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Autore: D a k o t a    26/12/2019    12 recensioni
Two-shots su due Natali di Dean e Sam // o di una volta in cui Dean si prende cura di Sam e di una in cui Sam si prende cura di Dean. NO incest.
1. [Weechesters! Dean si prende cura di Sam]: "Non glielo dice, perché Dean è comunque il suo porto sicuro in mezzo alla tempesta in cui è affondata la sua vita quando aveva sei mesi ed era troppo piccolo per capire - per ricordare come era papà prima di tutto o di che colore avesse gli occhi la mamma -, e da cui gli sembra di non essere più riemerso. "
2. [Ambientata fra la 2x01 e la 2x04! Sam tenta di prendersi cura di Dean]: "Non aveva mai desiderato rompere quella gabbia di incomunicabilità in cui papà li aveva intrappolati nel modo disperato e rabbioso con cui ci provava Sam, ma si era promesso di non fare i suoi stessi errori. Il rischio c’era e c’è ancora, perché la parte di John ancora viva in lui ruggisce, gli ricorda la sua presenza, con i suoi cambi d’umore repentini, i suoi scatti d’ira, i suoi interminabili silenzi. "
[Primo posto al contest "A Christmas story" indetto da AleDic]
Genere: Angst, Fluff, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda stagione
Capitoli:
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24 dicembre 1990

"Dean, è Natale!"

Sam, con i suoi sette anni e un paio di occhi verdissimi, lo fissa, saltando ai piedi del suo letto di un motel in Minnesota, trepidante. Dean apre gli occhi e sbuffa, perché sa già che è di nuovo quel periodo, quel periodo dell'anno: quello in cui deve inventarsi qualcosa per distrarlo, per intrattenerlo - ci sono giornate in cui tenerlo lontano da dubbi, dai sospetti su papà e il perché non torni nemmeno per le feste sono più difficili di altre. Natale è semplicemente una di quelle.

"So come si legge il calendario, Sammy" lo rimbecca, girandosi dall’altro lato, con aria vagamente infastidita, cercando di non utilizzare un tono troppo aggressivo, troppo duro – è che era già abbastanza dura così; guardare Sam crescere e fare domande e non potergli mai dare le risposte che così tanto necessita.

“Voglio dormire ancora un po’” aggiunge, ma tanto sa già che non riuscirà a farlo desistere, lo sa ben prima di sentire il bambino scendere dal lato del letto alle sue spalle e sedersi su quello di fronte a lui. Chiude gli occhi perché magari, se fa finta di non vederlo, Sam desisterà e lo lascerà dormire; ma è una speranza vana perché il marmocchio comincia subito a tirargli di dosso il piumone.

“Ma è Natale, Dean” gli ripete più debolmente, mentre gli punta addosso gli occhi, senza nascondere l’aria delusa. “Per favore”

Dean sbuffa, sedendosi sul letto: oh, a volte non può fare a meno di desiderare che Santo Stefano arrivi presto.

“Dean?” insiste, arrampicandosi di nuovo sul suo letto per poi porre nuovamente la solita domanda, a bassa voce, tra lo speranzoso e il cauto. “Hai sentito papà?”

Il suo fratellino abbassa gli occhi, dopo quelle parole. Sam si stringe le ginocchia al petto, smette di guardarlo; e Dean, con la saggezza dei suoi meravigliosi undici anni, lo guarda e decide che comunque sia una bugia detta a fin di bene è una scelta più semplice rispetto alla verità sul perché papà non ci sia mai, perché la mamma sia morta e sul perché lui dorma con una pistola sotto un cuscino - “E’ solo un gioco, Sammy” gli aveva risposto una volta, quando il piccolo lo aveva beccato in flagrante e Dean non aveva potuto fare a meno di trasalire e di dirgli di scordarsela, al suo “Posso provarla?”.

“Sì, Sammy, ha chiamato e gli dispiace non poter essere qui per Natale” mente, sperando che le sue parole non suonino davvero così stanche e false alle orecchie di Sam come suonano alle sue, perché non ha la più pallida idea di dove sia suo padre in quel momento.

Dean lo guarda e Sam serra la mascella. Il più grande fissa la sua espressione e qualcosa lo colpisce e realizza: Sam non piange più strillando come quando aveva tre anni e Dean aveva desiderato rimandarlo alla cicogna, agli angeli, lasciarlo sotto un cavolo o rispedirlo a chiunque ne fosse responsabile, ma questo non vuol dire che non sappia riconoscerne i segnali – il modo in cui si morde il labbro inferiore, quello in cui si ostina a non guardarlo negli occhi sono un indice piuttosto evidente di quello che sta per succedere.

“Ehi, non piangere” lo riprende, sfiorandogli il dorso della mano. “Ci sarò io e ho anche preso un piccolo albero di Natale”

Sam accenna appena un sorriso, guardando il presunto piccolo albero di Natale, che non è altro che un piccolo bonsai. Sam, a sette anni, accenna un sorriso e si asciuga frettolosamente una lacrima con il dorso della mano – perché Dean non piange mai e lui non è più piccolo, non vuole più piangere davanti a Dean. Un Sam di sette anni rimane in silenzio e pensa che sia comunque meglio che spiegargli perché quel motel non gli basti, perché voglia altro e perché tutti i sacrifici che Dean sta facendo non siano comunque abbastanza. Non glielo dice, perché pensa che sia meglio il silenzio che l’espressione distrutta che si dipingerebbe sul volto giovane di suo fratello se glielo dicesse.

Non glielo dice, perché Dean è comunque il suo porto sicuro in mezzo alla tempesta in cui è affondata la sua vita quando aveva sei mesi ed era troppo piccolo per capire - per ricordare come era papà prima di tutto o di che colore avesse gli occhi la mamma -, e da cui gli sembra di non essere più riemerso.

Non glielo dice, perché intrufolarsi dentro il letto singolo con le coperte verdi militari di suo fratello e addormentarsi accanto a lui dopo il solito incubo, sentendone il calore quasi affettuoso, è la cosa più vicina ad una casa che Sam, a sette anni, ricorda di aver mai avuto.


 

***


 

Mentre lo guarda fissare il paesaggio innevato fuori dalla finestra, con gli occhi assenti e tristi, Dean pensa che forse non proteggerà mai nessuno come protegge Sammy, a volte ringrazia il cielo per questo perché un impegno come quello, in grado di scavargli un nido fra le sue ossa e distruggerle in quel modo, non è una cosa che voglia. Che abbia mai voluto, nemmeno quando aveva sette anni e spiava di nascosto quegli stupidi libricini con le storie sui dinosauri colorati di Sammy che suo padre non gli aveva mai letto, ma che di tanto in tanto aveva comprato e abbandonato sul suo comodino, perché riteneva che fosse compito suo leggerglieli - o semplicemente non aveva voglia di confrontarsi con altre storie, storie a cui era stato concesso un lietofine, storie in cui a nessuno è concesso di morire e in cui se anche il protagonista si trova in difficoltà poi ne esce sempre sano e salvo.

Quando vede Sam appoggiare una manina stretta a pugno sul vetro freddo della finestra, non può fare a meno di avvicinarsi, di lasciar scivolare le dita lungo il dorso della mano che tiene ostinatamente chiusa, serrata, tanto che le piccole nocche sono bianche come mezze lune. Tenta di aprire con delicatezza, ma Sam serra le labbra e stringe più forte il pugnetto.

“Ehi, Sammy, sei impazzito?” esclama, scuotendolo in maniera un po’ rude, tradendo una certa urgenza. “Smettila subito, adesso

Peccato che per dirgli di smetterla utilizzi un tono che è troppo intransigente, che è un perfetto calco di quel tono da sergente che ha sentito fare troppo spesso a papà, e che è fra le cose che Sam odia più al mondo.

“Non mi parlare così, Dean!” gli strilla contro, ma apre finalmente il palmo della mano e Dean fa appena in tempo a vedere i segni delle unghia e ad accorgersi che c’è mancato così poco che se le conficcasse nella carne, prima che lui si allontani con uno strattone e nasconda la testa sotto il cuscino, dopo essersi lasciato cadere pesantemente sul letto.

“Sammy, ascolta...” dice, ammorbidendo il tono, senza sapere bene cosa dire. E’ che quando Sammy si comporta così, il tono-caricatura di papà scompare e quello che il piccolo ha davvero davanti è solo un fratello maggiore confuso. “Se continui a comportarti così, Babbo Natale non ti porterà nessun regalo”

E’ una minaccia blanda, una minaccia che è accompagnata da una pacca rassicurante sulla schiena, anche se sta davvero considerando di non nascondere sotto l’albero quel libricino nuovo che aveva rubato in biblioteca proprio per lui, se non la smette – ma d’altro canto, Dean sa che Sam fa così perché soffre, perché ha sette anni e nessuna colpa addosso e si sente come se fosse solo e tutti lo stessero tradendo.

“Non me ne importa nulla, Dean!” dice, senza emergere dal cuscino – ma sta singhiozzando e sebbene si nasconda da lui, Dean non può non sentirlo. “A papà non importa nulla di noi e Natale è il giorno più brutto dell’anno!”

E’ che ogni anno comincia così: comincia con Sam eccitato e speranzoso che crede davvero che avrà un Natale migliore e poi finisce con Sam che cerca di trattenere le lacrime– perché sì, per un momento Sam ci crede davvero e Dean a volte si chiede se lui sia mai stato così ingenuo, se gli sia mai stato consentito di essere così ingenuo.

“Smetti di piagnucolare come una femminuccia, Sammy” gli dice, per poi porre una domanda rischiosa, spinosa. “Cosa faresti oggi se potessi fare qualsiasi cosa?”

E poi succede quello: Sam smette improvvisamente di piangere e si tira su a sedere sul letto di fronte a lui, asciugandosi gli occhi rossi e il naso con la manica della felpa – in un modo in cui Dean gli ha detto decine di volte che “Non-si-fa-Sammy-che-schifo!”.

Dean si aspetta che stia per chiedergli qualcosa come la riproduzione a grandezza naturale dell’Apollo 11 oppure di raggiungere papà chissà dove o di poter avere una mamma – sono cose che Sam quando era più piccolo non ha potuto fare a meno di chiedergli - , ma non lo fa.

“Fare un pupazzo di neve insieme” ammette, a bassa voce, senza incrociare il suo sguardo, sapendo già la risposta.

Il maggiore non può fare a meno di deglutire. Stai dentro, non rispondere al telefono o alla porta, prenditi cura di Sammy. Aveva promesso di seguire gli ordini e quella non è certo la prima volta che si ritrovano in motel da soli – non può neanche immaginare quanto si arrabbierebbe papà se scoprisse che ha disobbedito. Ma poi Sammy alza lo sguardo e ha quel vago barlume di speranza e Dean non riesce a dire di no perché ha chiesto una cosa in teoria così semplice e -

Emettendo un lieve sospiro, afferra la sciarpa e il suo cappello, lanciandoli sul letto del bambino.

Dean lo guarda e può vedere quella sua espressione passare dalla tristezza alla confusione fino ad arrivare a guardarlo con quella ammirazione e adorazione totale che sa perfettamente di non meritare – perché sta pur sempre disobbedendo a papà.

“Non guardarmi così e muoviti, prima che cambi idea” lo ammonisce, ma prima che possa dire qualsiasi altra cosa, lo sente rilasciare tutto il fiato che ha trattenuto nei polmoni fino a quel momento e gli sorride, per poi avvinghiarglisi addosso. Ed è un sorriso così grande che sembra partirgli dalle ossa e risalire lungo tutti i tessuti e il sangue fino alle labbra e agli occhi verdissimi. Dean pensa che non sa da chi ha imparato a sorridere così, ma anche quello gli spezza il cuore.

***

Ad uscire impiegano circa un’ora e mezza perché aiutare Sam a vestirsi è un’impresa altrettanto impegnativa che consolarlo, visto che è così entusiasta e non c’è verso che stia fermo. E poi, ci sono anche le precauzioni, come la bottiglietta di acqua santa e il sale – perché non importa che fuori sembri così tranquillo e pacifico, sa benissimo che i mostri potrebbero essere lì anche se non li vede.

“Sammy?” gli dice, guardando il bambino che, aspettandolo, saltella su un piede e l’altro davanti alla porta.

“Andiamo, Dean?” gli chiede, guardando entusiasta verso la porta. E’ che era stato così lungo e così noioso lasciare che Dean lo vestisse, che gli mettesse un ulteriore maglione, il cappotto, i guanti e la sciarpa e non ne poteva più di aspettare, ma Dean sapeva che Sam non era abituato al freddo e che era semplicemente compito suo proteggerlo e assicurarsi che non congelasse.

“Un attimo solo” risponde pazientemente, guardando il bambino trepidare. “Ascoltami: devi starmi vicino, darmi la mano e non allontanarti quando andiamo fuori, Sam. Devi prometterlo”

“Andiamo!”gli risponde il più piccolo, dandogli le spalle, in un modo che tradisce troppo entusiasmo perché Dean possa anche solo far finta che lo abbia ascoltato.

“Sam!” lo ammonisce, ma senza aggiungere alcuna minaccia perché è così felice che sarebbe crudele aggiungerne una e illuderlo ormai è fuori questione, visto che poi passerebbe il Natale a piangere. Ma non può fare a meno di pensare cosa penserebbe papà se sapesse cosa stanno facendo e ha l’assoluta necessità che Sam ascolti perché stanno davvero correndo un rischio e -

“Te lo prometto, Dean” dice poi con un’aria vagamente colpevole ma solenne, tendendogli una manina coperta da un guanto azzurro.

Solo dopo avergli lanciato un’occhiata di intesa che è più una supplica silenziosa, Dean apre la porta.


 

***

“Dean, facciamogli la faccia!” gli dice, tirandolo per il giubbotto. E’ difficile per il più grande rilassarsi, difficile non guardare qualsiasi impronta con sospetto, anche se Sam si sta perlopiù comportando bene, nonostante l’entusiasmo. Dean si sta davvero impegnando, perché anche se non ricorda di aver mai fatto un pupazzo di neve prima di quel momento, vuole che il primo di Sam sia speciale.

“Dobbiamo prendere dei sassolini per gli occhi e la bocca, Sammy” risponde, guardando il corpo del pupazzo di neve prendere forma. “Vieni, andiamo a vedere”

Sam lo guarda, perché nonostante si fidi di Dean più di chiunque altro al mondo, non vuole assolutamente lasciare il fianco del loro pupazzo di neve, è fuori discussione – si sta divertendo così tanto. Ma Dean lo prende per mano e Sam lo segue volontariamente – beh, più o meno. Il maggiore comincia a scavare sotto la neve nel terreno circostante al motel e lui lo imita, togliendosi i guanti perché ha così tanta voglia di toccare la neve con le mani. Osserva la neve, se la rigira fra le dita e cerca di associarla alla descrizione che aveva letto in qualche libro.

“Dean, è così bella” gli dice, estasiato e Dean si volta appena per vederlo toccare la neve a mani nude e -

“Sammy, ti avevo detto di non toglierti i guanti” dice fermamente, ma senza sminuire mai il suo entusiasmo – perché fa male quando qualcuno lo fa e lui non vuole ferire Sam.

Sam fa scivolare frettolosamente le manine dentro i guanti – sente un leggero bruciore pervadergli i polpastrelli, ma non glielo dice perché ha il terrore che Dean lo riporti dentro e ha troppa voglia di finire quel pupazzo di neve. Ci manca solo che suo fratello lo riporti al motel e il suo pupazzo di neve rimanga senza bocca e occhi.

“Scusa” dice piano rimettendoli, abbassando gli occhi, ma poi non può fare a meno di guardare le pietrine che Dean ha in mano con un sorriso. “Sono bellissime, Dean. Andiamo”

Dopo essersi alzato, Dean porge la mano a Sam e il fratellino, accovacciato sulla neve, la stringe prima di seguirlo – la presa salda di Dean non può non fargli scappare uno squittio di dolore che il bambino soffoca, perché il più grande non se ne accorga.

Quando arrivano in prossimità del pupazzo di neve, Dean lo prende in braccio perché sia lui a disegnare il sorriso e gli occhi e il naso – Sam non glielo dice, ma lui sa che muore dalla voglia di farlo. Dean non si ricorda quando sia diventato così pesante, ma il sorriso che Sam fa vedendo il suo capolavoro completo rende quel piccolo sforzo degno di essere fatto.

“Mancano i vestiti!” gli dice Sam, senza togliere gli occhi dalla sagoma di neve “Ha bisogno di una sciarpa e di un cappello”

Il più grande si morde il labbro perché non hanno davvero nessun cappello in più, anzi. Ma il visino di Sam è così esultante e speranzoso che... non ci pensa troppo a togliersi la sciarpa e a legarla al collo del pupazzo di neve e ad alzarsi sulle punte per sistemargli il suo berretto grigio.

“Adesso però torniamo dentro, Sammy” dice tremando, dopo aver dato qualche minuto a Sam per ammirare il loro lavoro: sembra un pupazzo di neve vero, uno di quelli che il piccolo ha sempre desiderato fare, e Dean pensa che è bello, è bello davvero vederlo squittire di gioia, almeno per un Natale.


 


 

***

“Mi dispiace, Dean” dice, seduto sul suo letto, guardandolo con aria contrita. “So che non avrei dovuto tenerlo nascosto. Ma avevo paura che non mi avresti lasciato finire...”

Un atteggiamento tipico di Sam, quello di soffrire in silenzio pur di ritagliarsi un attimo di normalità. Come aveva anche solo potuto credere di tenergli nascosta una cosa del genere?

“Sei proprio scemo, Sammy” Dean sbuffa, scompigliandogli i capelli, prima di sfiorargli le manine con una carezza impacciata perché davvero, come aveva fatto a non rendersi conto e a non controllare che non avesse alcun gelone, dopo averlo visto toccare la neve a mani nude? Se adesso ha le mani piene di geloni, è solo colpa sua e non può non sentirsi male guardando quelle macchioline rossastre perché davvero, non è nemmeno la cosa peggiore che sarebbe potuta succedere. Gli dà le spalle, cercando nel mobiletto una pomata antinfiammatoria.

“Dammi la mano” dice, sedendosi sul letto. Sam è sempre diffidente quando si tratta di sciroppi o creme e muove la mano verso di lui solo di qualche centimetro, con l’aria da martire – Dean alza gli occhi al cielo.

“E’ stato bellissimo oggi, Dean” gli dice, mentre suo fratello gli spalma quella cosa - brucia! - sulle mani. Dean ha visto peggiori ferite su papà e l’immagine della mamma sul soffitto lo perseguita ancora, ma è Sam – non si sente così in colpa da quando era caduto accidentalmente per terra, mentre giocavano a fare la lotta. Quando lo guarda con quegli occhi grandi e sfugge alla sua stretta sul polso per gettargli nuovamente le braccia al collo, Dean sprofonda nei sensi di colpa.

“Mi dispiace, Sam” gli dice poi, sciogliendo la presa e rimboccandogli le coperte, per poi continuare a passare la crema sulle piccole dita del bambino, ispezionando ogni centimetro della pelle arrossata. “Avrei dovuto fare più attenzione. Fa tanto male?”

“Solo un pochino. Non ti dispiacere” risponde, regalandogli un sorriso furbo, mentre porge la mano destra verso un Dean insolitamente ansioso. “E’ stato il Natale migliore di sempre. Il nostro pupazzo di neve era bellissimo, vero, Dean?”

Dean alza lo sguardo dalla mano del più piccolo e può vederlo mentre appoggia la schiena e si lascia andare ad una posizione più rilassata – e sa benissimo che lo fa perché ha sonno, anche se è una settimana che cerca di convincerlo che non è più così piccolo e non ha bisogno di andare a letto presto. E poi qualcosa in quella domanda lo colpisce: Sam cerca la sua approvazione.

“Sì, Sammy” dice, tornando ad esaminare le sue dita. “Era bellissimo”

Il piccolo sorride, raggiante, prima che un’ombra lo incupisca. Dean pensa che stia male, che stia molto peggio di quello che dice e stia cercando nuovamente di non farlo preoccupare e invece -

“Cosa c’è, Sammy?” gli chiede, e la preoccupazione nella sua voce è davvero malcelata. “Brucia tanto? Ti sto facendo male?”

Sam guarda le pieghe delle coperte e per un lungo istante si morde il labbro inferiore e non risponde, come se qualcosa all’improvviso lo avesse intristito, scosso.

“No, non è quello. Forse è stupido” gli risponde, alzando appena gli occhi, che tradiscono una certa urgenza. “E’ solo che...Tu pensi che alla mamma sarebbe piaciuto?”

Dean gli lascia andare la mano con un’ultima carezza, con un’ultima premura, per poi guardarlo meglio, come se avesse ricordato qualcosa. E’ che quel pomeriggio, quando Sam gli aveva chiesto come si faceva un pupazzo di neve, aveva saputo esattamente come, senza margine di errore o di esitazione. Ora i frammenti di ricordi, ricordi che appartengono ad una vita a cui lui non appartiene più, sembrano assalirlo – e forse è anche per questo che questa volta è lui a stringere il più piccolo a sé. Quando chiude gli occhi e si lascia andare in quell’abbraccio, vede l’immagine della mamma che lo solleva, mentre lui posiziona con precisione una carota come naso per il suo pupazzo di neve.

“Questo non è stupido, Sammy” lo rassicura, come se fosse importante sottolinearlo. “Le sarebbe piaciuto molto”

Il piccolo si illumina, prima di appoggiare la testa sul cuscino, soddisfatto. E’ che lui la mamma non se la ricorda proprio, papà non parla mai e Dean è l’unico che può confermare, l’unico a cui può fare domande.

“Grazie, Dean. Buon Natale” sussurra sbadigliando, mentre appoggia la testa sul cuscino.

“Buon Natale, Sammy”

(Dean gli sorride e spera che si addormenti presto, perché la giornata non è ancora finita: Babbo Natale deve passare – o meglio, c’è il regalo di Sam da sistemare sotto l’albero)

***

Tiene gli occhi chiusi per circa un’oretta quella notte, in attesa che Sam, al calduccio nel letto alle sue spalle, scivoli in un sonno più profondo. Li apre solo quando sente qualcuno armeggiare con la serratura della loro stanza del motel, perché ogni muscolo del suo corpo va in allarme e -

Sam è davvero davanti alla porta con le chiavi nella serratura. Dean è fuori dal letto, davanti al suo fratellino, prima ancora di averlo del tutto realizzato.

“Dean” sussurra, e il senso di colpa sembra già strisciargli lungo la schiena.

“Sammy, non aprire la porta né ora né mai!” esclama Dean, con un tono più duro di quello che aveva intenzione di usare. “E non devi mai provare ad andare da nessuna parte senza dirmelo, capito? Mai, tanto meno per scappare”

Sam lascia la chiave e lo fissa, con gli occhi sbarrati. Scappare non è mai stata una sua intenzione – non quel giorno, almeno! -, ma ha semplicemente così tanta voglia di giocare ancora con il pupazzo di neve. Dean lo guarda: Sam annuisce vigorosamente, ma può vedere il suo labbro tremare. Deglutisce: far piangere Sam a Natale non è una cosa che ha mai voluto, ma dannazione, non può transigere su questo, non può consolarlo adesso – lo capisce: Sam è piccolo e non sa tutte le cose che ha visto lui, ma rabbrividisce alla sola idea di cosa potrebbe fare un mostro là fuori ad un bambino così piccolo. E poi qualcosa in quel sentire il suo fratellino armeggiare con la porta lo aveva ferito: ha fatto di tutto per farlo contento e non è ancora abbastanza. E’ arrabbiato e fa finta di non sentire la stretta al cuore che gli provoca vedere quell’espressione sul volto di Sam, quando lo prende per mano e lo rimette a letto.

“Dean, piano...” dice e Dean allenta appena la stretta sulla sua mano, ricordando quelle piccole macchioline rosse. “Non volevo scappare. Volevo solo giocare un po’ con il pupazzo di neve. Dean, per favore, non arrabbiarti...”

La verità è che non può neanche immaginare cosa sarebbe successo se non fosse stato sveglio e non può permettersi di consolare Sam adesso, di far passare quell’incidente come se fosse insignificante. Natale non è meno pericoloso degli altri giorni.

“Dormi adesso o dovrò dirlo a papà, Sammy” dice, sperando che sia una minaccia sufficiente e sapendo in cuor suo che si arrabbierebbe con entrambi, che è stato lui a disobbedirgli per primo e che probabilmente è colpa sua avergli dato l’idea che le regole di papà non siano poi così importanti.

“Sei cattivo, Dean!” gli urla contro in un moto di ribellione, per poi dargli le spalle e raggomitolarsi su sé stesso come un gomitolo. Rivolge la schiena verso l’angolo della stanza in cui si trova Dean e nasconde il volto fra le mani.

Dean spegne la luce e per un lungo attimo si chiede davvero se sia il caso di nascondere quel regalo, visto che, nonostante i suoi sforzi, si comporta così.

Gli lancia una lunga occhiata, prima di girarsi dall’altro lato: Sam inala profondamente diverse volte, ma presto sta soprattutto esalando in corti e tremanti sbuffi e il maggiore non ha dubbi sul fatto che stia piangendo; ha sentito ciò abbastanza volte per sapere. Mormora persino qualcosa che non si sforza di capire, ma che suona come uno “Scusami, Dean”.

Dean si gira dall’altro lato. Continua soltanto a respirare.

 

 

***

E’ che loro litigano e litigano spesso – come si potrebbe stare tutte quelle ore insieme, senza litigare in continuazione? - , ma Dean non l’ha mai messo a letto senza dirgli che andava tutto bene o rassicurarlo sul fatto che fosse tutto a posto. Ed è questo che lo turba, prima di ogni altra cosa. Non può dormire senza essere rassicurato. E poi la verità è che era stata colpa sua e che gli dispiace così tanto; ha così tanta paura che lo respinga quando sguscia sotto le coperte del letto di suo fratello che si appallottola su sé stesso, cercando di occupare meno spazio e non disturbarlo. Dean, d’altro lato, è così interdetto che ha paura di sfiorarlo, di toccarlo e quindi si gira piano verso di lui. Ma Sammy sussurra e sussulta prima che lui lo faccia.

“Andrò nel mio letto, non t’arrabbiare” sussurra piano e davvero Dean a volte desidera potergli dare la pace che non ha, che è chiaro che non abbia e avere il potere di mettere tutto a posto, per lui e per papà.

“Ti ho detto di restare a letto” dice, ma il tono che usa è soffice perché persino al buio può vedere la luna illuminare una lacrima che riga la guancia di suo fratello. E’ tutto istinto, quando si sposta un po’ in là per fargli spazio.

“Volevo solo darti questo” dice asciugandosi le lacrime, e ha in mano una di quelle sorpresine che ha trovato nei cereali e un pacchetto di M&Ms. “Mi dispiace non averti potuto preparare un regalo vero”

Ed è lì che si spezza, che all’improvviso si sente grande e importante e capisce che è compito suo confortarlo, anche quando si comporta così e avrebbe voglia di chiuderlo dentro un armadio – perché è pur sempre Sam.

“Vieni qui, Sammy” dice e apre le braccia, mentre lui gli si rannicchia contro, con la fronte nascosta contro il suo petto e le ginocchia contro le sue cosce. Quello che lo colpisce è che stia farfugliando delle scuse, non solo parole a caso.

E’ che si sente in colpa e il fatto che Dean stia lì a confortarlo, a provare a farlo così duramente nonostante tutto, da un lato lo fa sentire persino peggio.

“Smettila di sbavarmi sul pigiama, Sammy” gli dice dopo qualche minuto, sperando che abbia finito di piangere e solo in quel momento Sam lo fissa con gli occhi grandi, dopo aver appurato di avergli bagnato la maglia di un cocktail di saliva e lacrime.

“Mi dispiace, Dean” dice ed ha lo sguardo più sincero ed innocente che Dean gli abbia mai visto fare. “Non volevo dire quello che...”

“Se mi chiedi scusa un’altra volta, giuro che ti butto giù dal letto” lo interrompe esasperato, sperando che Sam colga il tono di scherzo nella sua voce – e lo coglie, perché azzarda un sorriso timido e colpevole. Aver cercato di giocare un altro po’ con il pupazzo di neve sembra così stupido, adesso.

“Non lo farò più” gli promette e Sam ne è sicuro, quella promessa è vera: almeno nel momento in cui la fa. “Vorrei solo che...”

La frase resta in sospeso, per un lungo attimo, come se Sam non avesse le parole necessarie, adatte a dire quello che ha disperatamente bisogno di dirgli, di spiegarli.

“Che le cose fossero diverse” finisce suo fratello a bassa voce, tradendo solo un filo di impotenza, prima di alzare gli occhi al cielo e stemperare l’eccessiva tristezza di quella constatazione. Aggiunge un sorriso che non raggiunge gli occhi. “Diciamo che me l’hai fatto capire, Sammy”

Per un lungo momento restano in silenzio, ad ascoltare l’uno il respiro dell’altro. Poi Dean passa leggermente la mano sul dorso di quella del suo fratellino, prima di fargli una domanda.

“Fa ancora male?” gli chiede, guardandolo.

“Non come prima” risponde, avvicinandosi ulteriormente e rivolgendogli il miglior sorriso che può fare in quel momento. “Grazie, Dean”

Dean inclina la testa da un lato e Sam, a sette anni, ha già imparato che se c’è una cosa che Dean non è bravo a fare, è accettare un complimento. Poi un’altra lieve preoccupazione non può non incupirlo.

“Dean, lo dirai davvero a papà?” gli chiede ansiosamente, non sapendo nemmeno come potrebbe reagire papà, nel sapere che ha davvero provato ad uscire da solo, nel cuore della notte. “Non voglio che sgridarmi o mettermi in punizione sia la prima cosa che faccia, quando torna a casa”

Dean non può non alzare gli occhi al cielo, al tono melodrammatico del piccolo. Sa perfettamente che quello che è successo è una cosa seria, ma non può non sentirsi come se avesse delle responsabilità in questo: è stato il primo a disobbedire a papà, lui l’ha solo imitato. E poi è Sam, se suo fratello aveva bisogno di una lezione sui pericoli dell’andare fuori da solo, l’avrebbe avuta da lui.

“Sai che non lo farò, quindi smettila con questo piagnisteo” dice, per poi addolcirsi, nel guardare le M&Ms che Sam gli ha regalato sul comodino. “Ora dormi, Sam. Non te lo dirò un’altra volta”

Sam chiude gli occhi e trattiene appena un sorriso perché, nonostante tutto, non l’ha cacciato via dal letto - o forse si è dimenticato di farlo, ma non sarà certo lui a ricordarglielo. Chiude gli occhi, ma passano pochi secondi prima che ne apra uno, che richiude frettolosamente quando si accorge che Dean lo ha visto – perché davvero, ci sta provando ad ascoltarlo, ma c’è un’ultima cosa che lo turba.

“Cosa c’è adesso, Sammy?” gli chiede e Sam può sentirlo dal tono della sua voce: adesso è davvero sul punto di buttarlo giù dal letto.

“E’ solo che...” si interrompe, mordendosi un labbro, per poi riprendere a parlare solo davanti allo sguardo spazientito di suo fratello. “Pensi che Babbo Natale mi porterà comunque un regalo? Anche se ho disobbedito?”

Dean sorride appena perché, sul serio, a volte si ricorda che ha solo sette anni – e che è per questo che deve proteggerlo, e che il suo fratellino sta comunque cercando di sopravvivere come può, anche se quel “come può” non va sempre bene.

“Penso che forse non te lo meriteresti” dice, e davanti allo sguardo preoccupato del bambino, reagisce scompigliandogli i boccoli scuri per fargli capire che scherza. “Ma ti perdonerà, Sammy. Ne sono sicuro”

Solo in quel momento Sam si sente abbastanza sicuro da annuire, chiudere gli occhi e stringersi più forte a lui.

“Buona notte, Dean” sussurra piano.

“Buona notte, Sammy”

(Passano due ore ma quando Dean si alza, facendo piano, per sistemare il regalo di Sam sotto l’albero, Sammy è ancora lì, rannicchiato contro la sua spalla, con un braccio abbandonato sul suo petto, come se neanche nel sonno volesse lasciarlo andare)


 


 

Note d’autore.

ESORDIO NEL FANDOM, oddio, sono abbastanza nervosa ^^. E sono in ritardo per Natale, well, perdonatemi. Ah, un’altra cosa: ho il terrore dell’OOC, che per me è il male, quindi se ho esagerato, vi prego, ditemelo. Mi farebbe un sacco piacere ricevere pareri su questa cosa, perché scriverla è stato super faticoso: inizialmente doveva essere scritta per una challenge, il cui prompt scelto era disobbedienza e il genere dominante era hurt!comfort, ma ora sono arrivata tardi e boh, forse è fluff o forse angst oppure hurt!comfort o forse un po’ tutte e tre le cose. Che dire… idealmente questa OS fa parte di una two-shots, tecnicamente può essere letta separatamente rispetto all’altra, praticamente mi farebbe piacere che le persone le leggano insieme. Altre precisazioni: tecnicamente questa shot è ambientata a Natale 1990 – l’anno prima rispetto a quello in cui Sam scopre la verità. Non saprei che altro aggiungere, buone feste e boh, spero vi sia piaciuta!
(Visto che anche se l'hurt!comfort è solo slight, io il prompt l'ho comunque rubato, menziono per correttezza il gruppo "Hurt/comfort Italia - Fanfiction & Fanart".)


 

   
 
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