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Autore: Altair13Sirio    24/12/2019    10 recensioni
Una storia sull'amore e sul destino. Due ragazzi che si sono conosciuti sin dall'infanzia faranno di tutto per restare uniti, anche quando tutto sembrerà remare contro di loro e la vita non sarà più semplice come quando, seduti sul portico di un negozio, i due si fecero la promessa più importante di tutte.
Genere: Comico, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Universitario
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In una cittadina poco conosciuta, lontana dalle grandi città vivevano e avevano sempre vissuto due ragazzi che sin da piccoli erano stati grandi amici.

Sin dal primo giorno che si erano conosciuti, John e Maya erano stati un duo inossidabile. Le loro famiglie si conoscevano già da prima che loro due nascessero ed essendo vicini di casa non c’era mai stata alcuna difficoltà a incontrarsi e giocare assieme, accrescendo ogni giorno il legame che c’era fra loro.

Maya era figlia di un insegnante di inglese e di una fioraia. I genitori di John erano proprietari di un piccolo negozio di alimentari al centro del paese. Spesso, dopo la scuola, i due ragazzini irrompevano nel negozio di fiori della madre di Maya e si mettevano a giocare in mezzo a tutti quei profumi e colori, oppure andavano a nascondersi nel magazzino del negozio dei genitori di John e restavano là finché qualcuno non veniva a cercarli. Spesso i loro giochi si concludevano con la promessa di ricominciare il prima possibile: dividerli era impossibile e non ce n’era alcun bisogno perché sia ai bambini che ai loro genitori quella situazione non dispiaceva affatto.

John e Maya non avevano bisogno di altri amici perché il loro legame era più forte di qualsiasi altra cosa e la compagnia di entrambi era sufficiente. I loro rapporti con gli altri bambini poi non sempre erano idilliaci: molte volte John era stato preso in giro per non apprezzare i cosiddetti “giochi da maschi” e preferire passare il tempo con Maya; per tutta risposta, lei aveva sempre difeso il suo amico con ardore arrivando anche a picchiare gli altri bambini. Una situazione simile si veniva a creare a parti invertite, anche se in maniera meno drastica: le altre bambine trovavano poco elegante l’indole focosa della ragazzina e pensavano che il suo attaccamento a John fosse esagerato, quindi la ignoravano e dicevano cattiverie alle sue spalle; John reagiva ignorando loro a sua volta, avendo occhi e orecchie solo per la sua migliore amica.

In uno dei loro tanti pomeriggi passati a giocare, seduti sugli scalini del negozio di fiori della madre di Maya, i due bambini si scambiarono una promessa molto importante.

«Ecco, adesso lo leghi così attorno al dito…» Disse con soddisfazione la bambina stringendo il nastro con cui si era presentata al suo amico attorno all’ultima falange del proprio mignolo. Con un movimento esperto prese le forbici e tagliò via la parte in eccesso, lasciando un nodo saldo sul dito.

«A che cosa serve?» Le chiese John osservando il suo dito. Maya non rispose finché non ebbe legato l’altro capo del nastro al mignolo del ragazzino, quindi eseguì la stessa operazione che aveva fatto per il nodo sul proprio dito.

«Adesso siamo legati.» Disse lei alzando la mano e mostrando fiera il proprio lavoro. John fece lo stesso studiando con curiosità il proprio dito. Maya si mise a spiegare con tono orgoglioso:«Esiste una leggenda che parla di un filo rosso che lega le anime gemelle tra loro. È un filo invisibile e non importa quanto lontane le due persone possano essere, finiranno sempre per rincontrarsi. Proprio come noi due: siamo sempre insieme e anche quando veniamo divisi troviamo sempre un modo per ritrovarci. Quindi ho pensato di fare questo amuleto per simboleggiare la nostra amicizia e, in qualche modo, proteggerla.»

«Proteggerla?» Disse John alzando lo sguardo perplesso.

Maya rimase a fissare il nastro rosso che collegava i loro mignoli con un po’ di malinconia. «Sì. Da qualsiasi imprevisto che possa rischiare di rovinarla.»

John alzò il braccio facendo cascare inerte il polso e guardò ancora una volta il proprio dito con aria di scetticismo. «Ma quello che hai usato è un nastro di seta… E non è abbastanza lungo.»

«Certo che no!» Ribatté seccata la bambina voltandosi di scatto verso di lui. Con un movimento fulmineo tagliò il nastro a metà liberando sé stessa e il suo amico. «Anche se il nastro si spezzerà, noi saremo sempre legati l’uno all’altra. È questo che conta! Il nastro è solo un simbolo.» Spiegò esasperata, sapendo bene però che John la stesse solo stuzzicando. Poi abbassò la voce e borbottò:«E poi avevo solo questo…»

John, ancora un po’ sorpreso dal fatto che Maya avesse tagliato con tanta facilità il nastro che avrebbe dovuto simboleggiare il loro legame indissolubile, alzò lo sguardo verso di lei e sorrise. «Hai ragione… È bello.» Poi alzò la mano e puntò il mignolo in alto. «Allora promettiamo di fare tutto il possibile per non rompere mai questo filo, non come il nastro che hai appena tagliato.»

Maya sbuffò come se John non avesse capito niente di quello che voleva dire, ma alzò comunque la mano allo stesso modo del ragazzino e sorrise quando il suo mignolo incrociò quello del suo amico.

Era una promessa apparentemente semplice, ma i due bambini ancora non avevano idea di quanto potesse essere complicato fare un patto del genere. La loro amicizia non aveva mai vacillato in fondo, ma alla loro età non c’era niente di cui stupirsi per quello.

Quando i loro corpi cominciarono a crescere, la loro amicizia non venne meno ma in alcune situazioni si poterono notare alcune differenze nel loro modo di stare in compagnia. Una volta arrivati alle scuole superiori, in effetti, sia John che Maya iniziarono a fare i loro primi passi in quel percorso frastagliato che era chiamato “pubertà.” Allo stesso tempo avevano cominciato ad aprirsi di più agli altri, provare a fare nuove amicizie che potessero portare un po’ di più luce nelle loro vite.

Nonostante la nascita di nuovi legami per John e Maya, in ogni caso la loro amicizia non fu mai in pericolo: tra loro esisteva un legame speciale che nessun altro avrebbe potuto eguagliare o sostituire. Tuttavia i due non potevano sempre stare assieme: avendo amici sia tra maschi che femmine, spesso John non poteva far parte dei discorsi delle ragazze e lo stesso accadeva a Maya nell’altro senso; l’arrivo della pubertà non poté che marcare ancora di più questo aspetto delle loro giornate. I ragazzi si sentivano in imbarazzo in presenza delle ragazze, specialmente con la esuberante Maya. John stesso cominciò ad avvertire una sensazione insolita ogni volta che Maya gli si avvicinava e lo abbracciava con tanto trasporto, oppure quando i due conversavano uno di fronte all’altra e i suoi occhi scivolavano verso il petto della ragazza senza che potesse controllarli, adocchiando quel piccolo e giovane seno che faceva timidamente la sua comparsa da sotto la maglietta.

Con grande sollievo di John, Maya non sviluppò mai le “tette” che tanti ragazzi della sua età sognavano: se la crescita fosse stata troppo generosa non sarebbe più riuscito a trattenere il proprio sguardo dal cadere sul seno di lei a ogni conversazione. Maya, da parte sua, non fu felice quanto lui di questa sua caratteristica.

Un giorno arrivò una telefonata inaspettata al cellulare di John, mentre se ne stava sul letto a sfogliare dei vecchi fumetti. La scuola era cominciata da poco tempo e ancora non avevano fatto molta amicizia con i loro nuovi compagni di classe. Ancora si affidavano solo l’uno all’altra per le cose più delicate – e così sarebbe stato per molto tempo ancora.

«Pronto?» Chiese con tono neutro John dopo aver visto che la chiamata fosse della sua amica.

«Sto sanguinando.» Furono le prime parole che Maya pronunciò quel giorno al telefono con John.

«Che?»

«Sto sanguinando, John! Mi cola tra le gambe e non si ferma mai. Stavo entrando nella doccia e a un certo punto mi sono sentita bagnata. Per poco non scivolavo!» Spiegò in modo frenetico la ragazza. Al telefono sembrava decisamente preoccupata.

«Aspetta… Ti sei ferita con qualcosa?» John cercò di salire alla radice del problema facendo domande che potessero aiutare la sua amica a riordinare le idee, ma ricevette una risposta piena di stizza.

«Mi senti? Ti ho detto che sto sanguinando! Certo che mi sono ferita, ma non riesco a capire come! Oddio, adesso non è che si intasa la doccia? È una vista orribile! Perché il sangue è così denso?»

Era difficile seguire il discorso con Maya che continuava a distrarsi in preda al panico. «Che significa che non sai come?» Chiese girandosi rapidamente su un fianco del letto e alzandosi in piedi. «Dovrà essere successo qualcosa!»

«Ti dico che non lo so!» Rispose la ragazzina con voce roca. «Ho le gambe piene di sangue. Aiuto, sto morendo!»

A quelle parole John si spaventò veramente. «Maya! Mantieni la calma! Prova a seguire la traccia di sangue e vedi se riesci a capire da dove arriva.» John scandì le parole chiaramente mentre intanto con lo sguardo cercava le proprie scarpe per essere pronto ad andare a casa della sua amica per prestarle soccorso, pur non avendo la più pallida idea di cosa potesse fare.

Il telefono tacque per alcuni secondi. Gli unici suoni che John udì furono i respiri affannosi della sua amica, carichi di tensione. «Oh mio Dio… John, viene… Viene da dentro…»

«Da dentro cosa?» Chiese lui pensando di aver capito male. La voce di Maya arrivava a tratti e ovattata.

La ragazza boccheggiò impaurita. Non riuscì a spiegarsi e per questo alla fine sbottò in un impeto rabbioso liberando tutto il suo nervosismo addosso al suo amico. «Dentro… È dentro… Viene dalla mia… Cazzo John, muovi il culo e vieni subito qui!» La voce della ragazza raggiunse un tono così alto che a un certo punto la sentì spezzarsi mentre parlava. Preoccupato dal tono della sua amica e sconcertato da quel modo di parlare così scurrile che non le aveva mai sentito usare, John capì che doveva trattarsi di qualcosa veramente serio se aveva portato la sua migliore amica a urlare in quel modo. Lasciò perdere le scarpe e si mise a correre per uscire di casa e andare a suonare al campanello della porta accanto, dove aprì la mamma di Maya mostrando un sorriso affettuoso. John si scusò dicendo che c’era un’emergenza, non sapendo ancora se Maya volesse parlarne con i genitori, quindi entrò di fretta e raggiunse il bagno dove si era chiusa Maya.

«Maya!»

«Non entrare!» Gridò lei non appena il ragazzo ebbe provato a spingere la porta, ritirandosi immediatamente e lasciando solo uno spiraglio aperto giusto per poterle parlare.

«Ma… Se non entro come faccio ad aiutarti?» Chiese confuso lui.

«Sono nuda!»

«Ah!»

Ci furono alcuni attimi di silenzio dopo quello scambio in cui nessuno dei due avrebbe voluto perdere tempo. Quell’attesa non fece che rendere ancora più ansioso John.

«Quindi che facciamo?» Disse in fretta senza voltarsi verso lo spiraglio della porta.

«Non lo so.» Rispose la ragazza mordendosi un labbro. Passò un altro minuto di silenzio, poi Maya, che sembrava aver riacquistato il sangue freddo, disse:«Almeno hai capito che cosa mi è successo?»

John esitò a rispondere vergognandosi di non aver ancora compreso che cosa fosse successo, anche se un’idea aveva cominciato a farsela. «Stavi andando a farti la doccia e hai scoperto che c’era del sangue…» Sussurrò a denti stretti. «Ma non ho capito da dove sia uscito.»

Maya inspirò profondamente come per mantenere la pazienza. John si aspettava una reazione così e avrebbe preferito non infastidire ulteriormente la sua amica, visto che era già parecchio nervosa, ma non poté farci nulla.

«John.» Disse Maya con l’aria di chi stava mettendo alla prova la propria pazienza. John se la immaginò nella doccia mentre guardava con sdegno verso il basso. «Ti ho detto che il sangue mi scende tra le gambe, che viene da dentro, e che non sono ferita.» Ci fu di nuovo silenzio. John credeva di aver capito, ma non ebbe il coraggio di parlare. Però Maya non sembrava voler dire altro, in attesa che lui ci arrivasse da solo, quindi mandò giù tutta la sua incertezza e azzardò una timida risposta.

«Cioè… Vuoi dire che stai sanguinando da…»

«Dalla patata, John! Sto sanguinando dalla patata!» Sbottò irritata Maya, probabilmente sul punto di esplodere dall’imbarazzo per ciò che aveva appena detto. John non disse niente in un primo momento; aveva bisogno di elaborare quello che aveva sentito.

Il silenzio li inglobò completamente. Avevano un aspetto triste: John seduto davanti alla porta socchiusa, con lo sguardo basso e l’espressione di chi non aveva idea di cosa dire, e Maya accucciata nella doccia con in faccia un’espressione sofferente. Per la prima volta non sapevano cosa dirsi.

Poi John provò a rompere quello stallo. «Ti… Fa male?»

Maya esitò un attimo a rispondere, ma fu felice di sentire che lui fosse preoccupato per la sua salute. «No… Non credo. Non riesco a capirlo… Ho paura…» Disse con voce sempre più tremante. «Che succede se non smette di sanguinare? Voglio dire, non è normale!» Piagnucolò con voce acuta.

«Dovremmo dirlo a qualcuno? Non sarebbe meglio chiamare un’ambulanza?» Provò a chiedere John. Se la situazione era veramente seria come sembrava, non avrebbero dovuto restarsene lì con le mani in mano.

«No!» Esclamò furibonda Maya. «Se lo scopre qualcuno… Penseranno che mi sono ferita facendo cose strane là sotto!»

John rimase in silenzio a chiedersi che cosa potesse mai significare la frase detta da Maya. La sua mente si scostò rapidamente da quell’argomento e cercò di pensare a un modo per risolvere quella situazione. Contando il fatto che gli era proibito entrare nel bagno per aiutare, il ragazzino non disse niente e attese che Maya gli desse qualche indicazione. Poi a un certo punto gli venne un’idea.

Si sporse facendo passare il braccio attraverso la porta e afferrò il rotolo di carta igienica che pendeva dal supporto accanto al gabinetto.

«Tieni.» Disse tendendo il braccio verso dove doveva esserci la doccia e rimanendo fermo. «Usa questo per pulirti.»

John rimase alcuni secondi con il braccio teso in avanti. Arrivò anche a chiedersi se Maya avrebbe accettato quel dono, ma poi sentì il rotolo venire tirato via e tornò al proprio posto tirando un sospiro di sollievo.

Passarono alcuni minuti e il ragazzo non disse niente. Voleva che Maya decidesse da sola quando fosse il momento giusto per informarlo di qualcosa, con calma. Dopo un po’ la sentì dirgli di attendere, poi un suono familiare di carta che si strappava e di nuovo silenzio.

«Forse è finito!» Comunicò la ragazza raggiante mentre arrotolava della carta igienica attorno a una mano.

«Davvero?» John si lasciò cogliere dall’entusiasmo e si voltò di scatto verso la porta, spingendola per entrare a vedere che la sua amica stesse bene, ma lei gli urlò contro più forte di prima lanciandogli in testa il rotolo della carta igienica.

John tornò a sedersi fuori dalla porta e pazientemente attese che Maya gli desse altre notizie, ma nel frattempo il loro baccano aveva destato la curiosità della madre di Maya, che affacciatasi nel corridoio aveva chiesto cosa stesse succedendo.

John provò ad abbozzare una scusa, dicendo che non c’era niente di grave e che Maya non voleva che entrasse nessuno, ma qualcosa sembrò scattare nella testa della donna quando vide il suo nervosismo e, tolto di mezzo John con un movimento brusco entrò nel bagno chiudendosi la porta alle spalle.

Di quel giorno John ricordava soprattutto i pianti della sua amica cominciati non appena la madre aveva aperto la porta, ma alla fine sia lui che la ragazza avevano finito per rammentarlo con nostalgia come ennesima prova della loro amicizia indissolubile. In fondo si trattava di un evento che per quanto potesse sembrare uscito da un film dell’orrore, non aveva niente di così allarmante e grazie alla competenza dimostrata dalla madre di Maya tutto si era risolto senza traumi di alcun tipo per la ragazzina.

Nei giorni seguenti a quel fatto, Maya raccolse informazioni tra le sue compagne di classe e scoprì che quella cosa che le era sembrata così anormale era in realtà un fatto molto comune per loro femmine: alcune ragazze dicevano di aver già avuto quella esperienza pochi anni prima, altre lo avevano vissuto recentemente ma non ne avevano voluto parlare con le compagne, e altre ancora non sembravano aver mai sentito niente di simile. John fece lo stesso con i maschi della classe, ma ottenne meno informazioni: alcuni di loro sembravano esperti in quel campo avendo sorelle maggiori che si erano già trovate in quella situazione, altri invece non ne sapevano niente, ma erano comunque curiosi di quella strana e inquietante caratteristica delle loro coetanee.

Tutti i dubbi dei due ragazzi furono fugati da un corso pomeridiano a scuola che passo dopo passo illustrò loro il motivo per cui una volta al mese Maya sanguinava dalla patata, assieme ad altre nozioni riguardanti sia i corpi delle ragazze che dei ragazzi e ciò che questi corpi erano in grado di fare. Maya arrivò alla conclusione che ciò che le era successo sarebbe accaduto di nuovo ripetendosi in un ciclo parecchio longevo.

Il corso di educazione sessuale – così si chiamava – risvegliò nei due ragazzi un nuovo sentimento che in passato mai avevano provato: l’imbarazzo. Mentre già da tempo entrambi esitavano a spogliarsi nella stessa stanza, adesso i loro pensieri si offuscavano e i loro sguardi non riuscivano più a incrociarsi se anche solo per un momento gli saltava in mente il ricordo di tutte le cose apprese durante i pomeriggi passati a scuola.

La loro amicizia non cambiò, ovviamente. Seppur con alcune differenze, la forza del loro legame restò sempre la stessa durante gli anni trascorsi a scuola, e forse crebbe addirittura grazie a certi eventi.

Quando entrambi avevano attorno ai sedici anni, per esempio, un compagno di classe decise di avvicinare Maya una mattina in cui John era assente per malattia. Senza neanche darle il tempo di chiedergli che cosa volesse, questo le si dichiarò chiedendole se fosse disposta a diventare la sua fidanzata. Dopo un attimo di smarrimento perché Maya non era minimamente abituata a simili situazioni, la ragazza rifiutò la dichiarazione del compagno.

«È perché sono nero?» Chiese lui dopo essersi guardato le mani per qualche secondo. Nella sua voce si udiva leggermente un tono di disappunto mascherato dalla confidenza che c’era tra lui e Maya.

A quella domanda Maya saltò sul posto e perse tutto il suo sangue freddo, credendo di aver detto qualcosa di scortese. «No, non è per quello!» Si sbrigò a giustificarsi imbarazzata. «Non ho niente contro al colore della tua pelle, anzi sei un ragazzo molto carino e simpatico… Ma…»

Maya fece fatica a trovare le parole per quella risposta, guardandosi intorno come se stesse cercando aiuto da qualcuno. Alla fine la sua risposta fu:«Perché non potrebbe funzionare.» Ma nello stesso momento in cui quelle parole saltarono nella testa della ragazza, Maya capì che c’era un motivo più profondo che l’aveva fatta rifiutare e che ruotava attorno al suo caro amico John.

Dopo essersi scusata per aver infranto le speranze del suo compagno, la ragazza se ne tornò in classe a sbollire e a riflettere su quello che aveva detto.

Diversamente dal caso di Maya, John non ricevette mai una dichiarazione da parte di una delle ragazze nella loro classe e non perché non piacesse; il ragazzo era un vero idiota! Sempre con la testa tra le nuvole, non si accorse mai dei timidi tentativi di attirare la sua attenzione da parte delle altre ragazze e con il passare del tempo finì per uccidere completamente le loro speranze di far breccia nel suo cuore; un altro punto a sfavore delle altre ragazze era che John sembrasse avere occhi solo per Maya. Il che era vero, anche se non in senso romantico. Per il resto degli anni passati a scuola anche Maya maledisse il suo amico per essere così ingenuo.

Alla fine del loro percorso scolastico, Maya e John erano ormai molto legati ai loro compagni di classe. Mentre la loro amicizia continuava ad andare a gonfie vele, si prospettavano all’orizzonte nubi cariche di dubbi riguardo il loro futuro: entrambi volevano continuare a studiare ma il timore di dividersi li frenava dallo scegliere una università. Nessuno dei due voleva influenzare la decisione dell’altro, pensando che non fosse giusto costringersi a stare insieme, ma allo stesso tempo volevano restare assieme. Sapevano quanto fosse improbabile, e la situazione era arrivata a un punto tale che sia John che Maya credettero che fosse arrivato il momento della fine della loro amicizia: non potevano continuare a vivere come in simbiosi, prima o poi sarebbero arrivati ad essere un peso l’uno per l’altra. Pur non volendo arrivare a tanto, entrambi continuarono a tormentarsi fino ad arrivare alla stessa decisione nello stesso momento: avrebbero scelto l’università senza dirlo all’altro, così solo il caso avrebbe potuto decidere se farli rimanere assieme o no.

Una sera di luglio passarono un po’ di tempo nel letto a parlare al telefono prima di darsi la buonanotte. Normalmente sarebbero andati a dormire subito dopo aver chiuso la chiamata, ma quella sera entrambi accesero i loro computer e, dopo un lungo studio delle possibilità, compilarono entrambi i moduli di iscrizione per le università selezionate. Quando ebbero finito andarono a dormire soddisfatti del loro lavoro, anche se con un peso sulla coscienza: sarebbero riusciti a vivere separati, dopo una vita passata in compagnia l’uno dell’altra?

L’intera estate passò senza che accadesse altro, John e Maya volevano solo godersi appieno il tempo rimastogli da passare insieme prima di venire divisi una volta per tutte, e nessuno dei due volle confessare quella decisione per non intristire l’altro. Fu uno shock per entrambi scoprire che tutti e due avevano avuto la stessa idea e che senza saperlo si erano iscritti alla stessa università.

Quella fu la prova definitiva che nulla avrebbe mai potuto separarli. John e Maya si arresero completamente al destino e decisero che avrebbero cercato casa assieme all’università. Non ci riuscirono e dovettero accontentarsi di trovare casa una accanto all’altra, ma questo non li fermò dal passare il più tempo possibile assieme.

Le lezioni all’università erano molto diverse dalla scuola ed entrambi erano entusiasti di cominciare quella nuova vita dove per la prima volta la loro amicizia sarebbe stata veramente l’unico appiglio. Anche lì John e Maya fecero dei buoni amici, ma con più libertà: non c’erano più maschi e femmine, niente fazioni o segreti. Le persone lì erano amiche per quello che erano, non si utilizzavano più etichette per riconoscersi. Tutti quelli che si trovavano lì avevano la stessa voglia di stringere amicizie di John e Maya e lo studio non rese difficile tutto questo neanche una volta; anzi, in alcuni casi fu addirittura determinante per far fare amicizia, organizzando sessioni di studio in gruppo alla biblioteca e ripetizioni in extremis a ridosso degli esami.

Lo studio sembrava quasi andare avanti da solo: Maya e John credettero di star andando troppo veloce rispetto ai tempi a cui erano abituati a scuola, non si accorsero nemmeno del passare dei primi tre anni e dell’arrivo delle loro lauree. Generalmente si completavano a vicenda: se Maya aveva problemi in una materia, John riusciva quasi sempre a risolvere le sue difficoltà, e se la ragazza capiva che il suo amico era fermo a un concetto che non riusciva a farsi entrare in testa, lei accorreva in suo aiuto. Tuttavia la maggior parte delle volte Maya e John erano sulla stessa lunghezza d’onda e andavano avanti con lo studio di pari passo. Ebbero entrambi i loro momenti difficili e non sempre si trattò di qualcosa di semplice da risolvere, anche non riguardante gli studi: John e Maya erano le persone più obiettive e neutrali quando si arrivava a litigare e si ritrovarono diverse volte a dover far ragionare i loro amici.

Purtroppo, non sempre riuscirono a mantenere la coesione nei loro gruppi.

Un giorno avevano organizzato una cena con i loro vecchi compagni di scuola nel loro paese natale. Le vacanze avevano permesso a tutti di tornare a casa anche solo per poco tempo e i ragazzi avevano deciso di uscire tutti insieme per rivivere anche solo per qualche ora quelle emozioni provate in classe. Sin dall’inizio della serata Maya e John notarono qualcosa di diverso nei loro amici, nel loro modo di parlare.

Due amici che fino a pochi anni prima erano stati un idillio, quella sera sembravano essere cambiati completamente. Maya e John non li riconoscevano più mentre si confrontavano in modo apparentemente pacato, discutendo delle loro visioni politiche, nascondendo dei modi di dire e fare quasi ostili, come due cani randagi che lottavano per il territorio. E non erano gli unici.

Invidie sempre tenute nascoste, sopite per anni, che improvvisamente si liberavano senza alcuna inibizione e creavano tensione; vecchie rivalità sempre mascherate come sana competizione si trasferirono dai voti ottenuti tra i banchi ai risultati ottenuti all’università ed esplosero in una infantile ostentazione che non fece più riconoscere i loro vecchi amici. Alla fine Maya non riuscì più a rimanere a guardare e si alzò gridando, richiamando all’ordine tutto il gruppo.

«Ma che state facendo?!» Esclamò mentre tutti gli occhi si fissavano su di lei. Anche John la guardava sconcertato, pensando le medesime cose che Maya stava esponendo ma non riuscendo a trovare le parole. «Dopo tutto questo tempo dovremmo essere contenti di rivederci, dovremmo star ridendo felici e raccontarci tutto quello che ci è accaduto in questi anni, e voi invece vi piantate in discussioni odiose che non c’entrano niente e fate a gara a chi ce l’ha più lungo?»

Le parole della ragazza provocarono imbarazzo tra tutti i presenti, che subito tentarono di giustificare il proprio comportamento con frasi fatte, ideate sul momento. Qualcuno disse che era il bello della loro amicizia, il fuoco che creava. In breve la cena andò ad acquietarsi e tutti furono più cordiali come se non fosse successo niente, ma Maya perse la sua voglia di partecipare alla festa. Il resto della serata fu difficile da sopportare, e una volta salutati gli ultimi ex compagni e rimasti solo in due, Maya volle liberarsi dai pensieri che la appesantivano.

«Non mi interessa se mi odiano adesso, io continuo a credere che si siano comportati da stronzi.» Esordì la ragazza stringendosi nel suo giubbotto di jeans, tenendo lo sguardo basso.

«Non ti odiano. E avevi ragione.» Rispose John cercando di calmarla un po’. «Neanche a me è piaciuto il modo in cui sono andate le cose.»

Maya rimase in silenzio per qualche secondo a fissare il vuoto, come se stesse facendo dei calcoli e avesse l’operazione proprio di fronte agli occhi. Poi alzò la testa con risolutezza e con rassegnazione disse:«No. Ho sbagliato invece.»

John non disse niente. La guardò come per chiederle a che stesse pensando.

Maya sospirò. «Quello che eravamo ai tempi della scuola dovrebbe restare sepolto nei ricordi, al meglio della sua forma. Se proviamo a confrontare il passato con il presente, ci sarà sempre qualcosa che non ci piacerà in quest’ultimo perché noi siamo cambiati.»

La ragazza alzò lo sguardo verso il suo amico sorridendo mestamente. «Non è rivedendoci tutti assieme che saremo di nuovo felici, ma ricordando ciò che eravamo. Siamo cresciuti, ognuno è andato per la propria strada, e questo non riusciamo ad accettarlo perché un tempo siamo stati felici. Credi che ci sia qualcosa di più ingiusto delle rimpatriate?» Aveva un tono sarcastico e malinconico.

John non avrebbe mai pensato a quella cosa in quel modo, ma ora che Maya lo aveva messo a parole gli sembrava un fatto sempre più verosimile; incontrare un vecchio compagno all’università metteva in imbarazzo, creava confusione. Era una persona del passato che si era intromessa nella loro nuova vita. Dalla scuola all’università si cambiava e nei ricordi di chi c’era stato prima si rimaneva gli stessi, per questo era così difficile affrontarli quando ce li si ritrovava di fronte lungo il proprio cammino.

«Però, almeno noi, siamo ancora insieme.» Mormorò il ragazzo alzando lentamente lo sguardo, finendo per incrociare quello di Maya che si era voltata verso di lui e gli aveva sorriso, come se volesse ringraziarlo per quelle parole. Non era mai stato bravo a parlare, ma sapeva far parlare il cuore. Maya era grata che fosse così, anche se ormai da tempo trovava insopportabile il fatto che non riuscisse ad accorgersi delle sue sempre più frequenti attenzioni speciali.

Dopo quella sera John e Maya ebbero sempre meno contatti con i loro vecchi compagni di scuola. Non perché non volessero più avere niente a che fare con loro, ma era evidente che non fossero più la classe affiatata di un tempo. Andarono avanti cercando di stringere amicizie più solide con i loro colleghi all’università.

Quando arrivò il giorno della laurea dei ragazzi, ormai il loro gruppo era arrivato a livelli di coesione tali che la sola amicizia di John e Maya non si notava quasi nemmeno più. Era passato poco tempo dall’inizio dei loro studi universitari, eppure erano già riusciti a creare tanti legami e a farci passare tante emozioni. John e Maya ebbero la loro seduta di laurea una dopo l’altro e andò brillantemente a entrambi: mentre Maya esponeva il suo progetto ai professori, John pregava a bassa voce sperando che la ragazza non si emozionasse troppo. Per tutta la durata dell’esame di John, invece, la ragazza non smise mai di sussurrare i passaggi più complessi del discorso del suo amico, che aveva aiutato a ripetere fino alla sera prima e temeva dimenticasse.

Entrambi i ragazzi ottennero un punteggio molto sopra la media, quasi il massimo; nessuno dei due ci credeva. Quando uscirono dall’aula furono accolti da una pioggia di coriandoli lanciati dai loro più cari amici, esultanti come gli invitati di un matrimonio. Preso dalla foga del momento, John prese in braccio Maya e la strinse forte a sé roteando come se fossero su una pista da ballo. Nessuno dei due si accorse della potenza di quel gesto o delle reazioni che suscitò nei loro amici; Maya non provò il minimo imbarazzo di fronte a quell’improvviso gesto di affetto e John smise di roteare solo quando ebbe cominciato a stancarsi. C’era solo pura gioia in quel momento per loro, come se avessero realizzato tutti i loro sogni e non fosse rimasto nient’altro da fare. I due amici continuarono a festeggiare per tutto il giorno in compagnia dei loro compagni di studio, delle loro famiglie, da soli fino a notte fonda continuando a ridere e scherzare.

Tuttavia quella felicità non era destinata a durare a lungo.

Pochi giorni dopo della laurea John ricevette un messaggio che lo invitava a recarsi al più vicino ufficio di reclutamento: per via della sua scelta di continuare gli studi non era stato chiamato a scontare il periodo obbligatorio di leva, ma una volta ottenuta la laurea era libero di essere chiamato in qualsiasi momento. Proprio nei giorni in cui assieme a Maya stava decidendo se continuare gli studi.

Ovviamente quella notizia fu un colpo devastante per entrambi, che ormai pensavano che niente potesse più dividerli. La ragazza propose di trasferirsi con lui per potergli essere vicino durante l’anno di militare, ma John le disse che non poteva farlo. Non poteva accantonare il suo futuro per andargli dietro. Per quanto fosse difficile, dovevano accettare quella situazione e andare avanti, non dimenticando mai ciò che li legava.

«E poi è solo un anno. Sarà passato prima ancora che tu possa accorgertene.»

John partì per entrare nell’esercito ai primi di dicembre. A salutarlo in stazione la famiglia sua e quella di Maya, con la ragazza che tratteneva a stento le lacrime.

Mentre saliva sul treno in partenza, John disse a tutti quanti che gli avrebbe telefonato appena arrivato. Maya lo prese alla lettera e passò l’intera giornata ad attendere con trepidazione la chiamata del ragazzo, che però giunse solo in serata.

Non appena la ragazza seppe che John aveva telefonato a casa dei suoi, irruppe nella casa e prese con forza il telefono urlandogli contro.

«SEI UN CAZZO DI BUGIARDO!»

«Mi dispiace tanto, Maya! Non ho fatto in tempo a telefonare…» Provò a spiegarsi il ragazzo, ma lei non gliene diede il tempo.

«Non è possibile che sei arrivato solo ora!» Esclamò con le lacrime agli occhi.

«Il mio telefono si era scaricato, mi dispiace…» Si scusò lui dall’altro capo della cornetta, affrettandosi a finire la frase prima che Maya lo interrompesse di nuovo per inveirgli contro. Stava parlando da un telefono della base dove era stato mandato. «Qui sono tutti molto rigidi, ma i miei compagni di stanza sembrano simpatici.»

«Hai dei compagni di stanza?» Chiese Maya sconcertata, come se fosse la notizia più incredibile della giornata. «Anche loro sono della leva obbligatoria come te?»

«Qualcuno.» Rispose il ragazzo. Non voleva parlare solo di sé però. «Ma tu come stai? Hai smesso di piangere?»

A quel telefono furono lanciate una marea di imprecazioni e insulti diretti a John subito dopo la sua domanda fatta per prendere in giro Maya. Nonostante ciò, la ragazza fu felice di sentirlo così rilassato; significava che molto probabilmente quel posto non era male come aveva pensato. Non ebbero il tempo per parlare con calma perché il telefono della base non poteva rimanere occupato a lungo, quindi John promise a Maya che le avrebbe scritto un messaggio presto e che si sarebbero risentiti quando avrebbe potuto usare di nuovo il cellulare.

Il primo periodo di permanenza nella base per John fu breve: a Natale ottenne come tanti altri una licenza per passare le feste con la famiglia, e rivedere Maya ad attenderlo alla stazione lo fece sentire felice come non mai. Quelle poche settimane erano sembrate mesi e sin dal primo momento i due non smisero di parlare e raccontarsi cose, anche i più piccoli aneddoti senza alcuna rilevanza.

Natale fu uno dei momenti in cui John si sentì più felice che mai: era la prima volta che veniva diviso da Maya e tornare da lei fu come ricevere ossigeno dopo essere rimasto in apnea per ore. E anche Maya provava lo stesso, ma aveva una sensazione stringente che la intristiva; la consapevolezza che John sarebbe rimasto ancora per poco e dopo avrebbe dovuto soffrire una separazione ancora più lunga. Non sapeva come avrebbe fatto a sopportare tutto quello, ma preferì sopprimere quei pensieri e pensare al presente, ai giorni che le rimanevano da passare con John.

Fu solo quando John partì un’altra volta, dopo la fine delle vacanze, che i sentimenti che Maya nutriva nei confronti del ragazzo esplosero improvvisamente dentro di lei e la ragazza si rese conto di aver sprecato una grossa opportunità. Sapere di averlo lasciato andare pur provando simili sentimenti la distrusse, ma non riuscì a versare una sola lacrima.

Nei mesi seguenti Maya provò sempre una sorta di freno nel parlare al telefono con John, una malinconia non dovuta all’assenza del ragazzo ma alla sensazione di non essere in grado di confessargli ciò che provava per lui.

Si sentivano al telefono ogni sera, eppure ogni giorno sembravano sempre più distanti. Le continue parole di affetto scambiate al telefono non bastavano a colmare il vuoto che John si era lasciato dietro. In più il ragazzo era sempre più esausto, la vita da militare gli faceva esaurire ogni energia e la sera quando parlava con Maya aveva un tono assente, come se non fosse felice di sentirla.

Nonostante ciò, John era veramente felice delle loro chiacchierate serali al telefono. Maya gli mancava tanto e parlare con lei lo rinfrancava da ogni fatica. Lo notò il ragazzo che dormiva sul letto sopra al suo, quando una sera decise di affacciarsi e dirlo a John.

«Certo che questa Maya deve essere davvero importante per te…»

John, che aveva appena messo giù il telefono e si era messo a fissare il fondo del letto del suo camerata, girò la testa verso destra per mettere a fuoco la sagoma del ragazzo e disse:«Bé, è una mia cara amica…»

«Amica? È questo quello che siete?» Ribatté l’altro incredulo.

John inarcò un sopracciglio. «In che senso?» Chiese.

«Amico! Dal tono con cui le parli non sembrate solo due amici.» Spiegò quello tra le risate. John non capì cosa volesse dire. «Anche il fatto che vi sentiate ogni sera! Davvero mi vuoi dire che non c’è nient’altro che amicizia?»

Nient’altro che amicizia. Quelle parole tormentarono John per parecchio tempo, a partire da quella stessa sera impedendogli di addormentarsi. Che cos’era veramente la sua relazione con Maya? Due amici di infanzia talmente stretti da essere costantemente uno nella testa dell’altra, sempre pronti a camminare lungo la via più malmessa, purché fossero uno accanto all’altra. Era davvero così strano?

Più i giorni passavano, più nella testa di John si riunivano pensieri e domande. Si chiese se si trattasse veramente di qualcosa di più che semplice amicizia, visto che sembrava che chiunque vedesse tutt’altro. Cominciò a rovistare fra i ricordi alla ricerca di qualche segno che potesse confermare quei sospetti anche solo un poco, ma non ne trovò nessuno. Poi si domandò cosa fosse per lui Maya, e lì non seppe più cosa pensare.

Erano stati assieme così tanto tempo che era difficile immaginare che la loro amicizia potesse diventare qualcosa di più forte di quello. Lui era stato con lei in momenti critici, si erano supportati a vicenda, avevano riso e pianto assieme e anche ora che erano lontani non smettevano di essere nei pensieri di ciascuno. Poteva davvero significare qualcosa tutto quello, visto che era sempre stato così?

Per quanto fosse faticoso, John riuscì a sopravvivere al periodo di leva obbligatoria ma ne uscì completamente sfinito; si erano aggiunti anche i pensieri su Maya a rendergli la vita un inferno. Il suo ritorno a casa fu motivo di festa, ma non ebbe la possibilità di passare del tempo con Maya per via degli studi della ragazza. In più, ancora John non era riuscito a fare ordine nella propria testa.

Il ragazzo passò molto tempo in camera sua a pensare e nel frattempo si impegnò per ottenere un posto di lavoro spedendo curriculum in giro; alla fine una compagnia fuori città accettò di incontrarlo. Poi, pochi giorni prima di Natale, Maya gli disse che i loro amici dell’università volevano rivederlo e lo invitò ad andare con lei a una uscita di gruppo. John accettò senza un attimo di esitazione e pianificò di andare a firmare il suo nuovo contratto nei giorni successivi, approfittando della sua visita all’università.

I due ragazzi presero il treno per andare a incontrare i loro amici all’università e passarono tutto il viaggio a chiacchierare, come se in quell’ultimo anno non fosse cambiato nulla. Arrivati in città, si incontrarono con il loro gruppo di amici e lì John riuscì a dimenticare per un paio d’ore i pensieri che lo avevano tormentato; circondato da amici che non vedeva da tantissimo tempo, sentì la testa alleggerirsi. Al contrario, Maya sembrò farsi sempre più cupa a mano a mano che la serata andava avanti.

John aveva raccontato alla ragazza delle sue intenzioni per il futuro, della sua decisione di non continuare a studiare avendo trovato un posto stabile e del suo piano di prendere un altro treno per raggiungere la città dove avrebbe firmato il contratto il giorno dopo. La ragazza non era delusa perché aveva pensato a lungo a cosa sarebbe successo dopo il ritorno di John, ma il fatto che il ragazzo non avesse compreso lei nei suoi piani l’aveva intristita. Aveva aspettato tanto per rivederlo e nel frattempo aveva cercato di raccogliere tutto il coraggio necessario ad aprire la bocca una volta per tutte e dirgli tutto quello che provava sin dai tempi del liceo, eppure quella notizia aveva fatto scemare la sua determinazione e a mano a mano che si avvicinava il momento di doversi dividere un’altra volta – anche se per poco tempo – Maya diventava sempre più triste.

A un certo punto, mentre il gruppo si stava divertendo e gli amici stavano decidendo dove andare a cenare, la ragazza si tirò improvvisamente indietro dicendo di dover tornare a casa.

«Te ne vai di già?» Chiese qualcuno levando la voce dal silenzio sceso sul gruppo.

«Sì… Sono stati bloccati tutti i treni e ora devo prendere l’autobus. Ce n’è solo uno e parte tra mezz’ora.» Spiegò Maya a testa bassa.

I suoi amici erano un po’ delusi all’idea di vederla andare via così presto, ma non fecero niente per fermarla. Le augurarono un buon natale e dissero che si sarebbero visti presto. Neanche John riuscì a dire qualcosa alla ragazza per provare a farla rimanere, ma mentre la guardava allontanarsi intirizzita nel suo cappotto per il freddo avvertì un improvviso coraggio che gli fece alzare la voce.

«Ehi!» Esclamò quasi senza rendersene conto. Maya si fermò e si voltò guardandolo interrogativa. Stava per dirlo, stava per dire il risultato di tutti quei ragionamenti e quelle domande che lo avevano tenuto sveglio per notti intere nell’ultimo anno. Stava per dirlo, ma la presenza dei suoi amici lo frenò dall’andare fino in fondo e invece di quelle fatidiche parole John pronunciò un impacciato:«Ci vediamo… Domani.»

Maya rispose con un semplice cenno prima di voltarsi di nuovo e riprendere a camminare. Era arrivato a quel punto: aveva passato così tanto tempo a chiedersi cosa provasse nei suoi confronti che aveva finito per ritirarsi per la codardia all’ultimo momento. Si disse che l’occasione si sarebbe ripresentata, che avrebbe avuto tutto il tempo necessario per rendere quel momento perfetto nelle ormai prossime vacanze di Natale, ma in verità era solo deluso.

La serata perse subito la sua vitalità, almeno per John. Dopo la partenza di Maya si sentiva ancora più solo di quanto fosse stato nel periodo di leva; era contento di essere lì, ma non riusciva a perdonarsi di aver lasciato andare via Maya a quel modo. Aveva perso completamente la voglia di festeggiare, quindi cercò una scusa e si liberò dirigendosi verso la fermata degli autobus.

Vicino alla fermata degli autobus c’era un bar che era diventato uno dei ritrovi più rinomati per gli studenti dell’università; lui e Maya si erano ritrovati spesso là durante il loro periodo di studi. Lì era possibile acquistare i biglietti per gli autobus, così che chi viaggiava non dovesse andare troppo lontano per cercare una biglietteria.

Il ragazzo si arrestò fuori dal bar per qualche secondo osservando la fermata degli autobus in lontananza, illuminata dai lampioni come un’isola in mezzo al mare. L’autobus di Maya doveva essere già partito da almeno un quarto d’ora. Se era vero che i treni erano bloccati, avrebbe dovuto aspettare lì il proprio autobus.

Sospirò cercando di convincersi a lasciarsi alle spalle quella malinconia ed entrò nel bar. Le luci calde e il profumo di caffè lo avvolsero non appena le porte scorrevoli si furono chiuse alle sue spalle. Con movimenti calmi ma decisi, John raggiunse il bancone e porse una banconota all’uomo dietro la cassa, un ometto grosso e con la faccia butterata che sapeva come accogliere i clienti, chiedendo un biglietto di sola andata.

Mentre quello prendeva i suoi soldi e apriva un cassetto da dove tirò fuori un biglietto, John si guardò intorno con aria distratta. Quel posto non era cambiato per niente: la sensazione accogliente durante le fredde serate invernali, la vista dei dolciumi esposti dietro ai vetri, il familiare vociare degli avventori… Erano tutte cose che erano mancate a John, ma adesso che era da solo non riusciva ad apprezzarle.

Il suo sguardo cadde su una ragazza seduta da sola a un tavolo in fondo alla saletta semi deserta, con lo sguardo perso nel vuoto e davanti a sé una tazza di cioccolata calda fumante. Si sentì gli occhi del ragazzo addosso e quindi girò la testa, incrociando lo sguardo con John.

Quando si riconobbero, John e Maya emisero un unico:«Ah.»

Rimasero per qualche istante a guardarsi allibiti, ognuno chiedendosi che cosa ci facesse l’altro lì. Poi John fu distratto dall’uomo che gli consegnò il biglietto dell’autobus e Maya ne approfittò per distogliere lo sguardo e nascondere la faccia dietro a una manica del giubbotto.

Dopo essere rimasto lì a fissare la ragazza per qualche secondo con aria imbambolata, John avanzò barcollando fino a fermarsi accanto al tavolo dove era seduta Maya, quindi prese posto di fronte a lei e le rivolse un sorriso dolce.

«Che ci fai qui?» Chiese lei quasi come se fosse offesa, abbassando con rassegnazione la mano che era stata inutile a nasconderla.

«Non ci sono più treni.» Rispose lui continuando a sorridere, usando la stessa scusa che aveva utilizzato lei per andarsene. Maya abbassò nuovamente lo sguardo con vergogna e si concentrò sulla sua cioccolata. «Ah, quasi quasi ne prendo anch’io.» Disse lui prima di voltarsi verso un cameriere e chiedergli se potesse portargli un’altra tazza di cioccolata calda.

I due attesero che arrivasse l’ordine di John al tavolo prima di riprendere a parlare. Non appena la tazza fu davanti al ragazzo, lui la sollevò con un gesto espansivo e disse:«Perfetta per una serata fredda come questa.» Quindi prese un bel sorso, scottandosi la lingua.

Maya non reagì alla scenetta comica del suo amico che cercava di raffreddarsi la lingua soffiandoci sopra in qualche modo e rimase a fissarlo con occhi inespressivi finché non si fu calmato.

John la guardò sospirando. «Ricordo che ogni volta che ti sentivi giù venivi qua per bere una tazza di questa cioccolata, durante la sessione invernale. Vedo che è ancora un’abitudine.»

Maya sembrò sul punto di ribattere a quelle parole, ma si fermò e nascose le labbra dietro alla tazza, quindi rimase in silenzio per un po’ squadrando il ragazzo con aria ostile.

John rimase fermo a sorridere e aspettò che parlasse. Qualunque cosa volesse dire, doveva essere importante se l’aveva messa di così cattivo umore.

Maya sembrò arrendersi a un certo punto. La ragazza sospirò e tornò a concentrarsi sulla propria cioccolata calda. «Sei incorreggibile.» Disse.

«Che ho fatto?» Chiese lui mostrandosi confuso.

«Sei stupido! Sei un idiota! Non capisci mai niente, ecco che hai fatto!» Scoppiò tutto a un tratto la ragazza, alzandosi un poco dalla sedia e allungando le braccia verso l’alto. «E hai rovinato tutto!» Disse infine piombando sulla sedia e nascondendo il muso dietro a una mano, seccata.

Calò di nuovo il silenzio sui due ragazzi. Gli sguardi dei pochi clienti del bar si fissarono su di loro per qualche secondo, poi ognuno tornò a farsi i fatti propri. Maya guardava verso il muro con aria evidentemente infastidita e con la mano libera picchiava le unghie sulla tazza di cioccolata davanti a sé, mentre John la fissava con sguardo costernato. Era passato veramente tanto tempo da quando avevano potuto godersi il silenzio in compagnia, eppure non sembrava esserci niente di bello in quel silenzio lì. John aveva lasciato perdere la farsa con cui aveva pensato di stuzzicare la sua amica, ma anche con tutta la sua sincerità non riusciva a dire niente; avrebbe voluto parlare, raccontare a Maya tutto sulle sue notti in bianco e le volte che l’immagine del suo volto lo aveva tenuto sveglio, ma non gli sembrava giusto che si mettesse a parlare di quelle cose mentre la sua amica stava male. Maya, invece, voleva mettersi a piangere e pregare John di rimanere con lei, di non allontanarsi mai più, ma si sentiva estremamente egoista a pensare una cosa del genere, e per questo se n’era andata pensando che John non meritasse una persona così.

«Quindi vai a lavorare fuori città?» Chiese a un certo punto la ragazza, modulando la voce in modo da non sembrare che stesse trattenendo le lacrime. Voleva cambiare argomento, perché già si era pentita di aver detto quelle cose.

John non si aspettava quella domanda. «Già.» Avevano già parlato di quello nel viaggio per arrivare lì. «Ho trovato una compagnia disposta ad assumermi. Non si tratta del migliore dei lavori, ma se mi impegno posso fare carriera, o almeno esperienza.» Disse mostrandosi fiducioso.

Maya sospirò, quasi come se sperasse in una risposta diversa. Abbassò la mano a cui si era appoggiata e finalmente tornò a guardarlo in faccio, raddrizzò la schiena prendendo un profondo respiro e si preparò a pronunciare quelle parole senza tremare:«Ti sembrerà infantile, ma pensavo che dopo il tuo ritorno niente più ci avrebbe diviso. Credevo che saremmo rimasti insieme per sempre e che niente sarebbe cambiato.» Mormorò con risentimento nella voce. A mano a mano che pronunciava le parole, il suo autocontrollo scemava sempre di più. «È evidente che non siamo più dei bambini, non possiamo andare dietro alle favole. È proprio come quella volta con i nostri ex compagni di classe. Devo crescere!»

Maya alzò una mano e si asciugò con la manica del giubbotto le lacrime che le erano scese sul viso. Rimase in silenzio, vergognandosi del pietoso spettacolo che aveva mostrato al suo amico. John la fissava immobile, senza parole.

«Il fatto è che… Non voglio perderti.» Continuò Maya dopo aver ripreso in parte il controllo di sé, ma continuando a parlare con voce acuta. «Tu sei il più caro amico che ho e non potrei sopportare di non poterti vedere mai più. Voglio stare con te, quindi se tu te ne andrai io verrò con te!»

«Cosa?!» Esclamò il ragazzo saltando sulla sedia.

«Lascerò l’università.» Disse lei con determinazione.

«Te lo proibisco!» Rispose lui con fermezza.

«Perché?»

«Non posso lasciare che tu butti via il tuo futuro!» John aveva un’espressione di rimprovero dipinta sul volto, come un padre che ammoniva la figlia di fronte a una scelta scellerata.

Maya lo fissò stanca. «Il mio futuro…?» Chiese con voce tremante. «E se io volessi un futuro assieme a te?»

Lo aveva detto. Dopo tanti anni passati a cercare di attirare velatamente l’attenzione di John, alla fine aveva rivelato i suoi sentimenti. E questa volta John capì benissimo.

In un primo momento il ragazzo non riuscì a proferire verbo. Dalla sua bocca uscivano solo suoni smorzati. Dopo afferrò la tazza di cioccolata e ne prese un altro lungo sorso; il calore si espanse in tutto il suo corpo mentre beveva e con un brivido riuscì ad espellere ogni traccia di incertezza.

John fissò Maya negli occhi con sguardo provato. La sua faccia paonazza sembrava sul punto di scoppiare; anche lei era tesa, ma non si pentiva di ciò che aveva detto. Alla fine il ragazzo si decise a respirare e parlò.

«Anche tu sei molto importante per me, Maya. Non riesco a immaginare come sarebbe la mia vita senza di te. Tuttavia non posso permettere che tu abbandoni il tuo sogno per inseguire me…»

«Il mio sogno sei…»

«Lasciami finire!» Esclamò il ragazzo pregando che Maya non pronunciasse fino alla fine quelle parole. Era troppo imbarazzante. Tornò a guardarla negli occhi mentre lei mostrava un viso imbronciato per i suoi modi bruschi. «Siamo stati lontani per un anno. All’inizio non pensavo nemmeno che sarei riuscito a farcela e a metà strada ho cominciato a pensare che il giorno in cui ti avrei rivista non sarebbe arrivato mai. La notte non riuscivo a dormire pensando a te e l’idea che alla mattina seguente sarei stato solo un giorno più vicino a te mi faceva impazzire! Volevo rivederti, abbracciarti, ridere assieme a te come quando eravamo bambini e non pensare a niente… Ma come hai detto tu, ormai siamo adulti. Possiamo solo andare avanti.» Maya abbassò lo sguardo sconfortata, sentendosi una stupida per le parole scelte prima.

Era come diceva lui: erano adulti, e ognuno di loro aveva una vita propria. Doveva smettere di provare a intromettersi in quella di John; avrebbe finito per farsi odiare. Strizzò le palpebre, sentendo le lacrime che tornavano a fuoriuscire con più impetuosità, ma John allungò una mano e le prese delicatamente il mento. La costrinse ad alzare lo sguardo e incontrare nuovamente i suoi occhi, e contemplando ammaliato il suo viso rigato dalle lacrime disse:«Per questo voglio guardare avanti insieme a te.»

La ragazza sentì un improvviso calore in tutto il corpo mentre quello sguardo così insolito si fermava su di lei. Voleva chiedere cosa intendesse con ciò, ma non riuscì a dire niente di sensato.

«Ora l’ho capito, Maya: tu mi piaci. Mi sei sempre piaciuta e non voglio più dividermi da te. Voglio dirtelo ora perché non voglio arrivare a pentirmene un giorno, non voglio finire per allontanarmi ancora di più da te. Io voglio starti vicino, voglio passare tutto il tempo in tua compagnia e stringerti forte e baciarti.» John dovette tossire perché gli si stava seccando la gola a parlare così, e poté distogliere un attimo lo sguardo per non morire dall’imbarazzo. «Non ho idea di perché non lo abbia capito prima, però ora ne sono sicuro: sei la mia anima gemella, Maya.»

La ragazza aveva un’espressione incredula stampata sul volto. Cercò di divincolarsi dalla presa di John, ma la sua mano non lasciò andare il suo mento, quindi dovette parlare rimanendo ferma. «Anche tu… Mi piaci.» Mormorò con le dita di John che le schiacciavano le guance, dandole una espressione buffa. «Se non lo hai ancora capito…»

John mostrò un largo sorriso, come se avesse appena assistito a qualcosa di molto divertente, poi lasciò andare la ragazza e cercò le sue mani per stringergliele. Le mani di Maya erano fredde. Lui le scaldò chiudendole tra le sue.

«Quindi non andrai più via?» Chiese timidamente Maya guardando le loro mani unite. «Resterai con me?»

John sospirò combattuto. «Non potrei tornare all’università, ci vorrebbe troppo tempo per me, e ho già un contratto ad attendermi…»

«Ma allora… Nonostante tutte quelle belle parole, mi lascerai comunque?» Protestò Maya contrariata ritirando le mani.

«Maya.» John si sporse un poco in avanti poggiando i gomiti sul tavolo. «Abbiamo resistito a un anno intero separati e adesso hai paura che io stia a qualche ora di treno da casa?»

Lei protestò ancora. «Come faremmo a stare insieme? Come potrai stringermi, abbracciarmi e… Fare tutte quelle cose che hai detto, se siamo lontani?» Maya era agguerrita, non voleva arrendersi proprio ora che aveva scoperto che i suoi sentimenti erano corrisposti.

Anche John però non aveva motivo di mollare, e in più sapeva esattamente cosa dire. «Ti ricordi quel nastro che legasti al mio mignolo?»

Maya smise di parlare. La sua espressione si congelò nella sorpresa che il suo amico ricordasse una cosa così vecchia. A malapena riusciva a ricordarselo lei; però c’era un dettaglio che ricordava.

«Quella volta dicesti che il nastro era solo un simbolo, ma che il filo che ci univa non si sarebbe mai spezzato.» Disse John sorridendo fiducioso. «Saremo lontani, ci potremo vedere poco, ma se ci ameremo quel filo diventerà sempre più forte e niente potrà mai spezzarlo!»

Maya non poteva contestare quel ragionamento che lei stessa aveva esposto. Nonostante ciò non riusciva ad accettare di dover dire addio di nuovo al suo amico.

«All’inizio sarà dura, ma se restiamo uniti possiamo superarlo.» Continuò John. «E dopo un po’ di tempo le cose si sistemeranno, e potremo stare insieme.»

La ragazza non sembrava ancora convinta. Credeva che avessero già sofferto abbastanza e ora che sapevano di piacersi a vicenda avrebbe voluto solamente restare con lui. John piegò in avanti la testa e la guardò sorridendo.

«Maya, nessuna storia ha un lieto fine senza delle sofferenze.» Disse con calma. «Tutto quello che abbiamo affrontato fino ad ora non ha fatto altro che renderci più forti. Ti posso assicurare che da questo momento in poi, la nostra storia sarà molto più semplice.»

La ragazza sorrise e con un gesto spontaneo allungò una mano per prendere quella di John. «Me lo prometti?»

Lui sorrise sporgendosi in avanti. «Puoi crederci.» Quindi avvicinò il viso e le diede un bacio.

Quello fu il loro primo bacio, il bacio di due amici innamorati. Fu impacciato, nuovo, diverso da qualunque cosa si fossero aspettati, ma fu bellissimo. Dopo di quel giorno le cose cambiarono molto per la coppia: John trovò il lavoro che stava cercando e tornò a casa per passare delle vacanze di Natale spensierate con Maya e le loro famiglie. Inizialmente non sapevano come comportarsi di fronte ai loro genitori, ma preferirono svelar loro il più presto possibile la notizia del loro fidanzamento. La reazione fu diversa da quella che si aspettavano i due ragazzi; i loro genitori, semplicemente, li guardarono con aria stranita e dissero:«Perché, non lo eravate già?» Anche quando lo dissero ai loro amici, questi si congratularono con loro, ma aggiunsero che non c’era niente di inaspettato in quella notizia. Sembrava che per tutta la vita John e Maya fossero stati una coppia agli occhi di tutti, meno che ai propri.

Passato un anno, Maya prese la laurea specialistica e cominciò a lavorare in proprio nello stesso posto dove John aveva trovato lavoro. Nel frattempo anche lui si era dato da fare e si era sistemato per bene nella nuova città. I due andarono a vivere assieme, ma arrivati a quel punto non sapevano più cosa li aspettasse.

Avevano sempre avuto degli obiettivi futuri a lungo termine da inseguire e si erano sempre dati una mano l’un l’altra, ma adesso che avevano trovato un lavoro, gli studi erano finiti, il loro amore sbocciato, non sapevano più cosa avrebbero dovuto inseguire.

Così, invece di fare piani per il futuro, John e Maya decisero che avrebbero vissuto le loro vite al massimo, pronti ad accogliere ogni nuova sfida, concentrandosi sul loro presente, sul loro amore e tutto ciò che questo avrebbe portato.

   
 
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