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Autore: NPC_Stories    23/12/2019    9 recensioni
Per quanto una madre ci possa provare con tutte le sue forze, tutti i ragazzini sono diversi. Può capitare che uno sia più discolo degli altri, e anche più difficile da leggere. Purtroppo creature assiomatiche come Santa Claus e il suo malefico aiutante Ruprecht hanno un'idea molto granitica di cosa sia un bambino buono e di cosa sia un bambino cattivo.
Krystel ha già sette figli e credeva di essere una madre navigata, eppure sta per scoprire con sua grande sorpresa che - ebbene sì! - ha cresciuto un bambino cattivo.
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Storia di Natale con i miei soliti personaggi originali.
PS: sì, lo so che non c'è traccia di Santa Claus nel canon dei Forgotten Realms, ma dal momento che la Wizard nel 2001 ha fatto la sua scheda... non potevo non citarlo, prima o poi.
Genere: Fantasy, Fluff, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1343 DR: Ruprecht


Diciannovesimo giorno di Nightal, in una locanda vicino a Secomber

Luel, il monello, se ne stava seduto su una panca di legno nella grande sala da pranzo, quella che di norma avrebbe ospitato i clienti della locanda. Naturalmente non ce n’erano in quel periodo, la neve era già alta e la gente non viaggiava più per commerciare come in autunno, ma la stanza era comunque ravvivata da chiacchiere e risate. Erano voci di bambini a riempirla, e i bambini non erano clienti perché non gli era richiesto di pagare.
Era una tradizione del posto, che i bambini venissero mandati a svernare alla Locanda dell’Orso. La proprietaria, Krystel, era una strega ed era la persona più qualificata per tenere a bada i malanni stagionali e scongiurare la fame. In due o tre mesi di permanenza alla locanda i bambini imparavano a fare tutti quei lavori che d’estate non si aveva il tempo di fare, inoltre imparavano anche a leggere e scrivere, a tirare con l’arco e a riconoscere le erbe. Era tutto finalizzato a renderli degli adulti indipendenti, e cosa ancora più importante, a farli crescere come una comunità.
Luel era troppo piccolo per comprendere appieno tutto questo, ma era contento di avere intorno un po’ di coetanei, per una volta. Gli altri bambini erano umani, per la verità c’erano anche un paio di halfling, ma non era strano perché Secomber vantava una florida comunità halfling. Il giovane figlio della locandiera era senza dubbio la creatura più esotica nel raggio di molte miglia. Luel aveva ereditato la pelle scura di sua madre, come anche le sue orecchie a punta, ma in tutto il resto era l’eredità fatata di suo padre ad aver lasciato il segno. I suoi capelli sembravano una cascata di seta nera e facevano quasi apparire la sua pelle grigia per contrasto, ed erano neri anche i suoi occhi, completamente neri, senza iride. La sua vista era eccezionale anche al buio, ma questo lo portava a soffrire un po’ troppo la luce del sole. Questo, e i canini leggermente appuntiti, avrebbero potuto far pensare a un vampiro… se non fosse stato per le ali da falena che gli spuntavano da sotto le spalle.
Luel amava le sue ali. Quando erano a riposo, potevano passare per un elegante mantello blu scuro, con riflessi più chiari e giochi di trasparenza. Per essere un bambino di sette anni era profondamente consapevole del suo aspetto misterioso, attraente, e anche adorabile a causa dei suoi occhioni enormi.
Tutte le bambine della locanda si erano già prese una cotta per lui, alcune se la trascinavano perfino dall’inverno precedente, cosa che lo faceva gongolare parecchio. Sua madre e le sue sorelle lo adoravano. C’era una sola persona che non sembrava soggetta al suo charme, e quella persona stava parlando con la locandiera proprio in quel momento. I due si erano ritirati in cucina per discutere del suo recente comportamento, ed era per quel motivo che Luel si era scelto una panca attaccata alla parete che separava la taverna dalla cucina: sperava di origliare qualcosa.
Purtroppo la grande sala era troppo chiassosa per sentire le deboli voci dei due elfi scuri dall'altra parte del muro.

“Krystel, devi fare qualcosa riguardo a quel tuo marmocchio!” Cominciò il guerriero, con espressione cupa e un tono che non era da meno.
“Oh, Daren, non essere così duro con lui. È solo un bambino.”
Una frase molto strana in bocca a una drow, ma Krystel, la locandiera, non era cresciuta in mezzo ai suoi simili. Era stata portata in Superficie da bambina e aveva vissuto gran parte della sua vita come membro di una comunità umana. Tutti i suoi figli erano nati in quel mondo, e avevano vissuto una vita protetta e privilegiata rispetto ai loro simili nel sottosuolo. Avevano una madre che li amava.
Daren, il fratello gemello di Krystel, aveva avuto una giovinezza molto diversa e lo stile di vita di sua sorella era qualcosa di non del tutto comprensibile per lui… ma lo giudicava positivo, in termini generali.
Tranne quando si trattava del più giovane dei suoi nipoti.
“Non sono arrabbiato per la mostarda nei miei stivali. È solo uno scherzo infantile, tra l'altro la sua natura fatata lo spinge a fare questo tipo di marachelle, lo so. Quello che mi preoccupa è che poi lui ti guarda con quegli occhioni neri grandi come laghi, ti fa quella tenera espressione dispiaciuta e tu credi davvero che sia pentito.”
“Stai dicendo che un bambino di sette anni mi sta volontariamente mentendo?”
“Sì! Sì, maledizione, non hai abbastanza figli da sapere che iniziano a mentire già a tre anni? Alcuni anche prima! Se non cominci ad educarlo diventerà un mascalzone convinto di poterla sempre fare franca grazie al suo bel faccino.” S’infervoró. Solitamente non avrebbe mai parlato così ad una femmina, ma questa volta la preoccupazione stava avendo la meglio sulla sua educazione. “E la cosa peggiore è che potrebbe essere vero. Potrebbe davvero riuscire a rigirarsi chiunque.”
Krystel distolse lo sguardo, ma Daren sapeva che avrebbe riflettuto seriamente sulle sue parole. Lei teneva conto della sua opinione, specialmente quando le parlava con tanta brutale sincerità.
“Devo confessare che non ero preparata a questo. Luel è sempre stato un discolo, ma finora si era trattato di scherzi innocui, una normale manifestazione della sua curiosità. Ultimamente però sta un po’… sta scendendo una china pericolosa. Nove mesi fa una gatta che vive qui intorno ha fatto i gattini. Un giorno, quando lei è andata a cacciare, Luel si è introdotto nel loro angolino privato e ha preso alcuni dei cuccioli. Li ha nascosti in giro per vedere se lei li avrebbe trovati. Poi… naturalmente mamma gatta li ha trovati, ma è stato un gesto irresponsabile e pericoloso.”
“E tu gli hai spiegato che era stata un’azione sbagliata e perché, immagino.”
“Certo, e qualunque altro dei miei figli avrebbe capito la spiegazione all’istante.” Krystel puntò lo sguardo in direzione della finestra, come se i gatti fossero ancora da qualche parte nel cortile innevato. “Ma qualche tempo dopo, l’ho pizzicato a fare agguati ai micetti mentre imparavano a cacciare. Gli piaceva vederli gonfiare il pelo per la paura, li trovava buffi.” Esitò solo un istante, ma Daren si accorse di quella pausa. “Gli ho spiegato di nuovo perché non doveva farlo. Il problema è che… Luel ogni volta sembra afferrare il concetto, ma non è capace di capire la logica che c’è dietro, cioè che non si devono importunare gli animali. Si limita a non fare le singole cose che gli proibisco di fare, ma ogni volta me ne combina una nuova.”
“No, tu credi che lui non capisca la logica generale, invece capisce benissimo, è solo che se ne frega” insistette Daren. “Sta mettendo in atto un trucchetto da codardo. Fa tanto l’innocentino ma è consapevole di fare cose sbagliate.”
“Non lo so, è solo un bambino, in fondo” ragionò lei, passeggiando nervosamente per la stanza. “Oh, immagino che presto avremo un responso. Se Santa Claus gli porterà dei doni, vorrà dire che non è in cattiva fede.” Si strinse nelle spalle, come se desse per scontato quel risultato.
Daren si appoggiò alla parete accanto al forno, godendosi il calore che irradiava e il profumo del pane in cottura. Non era convinto di quel discorso, ma era consapevole che cercare di far ragionare Krystel era un lavoro lungo e da dispensare a piccole dosi.
“Chi è questo Claus? L’ho già sentito nominare qui e là. Se aspetti un ospite credo che questa neve lo farà tardare parecchio.”
Krystel rimase basita a quella domanda, come se lui le avesse chiesto perché il cielo è azzurro, e le scappò una risata.
“Non si farà fermare dalla neve. Santa Claus è…”
“Biscotti?” La porta si spalancò di colpo, rivelando la sagoma di un elfo chiaro con gli stivali incrostati di neve. “Sento profumo di biscotti.”
Alle sue spalle, il piccolo Luel fece capolino alla porta e rivolse alla madre un gran sorriso, sperando di scroccare anche lui un po’ dei biscotti di cui parlava l’elfo.
“Johel, tu dentro. Luel, tu fuori.” Ordinò sbrigativamente Krystel, facendo cenno all’elfo dei boschi di avanzare. “E chiudi la porta, devo mantenere la temperatura qui in cucina.”
Johel fece come gli era stato detto e si chiuse la porta alle spalle, con grande delusione del ragazzino. Krystel lo ricompensò indicandogli un piatto con sopra dei biscotti che si stavano raffreddando.
“Ne ho fatta un’infornata senza burro, visto che quella volta sei stato male” lo informò graziosamente.
Johel afferrò un dolcetto con grande interesse. “Sono così buoni che li avrei mangiati anche al prezzo di stare male” confessò, facendo ridere la locandiera.
Daren buttò gli occhi al cielo, perché non approvava né la debolezza dell’elfo per i dolci, né i suoi plateali tentativi di approccio verso sua sorella.
“Bene, prima che tu venissi a confessare davanti a due drow che sei disposto a lasciarti avvelenare, noi qui stavamo avendo una conversazione adulta.”
“Sì, su Santa Claus” approfondì Krystel, con l’aria di voler fare una battuta. E lo era, basata sul fatto che Santa Claus è una figura in cui credono solo i bambini. Purtroppo andò sprecata perché i due elfi non erano in grado di cogliere il riferimento.
“Un tuo amico?” Tentò Johel.
Krystel rimase senza parole.
“Ma sul serio? Nessuno di voi due…?”
I due guerrieri scossero la testa.
“Ah. Va bene, immagino che sia una leggenda locale, sconosciuta agli elfi… la versione per bambini è che Santa Claus è un simpatico vecchietto magico che porta i doni ai bambini buoni, nella notte che precede il Solstizio d’Inverno. La versione per adulti è un po’ più complicata. Tanto per cominciare, di solito gli adulti non ci credono. Ad un certo punto della vita, ai ragazzini umani viene svelato il grande segreto: che Santa Claus non esiste. La verità è che esiste, ma smette di portare i doni ai bambini quando crescono, quindi il primo Solstizio in cui non si riceve nulla è il segno che il ragazzino è abbastanza grande da essere sottratto a quella magia. Lo si può considerare un rito di passaggio all’età adulta, il momento in cui si deve smettere di baloccarsi e iniziare a pensare alle cose serie.”
“E cosa c’è di complicato in questa versione?” Domandò Daren, ma in realtà non capiva davvero il concetto di un’entità che esiste, ma solo per i bambini.
“Vedi, già di suo è strano, o forse è sbagliato, che gli adulti vengano convinti che Santa Claus non esiste quando invece esiste. Secondo me è un segno di grande pragmatismo: che esista o no, non ha più un ruolo nella mia vita, quindi tanto vale che non esista. Però, quando i ragazzi diventeranno adulti e si formeranno una famiglia propria, non mancheranno di insegnare ai loro bambini che Santa Claus esiste. E così il magico vecchietto tornerà a vivere per la generazione successiva. Tutto considerato è un’entità molto circostanziale, si manifesta solo un giorno all’anno e solo per un periodo della vita di ciascuno. Ma naturalmente la faccenda è più complessa di così.”
Krystel afferrò uno strofinaccio e lo usò per togliere un bricco di acqua calda dal focolare, poi con tutta calma preparò una tisana per l’elfo infreddolito. I suoi due spettatori rimasero in religioso silenzio, in attesa che continuasse.
“La versione di noi streghe scava un po’ più a fondo. Santa Claus è stato chiamato così in onore di un antico umano illuskan, Claus o forse Nicholaus, che è vissuto laddove ora sorge Waterdeep. Era noto per essere una persona gentile, che non esitava a condividere le sue risorse con i vicini. Probabilmente era una figura religiosa. La storia però si fonde con il mito; dopo milleduecento anni è normale, stiamo parlando di umani.” Krystel tacque un momento e il suo sguardo vagò nel vuoto, come se stesse cercando di ricordare i dettagli. “Dopo la sua morte, la leggenda prese forza, e i prodigi a lui attribuiti cominciarono a manifestarsi. Soprattutto la cosa dei regali ai bambini buoni. Ma per spiegarvi perché questo è successo, vi devo parlare anche della sua controparte. Ruprecht il Servo, il galoppino di Claus. Non è una figura positiva. Mentre Santa Claus distribuisce doni ai ragazzini meritevoli, Ruprecht punisce i bambini cattivi. Ha l’aspetto di un vecchio segaligno che indossa un saio marrone con un cappuccio, come un chierico povero, è spaventoso e frusta i bambini con uno scudiscio per punirli delle loro malefatte.”
Daren, che aveva appena preso una tazza di tisana, la appoggiò con tutta calma su un tavolo. Le sue mani stavano tremando leggermente.
“Come, scusa?”
Krystel credeva che il fratello avesse sentito, ma gli ripeté comunque l’ultima parte del discorso.
“Anche questo Ruprecht esiste davvero?” Inquisì il drow.
“Sì, certo, dove va Claus va anche Ruprecht… se ce n’è bisogno. Qui, nella mia locanda, non si è mai visto.”
“E tu non credi che Luel sia in pericolo?”
“Ancora con questa storia?” Krystel scattò con rabbia, infastidita. “Luel è esuberante, non sa contenersi, è molto curioso e purtroppo fare scherzi è nella sua natura, ma è un bravo bambino!”
“Senti, io sono solo preoccupato per mio nipote” si difese Daren.
“Ti preoccupi perché sei paranoico” la strega agitò una mano come per dissipare i suoi timori. “Apprezzo che tu sia protettivo con i bambini ma non è il caso.”
“Stanotte rimarrò di guardia” decise il guerriero.
“Non serv…”
“Non ti sto chiedendo il permesso.”
Johel rimase in silenzio ad assistere al loro scambio di vedute sgranocchiando un biscotto, con l’aria di qualcuno che si sta godendo lo spettacolo.
Krystel alzò gli occhi al cielo. “Oh, va bene! Chi sono io per dirti di non sprecare il tuo tempo? Ora posso andare avanti con il racconto?”
Il silenzio dei due elfi fu una risposta sufficiente.
“Bene” Krystel si sforzò di ritrovare il giusto tono di voce, per recuperare l’atmosfera che si era creata poco prima. “La verità dietro a tutte le leggende, è che Santa Claus e Ruprecht il Servo rappresentano… diciamo che sono la cristallizzazione di spiriti molto più antichi. Esistono cose in questo mondo che non sono dèi, e non sono spiriti primordiali, ma sono qualcos’altro ancora. Tutte le creature senzienti hanno bisogno di organizzare il mondo nella loro mente, nella loro cultura, e quindi riconoscono alcuni… aspetti del mondo naturale, come più importanti di altri. C’è un vasto simbolismo legato al Solstizio d’Inverno, ma presso quasi tutti i popoli viene riconosciuta la sua natura dualistica: è il giorno più breve dell’anno, o se vogliamo dirlo in altri termini, la notte più lunga, quindi è il momento più oscuro. Ma l’alba del Solstizio segna un punto di svolta, perché da quel momento le giornate torneranno ad allungarsi. Quindi c’è questa doppia valenza, la luce che risorge dalle tenebre. Alcuni popoli enfatizzano il lato oscuro di questa ricorrenza, dedicando questo momento all’introspezione o alla meditazione, altri interrogano le stelle nella lunga notte, ma ci sono anche popoli che celebrano il ritorno della luce. In queste zone si fanno entrambe le cose. Teniamo i falò accesi tutta la notte, prima del tramonto accenderemo anche il nostro, in cortile. Gli adulti restano all’esterno a badare al fuoco, i bambini stanno in casa al sicuro, a dormire. Santa Claus entra dalla canna del camino e lascia doni e frutta per i piccoli. Si tratta di un gesto benaugurante, i frutti aiutano a superare l’inverno e i doni sono un buon auspicio perché i bambini sopravvivano oltre l’infanzia. Per questo, capite, Santa Claus rappresenta l’aspetto luminoso della festa, lo spirito della luce, la vita. Invece Ruprecht il servo, come sua controparte, rappresenta l’aspetto tenebroso, l’oscurità, la paura di non arrivare vivi alla fine dell’inverno. Punisce i bambini cattivi perché i comportamenti antisociali minacciano la sopravvivenza di tutta la comunità. È tutto riconducibile a questo simbolismo, seguendo percorsi mentali logici.”
“Percorsi mentali logici” ripeté Daren, che stava iniziando a capirci qualcosa. “Ma allora perché relegare queste due figure all’età infantile?”
“Perché gli adulti ne hanno paura, immagino. Se guardi alla loro origine, la lunga notte e il ritorno del sole sono due eventi naturali, immodificabii, incontrollabili. Alle persone viene naturale avere paura di ciò che non possono controllare, e quindi hanno cercato di rendere vivi questi eventi, per poterci interagire. Bandire l’oscurità, relegandola a un ruolo punitivo e negativo ma utile a far crescere la comunità, e ingraziarsi la luce… ringraziarla, in qualche modo.”
“Per questo stai facendo dei biscotti per questo Santa Claus?” Domandò Johel, masticando in fretta e sentendosi un po’ colpevole.
“Sì, ma quelli sono per te” lo tranquillizzò lei. “Non mi sognerei nemmeno di fare biscotti senza burro per Santa Claus, non voglio mica offenderlo.”
“Può davvero offendersi?” chiese Daren, perché fino a quel momento si era fatto l’idea che non esistesse per davvero.
“Certo che può offendersi. Devo stare attenta a non farlo, porterebbe sfortuna per l’anno prossimo.”
“Ma non è solo una facciata? Un nome posticcio attribuito a un evento?” insistette il drow.
“No…” la locandiera corrugò la fronte, ripensando a quello che si erano detti fino a quel momento. “Questo è il modo in cui è stato creato, ma ora esiste davvero. Non è geniale? Individua un evento atmosferico importante, al di fuori del tuo controllo. Comincia a dargli un nome, a dargli un significato simbolico. In questo modo fai nascere uno spirito che possa fare da intermediario fra te e quell’evento naturale prima incontrollabile. Ma non è ancora abbastanza, quindi prendi quello spirito e concretizzalo in una forma umanoide. Adesso hai qualcosa di simile ad un dio. Ma ti fa ancora paura, e per tamponare quella paura lo releghi al mondo dell’infanzia. Non può più toccarti una volta che sei adulto. E quindi, per conseguenza, non sei più soggetto ai rischi dell’inverno una volta che sei adulto.”
Daren forse ora riusciva a capire, era tutto uno schema complicato e sovrannaturale per prendere la paura della morte e raccontarsi che riguardava solo i bambini. Come se l’adolescenza e il non ricevere più regali sancisse non solo il passaggio all’età adulta, ma anche a uno stato di forza e invulnerabilità.
“Ma quindi tu sei un’adulta eppure ci credi” rettificò il ranger.
“No, Johel, io sono una strega e so. È diverso dal crederci. È qualcosa di più… e allo stesso tempo qualcosa di meno.”
L’elfo chiaro aveva l’inconfondibile espressione di chi non riesce a capire.
Krystel sospirò, pensando a quanto fosse difficile spiegare le cose alle non-streghe. “Hai mai guardato uno spettacolo teatrale da dietro le quinte? Lo spettacolo è sempre bello, ma vedi tutti i trucchi. Lo apprezzi in modo diverso, con un animo diverso. Un sentimento di complicità e rispetto, ma non di meraviglia. Quello che io provo non è molto utile agli spiriti del Solstizio, non è fede, non gli dà potere. Faccio la mia parte raccontando ai bambini che loro esistono.”
“E facendo i biscotti” puntualizzò Johel.
“Come tutti gli adulti” confermò Krystel.
“Ma allora, se il tuo compito non è diverso da quello degli altri adulti, a cosa ti serve sapere queste cose?” S’intromise Daren, perché erano anni che si rigirava questa domanda. Sua sorella ai suoi occhi era una specie di sacerdotessa, eppure aveva un ruolo quasi passivo nella sua comunità.
Krystel lo guardò senza capire bene la domanda. “Uh… è il mio lavoro? Le streghe sanno cose. Non sai mai quando quella conoscenza ti servirà, il nostro sistema di magia è molto fluido. Possiamo ripetere formule già collaudate, ma possiamo anche inventare rituali nuovi, e per farlo bisogna conoscere… tutto. In un certo senso è come inventare una nuova ricetta, devi conoscere tutti gli ingredienti, come si mescolano fra loro a livello di consistenza e di sapore, in quale modo cuocerli e per quanto tempo. Nessuno l’ha mai fatto prima quindi solo una perfetta conoscenza del proprio campo garantisce il successo.”
Il drow ascoltò la spiegazione, impacchettò i suoi dubbi e li nascose in un angolo della sua mente. Secondo lui maghi e sacerdoti facevano la stessa cosa con molto meno sforzo creativo, ma tenne quella considerazione per sé.
“Sul serio non hai paura che questo Ruprecht venga per bastonare lo stronzetto?” Tentò invece.
“Un’altra parola su questo argomento e ti chiudo nel forno insieme al panpepato” promise Krystel, lanciandogli un’occhiata di fuoco.

Al crepuscolo la strega accese un grande falò fuori dalla locanda, laddove quel pomeriggio Johel, i figli di Krystel e alcuni dei ragazzi più grandi ospiti alla locanda avevano gentilmente spalato la neve.
Era davvero un falò enorme perché sarebbe dovuto durare tutta la notte. I bambini avevano già cenato ed erano andati a dormire al tramonto, prima del solito, perché c’erano delle regole precise da rispettare la notte del solstizio.
Luel se ne stava fregando delle regole, ma non era tutta colpa sua. Suo padre era un danzatore del crepuscolo, una rarissima specie di fate che non aveva bisogno di dormire. I danzatori del crepuscolo erano capaci di suonare e danzare anche tutta la notte senza mai doversi fermare e senza stancarsi, quindi il bambino, anche se era solo mezzo-fata, era iperattivo. Poteva correre tutto il giorno senza stancarsi, aveva continuamente bisogno di stimoli e sentiva il peso della stanchezza solo ogni due o tre giorni. Sua madre l’aveva tenuto sveglio negli ultimi giorni nella speranza che per quella notte sacra fosse stremato dalla stanchezza e si arrendesse a dormire un po’, o almeno a fare la reverie come gli aveva insegnato lei. Luel però era troppo emozionato per l’arrivo di Santa Claus e avrebbe tanto voluto vederlo.
Il monello aspettò che gli adulti fossero nel cortile grande dove avevano fatto il falò, poi uscì in punta di piedi dalla sua stanza e sgattaiolò fuori dalla casa padronale. Per arrivare alla taverna avrebbe dovuto passare attraverso il pollaio e la stalla degli asini, e quelle bestiacce di sicuro l’avrebbero tradito facendo rumore, quindi Luel decise di spiccare il volo dal cortiletto privato davanti alla casa di sua madre, passare dietro all’edificio dove ospitavano i clienti, che l’avrebbe nascosto alla vista, e atterrare sulla torre della campana che svettava proprio sopra al refettorio. C’era una botola nella torre campanaria che permetteva l’accesso alla cucina, e da lì alla taverna.
Il bambino conosceva la locanda di sua madre come il palmo della sua mano, e non ebbe problemi ad arrivare indisturbato proprio dove voleva.
La taverna era vuota. Nel grande stanzone c’era il camino più imponente della locanda, che abbracciava un fuoco in via di spegnimento. La luce delle fiamme oscillava, creando ombre spettrali, ma Luel non aveva paura di quel luogo familiare.
Su un tavolo nei pressi del camino sua madre aveva lasciato un bel piatto di biscotti fragranti, un dono per Santa Claus come da tradizione, accompagnati da un bicchiere di vino caldo speziato. Il tutto era avvolto da un piccolo incantesimo che avrebbe mantenuto il cibo e il vino in temperatura.
Luel non era interessato all’alcol, ma accidenti, quei biscotti rappresentavano una tentazione più grande del fatto stesso di essere lì ad attendere Santa Claus, contro tutte le regole.
Il piatto di biscotti è grandissimo, nessuno si accorgerà se ne manca uno… o due… o una manciata, si disse il ragazzino, avvicinandosi di soppiatto al grande tavolo davanti al camino.
Arrivò sotto al tavolo come una spia in missione segreta, allungò una manina nera verso il piatto… un coltello si piantò nel tavolo con precisione fra il suo dito indice e il medio.
Luel alzò lo sguardo, terrorizzato, e si trovò davanti il viso imbronciato e minaccioso di suo zio Daren.
Un brivido di paura gli scese lungo la schiena. Lo zio sembrava immune al suo fascino da tenero frugoletto, ed era sempre difficilissimo persuaderlo a fare come voleva Luel.
“Ah… ciao, zietto” tentò, sfoderando il suo migliore sorriso e la sua espressione più innocente. “Volevo… controllare che i biscotti fossero caldi.”
“Che bravo. Io volevo controllare che tu non avessi un dito di troppo.” Rispose il drow, glaciale.
Luel deglutì a vuoto. I suoi enormi occhi neri si spalancarono in un modo che avrebbe ispirato senso di protezione in chiunque. Tranne che in Daren. Lui era già protettivo verso i suoi nipoti, ma aveva uno strano modo di dimostrarlo.
Si chinò verso il bambino e gli sussurrò all’orecchio: “Non vorrai che Ruprecht venga qui per te?”
“Io non sono cattivo!” Ribatté il piccolo, reagendo in modo violento e impulsivo. Per una volta la sua reazione non era costruita, si sentiva davvero offeso per quell’insinuazione. Daren rimase stupito da quello slancio di sincerità e capì che Luel, in cuor suo, era convinto di essere un bravo bambino… o di non essere cattivo, quanto meno.
Non che questo fosse garanzia di alcunché, molte persone credevano di essere buone e non lo erano.
“Torna in camera tua” lo freddò Daren, senza cedere di un pollice. “E cerca di dormire.”
Luel gli lanciò un’occhiataccia colma di risentimento e gli voltò le spalle, correndo verso la sua stanza.
Daren lo guardò andare via, poi con calma tornò a sedersi vicino al camino. Non gli importava di spiare l’arrivo di Santa Claus, ma se Ruprecht il Servo si fosse azzardato a calarsi dal camino, l’avrebbe fatto a fette con la sua spada prima che avesse il tempo di dire ma.

Le ore passarono lentamente, ma un drow sapeva essere paziente. Il camino bruciò tutti i suoi ceppi finché non restarono solo le braci; il mattino dopo sarebbe stato riacceso con le braci del falò notturno, ma ora doveva spegnersi, per permettere l’arrivo di Santa Claus.
Krystel aveva appeso molte decorazioni nella stanza, specialmente vicino al camino; piccoli pendagli fatti di rametti e corde, piume e sassolini, che sembravano un po’ degli acchiappasogni. Quando la stanza fu completamente buia, quei festoni rudimentali cominciarono a oscillare come se nel salone ci fosse una leggera brezza, ma le finestre erano ben chiuse.
Il calo di temperatura fa muovere l’aria nella stanza? si chiese il drow, sperando che fosse solo quello.
Nel frattempo, all’esterno, Krystel sollevò la testa come se avesse sentito un rumore. Sua figlia Amber, che era accanto a lei in quel momento, se ne accorse e la guardò con curiosità.
“Mamma?”
“Sta succedendo” sussurrò Krystel, facendo un gesto con la mano in direzione della taverna. “Ma qualcosa non va. Ho lasciato dei piccoli sensori magici intorno al camino, per avvertirmi nel caso in cui… fosse in arrivo un pericolo.”
“Un pericolo? La notte del Solstizio?” La drow era perplessa e lo lasciava vedere chiaramente, nella sua ingenuità giovanile. Krystel però non vedeva il mondo così in bianco e nero, sapeva che il solstizio non era solo una celebrazione di gioia.
“Amber, sto per chiederti una cosa un po’ strana. Tu pensi che Luel sia… un bambino cattivo?” domandò, esitante.
“No, il piccolo Luel?” Amber spalancò gli occhi. “Un po’ dispettoso forse, ma…” esitò un momento. “Forse è meglio chiedere il parere di Tek. Lui è bravo a capire la gente.”
Quasi come se fosse stato evocato, il fratello adottivo di Amber comparve al suo fianco, reggendo due boccali di vino speziato. Li porse con deferenza alla madre e alla sorella, un’abitudine servile che era solo un retaggio della sua famiglia d’origine, ma che non aveva ancora perso.
“Grazie figliolo” Krystel prese il suo boccale, ma non riuscì a distogliere gli occhi dalla sagoma lontana della taverna. “Senti, in tutta sincerità, diresti che Luel è un bambino cattivo?”
Tek’ryn sembrò preso in contropiede da questa domanda. Adorava il suo giovane fratellino, aveva un senso dello humor un po’ pepato, ma in cuor suo non poteva onestamente dire che fosse buono.
“Luel è… non è malvagio, io ho visto la vera crudeltà e non è il suo caso. Però non è neanche quello che qui, in questa cultura, viene definito un bravo bambino. Se dovessi giudicarlo secondo gli standard della Superficie, direi che sarà fortunato se quest’anno riceverà da Santa Claus uno di quei tremendi maglioni di lana che pizzicano dappertutto.”
Krystel impallidì, anche se sulla pelle nera si vedeva a malapena. Restituì il boccale di vino a Tek’ryn e cominciò a correre verso il refettorio.

Non fu necessario arrivarci. La porta della taverna si apriva sotto il portico che dall’esterno accompagnava i visitatori verso il cortile interno, e in quel momento era spalancata. Dall'interno non proveniva alcuna luce perché il camino si era già spento, ma si poteva udire un tenue allegro scampanellio. All'esterno invece la situazione era molto più cupa, e l'attenzione di Krystel venne calamitata da una scena che avrebbe potuto essere il frammento di un incubo.
Ruprecht il Servo. Krystel non l'aveva mai visto, ma aveva capito al primo sguardo che si trattava di lui.
La sua figura era avvolta in un saio scuro ed era coperto da un mantello da viaggio. Si vedeva ben poco dei tratti del suo volto, la barba grigia era così ispida che sembrava un nido d'uccello e gli copriva tutta la parte inferiore del viso. Anche le sopracciglia erano cespugliose, ma non riuscivano a nascondere i suoi occhi piccoli e malevoli.
La creatura, che all’apparenza sembrava un umano, si stava avviando verso il cortile interno. In quella direzione c’erano le cucine, i magazzini, il pollaio… e la casa di Krystel e dei suoi figli. Daren era in piedi davanti a quello spirito ancestrale, che era nato dalla paura del lungo inverno e che probabilmente era inarrestabile… e gli puntava contro la sua spada bastarda. Krystel sapeva che suo fratello era un guerriero coraggioso, ma questa era follia. Non si poteva fermare Ruprecht, era come cercare di fermare l’inverno.
Il drow scattò in avanti, la spada bastarda descrisse un arco obliquo, la lama biancastra sibilò e passò attraverso alla figura di Ruprecht come se fosse stato nebbia.
“Vith” sibilò il guerriero fra i denti.
L’oscura entità reggeva in mano una lunga verga sottile e vibrò una violenta sferzata, con l’espressione placida di chi sta scacciando una mosca. Daren alzò la spada per parare, ma la frusta passò attraverso la sua spada, attraverso la sua armatura leggera… e attraverso il suo corpo.
I due si guardarono a vicenda per un attimo, manifestando la stessa incredulità. Era chiaro che entrambi erano stati traditi dalle proprie armi e ne erano rimasti sorpresi.
“Stupido pezzo di merda!” Daren fu il primo a riprendersi dallo stupore. “Non puoi colpirmi con la tua frusta, non sono un marmocchio tremante. Stai alla larga da mio nipote!”
Ruprecht il Servo lo fissò di nuovo negli occhi con quell’espressione di biasimo, e Krystel poteva vedere i suoi occhi solo da una posizione molto scomoda e laterale, ma già così sentì che le tremavano le ginocchia. C’era giudizio in quello sguardo, ed era il giudizio di un’entità molto simile a un dio.
Daren si trovò a fronteggiare quello sguardo intimidatorio viso a viso, ma a differenza di sua sorella, il drow non era più in grado di provare paura. Rispose a quell’occhiata truce con un gesto della mano che, diversamente dal linguaggio gestuale drow, era perfettamente comprensibile anche dagli umani.
Ruprecht lo fissò ancora per un attimo, indignato, poi decise che quel piccolo mortale non era un vero ostacolo, e che poteva tranquillamente ignorarlo. Ricominciò a camminare, e Daren dovette indietreggiare. L’elfo scuro abbassò la mano libera a toccare una delle sue cinture, un oggetto artistico interamente composto da fili d’argento intrecciati. Mormorò una parola magica e un filo argenteo si dissolse in polvere, ma in cambio una semisfera di energia sacra brillò per un istante intorno a lui. L’effetto visivo era a malapena distinguibile, come se l’aria intorno a lui vibrasse per il calore.
Ruprecht sollevò un sopracciglio e avanzò ancora. Il Cerchio magico contro il Male non fece nulla per fermarlo.
Krystel si sentiva ancora il gelo nel sangue, ma una parte della sua mente aveva iniziato a lavorare rapidamente.
No, no, lo stai affrontando nel modo sbagliato. Non è un nemico, non è malvagio. È solo… parte della logica del mondo. È un simbolo legato alla coscienza collettiva di questo territorio. Come diamine lo fermi, un simbolo? Pensa, Krystel, pensa… sei una strega…
Di opzioni ce n’erano, ma erano idee terribili. Ruprecht viveva della fede delle persone, e quella fede poteva concretizzarsi dando forma agli spiriti solo perché il loro intero mondo era altamente magico. Il modo più efficace per neutralizzarlo sarebbe stato rendere il mondo meno magico, almeno quel piccolo angolo di mondo. Ma Krystel e tutta la sua gente basavano le loro vite su quella magia. La magia le permetteva di benedire i campi e renderli perennemente fertili, la magia l’aiutava a curare le malattie dei suoi amici e vicini, la magia aveva ridotto la mortalità infantile praticamente a zero e aveva salvato più di una donna dai pericoli del parto. La magia faceva semplicemente parte di come funzionava il mondo. Di come doveva funzionare il mondo.
E anche Ruprecht ne faceva parte. Era una creatura odiosa, ma il suo ruolo sociale era molto chiaro. Aveva un posto. Aveva un compito. Se voleva punire suo figlio Luel, era perché evidentemente era giusto farlo.
Krystel non l’avrebbe accettato, ma almeno, per la prima volta, lo stava riconoscendo.
È anche colpa mia, si disse, mettendosi a correre verso la sua casa. Ruprecht la vide, ma la lasciò andare, convinto com’era di essere inarrestabile. Lo spirito non aveva alcuna fretta.
Krystel sperava con tutto il cuore che si sbagliasse, che la sua flemma fosse data da eccessiva confidenza.
Avrei dovuto educare Luel con più attenzione. È anche colpa mia. Non permetterò che venga frustato, ma deve avere una punizione… e spero che sia anche un valido espediente per fermare il Servo.

Luel era andato a letto, ma non aveva nessuna voglia di dormire. Non aveva nemmeno intenzione di uscire dalla stanza, ma più che altro per paura di suo zio. Quel dannato impiccione sembrava sempre essere ovunque, peggio di una guardia cittadina… o di un halfling… o di una guardia halfling. Una rottura di scatole.
Il ragazzino comunque se ne stava lì al buio, rimpiangendo quei bellissimi biscotti, architettando piani per sfuggire al controllo dello zio, e l’ultima cosa che si aspettava era di ricevere visite in quel momento. Per questo fu molto sorpreso quando sua madre aprì di soppiatto la porta e s’infilò nella stanza scura, all’apparenza ignara che suo figlio fosse sveglio.
“Mamma?” Luel si tradì subito, ma era troppo sorpreso. “Che ci fai qui?”
“Oh! Luel, sei… accidenti… non l’avevo previsto. Sono qui solo per…” la drow annaspò come in cerca di una spiegazione, poi si arrese e inscenò un’espressione triste. “Sono venuta qui per nascondere il tuo regalo del Solstizio” confessò, mostrando un sacchettino.
Luel aprì e richiuse la bocca, ammutolito dallo stupore.
“Ma… mamma… Santa Claus porta i regali. Compaiono sotto al letto per… per magia.”
“Oh, tesoro mio” Krystel lo guardò ancora con quegli occhi tristi, e non doveva fingere: era davvero dispiaciuta per quello che stava per dirgli. “Non avrei voluto che lo scoprissi così presto. Santa Claus non esiste.”
Luel la guardò in silenzio atterrito, per un momento.
“Ma come, non esiste?” Pigolò, smarrito. “Ma… i regali… e tutte le proibizioni… non mangiare i biscotti di Santa Claus e non stare svegli per vederlo arrivare e…”
“Quelle proibizioni servono ad assicurarsi che i bambini dormano e non vedano la verità. Sono i genitori a mettere i regali sotto al letto. Mi dispiace, piccolo. Santa Claus è una favola per bambini. Per farli comportare bene: se fai il bravo, ricevi un regalo, se fai il cattivo arriva Ruprecht il Servo e ti frusta. È una favola.”
“Non… non esiste nessuno dei due?”
Krystel rimase a guardare impotente mentre gli occhi del suo piccolo si riempivano di lacrime. Era colpa sua. Non avrebbe dovuto lasciarsi irretire dal suo aspetto adorabile, Daren aveva ragione. Adesso aveva dovuto infrangere la magia almeno due o tre anni prima del tempo.

Luel vagliò quella terribile rivelazione alla luce della logica. Quello che aveva detto sua madre era vero, era impossibile che non fosse vero: Santa Claus non poteva certo visitare tutti i bambini da Neverwinter a Waterdeep, dalle Lande d’Argento a Secomber, tutto nel corso di una sola notte. Neanche se era magico.
Come aveva fatto a crederci? Quanto era stato stupido?
Questa, dopotutto, era la magia della leggenda di Santa Claus: era come una bolla, che il minimo soffio poteva far esplodere. Era così facile non crederci più. E una volta morto nel cuore di un bambino, non poteva più tornare in vita.
Luel non si accorse che sua madre si era seduta accanto a lui e l’aveva preso fra le braccia. Non si accorse che gli aveva avvolto una coperta intorno alle spalle. Non si accorse nemmeno che una figura incorporea e minacciosa era appena passata attraverso la porta della sua stanza, reggendo in mano una verga.
Quando Ruprecht il Servo lo sferzò con la sua frusta, l’arma passò attraverso il suo piccolo corpo, innocua. Luel non poteva più vederlo, non poteva più sentirlo, e non poteva più essere toccato dallo spirito del Solstizio.



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E ve l'avevo un po' promesso... Santa Claus by Wizards of the Coast (3ed)

   
 
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