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Autore: _Cthylla_    24/12/2019    1 recensioni
[Fanfiction collegata strettamente alla fanfic del 2013 “The Specter Bros’ ” e correlate. Se non avete presente nulla di tutto ciò, sconsiglio la lettura.]
Dopo il massacro della nobiltà di Cybertron da parte dei Decepticon, l’ultimo discendente maschile della famiglia Specter deve fare i conti con dei progetti di vita andati in fumo.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Transformers: Prime
- Questa storia fa parte della serie 'The Specter Bros'- la serie'
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Come dicevo nell'introduzione, chi non conosce la long principale del 2013 o almeno la minilong da cinque capitoli pubblicata quest'anno, difficilmente riuscirà a orientarsi in quel che c'è scritto qui sotto.

Essendo il ventiquattro dicembre ne approfitto per fare gli auguri a tutti quanti, anche se questa oneshot non ha alcunché di natalizio :'D












"Io ti detesto"












Un sospiro nervoso. 

  
“Non ne posso più”. 
  
Strinse il bordo del tavolo tanto forte da sentirlo deformarsi e rompersi tra le sue dita. 
Avrebbe avuto voglia di deformare e rompere la propria testa, sarebbe stato meglio rispetto a continuare a sentirla piangere nella stanza accanto. 
  
«Basta» sbottò, alzandosi di scatto. 
  
Il pianto di quella protoforma online solo da pochi giorni, sua sorella, Spectra, divenne ancora più forte. 
  
«Cos’altro vuoi?!» 
  
In realtà Spectrus sapeva benissimo perché la neonata piangeva: il dolore alla gamba che Starscream aveva danneggiato si faceva sentire nonostante le cure. Non poteva essere altrimenti del resto, non con un danno simile, non con medicinali così blandi. 
  
«Ho fatto tutto quel che potevo fare, va bene?! Ti ho dato da mangiare, ti ho ripulita, non posso fare altro per te. Non posso». 
  
D’altra parte era una protoforma, degli antidolorifici più forti avrebbero rischiato di ucciderla e comunque in quel periodo era difficile trovare in giro medici degni di tale titolo. 
Era difficile trovare qualunque cosa, soprattutto una via d’uscita degna di tale nome dalla situazione in cui si trovava(no). 
  
La nobile famiglia degli Specter avrebbe dovuto essere risparmiata in virtù dell’appoggio concesso ai Decepticon ma non era stato così: Megatron non aveva mantenuto la promessa e non si era neanche scomodato per infrangerla di persona, preferendo mandare Starscream e un plotone a farlo al posto suo. 
  
Spectrus aveva visto morire suo padre. 
Sotto sotto, lui l’aveva sempre creduto immortale. Beata stupidità. 
  
Aveva visto morire sua madre. 
Sparkleriver, meno di chiunque altro Spectrus conoscesse, avrebbe meritato di morire com’era morta, uccisa nella sua cuccetta poco dopo aver dato alla luce una figlia -in modo prematuro, tra l’altro. 
  
In tutto ciò lui cos’aveva fatto? Era rimasto impietrito come un deficiente a guardare il petto distrutto di suo padre e la testa di sua madre fatta esplodere con un razzo. 
Non era riuscito a reagire, tutto quel che aveva avuto in testa in quei brevi attimi era stato “Perché? Non doveva succedere. Mio padre aveva detto che non doveva succedere, non a noi”. 
  
Era riuscito a riscuotersi solo quando Starscream era stato sul punto di uccidere Spectra. Gliel’aveva strappata di mano ed era fuggito con lei, ma ormai il danno era fatto: tutto il suo mondo era stato distrutto. 
  
Non aveva più la sua vita privilegiata da nobile, non aveva più gli amici altolocati della sua cricca - lui e suo padre avevano sacrificato i loro clan ai Decepticon per tentare di salvare il proprio, e ora non restava altro da fare che chiedersi se ne fosse valsa la pena e rispondersi “NO”-. 
Non aveva più la dimora atavica della sua famiglia, nella quale in futuro avrebbe voluto tornare per vedere se si era salvato qualcosa e cercare di portarlo via, e non era consigliabile nemmeno tentare di infilarsi in un’altra delle sue proprietà. I Decepticon sarebbero andati sicuramente a cercarlo anche lì. 
Non aveva neanche particolari contatti tra il popolino ai quali rivolgersi se non, forse, alcuni di quelli che erano stati i suoi “gorilla”: il prezzo da pagare per aver fatto orgogliosamente parte di una classe di aristocratici consumati ormai abbattuta. 
Non aveva più niente, niente, se non un cognome che avrebbe dovuto valere qualcosa e che invece ormai, dopo generazioni e generazioni di gloria, contava appena poco più del nulla. 
Non aveva più un progetto per la propria vita, non riusciva più a vedere un futuro davanti a sé. Desiderava solo vendetta senza ancora sapere bene come ottenerla, avrebbe solo voluto poter pensare in santa pace. 
  
Ma Spectra continuava a piangere. 
In quei giorni non aveva fatto altro. 
  
«Falla finita, smetti di piangere, maledizione!» 
  
Era anche e soprattutto quella la ragione per cui non aveva ancora trovato una via d’uscita per tornare a una situazione più “consona”: come poteva pensarci su avendo appresso una protoforma danneggiata che piangeva quasi in continuazione, alla quale era costretto a dare costantemente la priorità rispetto a tutto il resto? 
  
In quei giorni si era spesso chiesto come avesse potuto sentirsi perfino felice per la sua nascita, prima del massacro, perché ora non era felice. 
Avrebbe rimpianto di non averla lasciata a Starscream, se non avesse ritenuto Starscream feccia indegna perfino di sporcarsi le mani dell’energon di una Specter. 
  
No, non sarebbe mai riuscito a smettere di dare importanza al suo cognome, non ci avrebbe mai neppure provato pur sapendo che di importanza vera non ne aveva più. 
  
Spectra piangeva ancora, seppure fosse sempre più stanca. 
  
Quanto avrebbe voluto farla stare zitta. In quel momento Spectrus non desiderava altro se non il silenzio, benedetto silenzio. In passato l’aveva sottovalutato. 
  
“Potevo abbandonarti”. 
  
Avrebbe potuto, ma non l’aveva fatto. Chi mai si sarebbe preso cura di una protoforma danneggiata, in quel periodo? Abbandonarla avrebbe significato condannarla a morte. 
  
“Non sarebbe una cattiva idea”. 
  
Inizialmente si irrigidì. 
Era incredulo per ciò che aveva pensato. Spectra piangeva perché sentiva dolore ma non era colpa sua, e comunque era sua sorella. Una Specter come lui. 
Lui aveva accolto con gioia la notizia del suo arrivo, lui aveva scelto il suo nome -quello di un’antenata. Gran donna, si diceva. Aveva sperato che Spectra potesse diventarlo altrettanto- lui le aveva salvato la vita: come poteva aver avuto quel pensiero? 
  
Cos’avrebbe pensato suo padre?! 
  
“Ormai è morto. Ha creduto a Megatron e ci ha condannati, quel pezzo d’imbecille, e io che lo rispettavo!” 
  
Cos’avrebbe pensato sua madre?! 
  
“È morta anche lei”. 
  
Spectrus aveva amato sua madre Sparkleriver, l’aveva fatto profondamente come ogni figlio ama un genitore dal quale si sente a sua volta amato. 
Non una volta era riuscito anche solo a risponderle male, non una volta era riuscito a dirle “No”. Poco importava che in via teorica avrebbe potuto ignorare ogni sua parola, essendo molto, molto più grosso e più forte di lei. 
Sparkleriver era stata una femme dolce e gentile, naturalmente propensa a occuparsi della propria famiglia pur avendo servitori che avrebbero potuto farlo al posto suo. Era uno dei motivi per cui aveva così tanti ricordi di lei in cucina a preparare dolci. 
  
“È morta anche lei e io sono rimasto qui da solo, in questo buco trovato per pura fortuna, con la sua piccola brutta copia che piange, piange, e piange senza neanche capire un cazzo di quello che la circonda, senza neanche sapere cosa abbiamo perso, non lo sa, non potrà mai capirlo, ed è anche per questo che io…” 
  
«Io ti detesto» disse, rivolto alla neonata. 
  
Attese il senso di colpa. 
Attese almeno il senso d’incredulità che aveva provato poco prima. 
Attese di essere fulminato da uno dei suoi genitori, o entrambi, direttamente dall’Afterspark -o dall'Inferno, probabilmente suo padre si trovava lì. 
  
Non giunsero fulmini, incredulità né sensi di colpa. 
  
«Ti ho salvata perché “dovevo”» continuò «Ti terrò con me perché abbiamo un legame di sangue, perché siamo gli ultimi rimasti, e in futuro spero di riuscire a ricavare qualcosa di decente da te e che tu non continui a essere il fardello che sei adesso». 
  
Stava dicendo cose di una cattiveria assoluta, lo sapeva, ma non avrebbe potuto importargli di meno e lei, in ogni caso, non poteva capirlo. 
  
«Immagino che per ottenere questo dovrò fingere di amarti com’era quando ti ho dato il nome». 
  
Quella era una delle ultime volte, se non l’ultima e basta, in cui le avrebbe detto la verità. 
  
«Non doveva andare così. Tante cose non dovevano andare così. In un’altra vita forse non avrei avuto bisogno di fingere ma in questa… io ti detesto». 
  
“E non provo rimorso nel dirlo”.  

   
 
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