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Autore: time_wings    20/12/2019    4 recensioni
Storia scritta per l'Advent Calendar Challenge 2019 del gruppo facebook Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart con Prompt: Anni luce.
Dal testo:
Il mondo aveva sempre avuto una caratteristica peculiare, ai suoi occhi. Non esistevano bene e male, né giustizia ed errore. Ad accompagnarlo, un’immane tristezza nascosta abilmente sotto strati infiniti di debolezze, sogni, aspettative e progetti; deviata dalla speranza di un significato da comprendere, una meta da raggiungere, uno scopo da perseguire.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Chuuya Nakahara, Osamu Dazai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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DUECENTOMILA CHILOMETRI




“Duecentomila chilometri.” Mugugnò Dazai, sorridendo distratto e lasciando calare lentamente le palpebre.
Le ciglia stanche gli accarezzavano le guance in una lotta impari contro il sonno.
“Resta sveglio,” Chuuya gli lasciò dei deboli colpetti su una guancia, riuscendo solo a spostargli la testa da una spalla all’altra: “non ci credo. Sei davvero un idiota.”
“Esci, Chuuya.” Ordinò lui, ignorandolo e schiudendo con fatica gli occhi per guardarlo armeggiare con un rotolo di bende lerce abbandonato alla sua destra. Sembrava non sapere dove mettere le mani: “Col cazzo. Abbiamo da fare, stasera abbiamo un colpo importante, noi…” La voce gli tremò di una disperazione mascherata da rabbia.
“Esci.” Replicò, riuscendo a sembrare glaciale anche in un momento del genere. Chuuya si bloccò con le bende a mezz’aria, fissando uno sguardo risentito nel suo stanco: “Ti ho detto di no, ma mi ascolti? Ohi, Dazai…” Chuuya lo colpì ancora: “Resta sveglio.”
“Fa’ silenzio, per favore.”
“Questa roba non si strappa, ma che…”
“Non mi serve il tuo aiuto.” La voce che lasciava sottilmente intendere un’ironia in quel momento evidente e rassegnata. Chuuya s’interruppe, abbassando lo sguardo e aggrottando la fronte, pronto ad esplodere: “Stai zitto!”
“0,123 masse solari.”
 
Il mondo aveva sempre avuto una caratteristica peculiare, ai suoi occhi. Non esistevano bene e male, né giustizia ed errore. Ad accompagnarlo, un’immane tristezza nascosta abilmente sotto strati infiniti di debolezze, sogni, aspettative e progetti; deviata dalla speranza di un significato da comprendere, una meta da raggiungere, uno scopo da perseguire. L’illusione continua che esista un motivo profondissimo e nobile, capace di innalzare anime perse e corpi riciclati da materia elementare.
Lui questa missione non la percepiva, non la conosceva, non la concepiva nemmeno.
Più volte gli pareva di portare un peso, un fardello, un bagaglio pesantissimo che nessuno avrebbe mai compreso, troppo occupati a parlare di futuro, di obiettivi.
Era una conoscenza che pagava cara, una genialità dal conto salatissimo. Era il peso sorprendente del vuoto, della consapevolezza di una nullità profonda che non sapeva comunicare, che provava da solo e che tentava di colmare aggiungendo strati su strati di cerotti e medicazioni, come se avessero potuto appesantirlo tanto da non farlo volare via, come se avessero potuto ancorarlo al terreno, renderlo come tutti gli altri: impegnato, interessato, determinato.

Ma in realtà era già morto.
 
Chuuya lo detestava, soprattutto quando lo insultava per la sua scarsa professionalità. Come se bisognasse arrivare in orario agli omicidi. Lo detestava. Davvero. Lo detestava.
Sapeva che lo faceva unicamente per farlo innervosire e, Dio, se ci riusciva. Era un talento naturale.
Spalancò la porta dello stanzino dei medicinali fatiscente in cui, a quanto pareva, gli piaceva rintanarsi di tanto in tanto: ‘vallo a capire’, pensava semplicemente ogni volta.
“Ma che stai facendo?” Domandò rude, mentre gli occhi si abituavano al buio.
La luce soffusa del corridoio si insinuò nell’ambiente attraverso la fessura della porta, illuminando fiocamente il cappotto nero abbandonato di fianco a lui ed una scia cremisi che scorreva dal suo braccio destro fino a infrangersi sul marmo freddo del pavimento: “Duecentomila chilometri.” Sussurrò Dazai, abbandonando il capo tra le ginocchia e lasciando ricadere i capelli scuri sul viso, nascondendolo agli occhi inorriditi del partner: “Cazzo.” Chuuya si avvicinò a lui in un attimo: “Ma come ti è venuto in mente?”
“Duecentomila…”
 
C’era chi sosteneva che un tempo non ci fosse altro che nulla, vuoto assoluto, buio inconsistente.
Non era forse incredibile che nella punta di uno spillo fosse contenuto ogni futuro possibile, ogni scelta, ogni anima, ogni persona, ogni esperienza, ogni universo e combinazione? Un tutto contrario e straripante, impaziente; un concentrato di energia pronto ad esplodere.

Secondo alcuni quell’abbondanza era destinata a tornare un soffio, un bagliore e infine di nuovo niente, in un’infinita danza caotica e ripetitiva.
Da qualche parte, in quella vastità affascinante, si nascondeva la possibilità di vedere ognuno di quei momenti, di osservare il nulla rinascere dal tutto, di rompere il gioco.
La vanità gli sembrava così evidente, sotto questa prospettiva.
In fondo avrebbe vissuto lo stesso schifo infinite volte.
In fondo era già morto.
 
“0,123 masse solari.”
“Hai intenzione di spiegarmi cosa stai blaterando?” Chuuya strinse tra i denti una benda sudicia e la recise con uno strattone, mentre premeva la mano libera sulla ferita.
“Lasciami andare, Chuuya.”
“Scordatelo. Tu mi liberi da Corruzione ogni volta. Non ti lascerò essere la metà più importante del duo.”
“Tremila gradi Kelvin.” Sussurrò, mentre Chuuya soffiava via un ciuffo che gli era ricaduto sugli occhi e applicava una benda, masticando un’imprecazione sottovoce.
“Costellazione del Centauro.” Dazai chiuse gli occhi e Chuuya distolse lo sguardo dal suo braccio per accertarsi che non stesse dormendo.
“Cosa mi tocca fare… Dazai, continua a blaterare, Kelvin, centauri, sirene, va’ avanti.”
“Proxima centauri.” Sussurrò con un filo di voce.
“Così non va.” Commentò tra sé: “Che fa Proxa… Fanculo.”
“Dista quattro anni luce.” Rispose Dazai, senza forze per prenderlo in giro per aver storpiato il nome.
“E cosa dovrebbe importarmi?” Strinse un nodo e osservò il risultato finale.
Pietoso.
“Per lei abbiamo ancora quattordici anni. Ci siamo appena conosciuti. Non siamo ancora il Doppio Nero.”
Chuuya fece schioccare la lingua e alzò un angolo della bocca in un sorriso sfrontato: “È una dichiarazione d’amore?”
“È il motivo per cui ti sto lasciando fare.”
Chuuya posò uno sguardo perplesso e irritato su di lui, chiedendogli spiegazioni a modo suo.
“In questo momento, per Poxima Centauri, sto pensando per la prima volta che valga la pena provare a vivere.”
“E adesso che pensi?”
Scosse piano le spalle: “Non so di che adesso tu stia parlando.”
Chuuya lo fissò interdetto per qualche secondo.
“Sei un malato.” Sentenziò, aiutandolo ad alzarsi, mentre si teneva fermo il braccio: “Avanti, dobbiamo andare a farti curare quella testa bacata.” Esalò, tirarandolo su.
“Sei il solito cane ignorante.” Replicò senza forze Dazai, accasciandosi sulla sua spalla e sorridendo beffardo.
“Bastardo.”




Notediel: L'ho davvero pubblicata qui!
Il viola in questo fandom è diventato un dovere.
Bando alle ciance, dovreste farvi un giro in quel gruppo facebook, se ne avete la possibilità. Un concentrato di dolore e sogni sublime e questa iniziativa è stata enorme, con una media di tre fanfic al giorno a tema h/c. Niente male.
Intanto sono qui a tremare per questa, in cui doveva essere Chuuya il sick, come ci si aspetta da lui e invece io no, ho voluto tentare questa mezza follia. Far apparire Dazai debole ma orgoglioso in meno di 1000 parole è stata una sfida. Sono alla terza ff in questo fandom e ho ancora paura di lui. Bene.
Spero ne sia valsa la pena.
A prestissimo!
Adieu,

El.

 
   
 
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