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Autore: vento di luce    23/12/2019    12 recensioni
"Lasciatemi",gridò un ragazzo durante un violento temporale.
Nell'aprire quella porta,che non aveva più osato varcare dopo essere ritornato da Londra,un brivido lo percorse.
"Tu",disse stropicciandosi gli occhi,procedendo a piccoli passi,"sei proprio tu?"
Genere: Malinconico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Abel Butman, Arthur Butman, Georgie Gerald
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono di Yumiko Igarashi.
Un saluto a chi leggerà questa storia.
 
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“Lasciatemi”,gridò una notte un ragazzo,durante un violento temporale,lottando fra le lenzuola di un letto,divenuto ormai troppo piccolo. ”Lasciatemi maledetti!”,disse di nuovo,aprendo poi gli occhi all’improvviso,alzandosi di scatto in quella che,una volta,era la sua stanza d’infanzia nella campagna australiana.
 Con il respiro affannato,si toccò il volto imperlato di sudore. Sospirò nel vedere quelle braccia,tante volte martoriate,prive di segni,dirigendosi in cucina,un tempo animata da fragorose risate. Guardò dalla finestra la pioggia abbattersi impetuosa al suolo,come quel malaugurato giorno in cui tutto ebbe inizio. Georgie a terra fradicia,la madre furiosa,fino a quando un rumore,proveniente dalla stanza della defunta signora Buttman,lo ridestò da quei pensieri.
In quell’istante il cuore del giovane Arthur iniziò a battere più velocemente. Nell’aprire quella porta,che non aveva più osato varcare dopo essere ritornato da Londra,un brivido lo percorse. Aveva versato tante lacrime,solo,il giorno del funerale della donna. Un odore di chiuso lo pervase,l’antico mobile di legno,il dipinto alla parete,il grande vaso a terra,il letto dove si era disperata la madre gli ultimi istanti di vita,tutto era al solito posto. Alla vista di un fulmine,che squarciò quell’oscurità soffocante,seguito subito dopo da un forte boato,il ragazzo sobbalzò,scorgendo un’alta figura di spalle.
“Tu”,disse stropicciandosi gli occhi,procedendo a piccoli passi,“sei proprio tu?”,continuò avvicinandosi ancora,incontrando quelle iridi blu,velate di tristezza,per degli istanti interminabili.
“Quel giorno sono andato via andato via senza nemmeno salutarla”,sussurrò solamente l’altro,distogliendo poi lo sguardo,con in mano un crocifisso.
“Quando sei arrivato,come mai sei qui ?”,esclamò Arthur strofinandosi di nuovo gli occhi,ma suo fratello,con il volto più scavato e delle occhiaie profonde,era lì davanti a lui. “Dov’è Georgie?”,chiese sentendo la sua voce rimbombare,in quel silenzio assordante,senza ottenere risposta. Si portò le mani alla testa,sempre più pesante,mentre la vista iniziava ad appannarsi e poi il buio.
 
I raggi del sole accarezzarono il mattino seguente il volto del giovane.
“Abel”,mormorò alzandosi a fatica dal letto della madre,”dove sei Abel?”,continuò chiamandolo per tutta casa,gridando il suo nome anche fuori,ma l’unica voce che poteva udire era quella del vento.
Scosse il capo,sciacquandosi poi il viso alla fontana con dell’acqua fresca,un gesto che amava fare sin da bambino,massaggiando l’addome con una mano,attanagliato da un nodo allo stomaco.
Non toccò cibo,pur avendo appetito,bevendo soltanto un bicchiere d’acqua,sistemando poi le stanze come suo solito,ma quella volta era diverso. Spalancò la finestra della camera di Mary dopo tanto tempo,respirando quell’aria frizzante solleticargli le narici.
Si sedette infine in cucina,tamburellando le dita di una mano sul tavolo di legno,decidendo di non andare a lavorare nei campi,ma di recarsi solamente in paese per alcune compere. Annotò quel che gli serviva e si avviò con il carro lungo la Valle del Sole. Un’altra giornata di normale quotidianità,illusoria per Arthur,era iniziata alla fattoria Buttman.
 
“Tutto bene figliolo?”,disse una voce maschile durante il tragitto.
“Ciao zio Kevin,si tutto bene grazie,tu?”,rispose il ragazzo,mordendosi il labbro inferiore,agitando una mano.
“Non c’è male,appena puoi passa da me”,esclamò il vecchio allontanandosi.
Arthur annuì,facendo un cenno con la testa. Quell’uomo,con la sua discreta presenza,era stato l’unico ad essersi preso cura di lui e sul quale poteva fare davvero affidamento,dopo la morte dei genitori e quanto successo oltreoceano. Il giovane aveva però preferito,anche se soffriva spesso la solitudine,non accettare l’offerta dello zio di andare a vivere con lui,nemmeno per un breve periodo. Si sforzava così di mandare avanti la fattoria e la casa,nonostante non si fosse ancora del tutto ristabilito,come meglio poteva. Sapeva che il suo posto era lì,dove era nato e vissuto da sempre.
Ogni volta che prendeva il carro,Arthur amava guardare quel paesaggio incontaminato,i prati verdi,gli alberi rigogliosi,il cielo limpido,luce nuova per le sue iridi azzurre,annebbiate per troppo tempo dalla prigionia. Sorrise vedendo in lontananza un canguro avanzare a grandi salti,provando a superarlo,quando tirò all’improvviso con forza le redini del cavallo,sbarrando gli occhi.
Su quel terriccio,luogo in cui ogni giorno andava a pregare,davanti le lapidi dei genitori,Eric e Mary Buttman,c’era Abel in piedi,con la testa china.
 “Ma allora eri tu,sei davvero tu!”,disse fra sé,osservando il fratello in lontananza senza dire niente,andando poi via. Sapeva che avrebbero avuto tutto il tempo per parlare.
“Vivi una splendida vita con lei”,udì ad un tratto Arthur nella sua testa,“vivi una splendida vita con lei”,udì di nuovo,quasi giunto in paese.
Si guardò intorno,mordendosi l’unghia di un pollice,proseguendo fino al negozio della signora Potter. Vacillò al pensiero che gli incubi e le allucinazioni che lo perseguitavano,da quando era stato schiavo della droga,non lo avevano ancora del tutto abbandonato.
 
 
Sulla strada del ritorno il giovane si fermò,sedendosi ai piedi di un albero a lui caro,non riuscendo a smettere di tormentarsi.
“Povero Abel,anche tu devi aver visto l’inferno”,sussurrò,mentre ricordi confusi riaffioravano alla sua mente. “Perché sei tornato da solo?Cosa è successo?Perché Georgie non è con te?”,disse giocando con quel pacco di zucchero,l’unica cosa che era riuscito a comprare.  ”Dove sei Georgie? Spero tu sia felice”,continuò quasi vedesse la ragazza danzare su quell'erba fitta,a piedi nudi.
Arthur era cosciente che,nonostante le difficoltà e le sofferenze vissute,lui ed il fratello avrebbero potuto ricominciare,ma sentiva anche che niente sarebbe stato più come una volta,che Abel non era più quello di una volta.
 
“E' questa mamma?”,esclamò nel frattempo un bambino.
“Si amore”,rispose una ragazza dai lunghi capelli biondi,davanti la modesta abitazione dei Buttman. Entrò,trovando l’entrata aperta,in quella cucina dall’aroma familiare,dove aveva giocato tante volte da piccola,vicino al camino.
“Mamma”,sussurrò Georgie nella stanza della signora Buttman con occhi lucidi,ricordando le giornate passate a cucire,a cucinare.
Sospirò poi nel vedere i letti dei fratelli vuoti,fino ad aprire la porta confinante,che portava alla sua camera,bloccata un tempo,per volere di Mary,da un massiccio comò.
“Sei triste?”,chiese Abel jr,tenendole la mano.
“Sono stanca per il viaggio”,rispose la fanciulla abbozzando un sorriso,accarezzandogli la folta chioma.
“Com’è morbido”,disse il bambino con entusiasmo,salendo sul letto,rotolandocisi,mentre Georgie iniziava a disfare la valigia.
“Devo andare alla tomba della mamma,a salutare lo zio Kevin”,mormorò sistemando i vestiti,prendendone uno che le aveva regalato suo padre. Nel sentire fra le dita quella seta pregiata,lo sguardo cadde alla finestra,su quelle tende color acquamarina. Come se il tempo fosse tornato indietro,la Contessa Georgie Gerald ripensò alle tante speranze che aveva nutrito in quella stanza,ai tanti sogni che aveva fatto ad occhi aperti,prima di partire per Londra,per poi rinunciare ad una vita lussuosa,agli agi di un titolo nobiliare.
Continuando ad ordinare il bagaglio,notò dei fiori freschi in un vaso,sul tavolino all’angolo,inarcando le bionde sopracciglia,nel vedere fossero i suoi preferiti.
Ne prese uno,inebriata da quel profumo,sedendosi su di una sedia,riposando di un sonno leggero,anche il figlio si era addormentato.
 
“Piccolo mio”,disse poco dopo una voce maschile,giocando con le dita paffute di Abel jr,percependone la pelle morbida. “Amore”,esclamò prendendo fra le mani il volto della ragazza,che il tempo sembrava non aver sfiorato,baciando quelle labbra rosee. Una dolce malinconia,dal sapore immortale,lo pervase a quel contatto.
 
“Tu”,disse poi la fanciulla aprendo le palpebre,toccandosi con una mano la bocca umida,vedendo quel giovane davanti a lei.
“Si,sono io!”,rispose l’altro con occhi umidi.
“Allora eri vivo,sei vivo!”,disse Georgie gettandogli le braccia al collo.
“Dimmi che non sto sognando”,esclamò il ragazzo riscaldato dal calore di quell’abbraccio,che aveva tanto desiderato.
“Oh Arthur! Ogni giorno che passava sentivo sempre più forte il richiamo della mia terra”,disse la fanciulla,mentre lacrime di gioia le bagnavano le gote.
 “Georgie,non ho fatto che pensarti,non sapevo dove fossi”,esclamò il giovane,ricordando il suo corpo esanime fluttuare nel Tamigi.
"E'  passato tanto tempo,abbiamo tante cose da dirci”,rispose la ragazza,”questo è mio figlio”,continuò,vedendo Arthur osservare con insistenza quel bambino dai capelli scuri,rannicchiato su un fianco,”il figlio mio e di Abel.”
In quel momento il ragazzo sussultò. Perché il fratello non gli aveva detto niente l’altra notte?Perché era tornato in Australia da solo?
“Georgie,Abel …”,iniziò a dire il giovane.
“Arthur,ti ricordi quel giorno in cui Abel prese il tuo posto in quella cella?”,lo interruppe lei.
Il ragazzo annuì,osservando quegli occhi verdi incupirsi.
 “Uccise Irwin e fu condannato a morte. Facemmo di tutto per salvarlo,ma il giorno dell’esecuzione il Duca Dangering gli sparò al petto”,esclamò Georgie tutto d’un fiato.
 Poco distante da lì Abel,seduto vicino al fiume,provò all'improvviso un intenso dolore al torace. Aprì con foga la camicia,quasi gli mancasse il respiro,vedendo poi,riflesso in quelle acque,solamente il sangue sgorgare copioso da quella ferita.
“Fu terribile”disse la ragazza,portandosi le mani al volto,lasciando cadere il fiore a terra.
“Ma Georgie…”,balbettò Arthur.
“Arthur,Abel è morto”,sussurrò infine la fanciulla con voce spezzata,”sono andata avanti per mio figlio,ma adesso ci sei tu e vivremo insieme come un tempo. Lo sentivo che dovevo ritornare qui!”,esclamò prendendo le mani del ragazzo,gelide.
In quell’istante Abel,bagnandosi le dita di quel fiotto cremisi,nel vederle immacolate,si riabbottonò la camicia. Sorrise guardando in alto,camminando poi per quei prati sconfinati d’Australia,fino a lacerare quel velo fra cielo e terra,confondendosi con l’orizzonte.
“Papà,sei papà come nel dipinto”,disse in quel momento Abel jr ridestandosi,tendendo le braccia verso Arthur.
Nel vedere quel crocifisso al collo del bambino,il volto del ragazzo si pietrificò.
 
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