Sigyn] [Soulmate!AU]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Sigyn, Thor
Note: Missing Moments, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
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Lasciami l’ultima notte

 

I don't sleep

I do nothing but think of you

You keep me under your spell

(Under your spell, Desire)

 

“Non ti chiedo di amarmi sempre così ma ti chiedo di ricordartelo. Da qualche parte dentro di me ci sarà sempre la persona che sono stasera.”

(Francis Scott Fitzgerald, Tenera è la notte)

 

 

 

C’era una volta Asgard con le sue torri d’oro, con i suoi fiordi che d’inverno diventavano di ghiaccio, col suo palazzo imponente che celebrava le imprese audaci e coraggiose di un popolo di guerrieri fierissimi. Nella sala del trono, sopra l’Hliðskjálf, spiccavano gli affreschi che celebravano la famiglia reale di Odino, dio delle forche e della poesia. Thor ci pensa spesso, a com’era il mondo prima che il Ragnarok si abbattesse sulla sua terra. Quando visita le regioni poste all’estremo nord di Midgard, il suo petto si riempie d’orgoglio e di tristezza perché lì, dove il mare e le montagne si fondono in spettacoli tanto simili alla perduta terra degli Æsir che non esiste più, gli pare ancora di sentire la voce stentorea e profonda di suo padre, saggio e crudele, bugiardo e lontano, perso tra le stelle che lo hanno accolto.

Loki, col suo sorriso affilato e lo sguardo brillante, gli avrebbe ricordato, imitando sfacciatamente Odino, che casa è dove c’è la tua gente, rimproverandolo con lo sguardo per aver ceduto ad altri quello che per lui era sempre stato un immenso onore. Ma suo fratello non c’era più: il Titano gli aveva spezzato il collo, gettando a terra il suo corpo ormai inerme come fosse una bambola rotta dallo sguardo vuoto e sorpreso. Una fine onorevole – si era fatto soffocare a morte per proteggerlo, sfidando Thanos fino all’ultimo con le sue frasi crudeli, taglienti e orgogliose – ma definitiva, ineluttabile.

Non aveva alcuna tomba: i suoi resti si erano disfatti nell’immensità dell’universo, alla deriva – aveva provato trattenerli finché, tra le lacrime, non si era reso conto di doverli lasciare, ma la sua essenza divina non si era annullata né era svanita. Si era trasformata in altro, mutando aspetto e vivendo vite ora luminose ora esecrabili. Sì, Loki non c’era più, eppure esisteva ancora.

 

 

C’era una volta una notte nevosa, illuminata da mille luci splendenti e colorate. Era una di quelle sere d’ipocrisia e d’amore dove la nostalgia si vela ancora più di tristezza, il gelo delle strade si mescola al profumo dei dolci, l’assenza pesa come le ombre lunghe del giorno più corto dell’anno. Le famiglie si stringono attorno ad alberi addobbati, scambiandosi doni ragionati a lungo o comprati in fretta nelle vie gremite di gente infastidita e nascosta da sciarpe e cappelli. Chi non ha, non può o non vuole trascorrere la serata come comanda la tradizione, finge che sia un’occasione come un’altra per festeggiare il tappeto di luci e l’anno che volge al termine con la sua dose di fortune e fallimenti da pesare sulla bilancia.

Uno di questi fa lo scrittore: ha gli occhi verdi mobili e inquieti, un bicchiere di whisky liscio in mano e s’è allentato la cravatta nera come il suo completo. Non sopporta l’aria troppo calda del salotto lussuoso in cui è stato invitato, nonostante si muova con sicura eleganza tra gli invitati; il merito della sua presenza lì è da imputarsi alla sua seconda sceneggiatura che pende, inesorabile, nel limbo che separa il successo dall’insuccesso. Andrà in scena tra una settimana e troppe cose possono ancora andare storte: rischia di non essere degno della fiducia che gli hanno accordato i critici esigenti e il pubblico volubile dopo un esordio brillante, della fama che ha catalizzato l’interesse di troppi su di lui e a cui si è abituato con eccessiva fretta. Non riesce più ad abbandonarsi all’incertezza del caso e del destino, del caos di cui era signore, pensa Thor sorridendo sotto la barba e fissandolo di sottecchi.

Lo scrittore stringe il bicchiere e osserva la neve cadere, rispondendo in maniera pungente e arguta ai suoi interlocutori e sfoggiando una maschera d’inscalfibile sicurezza che nasconde una natura volitiva e feroce. Quando la vede, la battuta gli muore in gola e un sorriso laterale e breve gli si disegna sul viso affilato. Lei ha scelto d’indossare un abito verde che crea un contrasto interessante col candore della sua pelle, con la chioma bionda a stento trattenuta da uno chignon basso e sofisticato che tradisce il suo passato di ballerina. Nervosa, regge un flûte[1] e lo guarda da sotto le ciglia bistrate di nero, che s’accompagnano a un trucco sfumato che vuole essere semplice e ricercato assieme. I loro occhi s’incatenano – accade sempre, accadrà sempre e per sempre. Lei tormenta, nervosa, l’anulare da cui ha recentemente sfilato una fede nuziale, lui attraversa il salotto pieno di sconosciuti sfoggiando il suo portamento altero di principe e di mancato re e, per un istante, uno solo, è l’esatta copia di ciò che era: un guerriero sprezzante, che camminava come se avesse l’universo intero ai suoi piedi, che sfidò il Titano e perse. Non gli importa più dello spettacolo imminente, né conta l’ombra che vela gli occhi della danzatrice sfortunata che non potrà mai più ballare. Lei schiude le labbra e l’incantesimo si ripete un’altra volta ancora.

Ripeteranno gli stessi errori, vittime inconsapevoli delle loro nature eternamente scolpite dalle Norne, senza poter ricordare mai cosa sono stati l’una per l’altra. Thor li osserva e sorride – c’erano una volta il dio dell’inganno e la dea della fedeltà.  I loro corpi sono polvere nel vento, sono l’albero le cui fronde lambiscono le acque placide di un lago, sono le lucciole che scintillano nelle sere d’estate, sono la spuma del mare che s’infrange sugli scogli: sono ovunque e in nessun luogo, ma le loro essenze hanno attraversato infinite vite mortali, cercandosi, rincorrendosi. L’ultima volta che li ha visti, erano due gatti – lui dal pelo lucido e nero e gli occhi di smeraldo, lei sorniona e ammiccante, color miele.

 

Anche ad Asgard si festeggiava il giorno in cui il sole moriva per poi rinascere ancora: era un rituale antico e selvaggio, dove l’idromele scorreva a fiumi e si cantava e si ballava, ma questo accadeva in un tempo lontano, che solo Thor può ricordare. C’era una volta una donna dallo sguardo dolce, i modi fieri e bracciali che le tintinnavano ai polsi e alle caviglie. Un principe crudele dal sorriso beffardo le si avvicinò, una sera. Lasciami l’ultima notte che passerai ad Asgard prima di andare in battaglia, gli disse lei sfiorandogli le labbra. Sfuggì allo schiocco, ma non al suo cuore.

Quando il dio del tuono le rivelò in che modo Loki fosse morto, in Sigyn qualcosa s’offuscò, si spense. Sperò in suo ritorno; si disperò quando scoprì che si trattava di un desiderio vano. Fu lui a trovarla riversa a terra, a tastarle il polso freddo, a chiuderle gli occhi grigi spalancati e persi.

 

Buon Natale,

Shilyss

 

 

 

L’angolo di Shilyss

Cari Lettori,

Buon Natale un piffero, direte voi. Non volevo scrivere una shot natalizia. Non era nei progetti. Poi un pomeriggio ho aperto il file word e in un’ora ho scritto questa cosa qui – a me il Natale mette addosso tristezza e gioia. Ho immaginato potesse ricollegarsi sia all’universo di Era solo un gioiello/Come un vizio assurdo che a Sapevano di vino le sue labbra. Consideratela come il loro naturale proseguo. Ora, vi sembrerà che sia solo straziante, ma per me non è totalmente così. Loki e Sigyn in questa dimensione sono morti, è vero, ma le loro anime, le loro essenze, sono immortali – si cercano. In un certo senso, avranno decine, centinaia di altri finali. Il titolo e le professioni dei protagonisti sono un omaggio a Francis Scott Fitzegarld e a Zelda Sayre Fitzgerald, che mi hanno accompagnata con le loro penne negli ultimi anni. Lo stile è una sperimentazione: l’incalzante presente della scena cui Thor assiste si mescola col fiabesco c’era una volta.

Sperando che cotanto angst non vi faccia venire in mente di creare una bambolina voodoo con le mie fattezze, vi auguro di passare delle serene feste. Grazie in anticipo a chi leggerà, listerà e recensirà. Per voi un clic può non essere nulla, ma per un’Autrice significa tantissimo. Quando pubblichiamo vediamo le visualizzazioni, ma non sappiamo se la storia piace o no. Rimaniamo nel dubbio. Scrivere è condividere con voi un pezzo di anima e di cuore. Bastano undici parole o un clic nelle liste per rendere quest’attività esaltante, a volte drammatica e solitaria, sempre necessaria, perlomeno un po’ meno solitaria.

Parafrasando l’infinita Melania G. Mazzucco, posso dire che “solo chi crea conosce la gioia di sapere che la freccia scoccata verso il cielo non è caduta ai nostri piedi, ma ha colpito il cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante foto di Loki, di Sigyn e di Tom e un po’ di divertimento… c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/. 

 



[1] Si dovrebbe dire una flûte perché è un sostantivo femminile francese, ma nell’uso comune è più accettato il maschile.

   
 
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