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Autore: Sapphire_    25/12/2019    2 recensioni
Tutti abbiamo un professore che odiamo in particolare, così anche Amelia.
Nel suo caso lui si chiama Alessandro Angelis, insegna matematica e fisica, è troppo bello ma anche troppo stronzo - e gode da matti a rifilarle insufficienze.
Il vero problema però si presenta quando la povera ragazza finisce per ritrovarselo a cena con i suoi genitori e l'unica cosa che può pensare, mentre lo guarda, è cosa abbia fatto di tanto male per meritarsi una punizione del genere.
~
Dal testo: "«Sto pensando di rimanere sempre sullo studio linguistico.» rispose.
«Fai bene, non credo che l’ambito scientifico possa offrirti concrete possibilità.» commentò con nonchalance Alessandro.
«Beh, a dire il vero» iniziò Amelia, mentre un pacato sorriso si apriva nel suo volto «sono contenta di non essere portata per le materie scientifiche. Secondo la mia esperienza sono adatte agli stronzi senza cuore.» fece candida e angelica.
Aveva appena dato dello "stronzo senza cuore" al proprio professore. Che la odiava."
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Buon Natale ohohoh~
Ok, mi merito tutti gli insulti di questo mondo, lo so.
È praticamente un anno che non aggiorno, mi sento davvero una deficiente – e anche poco carina nei confronti di tutti quei lettori che mi seguivano e mi supportavano costantemente. Mi dispiace tanto ragazzi, spero che ci sia ancora qualcuno interessato a questa storiella che sto portando lentamente avanti.
Quest’ultimo anno è stato denso di alcuni cambiamenti fondamentali – non di università o altro, più di vita privata. Bei cambiamenti, per fortuna, o almeno i più importanti, ma che mi hanno travolto lasciandomi poco tempo e poca testa per scrivere. E poi si sa, la temuta pagina bianca sa incutere parecchio timore.
Ho scritto la prima parte di questo capitolo l’anno scorso e l’ho finito tutto nelle ultime due ore e, anche se avrei voluto rivederlo meglio, ho deciso di fare il Babbo Natale e lasciare un regalino nella notte di questo 25 dicembre – a proposito, tantissimi auguri a tutti!
Detto questo – tanto e niente, come mio solito – vi lascio a questo importante capitolo de “La fisica dell’attrazione”, sperando che possa ancora interessare a qualcuno e che vi piaccia. Chiedo scusa di eventuali errori di battitura, ho fatto tutto quello che mi era possibile in queste ore di stanchezza e di post-cenone della Vigilia!
Non so ancora quando potrebbe uscire il prossimo capitolo, vi chiedo solo di portare pazienza e di non mandarmi troppo a quel paese, please!
Un abbraccio,
 
~Sapphire_
 

 
 
~La fisica dell’attrazione
 
 
 
 
 
Capitolo ventiquattro
~
Di consapevolezze e decisioni
 
 
 
Il trillo della campanella risvegliò Amelia dal torpore mattutino che proprio non voleva sparire quel giorno.
Sollevò la testa dal banco e si ritrovò un ricciolo scuro davanti agli occhi che si affrettò a spostare mentre vedeva di sfuggita la professoressa di francese entrare in un turbinio di vestiti colorati – appena arrivava la primavera sembrava rifiutarsi di indossare qualcosa di scuro! – e sbadigliò platealmente.
«Ecco cosa succede a preferire il proprio ragazzo a una sana dormita.»
La voce di Daniele la fece sbuffare mentre si voltava verso di lui che la fissava con un’occhiata sorniona.
«Non ero con lui ieri sera.» borbottò.
«Ah, e come mai sei andata a letto tardi?»
Amelia tacque, ripensando all’infinita telefonata fatta proprio con il caro prof.
A Daniele non servì altro: si mise a ridere nel giro di un secondo e scompigliò i capelli all’amica.
«Vedi? Bisogna avere un po’ di autocontrollo!» continuò a prenderla in giro.
La mora riuscì a tenergli il muso solo per un paio di secondi e poi arrossì.
«Io ho autocontrollo!» il tono piccato però fece ancora più ridere l’amico che alzò le mani in segno di resa.
«Come preferisci!»
Non ci fu altro tempo per scambiare nuove battute, perché la lezione iniziò subito e la mattinata riprese monotona come tutto il resto dell’anno.
Quel giorno, però, ci fu un qualcosa che accadde di diverso dal solito – qualcosa che Amelia avrebbe dovuto sospettare, ma quella mattina aveva troppo sonno per rendersi conto delle occhiate che le erano state rivolte da vari compagni di scuola. Però si sa, quando si decide di rinchiudersi nella propria bolla dorata difficilmente ci si rende conto delle cose negative che accadono attorno a noi.
Fu in quello stato d’animo di stanchezza mista a felicità che la bidella entrò dopo aver bussato, attirando così l’attenzione generale della classe.
«Buongiorno. Moretti è richiesta all’ufficio del preside.»
…eh?
Amelia si risvegliò soltanto in quel momento, mentre tutti i suoi compagni di classe, compresa la prof, si voltavano verso di lei a fissarla.
«…dice a me?»
Si pentì di quella domanda nel momento in cui la bidella parve prenderla per una stupida – e Daniele le allungò una mano sotto il banco per darle un colpo sulla gamba, come per farla riprendere.
«Moretti, può andare.»
La voce della professoressa le fece capire che sì, era proprio lei – anche perché non che ci fossero altre Moretti in quella classe, pensò dandosi della stupida – e si alzò con uno sguardo di confusione mentre l’ansia iniziava a serpeggiarle addosso, facendole pensare a tutto quello di sbagliato che aveva fatto nella sua vita.
Avrà scoperto che ho copiato durante il compito di fisica? O cazzo, l’altro giorno ho fumato di nascosto durante l’ora di lezione… Ora mi sospende! Che dirò a mamma?
Questi, insomma, erano i pensieri che le girovagavano in testa mentre usciva dall’aula e seguiva la bidella – che poi, sapeva perfettamente dove fosse l’ufficio del preside, non capiva questa necessità di accompagnarla.
E mentre la sua testa continuava a cercare un motivo per quella convocazione, la ragione più sensata le venne in mente soltanto quando si ritrovò davanti alla porta dell’ufficio, mentre fissava la targhetta che citava “Anselmo Marconi”. E soprattutto quando, dopo aver atteso che il preside pronunciasse “avanti”, entrò dentro la stanza per trovare, oltre il direttore, anche Alessandro.
«Buongiorno, Amelia.»
Il suono di quelle parole arrivò in ritardo alle sue orecchie, troppo presa a osservare terrorizzata il professore che stava seduto in una poltroncina, a braccia conserte e con un’espressione gelida in volto – riconobbe quella facciata di controllo che aveva visto tante volte e la consapevolezza di ciò che poteva star per accadere si fece sempre più forte dentro di lei, tanto che dovette farsi violenza per spostare lo sguardo e fissare invece il preside.
L’uomo stava seduto composto dietro la grande scrivania di metallo, gli occhi scuri sembravano seri dietro le lenti sottili degli occhiali e quell’aria seria, unita al completo giacca e cravatta, più quei capelli grigi che facevano tanto aria da “uomo autorevole”, le fecero ancora più ansia.
«Buongiorno.»
La voce che pronunciò quelle parole non sembrava nemmeno la sua e si accorse con orrore che la propria risposta era arrivata con qualche attimo di ritardo.
«Prego, siediti pure.»
Fece come le era stato detto mentre notava di sfuggita che l’uomo le avesse appena dato del “tu”, nonostante il resto dei professori desse agli studenti del “lei”.
La poltrona su cui si poggiò doveva essere senz’altro comoda per com’era imbottita, ma in quel momento la mora la avvertì come cosparsa di spilli – e infatti si sporse al limite della sedia, anche perché affianco alla sua c’era Alessandro e aveva quasi paura di toccarlo.
«Mi sembri agitata. Come mai?»
La domanda dell’uomo ebbe il potere di farle venire una risata isterica mentale, ma si costrinse a controllarsi e fece giusto un sorriso di disagio – sempre evitando qualsivoglia contatto fisico con l’altro uomo che sembrava rigido affianco a lei.
«Non capisco come mai sono qui.»
Bugiarda.
Era chiaro come il sole, almeno ai suoi occhi, ma avrebbe mentito fino alla morte.
Il preside tacque per qualche secondo mentre la squadrava con attenzione. Infine, spostò lo sguardo anche verso Alessandro e fece un cenno verso di lui.
«Come ho appena spiegato al professor Angelis, ti ho convocata qui, anzi vi ho, perché mi sono giunte delle voci che, se fossero vere, creerebbero davvero un bel trambusto oltre parecchi problemi a tutti.»
La voce del preside era piuttosto misurata, eppure sembrava trasparire della preoccupazione.
In tutto questo però Amelia era in piena morte cerebrale e cercò di muoversi il meno possibile sulla poltrona, gesto che avrebbe mostrato quant’era agitata. Era cosciente di essere più pallida del solito, ma per quello non poteva farci granché, piuttosto sorrise con aria confusa e innocente.
«Non capisco di cosa stia parlando, mi scusi.»
Ringrazio il dono dell’autocontrollo in queste situazioni, chiunque me l’abbia dato, ironizzò nella sua testa – una sorta di battuta per atrofizzare l’ansia.
Il direttor Marconi però non cambiò espressione e continuò a parlare.
«Mi è stato riferito che, giorni fa, siete stati visti in giro da soli, come in coppia, per dei negozi, in atteggiamenti non proprio adeguati a un docente e una studentessa.»
Ecco, la bomba era stata lanciata. La partita era chiusa, gli altri avevano vinto mentre loro avevano miseramente perso.
Che tipo di atteggiamenti? Ci hanno visto baciare? O solo uscire insieme e parlare? Che faccio, glielo chiedo? Ma così sarebbe come ammettere la propria colpa!
Non sapeva che fare, non riusciva a spiccicare parola e il suo autocontrollo terminava soltanto nel mostrarsi piuttosto tranquilla – nella sua testa invece erano state sganciate bombe aeree e vi erano parecchi danni.
Sembrava che l’ultima frase del preside dovesse rimanere in sospeso – soprattutto perché Amelia non era sicura di essere in grado di pronunciare qualcosa in sua difesa – quando alla fine Alessandro parlò.
«So di cosa sta parlando, preside Marconi, ma credo che ci sia stato solo un grande fraintendimento.»
Mai come in quel momento Amelia fu felice di sentire la sua voce, eppure l’ansia non le sparì, piuttosto le si aggiunse la paura – paura di cosa stava per dire l’uomo.
«Nessuno lo sa qui a scuola, ma i miei genitori e quelli della signorina Moretti sono grandi amici da tanti anni. Dopo che i miei sono tornati qui dalla Germania hanno ripreso i contatti e si vedono spesso, motivo per il quale io e Moretti ci siamo spesso ritrovati in situazioni comuni.» una piccola pausa, un respiro, e continuò «Come può ben capire, in queste occasioni non potevamo mantenere una formalità come quella scolastica perché sarebbe stata imbarazzante sia per noi che per i nostri genitori, per questo abbiamo acquisito una confidenza maggiore che, ovviamente, non si è mai spinta oltre.»
Le bugie fluivano dalla bocca di Alessandro come musica, eppure Amelia trovò la melodia totalmente stonata – le faceva venire voglia di tapparsi le orecchie e non ascoltare quelle parole che, oltre ferirla, la umiliavano.
Il preside, in tutto questo, ascoltava in silenzio.
«Come prima mi ha spiegato, siamo stati visti in giro per dei negozi: ecco, fra pochi giorni sarà il compleanno di mia madre e dato che Moretti la conosce, mi ha semplicemente dato una mano a scegliere un regalo per lei. Ecco perché eravamo in giro assieme in comportamenti, a quanto pare, “non proprio adeguati”.»
Le ultime parole furono dette con un vago tono sarcastico, atto semplicemente a sottolineare ancora di più l’assurdità di quella storia, ma se valsero a convincere il preside, beh, Amelia ne uscì devastata.
Gli occhi scuri di Marconi si volsero verso di lei.
«Conferma tutto ciò?»
Lo confermo? Confermo che tra me e Alessandro non c’è niente, che ci siamo solo trovati in una situazione un po’ strana, che comunque non c’è nessuno sentimento tra di noi, che non passiamo le ore a baciarci e fare l’amore nel buio di casa sua, dove nessuno può vederci? Lo devo davvero confermare?
«Sì.»
Se ci fosse stata l’opzione di infilarsi un ferro caldo in gola, forse l’avrebbe preferita.
«Sì, è stato solo un fraintendimento. Non ho parlato della cosa in classe perché non volevo che ci fossero gelosie relative a dei favoritismi, cosa che ovviamente non c’è, solo per questo. Il giorno è stato solo una gentilezza per il prof Angelis, nulla di più.»
Le parole continuavano a fluire ed era orribile dirle e ascoltarle con la propria voce – perché doveva dire quelle cose? Perché doveva ammettere il falso?
Perché era l’unica cosa da fare. Era l’unica cosa che le avrebbe impedito una sospensione per lei e un licenziamento per Alessandro. Non c’era una scelta, anche se avrebbe voluto ci fosse, anche se avrebbe voluto urlare in faccia a quello stupido preside che c’era qualcosa tra di loro e non c’era nulla di male in questo.
Ma avrebbe solo fatto la figura della ragazzina.
Sorrise ai due uomini, un sorriso improvvisamente pacato e, se ne rese conto, poco luminoso – fu sufficiente a convincere il preside che lo ricambiò con tranquillità, ma non seppe se la stessa cosa valesse con Alessandro, non tentò minimamente di girarsi verso di lui.
«Sono contento che la situazione non sia come si prospettava, adesso possiamo stare tutti tranquilli direi.» parlò il preside mentre si alzava dalla poltrona.
Per Amelia fu automatico alzarsi di conseguenza, percependo l’aria del congedo e più che felice di fuggire da quella situazione – di fuggire anche da lui.
«Puoi tornare in classe, Amelia. Alessandro, a te vorrei parlare giusto di un’altra cosa.»
Non ci fu bisogno di altre parole per la mora: sorrise e dopo un rapido buongiorno si precipitò all’esterno di quella stanza che era diventata come un incubo – e, una volta fuori, l’aria sembrò diventare quasi più respirabile.
Il miglioramento non ci fu però dentro di lei: chiusa la porta alle sue spalle, i suoi occhi si velarono e fu costretta a mordersi a sangue un labbro pur di non permettere a nessuna lacrima di solcarle il viso – non in quel momento, non in quel corridoio in cui chiunque avrebbe potuto vederla.
Sentiva l’umiliazione che la pervadeva, riascoltava mentalmente le parole di Alessandro dette con una facilità quasi assurda; se non avesse saputo la verità, avrebbe potuto credere senza alcun dubbio a quello che diceva.
Le gambe si mossero in automatico ma non verso la propria classe, bensì verso il bagno, in cerca di un rifugio in cui avrebbe potuto ricomporsi prima di farsi vedere dal tutto. E lì, da sola e con quello strano silenzio presente in una scuola in pieno orario di lezione, poté avvicinarsi allo specchio, dando un’attenta occhiata al suo riflesso che le restituì una ragazza dal viso spento, gli occhi arrossati e il labbro sporco di una piccola gocciolina di sangue.
Era pallida e sembrava leggermente sconvolta, ma in uno strano modo pragmatico pensò che bastasse poco per riprendersi e far sì che nessuno si accorgesse di come fosse sconvolta.
Anzi, non sconvolta. Umiliata.
Perché quelle parole, dette con quella facilità, avevano tessuto le prime file di un’idea che proprio non voleva andarsene dalla sua mente; quella che per Alessandro bastasse poco per mentire su di loro, come se loronon fossero nulla di ché.
Sono una stupida, so che lui mi ama.
No, quel pensiero non bastava al suo cuore ferito, che in quel momento non riusciva a gestire la paura e l’ansia che quella situazione avevano scaturito.
«Amelia, calmati.»
Parlava da sola in quel piccolo bagno, neanche troppo pulito, sentendosi per un attimo la protagonista di un film. Ma quello non era un film e la vita non era una favola. Per niente.
Non riusciva a togliersi quell’idea dalla testa, in un secondo si era incollata nella sua mente e sembrava impossibile staccarla o relegarla anche solo in un angolino.
Non mi ama, non se mente così facilmente su noi due.
E con quel pensiero, dopo una rapida sistemata di fronte allo specchio, ritornò in classe, mentre una finta espressione tranquilla si disegnava sul suo volto.
 
 
Le restanti ore di scuola le aveva passate come in trance, ascoltando come un’autonoma le lezioni che le entravano da un orecchio e le uscivano dall’altro.
Daniele, del canto suo, aveva provato più e più volte a chiederle che avesse e che fosse successo, ma Amelia aveva semplicemente scrollato le spalle e gli aveva spiegato che c’era stato solo un errore – non sapeva perché, ma non voleva parlare di quello che era successo con nessuno.
Nemmeno con Alessandro.
Il professore, del canto suo, le aveva mandato un messaggio appena aveva potuto, ma la mora si era ostinata a non leggerlo nemmeno, ignorando tutti i suoi tentativi di cercarla e chiamarla. Allo squillo dell’ultima campana lo aveva visto in cortile, ciondolando con finta aria impegnata in un chiaro intento di aspettarla – chiaro per lei, era ovvio – ma Amelia lo aveva oltrepassato senza degnarlo di un’occhiata e aveva chiesto a Daniele di accompagnarla a casa in motorino. Il ragazzo, nonostante fosse piuttosto dubbioso e confuso da tutta quella situazione, si era limitato ad annuire e le aveva passato il casco senza proferire parola.
Aveva chiaramente capito che c’era qualcosa che non andava, ma aveva deciso di fare finta di nulla e Amelia aveva preferito così.
In quel momento la mora si trovava in camera sua, dopo aver consumato il pranzo con il padre (Serena era a lavoro) in un silenzio che, da parte del padre, non aveva nulla di strano – per fortuna la madre era assente, se no avrebbe capito subito che c’era qualcosa che non andava.
Il cellulare era saltuariamente scosso da alcune vibrazioni, segni di messaggi che le arrivavano.
Dette una rapida occhiata alle notifiche.
Tre messaggi di Nicole, due messaggi di Daniele, sedici messaggi di Alessandro.
E cinque sue chiamate perse.
Sbuffò, decisa a non rispondere a nessuno di loro, presa com’era da quel pensiero martellante che l’aveva colta la mattina e che continuava a trapanarle il cervello, avvelenandola con pensieri tristi e sempre più disillusi.
Dovrei smettere di fare la bambina.
Questo nuovo pensiero la colse mentre era rannicchiata tra le coperte, un po’ troppo calde per quella primavera che si affacciava velocemente, e si costrinse ad allungare una mano verso il telefono poggiato sul comodino ingombro di oggetti.
Ignorò i messaggi degli amici e aprì subito quelli del professore.
Tutto bene?
Senti, mi dispiace per quello che ho detto dal preside… Non avevo scelta.
Amelia, non ci credo che non stai usando il telefono in classe, almeno dammi una risposta.
Mi stai facendo preoccupare.
Ci vediamo dopo la scuola? Facciamo la strada insieme e ne parliamo.
Ti aspetto in cortile.
Perché mi hai ignorato in quel modo?
E perché non rispondi quando ti chiamo?
Ho capito, sei incazzata, ma questo non è il modo migliore per risolvere la cosa.
Ti prego, rispondimi.
Amelia, per favore, cerca di essere matura.
Almeno dimmi cosa ti passa per la testa, cazzo!
Scusa, non dovevo imprecare, ma rispondimi e dimmi che sta succedendo, perché non mi vuoi parlare…
Non so più cosa pensare, davvero.
Ti aspetto al parco giochi vicino a casa mia, se vuoi parlare, sono lì.
Ti prego, vieni.
Amelia lesse quella trafila di messaggi dando una veloce occhiata agli orari dei vari messaggi.
Era stato piuttosto insistente, dovette ammettere, e se pure la cosa le faceva piacere in quel momento avrebbe solo voluto tirargli un pugno.
Come aveva fatto a parlare in quel modo al preside? Certo, era costretto a mentire, ma era così facile per lui?
Devo smetterla di farmi supposizioni da sola, posso solo parlarne con lui e sapere quello che pensa.
Il pensiero la colse mentre ancora si crogiolava nei pensieri più infantili e orgogliosi, e lo stesso orgoglio la frenò parecchio prima che la volontà più matura le imponesse di uscire di casa e andare da Alessandro.
Fu fortunata, nessuno dei due genitori c’era e non dovette dare spiegazioni su dove andava. Se fossero tornati prima e non l’avessero trovata, avrebbe sempre potuto dire che era da Nicole e si era dimenticata di avvisare.
Il tragitto verso casa di Alessandro fu più veloce di quanto si ricordava e ben presto si ritrovò all’ultimo angolo che la separava dal parco giochi in cui l’uomo l’attendeva.
Lo vide – anzi, lo spiò per un certo momento.
Il giovane professore era lì, seduto su una panchina che del vecchio verde smeraldo di un tempo aveva poco e nulla. Aveva addosso solo una camicia più sgualcita del solito, dei jeans che di solito a scuola non indossava mai ed era poggiato con un’indolenza tale che della sua figura poco ricordava quella più ingessata del professore.
Da lontano non vedeva troppo bene, però riusciva comunque a scorgere lo sguardo perso che fissava un punto poco chiaro tra gli alberi che delimitavano il parchetto.
Amelia si morse un labbro, indecisa.
Qualcosa dentro di lei le diceva di andare via, di non affrontare l’argomento e tornare a casa, per poi chiamarlo e dirgli che non c’era nessuno problema, semplicemente dopo quello che era successo aveva bisogno solo di stare un po’ da sola.
L’altra parte però prevalse – quella che le diceva di parlarci faccia a faccia, di sentire cosa lui le avrebbe detto, di chiarire e di discutere su quello che era successo la mattina e che sarebbe potuto risuccedere, ma in maniera molto più grave.
Il suo corpo si mosse quasi da solo e dopo meno di un minuto si ritrovò di fronte al professore che spostò lo sguardo verso di lei.
I suoi occhi grigi in quel momento non erano né caldi né freddi. Erano imperscrutabili.
«Amelia.»
Sentire la sua voce fu piacevole e doloroso al tempo stesso.
Voleva buttarsi tra le sue braccia e lasciarsi baciare, però le parole del mattino le continuavano a rimbombare in testa.
Per questo abbiamo acquisito una confidenza maggiore che, ovviamente, non si è mai spinta oltre.
Ovviamente.
«Alessandro.» rispose lei, e per un attimo tutto fu tra i loro sguardi.
Si fissavano e Amelia, in quegli occhi così chiari, si vide riflessa e si vide una bambina. Una bambina che giocava a fare l’adulta.
«Pensavo che alla fine non venissi più.»
«Anche io.»
Alessandro storse le labbra, un’espressione che esprimeva divertimento misto ad amarezza.
«E come mai hai cambiato idea?»
«Pensavo che ignorarti sarebbe stato troppo infantile da parte mia.»
Le risposte le scivolavano fuori con naturalezza, con un’onestà che pensava che non avrebbe avuto in quel momento – pensava che avrebbe tirato fuori una bugia per mascherare il suo comportamento, e invece in quell’istante non le veniva altro che tirare fuori i pensieri che l’avevano tormentata per tutte quelle ore.
«Solo per questo?» il tono sembrava quasi deluso.
«Per cosa se no?»
«Forse perché volevi semplicemente vedermi?» fece una pausa «Ma forse pretendo troppo.»
Di nuovo quella espressione di divertimento e tristezza.
Amelia non riuscì a rispondere subito, poi fece un sospiro.
«Volevo vederti, davvero. Ma appena pensavo al tuo viso mi venivano in mente le parole che hai detto stamattina.» l’ultima frase fu detta quasi in un sussurro – si vergognava ad ammettere quello, perché le sembrava di confermare sempre di più quanto fosse una ragazzina.
Alessandro si alzò in piedi e in un secondo Amelia si sentì sovrastata dall’altezza dell’altro, nonostante lei stessa non fosse per niente bassa.
«Amelia, lo sai perfettamente che non avevo altra scelta.»
«Sì, lo so.»
«E allora perché ti comporti in questo modo?»
Già, perché?
A dire il vero, dopo l’evento di quella mattina, Amelia si era finalmente resa conto della gravità di quello che lei e Alessandro stavano facendo.
Per un momento, le reali conseguenze delle loro azioni avevano bussato alla porta e avevano fatto capolino, facendola tremare da capo a piedi e facendole realizzare cosa sarebbe potuto succedere se mai li avessero scoperti.
E aveva dannatamente paura in quel momento.
«Ho paura.»
Ecco, l’aveva detto.
E Alessandro non sembrava particolarmente stupito dalla cosa: la guardava con un’aria di desolata sconfitta, incapace di fare un passo verso di lei – eppure erano solo a un metro di distanza l’uno dall’altra, ma nonostante questo si sentivano distanti chilometri.
«Ne avevamo già parlato dei rischi, no? Avevamo deciso entrambi di accettarli.» sembrò che quelle parole nascondessero una punta di acredine, ma il viso di Alessandro continuava a essere più dispiaciuto che altro.
La mora non riuscì a sostenere il suo sguardo, finì per distoglierlo con disagio.
«Lo so, io…» si interruppe, non sapeva bene come continuare.
Lei cosa? Cosa voleva dire?
«Tu cosa?»
«Non pensavo sarebbe stato così. Non pensavo che avrei vissuto tutta quest’ansia, questa paura delle conseguenze. Ero convinta di averle chiare in testa e di essere pronta ad accettarle nel momento in cui si fossero presentate, eppure oggi ho solo avuto una fottuta paura che ti licenziassero, che mi sospendessero, che andasse tutto a puttane. E sentirti mentire con quella facilità, io…»
Si bloccò, di nuovo.
Quelle parole le erano uscite rapide dalla bocca, un gomitolo di pensieri che in un fiato avevano trovato modo di sciogliersi e seguire un filo, eppure le sembrò di aver ingrovigliato ancora di più la situazione.
Il silenzio però la insospettì e, dopo qualche secondo, ebbe il coraggio di alzare lo sguardo verso l’uomo.
Alessandro era sempre lì, immobile, lo sguardo fisso su di lei ma concentrato su altro – forse sui propri pensieri, suppose Amelia.
«Non dici nulla?» la domanda le sorse più spontanea di quello che avrebbe pensato.
Alessandro non rispose subito, prima la rimise a fuoco dopo e dopo averla osservata – dopo aver fatto scivolare il proprio sguardo sul suo viso, sulla linea delle labbra, per poi andare in su nella curva del naso fino all’ombra che le ciglia proiettavano – aprì la bocca.
«Hai cambiato idea?»
La domanda fu fredda, in netta contrapposizione con lo sguardo che si era fatto di nuovo caldo come la lava.
Amelia per un attimo tremò sotto quegli occhi incandescenti e in un lampo le immagini dei loro momenti più privati sfarfallarono nella sua testa, come intermittenti.
«Cioè?»
Si sentì stupida a fare quella domanda, ancora di più dopo aver visto il sorrisetto denigratorio di Alessandro.
«I tuoi sentimenti. Sono così rapidi nel loro mutamento?»
La domanda assunse un tono quasi poetico ma il suo essere pesantemente sarcastico fece arrossire la giovane che subito portò le braccia al petto.
«Non ho mai detto questo. I miei sentimenti sono ancora quelli di prima. Io sono innamorata di te.» le parole erano nette, chiare come quel giorno di primavera, ed ebbero il potere di far perdere all’uomo tutta la sua verve sarcastica.
«Anche io sono innamorato di te, Amelia, lo sai. Quello che ho detto stamattina era solo per convincere il preside che non c’era nulla su cui indagare. L’ho detto solo per proteggerti, non perché lo penso davvero.»
«Lo so.»
Non sapeva più cos’altro dire, perché tutto quello lo sapeva. Eppure, la paura non spariva.
«Sapevi quali erano i rischi.»
Amelia abbassò gli occhi, sentendosi di nuovo colpevole.
«So anche questo. So tutto. Però oggi mi sono davvero resa conto di quello che potrebbe succedere e…»
«Cosa Amelia? Dimmi.»
Ci fu ancora un secondo di pace. Ancora un istante, prima che ammettesse quello che le stava frullando in testa da ore.
«E non so se lo voglio accettare.»
Forse una bomba avrebbe fatto meno rumore, almeno per Alessandro.
Il moro dapprima rimase zitto e immobile, come una statua di sale, ma solo per pochi istanti – dopo quelli fece qualche passo indietro, lo sguardo che quasi era scioccato.
«Cosa stai dicendo? Vuoi far finire tutto?»
Mentre poco prima il tempo per Amelia sembrava infinito, da quel momento fu come subire il tasto di avanti velocea velocità triplicata.
«No, non dico proprio questo…»
«Le tue parole non sembravano suggerire altro.»
«Cosa vuoi che ti dica, Ale?»
«Magari quello che pensi e quello su cui sei sicura.»
«Beh, una c’è di sicuro: sono innamorata di te.»
«Oh, almeno quello.»
«Non usare il sarcasmo con me. Sai cosa provo, ma ho una fottuta paura.»
«Hai sempre saputo i rischi e hai sempre insistito tu per accettarli.»
«Lo so, cazzo!»
«E allora cosa pretendi?»
Alessandro sputò quella domanda con tono quasi rabbioso, le mani strette a pugno mentre gli occhi la fissavano incomprensibili.
«Ho solo diciannove anni!»
Fu quasi un urlo.
Un urlo che però ebbe il potere di zittire Alessandro che non sapeva più che dire, non lo sapeva perché si stava rendendo conto di essersi quasi dimenticato di quel dettaglio.
Perché si stava rendendo conto di starla trattando come una sua coetanea, quando invece una sua coetanea non lo era e questo cambiava le dinamiche tra di loro.
Perché si stava rendendo conto che era normale, per quella età, non pensare mai davvero concretamente alle conseguenze, convincersi sempre di essere intoccabili per poi finire con lo scottarsi e rendersi conto soltanto nel momento successivo di cosa potrebbe realmente accadere.
Perché si stava rendendo conto che forse aveva preteso troppo, che forse aveva spinto troppo in una direzione che avrebbe dovuto continuare a impedire come aveva fatto all’inizio.
Fu semplice prendere la situazione – o almeno fu semplice in maniera logica.
«Finiamola qui.»
Per Amelia fu come quella mattina, fu un altro sparo in quell’assolata giornata che sembrava rispecchiare l’esatto opposto di quello che lei stava vivendo interiormente.
«Eh?»
Alessandro fece una smorfia – per un attimo fu come ritrovarsi all’inizio del loro rapporto, quando ancora nessuno dei due sapeva dei sentimenti che provavano l’uno verso l’altra.
«Hai sentito, Amelia. Non ha senso continuare così, non ora che vivrai con il perenne terrore che qualcuna possa scoprire la verità.»
Amelia era zitta; lo fissava incapace di dire alcunché, la sua testa che stava elaborando la frase dell’altro.
«Ho sbagliato io dall’inizio, avrei dovuto darmi ascolto. Sono troppo grande per te, tu sei troppo piccola, hai ancora tante esperienze da fare, tante cose da imparare e vivere. Io sono già in un punto che si avvia per l’essere stabile, non posso ancorarti a me proprio in questi anni. Sono stato un egoista dall’inizio e il bello era che pensavo di non fare nulla di male, perché era quello che volevi anche tu.»
L’ultima frase fu quasi sputata con rabbia.
Amelia, ancora incapace di dire qualcosa, finì per azzardare un passo verso di lui. Alessandro si allontanò.
«No, Amelia. Non tentarmi ancora.»
Le lacrime arrivarono in un secondo mentre nella sua testa la scena di quel momento si sovrapponeva alla sera di Parigi. Era come seguire un copione che in quel momento stava diventando quasi ridicolo.
«Non puoi dire così. Ne abbiamo già parlato di questo.» tentò Amelia – eppure, nonostante stesse cercando di ritrattare, nella sua testa la parte più ragionevole di sé dava ragione al professore.
«Avanti, Amelia, le cose sono diverse ora. Non ti rendevi conto di ciò a cui saremmo andati incontro, lo hai ammesso tu stessa.»
«Sì, lo so, però…»
«Però niente. Sono stato uno stupido dal principio.»
E forse fu quella espressione desolata, forse furono i capelli scompigliati dalla leggera brezza primaverile, forse fu soltanto perché era bello e basta.
Amelia si buttò sulle sue braccia come ormai era abituata a fare e lo baciò.
Lì, in quel parchetto in cui sarebbe comunque potuto passare chiunque. Lì, in quel luogo desolato distante e opposto della cornice che tempo addietro aveva offerto loro Parigi.
E fu come quella sera, perché Alessandro si ancorò a lei come un naufrago e contraccambiò il bacio in modo ancora più bollente, anche lui dimentico di dove fossero e di chi avrebbe potuto vederli.
Forse fu così intenso perché sapevano entrambi che sarebbe stato l’ultimo.
«Mi dispiace che sia andata così.»
Fu un sussurro tra le labbra e Amelia si morse un labbro mentre sentiva un dolore sordo a quelle parole.
«Non deve per forza essere così. I nostri sentimenti non sono cambiati.»
Anche lei sussurrò, decisa a sfruttare il più possibile quel confortevole calore dell’uomo che la stringeva a sé.
Ma sapeva già la risposta alla sua frase.
«I nostri sentimenti no, ma sappiamo come andrebbe a finire. Quello di cui tu hai paura. Sempre a nasconderci, sempre a guardarci alle spalle. Sempre chiusi in casa, a mentire a tutti su cosa stiamo facendo e con chi siamo, senza poterci dare un bacio la mattina quando ci vediamo, senza nemmeno scambiarci un sorriso di troppo per paura di quello che potrebbe sembrare. E so che tu impazziresti per questo, e io non voglio.»
Silenzio. Silenzio carico di consapevolezza per entrambi.
«Non è giusto.»
«No, non lo è.»
«Ma nessuno sa cosa potrebbe succedere in futuro, no?»
La domanda di Amelia suonò cosi carica di speranza che Alessandro non poté trattenere il triste sorriso che gli si disegnò sul volto.
«No, nessuno.» ma più che una conferma suonò come una consolazione.
E in quell’incertezza mista di promesse e bugie rimasero abbracciati, stretti fino a farsi mancare il respiro, godendosi gli ultimi raggi di quel sole che spariva dietro gli alberi.
Godendosi gli ultimi istanti di quella storia finita troppo presto.
  
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