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Autore: Nat_Matryoshka    24/12/2019    3 recensioni
"A Rey piace perdersi nei propri pensieri osservando l’albero illuminato, di sera, quando pensa di essere sola e si ritaglia un attimo per restare in piedi davanti alle lucine.
Ben la osserva senza parlare e la trova bellissima, ma ogni volta che tenta di dirglielo le parole spariscono tutte insieme."
[Modern AU natalizia]
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Ben Solo/Kylo Ren, Han Solo, Kylo Ren, Rey
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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 I'll be home for Christmas 









“Stai facendo le prove generali per Natale, piccola?”

Apre gli occhi pigramente – potrebbe far finta di dormire, ma lei sa che si è svegliato, lo ha percepito – mettendo a fuoco il mondo attorno a sé. Luce fredda di una mattina d’inverno. Rumori lievi dalla cucina, acciottolio di tazze nel lavello. La radio che ronza qualcosa, forse la fine di una canzone attaccata subito ad una pubblicità. Un portacandela a forma di Babbo Natale sul tavolo.

Una vocina impaziente, che si è fatta strada tra i suoi sogni, disperdendoli come fiocchi di neve in una tormenta.

“Papà!”

Effettivamente “prove generali” è una parola difficile, ma Leia è intelligente, la capirà. L’ha preso da sua madre. Ha un paio di occhi marroni che brillano come stelle ogni volta che le racconta qualcosa, o le chiede di mostrargli un disegno. Ed è sempre pronta a buttarsi sul tappeto e a inventare nuovi giochi, anche quando lui e Rey sono distrutti e non riescono a muovere un muscolo, figurarsi fingersi astronavi, o unicorni, o cavalieri pronti a salvare una principessa assieme a lei…

“Papà, non puoi stare ancora a letto così. È tardi.”
“Ah sì?” alza il busto, allungando le dita per accarezzarle i capelli. “E chi lo dice?”
“La mamma” risponde in tono di rimprovero, per quanto sia possibile ad una bambina di cinque anni. “È lì” aggiunge poco dopo, indicando la cucina. 

Rey arriva subito, quasi gli avesse letto nel pensiero, e forse è così.
“Leia, è sabato. Non puoi proprio lasciar dormire tuo padre un altro po’?”

Rey si porta le mani ai fianchi, fingendosi più indignata di quanto sia in realtà. Leia, da brava piccola sfrontata qual è, annuisce.

“No, ha ragione. Le avevo promesso di attaccare insieme le lucine alle finestre” Ben si alza, spostando di lato le coperte e afferrando la figlia con un braccio solo, sollevandola quasi non pesasse più di un cuscino. Lei strilla e si aggrappa al suo collo, ridendo, infilandogli le dita tra i capelli come fa sempre quando riesce ad arrivare alla sua testa. Le posa un bacio sulla testa, facendola ridere. “E ogni promessa è un debito. Ma prima facciamo almeno colazione.”

“Ci sono i muffin” sorride Rey, e si allunga per posargli un bacio sulla punta del naso. I muffin che compra al negozio sotto casa, che ne prepara una vagonata ogni giorno e nel periodo natalizio li decora con cristalli di ghiaccio di zucchero e noci caramellate. Esce di casa in silenzio prima che possa svegliarsi e, quando apre gli occhi, il sacchetto di carta è già lì che lo aspetta. Le piace fare qualcosa per lui senza dirglielo: piccoli atti di gentilezza, sfiorargli i capelli mentre dorme, fargli trovare le vitamine pronte vicine al bicchiere ogni sera (quelle che sua madre si è raccomandata che prenda, e guai a lui se prova a scordarsene). Ben la ringrazia con le parole e con i gesti, ma spesso parlare non serve: è sempre stato così, tra loro. Uno sguardo porta con sé interi discorsi, anticipano l’una i pensieri dell’altro. Si appartengono da molto prima di rendersene conto.
Si siede a tavola sistemando Leia accanto a sé, e inizia a mangiare solo dopo che la figlia ha distribuito equamente biscotti e latte a tutta la famiglia, compreso il peluche che le ha regalato lo zio Chewie e che si porta dietro ovunque, anche a scuola. Spesso la trova a chiacchierare con lui, seduta per terra a gambe incrociate, tutta intenta a parlargli di quel che ha fatto durante la giornata, di quanto si sia divertita in giro con il papà il sabato mattina, e sai che al parco un signore portava in giro un vero pony? Ride da sola, poi si alza e corre da loro per coinvolgerli in un nuovo gioco. Ogni volta che la guarda, spettinata e sorridente, ringrazia qualunque divinità lo stia ascoltando per avergli dato una figlia così.

Perché non ha nulla del bambino che sono stato.

Quando Rey gli aveva confessato di essere incinta era primavera. Iniziava a fare caldo, gli alberi erano coperti di fiori, e lei gli aveva afferrato le mani, stringendole tra le sue che tremavano.
“Cosa facciamo?” aveva sussurrato un attimo dopo. Non era la sua solita voce: tremava anche quella, piena di insicurezza, preoccupazione. Ma invece di sentirsi smarrito quanto lei, era stato invaso da una gioia sottile. Una piccola stilettata felice, come un raggio di sole che gli bucasse il petto senza fargli male.
Non aveva risposto: l’aveva abbracciata. Forte. Perché il cuore di Rey era anche il suo, e quando lei soffriva lui piangeva, e quando si sentiva felice cercava di trattenere quella gioia il più possibile, per regalarne una parte anche a lei. Dopo qualche attimo, il tremito si era fermato. Aveva alzato la testa e gli aveva sorriso tra le lacrime.
“La accogliamo” aveva risposto Ben con semplicità, e non era mai stato più sicuro di qualcosa.
 
“Leia, ce la fai a finire il latte? Babbo Natale mi ha chiesto se ti stai ancora comportando bene, non voglio raccontargli una bugia.”

Rey la rimprovera alzando un dito, ma gli occhi le ridono. Ride anche Leia, e finisce di corsa il latte. La verità è che non ha mai disobbedito a sua madre, se non quando finge di non aver sentito la richiesta di rimettere a posto i giocattoli. È solo incredibilmente vivace, e indomabile. Una fiammella danzante sempre attiva.

Ben finisce il biscotto che la figlia gli ha messo nel piatto, poi si alza. Il Natale porta con sé così tante attività da lasciarlo frastornato: incartare tutti i regali, escogitare nuovi nascondigli perché Leia non li trovi, rispondere agli auguri, scervellarsi a trovare un regalo per quegli amici e familiari che hanno già annunciato di averne uno pronto per loro… non è abituato, tanto che a volte si sente stanco già di prima mattina. Ma Rey è sempre lì, per lui, pronta a stringergli la mano nei momenti più difficili. Gli basta un suo sorriso, un sta andando benissimo, non preoccuparti per tranquillizzarlo. E il cielo solo sa quanto ne abbia bisogno.

Non è facile mettere via le sue ansie, nascondere le paure in un angolo buio dove possano restare chiuse (almeno per un po’, almeno finché non si sentirà in grado di affrontarle). Eppure Rey ci riesce. Forse proprio in virtù di quel loro legame unico e totalizzante, che esiste da sempre. O forse perché riesce a leggere nel suo cuore come nessun altro.

“Andiamo, bambina.” Si avvicina a Leia, lascia che gli prenda due dita con la sua manina, portandolo dove vuole. Si diverte a farsi condurre così, come se tra loro due fosse lui il bambino e lei l’adulta. “Attacchiamo le lucine sulle cornici. Ti va?”
Certo che le va. Leia prende la questione decorazioni molto seriamente, e dopo aver circondato di lucine tutte le cornici (molte delle quali contengono disegni di Ben, che Rey ha stampato perché “così posso ammirarli in ogni momento”), riempie anche i davanzali delle finestre e ogni superficie piana di palle di neve, renne e Babbi Natale. Ogni Natale si ritrovano ad ospitare in casa l’intero reparto oggettistica del centro commerciale, ma la verità è che quell’atmosfera li tranquillizza. A Rey piace perdersi nei propri pensieri osservando l’albero illuminato, di sera, quando pensa di essere sola e si ritaglia un attimo per restare in piedi davanti alle lucine. Ben la osserva senza parlare e la trova bellissima, ma ogni volta che tenta di dirglielo le parole spariscono tutte insieme.
 

*
 

Ha appena infilato il cappotto a Leia per uscire a fare le ultime compere, quando Rey chiude la porta a chiave e si gira verso di lui, lo sguardo un po’ teso di chi ha qualcosa da dire ma non sa come farlo.

“Ben… hai deciso cosa rispondergli?”

Il periodo natalizio è strano perché il tempo si dilata e si accorcia continuamente. Trascorri un pomeriggio a decorare i biscotti con Rey, e le ore sembrano durare secondi. Aspetti il momento in cui finalmente riuscirai ad alzare il telefono e chiamare tuo padre, zittendo quella voce cattiva nella tua testa che ti impone di far vincere il rancore (lui non ti ama, non ti ha mai amato, ripagalo con la stessa medaglia ignorandolo e già che ci sei non lo chiamare mai più), e una decina di minuti è dolorosa come un anno d’attesa.

La verità è che non ci ha pensato. Non lo sa, perché la parte di lui che desidera solo dimenticarlo sta venendo rimproverata da quella buona, quella per cui a Natale si è più buoni e dovresti almeno provare a perdonare, e altre banalità simili che sembrano tirate fuori direttamente da uno spot televisivo.
Gli rimane addosso solo una gran confusione, e il desiderio di essere più forte, di sapere esattamente cosa fare e quando farlo.

Per cui, risponde onestamente. “No. Non ne ho idea. Immagino che la soluzione arriverà sul momento.”

Lei annuisce e fa scivolare la mano nella sua. È fredda ma morbida, gentile, e quel tocco basta a riequilibrare la sua vita per qualche ora. Ben chiude gli occhi e inspira. Sta imparando a gestire quel caos, ha solo bisogno di tempo. Tutti hanno bisogno di tempo, chi più chi meno.

Rey non torna più sull’argomento per tutta la mattinata, né durante il pomeriggio, quando è il momento di fare la spesa e Leia, dopo aver corso per tutto il supermercato a leggere le etichette e i prezzi e ad esaminare la verdura più strana, si stanca tanto da addormentarsi come un sasso subito dopo cena. Rey la trasporta in camera stringendosela al petto, la testina appoggiata sulla piega del gomito, e la distende nel groviglio di coperte e peluche che ricoprono il suo letto.

“Le si sono scaricate le batterie in un attimo” sorride, spostando una ciocca di capelli dal viso della figlia. Rimane per un attimo a guardarla, lasciando a Ben il tempo di ricordare quando Leia era poco più di una neonata e il pensiero di lasciarla sola anche solo per un attimo li spaventava entrambi.

“Ha preso da te, allora” commenta, e si avvicina per sedersi anche lui sul letto. Allunga la mano per accarezzare i capelli di Rey, sciolti sul maglione giallo che le ha regalato perché gli faceva pensare a lei. La prima volta in cui ha preso in braccio sua figlia ha avuto il terrore di farle del male, di non essere in grado di reggerla senza farla cadere. Come poteva uno come lui aver dato vita a qualcosa di così puro, così indifeso e dolce?
E le voci ancora rodevano gli angoli della sua mente, lo prendevano in giro ridendogli in faccia. Distruggerai anche lei, come hai distrutto il resto. Cosa credi? Succederà come con i tuoi genitori: ti volterà le spalle, ti rifiuterà.
Non meriti nulla.

Ma Rey era venuta di nuovo in suo aiuto. Gli aveva accarezzato il viso a lungo, sussurrando il suo nome per tranquillizzarlo, aveva appoggiato la fronte alla sua per un attimo che era diventato profondo come un’eternità. E quella stessa sera, dopo aver messo a letto Leia, avevano fatto l’amore. A lungo, con la lentezza di chi non si preoccupa del tempo che scorre. Era stato Rey ad invitarlo con sicurezza gentile, perché in vita sua è stata insicura riguardo un migliaio e più di cose, ma mai, mai del sentimento che prova per lui.

Quella notte, per la prima volta dopo anni, le voci non l’avevano tormentato.

“Lasciamola dormire.” Rey gli sfiora una mano, strappandolo a quei ricordi. Sa già cosa gli sta chiedendo, senza bisogno che lo faccia a parole: un posto tranquillo dove parlare. E il salotto, illuminato solo dalle lucine dell’albero, è il loro rifugio.
La guarda armeggiare con un fiammifero e accendere la candela rossa alla cannella sul tavolino davanti al televisore, per poi sprofondare nel divano accanto a lui come fa di solito. Quando si allarga comodamente occupando quasi tutto lo spazio ridiventa in un attimo la ragazzina irruenta e coraggiosa di cui si è innamorato, quella con una risposta sempre pronta per ogni situazione.

Restano in silenzio, concentrati entrambi su un solo pensiero. È Ben a romperlo: in qualche modo, sente di dover essere lui a farlo.

“Non l’ho ancora chiamato perché ho paura. È stupido, lo so, ma l’idea che possa rifiutarmi ancora mi fa stare male.”

Tiene la testa bassa, gli occhi sulle dita intrecciate. Rey si sposta per guardarlo meglio, ma non lo tocca: sa che in quel momento è solo davanti ad una porta fatta di segreti inconfessabili, e deve trovare in se stesso la forza di aprirla. Si limita a scuotere la testa.

“Non è affatto stupido… è umano. Avete litigato, è normale che tu abbia paura di parlarci ancora.”

“Ma è stata tutta colpa mia. Fin dall’inizio. Avrei potuto… smettere di farmi condizionare dalla rabbia. Non sbattergli la porta in faccia.” Inspira con forza, come se cercasse di controllare le proprie emozioni. “Da quando se n’è andato, ho iniziato a detestarlo. Perché ci aveva abbandonati, perché evidentemente non gliene importava nulla di noi, altrimenti non avrebbe scelto di allontanarsi sempre di più. Perché si era arreso con me fin dall’inizio… e avevo il terrore lo facesse anche mia madre.”

Stringe un pugno perché le dita non tremino. La luce della candela freme nell’involucro di vetro.

“È iniziato tutto da lì. Con la mia debolezza, con la mia incapacità di affrontare quel che provavo. Alla fine ho preferito tagliare i ponti, isolarmi… e non è cambiato nulla. Avrei potuto parlargli, raccontargli cosa provo, ma la paura di un suo rifiuto mi è rimasta e mi lega, mi impedisce di fare qualunque cosa.” Scuote la testa. “Per quello non sono riuscito a chiamarlo, nemmeno per dirgli una sola parola. Se mi dicesse che non vuole più saperne nulla di me, andrei in pezzi, più di quanto non lo sia ora. Come fai a non pensare che sia stupido?”
Inspira ancora, e in quel respiro Rey percepisce le lacrime che non riesce a liberare. Le pizzicano gli angoli degli occhi, come se volessero uscire almeno dai suoi. Questa volta non può trattenersi: si gira verso di lui e gli prende il viso tra le mani, guardandolo dritto negli occhi marroni.

“Ben. Smettila di denigrarti.”

Lui abbassa le palpebre. È così fragile, così delicato tra le sue mani, che sente il pianto farsi avanti con ancora più forza.

“Quel che ha fatto il te del passato resta dov’è. Sei cresciuto… hai sofferto, hai imparato dai tuoi errori. È giusto che tu abbia un’altra possibilità. Non continuare a farti del male.” Tocca la sua guancia con il polpastrello, si sofferma sullo zigomo, quasi lo stesse ridisegnando. “Se vuoi davvero rivedere tuo padre perché, in fondo, gli vuoi ancora bene e potete ancora chiarire le cose… se richiamarlo può farti star meglio, allora fallo. È l’occasione adatta per ricominciare.”

Gli posa un bacio lieve sulle labbra, poi resta con la fronte appoggiata alla sua, come se volesse passargli tutta la propria forza.

“Devi ascoltare te stesso. Fidati di quello che provi, Ben…  hai lottato tanto per cambiare. Te lo meriti.”

Il salotto è immerso in un’oscurità soffusa che profuma di cannella, le luci dell’albero si accendono e spengono proiettando sul muro le loro ombre blu, rosse, gialle, verdi. Percepisce il respiro di Rey sul suo labbro, e la delicatezza di quel contatto è sufficiente a farlo sorridere.
Un attimo dopo, la prende tra le braccia e la bacia. Con foga, con desiderio, con la gioia disperata e selvaggia di chi desidera dire qualcosa e non trova le parole adatte per farlo. Rey, dopo un attimo di sorpresa iniziale, affonda le dita tra i suoi capelli, stringendosi contro il suo corpo. Ricadono rotolando sul divano, tra i cuscini che finiscono inevitabilmente sul pavimento, mentre le dita di Ben si aggrappano al maglione giallo, affondano nei vestiti, la trattengono perché non se ne vada. Ma anche alla fine del bacio, Rey resta lì. Con lui, sotto di lui, spettinata e sorridente.

Scoppia a ridere. Nel sollievo della tempesta appena finita, Ben la segue e si accorge di non aver mai riso in modo tanto liberatorio.

Riprendono fiato distesi vicini, i piedi di Rey appoggiati sul tavolino di vetro. Indossa un paio di calzini rossi con gli scoiattoli e le renne: in quel frammento di tempo in cui l’euforia del bacio gli riscalda la pelle, si chiede cosa abbiano esattamente a che fare i due animali e perché qualcuno dovrebbe metterli sullo stesso paio di calzini natalizi.

Le circonda un braccio con le spalle, spingendola verso di sé.
“Ti ricordi il nostro primo bacio?” chiede. Non sa perché gli sia venuto in mente proprio ora, ma gli sembra la cosa giusta da ricordare. Rey ridacchia, annuendo.
“Certo che sì! Ti ho baciato io… mi sono detta di buttarmi, che non mi sarebbe mai ricapitato di avere tanto coraggio.” Anche se non può vederla in viso, sa che sta arrossendo. “E tu mi hai accettata. Non ricordo bene quando sia successo, ma ricordo come.”
“Non avrei mai potuto rifiutarti… lo sai.”

Ben prende possesso del divano – ora tocca a lui, dopotutto – e le appoggia la testa in grembo. Rey è calda, gentile come la sua voce, pacata come le sue parole. Ma sa anche essere spinosa, ostile. Con chi non conosce bene, ad esempio. Con chiunque cerchi di portarle via qualcosa di importante, o di fare del male alla sua famiglia. Starle vicino è un privilegio: quel pensiero lo coglie all’improvviso con la velocità di un fulmine. Nessun altro ha il permesso di ascoltare i suoi gemiti soffocati quando fanno l’amore, né di ridere con lei delle smorfie che fanno la sera, allo specchio, al momento di lavarsi i denti prima di andare a letto. Ha tanti lati diversi in sé, sfaccettature che non tutti riescono a cogliere. E lui li ama tutti, uno dopo l’altro, incondizionatamente.

Rey gli accarezza i capelli distrattamente. Potrebbe addormentarsi, al tocco di quelle dita. Un incantesimo solo per lui.

“Sei stata la prima a darmi speranza. La prima a credere in me… più di quanto ci creda io.”
“Direi che è il minimo.” Sbuffa appena, ma è talmente abituato a quella sua finta indignazione da riuscire a riconoscerla immediatamente. “Sei un artista, sei intelligente, sei una persona buona che sta facendo di tutto per cambiare la propria vita. Sei modesto. Dolce. E un ottimo cuoco. A volte lanci degli sguardi davvero sexy di cui probabilmente nemmeno ti rendi conto. Devo continuare?”
“No basta, per carità. Mi fai arrossire.”
“Scemo. Ora ho capito a chi sta iniziando ad assomigliare Leia, quando copia le tue battute.” Gli affibbia un colpetto sulla testa, scompigliandogli i capelli… ma un attimo dopo riprende ad accarezzarli con la stessa dolcezza ipnotica di poco prima. Ben sente le membra sciogliersi, il corpo rilassarsi e perdere pian piano la tensione accumulata in precedenza. Potrebbe veramente dormire lì, appoggiato alla donna che ama, vestito di tutto punto, e non gli dispiacerebbe nemmeno. Rey, da parte sua, è rilassata quanto lui e mormora qualcosa, forse una ninna nanna, una di quelle che canticchia a Leia per farle prendere sonno.

Ha provato a cantare per sua figlia. Dopo anni che non lo faceva – la musica è gioia, allegria, e della sua adolescenza non conserva ricordi molto allegri – gli sembra incredibile, bello. Leia è distesa tra le sue braccia, un fagottino che si agita e lo sfiora con le manine soffici, e lui le sussurra una canzone a mezza voce, scegliendo le parole con cura. Sulle prime non sembrano voler venire fuori, ma la pazienza che ora lo accompagna lo aiuta ad attenderle. La canzone prende forma mentre la culla avanti e indietro, meravigliandosi di quanto sia leggera. Ha i suoi capelli: sono neri e folti, ne aveva già tanti alla nascita. È presto per capire a chi assomiglierà, ma quel luccichio nei suoi occhi somiglia alla luce in quelli di Rey, quando gli parla di qualcosa che la entusiasma.
Quando nemmeno lei riesce a farla addormentare, la tiene appoggiata sul suo petto, la testina sul cuore. Inspira ed espira, cerca di infonderle la tranquillità che per anni ha cercato, e solo ascoltando il suo battito Leia si addormenta. Rey a volte li trova in quel modo, immersi in sogni pacifici che forse condividono.

“Andiamo a dormire subito, o domani ci sveglieremo con più crampi che muscoli” sussurra Rey, ma non è facile districarsi da quella posizione rassicurante. Serve uno sforzo di volontà notevole, e Ben che si alza in un impeto di energia e la afferra tra le braccia, trasportandola nella loro stanza tra le proteste e le risate della ragazza. Giusto il tempo di spogliarsi e Ben si arrende al sonno con la stessa prontezza di Leia, come se il peso che portava sulle spalle fosse finalmente diventato più leggero.

Ad un certo punto della notte, quel momento in cui la luce è troppo fioca per annunciare l’alba ma il buio è già meno fitto, sente le braccia di Rey stringerlo da dietro. Mormora qualcosa con la voce impastata dal sonno, poi affonda il naso nell’incavo tra la spalla e la nuca e resta lì, abbracciata, protetta dal suo corpo.
 
 
*
 

La mattina dopo, Rey inforna una nuova teglia di biscotti. Leia si offre ovviamente di decorare e assaggiare, e una buona parte delle stelline si incollano tra loro sotto una quantità di glassa un po’ troppo generosa. Ma va bene comunque, le assicura Rey, alla nonna Leia piaceranno tantissimo, e sua figlia sorride da un orecchio all’altro.

Ben è meno nervoso rispetto al giorno prima. Dentro di sé, sente di aver raggiunto la fase in cui il temporale è passato: ora bisogna raccogliere quello che la sua furia ha sparso in giro. Una risoluzione sottile gli affonda nel cuore, più forte della tempesta stessa. Può farcela, si ripete, ce l’ha fatta finora. Le cose possono sempre cambiare, è nella loro natura farlo. E poi, Rey crede in lui. Rey è lì per sostenerlo, lo farà anche se le cose andranno male. Soprattutto se andranno male. Non può farsi dominare dalla paura per sempre.

Suo padre merita una possibilità. Anche lui la merita.

In piedi nel salotto illuminato dalla luce, accanto all’albero di Natale che resterà spento fino alla sera, prende un altro respiro profondo e cerca il suo numero nella rubrica del telefono. Schiacciare il pulsante verde sotto alla sua foto, dopo anni che non lo faceva, gli sembra quasi strano.

Aspetta gli squilli contandoli, pregando, sperando.

Al quarto, proprio quando sta per arrendersi e buttare via tutto, una voce pronuncia il suo nome.

“Ben?”

Le sue labbra si piegano in un sorriso.
 

*
 

Leia ha cercato in tutti gli armadi la sua mantellina rossa da folletto di Babbo Natale, e non si è arresa finché non l’ha trovata. Quella testardaggine è una caratteristica di entrambi, pensa Ben, sorridendo tra sé. Era solo questione di tempo prima che toccasse in eredità anche alla figlia.

La nonna Leia è già arrivata e sua nipote le si è incollata addosso con un entusiasmo che è solo suo. Ha dovuto ovviamente raccontarle tutto quello che ha fatto a scuola negli ultimi giorni, mostrarle i nuovi giocattoli e il suo posto a tavola, ma Ben potrebbe giurare di non aver visto sua madre così serena da molto tempo.

Rey non gli ha chiesto se aspettano qualcun altro per cena, né come è andata con suo padre: è bastato uno sguardo per spiegare tutto. Lei ha sorriso e annuito, e quando si sono incrociati nel ripostiglio della cucina si è alzata sulle punte per baciarlo sulle labbra. È fiera di lui, riesce a percepirlo.
Mentre Rey apparecchia e Leia cerca di scoprire in tutti i modi cosa sia il regalo della nonna e dove l’abbia nascosto, il campanello suona. Un trillo educato, esitante all’inizio, seguito da uno più deciso. Generalmente è Rey ad accogliere gli ospiti correndo di qua e di là, ma stavolta resta ferma. Lancia uno sguardo a Ben, che ha già raggiunto la porta.  

A testa alta, appoggia la mano sulla maniglia. Le sue dita non tremano più.

Per favore…

“Ciao, Ben.”

Fuori, in piedi sul pianerottolo, Han Solo gli sorride. È più anziano dell’ultima volta in cui l’ha visto, più provato dal tempo e dalle difficoltà, ma ogni piega del suo viso partecipa della stessa gioia dei suoi occhi. Ha in mano una busta rossa, che stringe con una tensione che non vuole trasmettere al resto del corpo.

È felice di vederlo, si rende conto. Ma è esattamente come lui: deve trovare il momento adatto per esprimere quello che prova. In fondo, sono più simili di quanto pensi.

“Mi mancavi, figlio mio.”

All’improvviso, le parole che non è mai riuscito a dire in anni di silenzi e porte sbattute tornano tutte insieme. Ben lo abbraccia di scatto, Han lo accoglie nella sua stretta, e per un attimo restano fermi nella luce al neon del pianerottolo, a metà tra il brusio leggero della casa e i rumori della strada tra portoni sbattuti e auguri di Natale scambiati da una casa all’altra. Non è facile cancellare la distanza. Ma in qualche modo, sente quell’obiettivo è alla loro portata.

Alza la testa e lo guarda negli occhi, dopo anni che non lo faceva.

“Anche tu.”

Han Solo sorride.

 
 















_________

Una volta uscita dalla prima visione di The Rise of Skywalker, ho sentito l'urgenza di scrivere qualcosa a tema natalizio: non era tanto importante la storia, quanto il finale. Sono una di quelle persone che adorano le storie natalizie felici e a lieto fine, per cui mi sono buttata d'impulso a scrivere quel che mi veniva in mente, senza badare alla forma... e ne è uscita questa storia. Che ha sicuramente i suoi difetti, che ho pensato in pochi giorni e scritto di getto per non perdere l'ispirazione, ma che spero davvero possa trasmettervi qualche vibe natalizio positivo, che è la mia speranza ogni volta che scrivo qualcosa per sbizzarrirmi e consolarmi un po'. 
La fragilità di Ben e il suo coraggio, la risolutezza di Rey e il modo in cui le loro anime si cercano e comprendono mi rende sempre felice. Scrivere su di loro è terapeutico, mi aiuta a capire meglio anche me stessa: sono il più bel dono che questa trilogia potesse farmi, e nel bene e nel male gliene sono immensamente grata. 
La figlia di Rey e Ben da me inventata si chiama Leia Padmé Breha. Probabilmente quando nonna e nipote si trovano nella stessa stanza la confusione è tanta, ma non potevo farmi scappare l'occasione <3 

Grazie, come sempre, alla mia bae Ailisea, il mio personalissimo e dolcissimo Ben. Ha corretto e letto molte storie, e spesso e volentieri le ispira anche. E a voi lettori, che vi fermate per leggere o lasciare un commento! 

Buon Natale, e che la Forza sia con voi <3
Rey
 

 
 
   
 
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