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Autore: Roberto Turati    24/12/2019    0 recensioni
Una storia che dedico a Maya Patch, mia amica e mentore.
 
Per capire del tutto questa storia del mio AU, è meglio se leggete la storia di Maya, prima di questa.
Mentre la tribù dei Difensori si sta ancora riprendendo dall'assedio dei Teschi Rossi, Aurora attende con impazienza il ritorno di Lex da Ragnarok per poter continuare ad indagare con lui sugli indizi sparsi per l'Isola. Tuttavia, fa una scoperta inaspettata: rinviene un antico oggetto portato nel mondo delle Arche da un'altra dimensione. Studiandolo, scopre il luogo d'origine del suo defunto proprietario: ARK, l'isola preistorica.
 
Aurora e Lex vi si perderanno loro malgrado. Saranno in grado di trovare un modo per ritornare sulle Arche, nonostante tutti gli ostacoli che ARK riserva per loro?
Genere: Avventura, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'Isola Unica al Mondo'
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PERSI SU ARK

Era passato un giorno da quando Lex era partito per Ragnarok. Rimasta senza l’unica persona con cui poteva discutere seriamente sulle stranezze dell’isola, Aurora non riusciva a non pensare all’ologramma, a quei diari, a tutto quello che c’era di strano in quel posto. Aveva la netta sensazione che di quel passo avrebbe perso la testa, così decise di darsi da fare e rendersi utile per occupare il più possibile il suo tempo e distrarsi. Era un po’ egoistico come proposito, ma visto che si trattava di aiutare si sentiva “giustificata”. Ed ecco perché, in quel momento, si trovava nella foresta con Giselle per raccogliere bacche e frutta per aggiungere mangime alle stalle della base. Le era stato detto che di carne ce n’era già da vendere, quindi le bastavano vegetali. Aveva chiesto lei a Giselle di accompagnarla; non solo perché la piratessa era una delle persone con cui aveva preso più confidenza da quando era coi Difensori, ma anche perché con lei si sentiva molto più al sicuro nelle zone selvagge. Avevano lasciato il tapejara di Giselle ad attenderle in cima ad una roccia, mentre raccoglievano quello che trovavano stando a breve distanza l’una dall’altra. Tuttavia, il silenzio riempito solo dai fruscii e i richiami della boscaglia le metteva inquietudine: voleva fare conversazione. E la prima cosa che le venne in mente fu l'incontro fra Giselle e Nick orchestrato da Jenny con la complicità riluttante di Lex, la sera prima:

«Com’è andata a finire, ieri?» domandò, dopo aver preso tutte le migliorbacche di un arbusto.

«Di che parli?» chiese Giselle, senza voltarsi a guardarla.

«Be’, del tuo avvicinamento a Nick. Sai, quello “incoraggiato” da Lex» spiegò la rossa, con un mezzo sorriso.

Giselle, allora, si irrigidì subito e le sue guance diventarono rosse:

«Oh, quello! Ecco, abbiamo parlato»

«Parlato, eh?»

«Parlato»

«Ho visto. Di cosa?»

Giselle rimase in silenzio per qualche secondo, grattandosi il collo con aria imbarazzata. Poi rispose:

«Oh, niente di particolare: prima i soliti convenevoli, poi abbiamo conversato del più e del meno, io mi sentivo un pesce fuor d’acqua e anche lui, vista la faccia che aveva. D'accordo, sono certa di essere stata un disastro»

Aurora ridacchiò:

«Ma no, vedrai che è solo un’impressione! Questione di prenderci la mano»

«Non lo so, mi sento ancora così in imbarazzo a pensarci!»

«Abbi fiducia, Giselle: vedrai che finirà bene»

Guardando oltre la pianta, Aurora notò un altro cespuglio di migliorbacche a qualche metro di distanza. Ci andò subito e cominciò a raccoglierle, ma fu interrotta da un gridolino dietro di lei e un’imprecazione di Giselle. Si voltò di scatto, allarmata, ma vide solo un esserino dal bruttissimo aspetto correre via nel sottobosco.

«Ehi, tutto bene?»

«Sì, tranquilla: uno stupido pegomastace ha cercato di rubarmi le bacche. Gli ho dato la pedata che meritava»

«Credevo che gli avresti sparato»

«Nah, non vale la pena sprecare piombo per quegli scippatori; anche perché, se avesse voluto, avrebbe potuto rubare direttamente la pistola»

«Cosa? Davvero?» chiese Aurora, sorpresa.

«Certo! Ho sentito parlare di tribù o gruppi che addestrano i loro pegomastaci per rubare di nascosto le armi dei nemici, così partono in netto vantaggio. Tieni gli occhi aperti, nella foresta!»

«Certo, lo farò»

Le ragazze continuarono in silenzio per un po’, addentrandosi nella boscaglia. Il Sole era allo zenit e alcuni dei suoi raggi penetravano nel fitto fogliame come lame di luce, creando effetti molto suggestivi che facevano tanto contrasto con l’ambiente buio e opprimente. Trovarono impronte di raptor e Aurora, ripensando al breve incontro che aveva avuto con l’esemplare alfa alla spiaggia, rabbrividì e si passò d’istinto le mani sulle cicatrici che aveva sulle braccia. Per fortuna, Giselle le assicurò che erano abbastanza vecchie e le bestie che le avevano lasciato erano per forza molto lontane da lì. Poco oltre, in una piccola radura illuminata e a ridosso di un basso crinale da un lato, trovarono un giovane melo coi rami pieni di minuscoli frutti appena maturati e li vollero prendere. Giselle disse che poteva bastare: non potevano trasportare molto altro, del resto, e le creature non erano poi così esigenti. Aurora annuì e fece per voltarsi e tornare indietro, ma la piratessa si accorse di qualcosa ed emise un sospiro beato. La rossa si girò, incuriosita, e vide che stava guardando un salice, sotto la parete rocciosa.

«Un salice! Sai, era l’albero preferito di mia madre» disse Giselle.

«Davvero?»

«Sì. Per questo mio padre ha chiamato la sua nave Black Willow. Non riesco a fare a meno di pensarci ogni volta che ne vedo uno»

Sorridendo, si avvicinò alla pianta a braccia conserte e si fermò sotto le sue fronde pendenti, guardandole con un’attenzione tale da sembrare ipnotizzata. Anche Aurora si fermò a guardare, però vide qualcos’altro: tra le radici, ormai mezzo sepolto dall’erba e dal muschio, intravide quello che le sembrava un vestito. Osservando meglio, ebbe conferma che era una vecchissima e consunta veste in qualche tessuto che non seppe riconoscere. Non resisté alla tentazione di indagare, mentre Giselle fissava ancora i rami: si accucciò e la afferrò. La tirò e sobbalzò con un acutissimo grido, quando si ritrovò faccia a faccia con le orbite vuote di uno scheletro quasi inglobato dai licheni. Aurora, ancora scossa dai brividi, corse a rifugiarsi dietro Giselle per istinto, stringendosi le spalle per sentirsi più riparata e tenendo gli occhi sbarrati. Giselle, invece di spaventarsi, sembrò solo sorpresa.

«Cosa? Oh!»

«Non me l’aspettavo per nulla!» esclamò la rossa, sforzandosi di calmarsi.

«Ehi, rilassati! Non ti morde mica: non può più»

Alla fine, il respiro di Aurora tornò regolare e, non potendo fare a meno di guardare più da vicino nonostante l’inquietudine, tornò dallo scheletro. Era così vecchio che alcuni pezzi si sgretolavano appena li toccava con le dita e gli mancava tutta la metà inferiore. Si chiese ad alta voce cosa potesse essergli capitato e Giselle suggerì che una bestia gli avesse mangiato le gambe: era l’idea più plausibile e la rossa rabbrividì all’idea.

«Certo che dev’essere proprio vecchio per avere il muschio. Quanti anni gli daresti?»

«Non saprei. Di certo è qui da più del doppio dei nostri anni messi insieme: guardalo, è più polvere che ossa!»

«Hai ragione. Aspetta, questo cos’è?»

Si accorse che, tra le falangi contorte e rinsecchite, stringeva qualcosa: un oggetto, a prima vista metallico. Lo prese e tutto il braccio del cadavere si sgretolò, il che le provocò un brivido di raccapriccio. Preso quello che lo scheletro aveva stretto per chissà quanti decenni, Aurora se lo rigirò in mano con attenzione: era una strana sfera di rame, grande poco più di una palla da tennis, ormai arrugginita e resa verde dall'ossidazione. Era più pesante di quello che sembrava e un solco la divideva in due parti uguali. Ma quello che la colpì di più fu ciò che si vedeva attraverso una sorta di piccolo oblò di vetro su uno dei lati: all’interno della sfera c’era un curioso liquido azzurro, denso come il miele e fluorescente. Nel liquido galleggiava un piccolo pezzo di legno contorto che, con grande sorpresa di Aurora, pulsava come un cuore.

«Che roba è?» chiesero entrambe, quasi all’unisono.

«È davvero stranissima. Credi che c'entri qualcosa con l’ologramma che abbiamo trovato?»

Giselle sollevò le braccia:

«Non so dirti niente: quello per me era una novità, tanto quanto questa palla di metallo. Ma se proprio vuoi la mia opinione, dubito che siano collegati. Sono del tutto diversi e non leggo nessun messaggio strano su questa cosa»

«Giusto, hai ragione» rispose Aurora, sentendosi un po’ sciocca.

«Senti, abbiamo fatto il pieno di frutta e qui non sembra esserci altro. Vogliamo rientrare?» chiese Giselle.

«Sì, va bene» rispose Aurora.

La rossa fece scomparire la sfera nel suo inventario e scosse le mani, finalmente libere dal suo peso.

«Che fai, te lo tieni?»

«Be’, sì! Ho intenzione di capirci qualcosa. D'altronde, il proprietario non può più lamentarsene, giusto?»

Giselle ridacchiò e si strinse nelle spalle.

«Come vuoi»

Aurora rimase in silenzio. Rifletté su quella scoperta per tutto il viaggio di ritorno. Un altro mistero che si aggiungeva alla lista. Cos'altro nascondeva l'Isola? Cos’era quell’oggetto e che se ne faceva la persona che ce l'aveva, prima di morire? Al contrario dell'ologramma, che era apparso dal nulla da un giorno all'altro, la sfera sembrava antica. Magari era un particolare strumento di cui disponevano le generazioni più vecchie di sopravvissuti? Doveva approfondire: dentro di sé, sentiva che ne valeva la pena.

Quella sera, chiese e ottenne da Giselle di mangiare da lei, anche se molti dei Difensori si erano radunati alla mensa. La piratessa fece del salmone allo spiedo e ad Aurora piacque così tanto che le chiese se ne aveva altro.

«Certo, ne ho un’intera scorta!»

«Accidenti, sei bravissima! Posso mangiare da te più spesso?» scherzò Aurora, con un sorriso imbarazzato.

«Grazie, l’ho imparato da mia madre! E se vuoi stare qui altre volte, per me va bene: sei simpatica!»

Aurora ringraziò e si appoggiò al muro, in attesa della seconda porzione. In quel momento vuoto, si ricordò della sfera e la tirò fuori dall’inventario. Iniziò a rigirarsela con molta attenzione fra le mani: non era il caso di graffiarsi con la ruggine. Evitò il più possibile di guardare attraverso il vetro: quel legnetto pulsante le faceva troppa impressione per fissarlo. Non riusciva proprio a capire cosa potesse essere. A un certo punto, le venne un sospetto sul solco che divideva a metà la sfera: e se fossero state due componenti separabili? Incuriosita, provò a tirare le due parti: per un paio di secondi, non successe niente, ma poi scoprì di averci visto giusto. La sfera si aprì, divise l’oblò in due e rivelò che il liquido azzurro era contenuto in una boccetta di vetro a cui la sfera di rame faceva da protezione. Ma non era tutto: una sezione della metà inferiore della palla si scoperchiò. Aurora rimase di sasso, perché non avrebbe mai pensato che ci fosse un vano su quella superficie liscia. E in quel vano c'era qualcosa che la sbigottì:

«Una tastiera?» si chiese, confusa.

Si trattava di nove tasti ricurvi disposti in cerchio, formando un anello. Su ciascuno di essi, c'era un numero di tacche oblique che partiva da uno sul primo tasto e finiva a nove sull'ultimo. Al centro dell'anello, si trovava un tasto più grosso e circolare. Su di esso non erano disegnate tacche, bensì l'icona stilizzata di una casa, formata da un quadrato privo del lato superiore sormontato da un triangolo senza base. Il cuore di Aurora iniziò a battere all'impazzata per l'emozione: la sfera era un telecomando? Cosa rappresentavano i numeri e il simbolo della casa? Da un lato, la tentazione di premere quell'invitante bottone rotondo era molto forte, ma poi la rossa pensò di evitare per sicurezza: non sapeva cosa facesse, forse fare una prova nella casa-nave di Giselle non era la migliore delle idee. Aurora rimase in attesa due minuti e la sfera si richiuse di colpo, tornando uguale a prima.

«È pronto!» la chiamò Giselle.

«Eh? Ah, arrivo!»

Aurora mangiò il secondo salmone con molta meno voracità di prima, perché la sua mente ormai era del tutto assorbita da quella palla enigmatica. Doveva assolutamente indagare. Doveva capire al più presto quale fosse il luogo e il momento più adatto a fare una prova, dove nessuno avrebbe corso rischi inutili. La brama di saperne di più era tale che Aurora non chiuse occhio, quella notte. Ci rifletté a lungo e, alla fine, decise di fare domande alla persona che aveva più probabilità di saperne più degli altri, prima di sperimentare da sola.

La mattina dopo, chiese di Nick e lo trovò vicino alla riva del lago. Siccome il capo dei Difensori era uno dei sopravvissuti che erano in circolazione da più anni, la speranza che almeno lui sapesse dirle cos’era la sfera era concreta. Invece, come temeva, il capotribù scosse la testa con perplessità, quando si trovò davanti la palla di rame:

«Non ho mai visto niente di simile. Non sembra nemmeno un apparecchio a base di TEK» le disse.

«Già» mormorò Aurora, delusa.

«Dove l’hai presa?»

«Ieri, nella foresta. Ce l’aveva uno scheletro vecchissimo»

«È davvero strano. Sembra estranea a qualunque cosa ci sia sulle Arche» commentò lui.

«È la stessa cosa che ho pensato io quando ho visto il TEK, a dirla tutta. Be’, dovrò spremermi le meningi da sola per capire cos’è!» ridacchiò la rossa.

Il suo sorrisetto imbarazzato diventò una smorfia allarmata, appena Aurora si accorse dello sguardo contrariato di Nick. Capì solo a quel punto di aver fatto un passo falso: c'era un motivo, se aveva sentito parlare male delle ricerche private di Lex, e Giselle le aveva detto che Nick non era mai stato contento quando si trattava dei segreti dell'Isola. Ebbe paura che il capotribù le ordinasse di consegnarle la sfera ma, proprio in quel momento, un gruppo di persone chiamò Nick da lontano e gli chiese se poteva venire, per cui il capo dové congedarsi. Appena la salutò in tono distratto, la rossa tirò un sospiro di sollievo: l'aveva scampata. Sarebbe stato un vero peccato perdere una pista così intrigante. 

La settimana successiva passò nella totale ordinarietà: Aurora ammazzava il tempo libero fissando la sfera aperta; non osava premere i tasti, nonostante l’impulso di fare una prova. Talvolta si malediceva per essersi cacciata da sola in quello stallo che, a tratti, le metteva ansia. Quando ne aveva l'occasione, andava in giro con Giselle per fare qualcosa di utile, andava alla stalla per salutare il suo equus e riempire le mangiatoie delle altre creature, oppure faceva un salto nell’infermeria per salutare Jenny, ancora impegnata con la riabilitazione. Com’era abbastanza ovvio, finì per conversare spesso sulla sfera anche con lei. Il primo pensiero di Jenny era sempre chiederle di aggiornarla su eventuali novità o pettegolezzi per poterci ficcare il naso come suo solito, persino mentre era ricoverata; comunque, anche la storia dello scheletro e della palla di rame la incuriosiva molto. Aurora le promise di informarla subito, se avesse fatto qualche scoperta; il problema era che non ne faceva mai. Tuttavia, non smise di provare a capirci qualcosa, fino al ritorno di Lex da Ragnarok. Non vedeva proprio l’ora di sentire la sua opinione.

Purtroppo, il rientro del suo unico vero confidente non andò come pensava. Un giorno, Aurora era nel suo alloggio, con la mente che rimbalzava di continuo dall’ologramma alla sfera, che in quel momento era riposta su una mensola come se fosse un cimelio. Rimuginò fino a procurarsi un mal di testa. D'un tratto, sentì un rumore nella stanza adiacente. Jerry dormiva tranquillo al suo fianco, ma scattò in piedi all'improvviso e rizzò le orecchie quasi allarmato.

«Che succede?» esclamò Aurora, preoccupata.

Jerry annusava l'aria e scese dal letto. Dalla camera accanto provenne un tonfo preoccupante, seguito da un lamento e un colpo di tosse. Aurora scattò in piedi e aprì la porta al jerboa.

«Lex? Sei tu?»

Bussò alla porta, che sembrava bloccata. Si ricordò che Lex l'aveva chiusa a chiave, per evitare che lei frugasse in giro senza il suo permesso. Sentiva qualcuno che si trascinava sul pavimento; poco dopo, la chiave girò nella toppa, ma la porta non si aprì quando la ragazza premette la maniglia.

«Non si apre» disse.

Lex le rispose con voce roca e affaticata:

«Non devi entrare, chiama subito Nick»

Un violento colpo di tosse gli mozzò il fiato. Aurora annuì; stava per uscire, ma si ricordò di avere una radio. Contattò Nick direttamente con quella e descrisse tutto ciò che stava sentendo. Nick annunciò che sarebbe arrivato il prima possibile, e così fece. Pochi minuti dopo, era nel corridoio comune insieme ad Aurora. Indossava la solita armatura TEK e spiegò che l'avrebbe isolato da qualsiasi malattia avesse contratto Lex. Mentre entrava in camera col permesso di quest'ultimo, arrivò anche Sophie. Nick la fece attendere all'esterno, prima di riaprire la porta e consegnare alla ragazza dai capelli neri una boccetta con un intruglio verde all'interno.

«L'effetto durerà un paio d'ore, ti isolerà dalla megarabbia - disse - Nessun'altro deve entrare, a parte me. Una volta finito l'effetto, uscirai, intesi? Dobbiamo fare in fretta: ha bruciature gravi e un brutto morso alla gamba. Immagino che sia stata una megalania»

Aurora ascoltava, ma non capiva. Stette a sentire finché Nick non la guardò e le consegnò un foglio:

«Va' con Giselle e raccogli gli ingredienti sulla lista. Mi servono urgentemente. Mi sono rimaste solo due boccette e non basteranno, se vogliamo che quell'incosciente sopravviva»

Aurora annuì, ancora confusa, ma sapeva che Giselle le avrebbe spiegato tutto. Non c'era tempo per fare domande, quindi corse all'esterno alla ricerca dell'amica. Trovò Giselle da Jenny e la trascinò via a forza. Come si aspettava, gli ingredienti erano difficili da trovare e i terizinosauri erano le cavalcature migliori per raccoglierli, poiché selezionavano con cura i fiori rari e i funghi rari. Più difficile sarebbe stato reperire il sangue di sanguisuga, ma dovevano tentare tutto il possibile. Così si fecero accompagnare da altre cinque persone. Avrebbero coperto un'area più vasta e si sarebbero guardati le spalle a vicenda in un luogo pericoloso qual era la palude. Strada facendo, la piratessa spiegò quanto era pericolosa la megarabbia. Per fortuna, Aurora era stata abbastanza veloce da avvertire Nick in tempo. Con un po' di fortuna, Lex se la sarebbe cavata, ma il percorso di guarigione sarebbe stato lungo e difficile.

Non accadde niente di importante per tutto il mese succesivo. Se non altro, questa volta, Aurora riuscì a distrarsi abbastanza dai misteri dell'Isola: fece amicizia con Yannis, il ragazzo che si occupava della stalla assieme a lei. Col tempo, l'amicizia diventò qualcosa di più, soprattutto grazie all'esuberanza di Yannis.  Nel frattempo, Lex se la vedeva con la megarabbia. Tutti i giorni, Nick passava regolarmente in camera sua per controllarlo, poi usciva. Ogni volta che si faceva visitare, Lex smetteva di tossire e rantolare per qualche ora, ma la tosse tornava sempre violenta e insistente come prima.  Da ciò, Aurora dedusse che Lex prendeva qualche medicina. Una volta decise di chiedergli, attraverso la porta, come stava; le fu risposto che non sapeva se era peggio respirare a malapena o non poter mai uscire, con tutte le cose che aveva in mente di fare. La rossa lo capiva benissimo. Intanto, però, la brama di scoprire qualcosa di più sulla sfera cresceva e non potergliela mostrare era frustrante. E fu per questo che, alla terza settimana, decise di osare mettere mano alla tastiera.

Era il tramonto e Aurora si trovava alla spiaggia dove i Difensori tenevano il titanosauro. Era seduta a gambe incrociate sulla tiepida sabbia. Teneva in mano la sfera aperta e fissava il grosso bottone centrale con l'icona della casa, il più allettante di tutti. Indugiò ancora per qualche istante, ma alla fine, in un impulso di coraggio e curiosità, lo premé con vigore col pollice.

"Vediamo che sai fare" pensò.

La reazione della sfera fu immediata: sul lato inferiore dell'involucro di rame, si aprì un buco e tutto il fluido azzurro si rovesciò sulla sabbia, di fronte a lei. Nella boccetta di vetro, rimase solo il pezzo di legno. Aurora scattò subito in piedi, in parte per lo stupore, in parte perché quella sostanza la inquietava. La pozzanghera gelatinosa che si formò iniziò a espandersi, superando il metro e mezzo di diametro, e la ragazza fu costretta a fare un passo indietro per non toccarla. Solo dopo qualche secondo, ebbe il coraggio di sporgersi verso la pozza fluorescente e fissarla più da vicino, per osservarla meglio. Non poteva credere a ciò che vide: il centro della pozza era più trasparente di una finestra pulitissima e, attraverso il liquido, Aurora vedeva un piccolo scorcio. Si trattava di un prato fiorito e, ai margini della pozza, si intravedeva la base del tronco di una betulla. Il dettaglio più curioso, però, era che in mezzo all'erba non c'erano solo fiori, ma anche formazioni di cristalli bianchi con sfumature rosa. Meravigliata da quella scena, Aurora dimenticò il suo iniziale disgusto ed ebbe la tentazione di toccare il fluido, ma non fece in tempo: rapida come si era formata, la pozzanghera iniziò a evaporare e restringersi a vista d’occhio. In pochi secondi, svanì del tutto, come se non ci fosse mai stata.

«Incredibile!» esclamò Aurora, emozionatissima.

Non era affatto ciò che si aspettava che la sfera facesse; era molto di più. Il che rese ancora più difficile attendere che Lex guarisse, visto che aveva finalmente scoperto qualcosa di concreto al riguardo. Questo cambiava proprio tutto: la palla di rame, se il sospetto di Aurora era giusto, serviva a viaggiare da un'Arca all'altra. Era come gli obelischi, ma tascabile. Cosa non avrebbe dato, per farsi dare un'armatura TEK e precipitarsi nella stanza di Lex perché lo vedesse coi suoi occhi! Ma decise di frenare l'entusiasmo e pazientare, almeno finché Lex non fosse uscito dalla quarantena. In fondo, poteva sempre passare bei momenti con Yannis, nel frattempo.

   
 
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