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Autore: Fanny Jumping Sparrow    26/12/2019    6 recensioni
[...] Nel suo cervello rimbombava un’unica scottante domanda: cosa sarebbe successo una volta arrivati a destinazione? Si sentiva avvampare tutta al solo formulare qualche previsione poco casta. E poi, avrebbero saputo e soprattutto voluto affrontarne tutte le conseguenze? [...]
[...] Eppure, se avesse avuto la possibilità di evitare che ciò avvenisse, che tutto quello che provava per lei si concretizzasse in qualcosa di più di un abbraccio fraterno o di un bacio scambiato dietro un vetro, sentiva che la sua coscienza sarebbe stata meno tormentata. Forse … [...]
One shot romantica e lievemente hot senza tante pretese ambientata dopo l'infame finale lasciatoci da Tsukasa Hōjō, scaturita da stress, noia e dalla casuale riscoperta del manga.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Kaori/Greta, Ryo Saeba, Ryo Saeba/Hunter
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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Un’Austin Mini rossa sfrecciava a velocità moderata sull’asfalto lucido di una Tokyo prossima all’imbrunire, ma sempre brulicante di gente e di una miriade di luci colorate.
Le note soffuse di una melodia orchestrata da strumenti a fiato risuonavano all’interno dello stretto abitacolo della vettura, rendendo l’atmosfera ovattata, quasi annullando il costante rumore di fondo di quella popolatissima città. Nessuno dei due passeggeri a bordo parlava, immerso com’era ognuno nel proprio inquieto e ostinato rimuginare, che li teneva distanti seppure fisicamente lo fossero poco più di qualche spanna, e un paio di ore prima si fossero riavvicinati come non succedeva da parecchio tempo.

Ad osservatori ignari, quei due giovani dai bei tratti somatici appena velati da qualche segno di stanchezza, potevano apparire come una coppia qualsiasi di ritorno da una lunga e impegnativa giornata di lavoro che aveva assorbito le loro energie al punto da smorzarne la vivacità delle espressioni, opache e pensierose. Quasi nessuno era a conoscenza del fatto che fossero una sorta di giustizieri per gli abitanti della capitale giapponese, ai quali avevano offerto il loro aiuto in svariate circostanze, molto spesso senza neanche ricevere un compenso adeguato al livello di stress e alla quantità di tribolazioni che quelle eroiche missioni avevano comportato. Poche persone al mondo avrebbero retto uno stile di vita logorante e così poco remunerativo come quello che conducevano loro due.

L’irrompere di un gracchiante jingle promozionale ridestò Kaori dal torpore in cui stava sprofondando, immalinconita da quella struggente musica jazz e dallo scorrere lento del traffico cittadino. Allungò una mano sulla manopola del volume e, dopo un rapido giro delle principali stazioni radiofoniche, non soddisfatta, decise di spegnere l’autoradio, che non aveva realmente mai degnato di vera attenzione durante il lungo tragitto.
Inevitabilmente il suo sguardo sbirciò quello del suo socio, che era rimasto fisso e concentrato sul parabrezza sin da quando erano entrati in auto, elargendole solo qualche fugace occhiata che lei non aveva ben saputo decifrare, pur mandandola in iperventilazione. Quel suo distacco apparente non era riuscito a trasmetterle la consueta, fastidiosa sensazione di freddo che s’insinuava sin dentro le ossa subendo il suo disprezzo. Perché finalmente qualcosa tra loro era cambiato. Lo si percepiva nella poca aria che separava i loro corpi e che era diventata densa di promesse e desideri pronti a schiudersi.

Nel suo cervello rimbombava un’unica scottante domanda: cosa sarebbe successo una volta arrivati a destinazione? Si sentiva avvampare tutta al solo formulare qualche previsione poco casta. E poi, avrebbero saputo e soprattutto voluto affrontarne tutte le conseguenze? Scosse piano la testa. Dopo quella sua romantica, insperata confessione a denti stretti in quella radura, le sembrava di non essere più capace di riflettere lucidamente. Forse fantasticava troppo e si stava illudendo di nuovo, ingenuamente.
Le ci era voluto un bel po’ di tempo ad ammettere con se stessa di non considerarlo più un fratello maggiore, o un amico, che la voglia di malmenarlo serviva a rinnegare l’incontrollabile gelosia che covava nei suoi riguardi, a sopprimere l’inconfessabile desiderio di amarlo ed essere da lui amata come una donna.

La comparsa di un semaforo rosso costrinse le ruote dell’utilitaria a un brusco arresto di marcia che la fece riemergere da quegli affannosi interrogativi. Su un grande cartellone pubblicitario posto al centro di quell’incrocio la foto di una procace modella in lingerie ammiccava seducente. Kaori si preparò a disapprovare il suo solito commento sboccato, ma dalle labbra serrate dell’uomo seduto al suo fianco non fuoriuscì neppure un piccolo mormorio gutturale.
La ragazza anziché rallegrarsi si allarmò: possibile Ryo non si fosse accorto di quell’immagine tanto provocante? Il suo comportamento era davvero molto strano, e se in passato avrebbe pagato oro perché le risparmiasse certe colorite osservazioni, che la ingelosivano oltre ad umiliarla, adesso non sapeva come reagire a quel suo insolito mutismo.

Si attaccò al pensiero che probabilmente il suo compagno era soltanto troppo stanco e distratto in quel momento per badare a quell’ammaliante richiamo. E d’altronde ne aveva tutte le ragioni, dopo i sanguinosi combattimenti in cui era stato coinvolto quel giorno. Era riuscito per un soffio a non rimanere ucciso, e, per l’ennesima volta, a causa di una sua leggerezza. Si sentiva in colpa nell’essere sempre così maledettamente vulnerabile, un facile obiettivo per chi lo voleva morto.
Rabbrividì al ricordo di quei terribili minuti di panico, di tutti quei fucili fumanti puntati contro, di quei ghigni sadici e feroci che la oltraggiavano con spregio. Se l’era vista brutta, non che fosse la prima volta che le capitava di finire nei guai per colpa del pericoloso mestiere che aveva scelto di intraprendere, sospinta da un senso di dovere e riconoscenza ma anche di giustizia. Tuttavia la brutalità e la crudeltà sfrenata di certi individui senza scrupoli era qualcosa che tuttora stentava a comprendere e a cui probabilmente non sarebbe mai riuscita ad abituarsi.

Pur avendo conosciuto tanti esseri disumani, nel profondo del suo animo continuava a nutrire fiducia nelle persone.
Quella mattina non avrebbe minimamente potuto immaginare di rischiare la pelle alla fine dell’inattesa cerimonia nuziale di Miky e Umibozu. Avrebbe dovuto essere un avvenimento lieto, un’occasione di svago. Ma era evidente che i loro nemici erano tanti e potevano colpire senza alcun preavviso, in qualsiasi momento, ovunque, rifletté ancora scossa, rigirandosi tra le dita il delicato pan di cuculo …


Ryo colse di sottecchi il suo assorto gingillarsi con quel fragile fiore, scampato miracolosamente, come lei, a proiettili e bombe che avevano attentato alla sua incolumità. Strinse impercettibilmente le mani sul volante, inspirando a pieni polmoni per cercare di rilassare i tendini ancora contratti dalla latente scarica di adrenalina che circolava nelle sue vene, risultato di un micidiale cocktail di emozioni che sembrava non volersi attenuare, neanche adesso che erano lontani dal pericolo.
Aveva vinto, un altro temibile nemico era stato annientato e accantonato da una lista pressoché inesauribile. Adesso avrebbe potuto concedersi un po’ di pace, ritornare alla semplice routine quotidiana. Almeno finché non si sarebbe presentata una nuova sfida o minaccia a richiamarlo all’azione, pensò, inspirando di nuovo a fondo. Il persistere in quello spazio ristretto del suo dolce profumo di donna gli riempì con prepotenza le narici, riscaldandogli il petto, e non solo.

Per quanto lo detestasse, la sua vicinanza gli faceva sempre quell’effetto: un tranquillizzante turbamento. Era insostenibile immaginarla lontana da lui, o, peggio ancora, soffermarsi sulla prospettiva di perderla per sempre, a causa di una sua imprudenza. Gli ci erano voluti anni per capirlo, ma adesso ne aveva una certezza cristallina: una quotidianità senza di lei era paragonabile a un campo minato in cui non avrebbe saputo come muoversi.
Dovette imporsi di restare immobile e composto, malgrado il suo istinto gli suggerisse di posarle una carezza, sulla guancia, su una spalla o su una di quelle sue bellissime cosce che la corta gonna generosamente mostrava … Non per voluttà, solo per rassicurarla della sua fedele e incrollabile presenza. Da che si erano messi in viaggio, avvertiva una specie di elettricità statica aleggiare tra loro, come polvere da sparo sospesa che gli inibiva il normale respirare. Sarebbero bastati una parola sbagliata o un gesto mal interpretato ad innescare una scintilla e far esplodere fatalmente la già precaria situazione. Così, con forzata impassibilità, spostò le pupille dalla sua attraente socia alla monotona strada davanti a sé, e riprese a guidare senza fretta verso casa, cullandosi nel piacevole tepore della loro ritrovata salvezza, nonostante tutto, nonostante tutti.

Restava solo quella piccola questione a pungolarlo: un paio di ore prima le si era dichiarato. Indirettamente, nel mezzo di uno scontro tra la vita e la morte, certo, ma la sua partner non era una stupida, lo conosceva troppo bene, sapeva distinguere più di lui quando mentiva e stavolta non avrebbe potuto usare la comoda scusa di un’amnesia per sfuggire alla sua implicita, quanto lecita, richiesta di un chiarimento. Le era grato che, probabilmente anche per via di tutta quella baraonda, si stesse trattenendo dal richiederglielo subito, limitandosi a sorridergli timidamente, ma rimanendo calma e silenziosa come solo di rado era stata. Eppure, se avesse avuto la possibilità di evitare che ciò avvenisse, che tutto quello che provava per lei si concretizzasse in qualcosa di più di un abbraccio fraterno o di un bacio scambiato dietro un vetro, sentiva che la sua coscienza sarebbe stata meno tormentata. Forse …

Il suo sguardo ricadde furtivamente sul bocciolo adagiato sopra quel suo grembo immacolato, là dove avrebbe tanto voluto sprofondare, e rimanere ad ascoltare il suo respiro rarefarsi fino ad assopirsi, senza sogni disturbanti ad inquietarlo. Aveva la viscerale convinzione che con lei, accanto o sotto, finalmente ci sarebbe riuscito.
Una lucina arancione cominciò a lampeggiare sul cruscotto, distogliendolo da quelle languide considerazioni: «Accidenti, siamo quasi a secco», bisbigliò accennando alla spia del carburante.
Kaori scostò la fronte dal finestrino: «Sarà meglio fare il pieno, non si sa mai … » convenne con un tono quasi rassegnato.
Ryo imboccò alla svelta una scorciatoia, fermando dopo qualche metro l’auto in prossimità dell’edificio dai mattoni rossi in cui abitavano.
«Cercherò di tornare più presto possibile» le promise, sporgendosi verso di lei per aprirle lo sportello e invitarla a scendere, accompagnando le parole ad un enigmatico sorriso appena abbozzato.
Kaori gli obbedì, ma non poté fare a meno di inarcare un sopracciglio davanti a quel suo inconsueto modo di fare, premuroso, oltre che sfuggente. Forse era davvero mutato qualcosa tra loro due, ponderò, sospesa tra la speranza e l’incredulità, vedendolo ripartire con una sgommata e svanire dietro l’angolo. Il solo sentirsi sfiorare appena dal suo braccio, quando si era sporto su di lei per raggiungere la maniglia dell’auto, le aveva accelerato le pulsazioni.

Si chiuse alle spalle la porta del loro appartamento con l’animo e la mente ancora in subbuglio, avanzando a passi incerti verso la sua camera. Avrebbe dovuto rinfrescarsi, cambiarsi, medicare i pur lievi graffi che si era procurata, invece si ritrovò a rovistare freneticamente cassetti e armadio, in cerca di qualcosa di particolare, qualcosa che lui non avrebbe resistito a sfilarle di dosso. Solo che, mentre continuava a passare in rassegna il suo pratico e modesto guardaroba, si rese conto di quanto anche la sua biancheria intima fosse scialba e ordinaria. Aveva sempre preferito la comodità all’apparenza, tuttavia in quel momento si pentì di aver sempre declinato gli indiscreti consigli di Miki o Eriko di acquistare qualche capo più femminile e sexy, ritenendo che non le sarebbe mai servito.

Osservò il suo riflesso allo specchio: anche fasciata in quel grazioso tailleur dal taglio essenziale ma elegante, oramai sgualcito e macchiato, che aveva indossato per la cerimonia della sua amica, si vedeva goffa e insignificante. E Ryo non doveva vederla diversamente, se, invece di essere impaziente di restare da solo con lei, aveva accampato il primo banale pretesto per svignarsela chissà dove. Non avrebbe mai potuto competere con tutte quelle donne intriganti, sofisticate e sicure di sé per cui il suo partner sbavava o che finivano per gettarglisi addosso svenevolmente.
Avvilita, la ragazza si spogliò in fretta, afferrò il primo paio di mutandine e reggiseno coordinati che le capitò sott’occhio, e si rifugiò in bagno. Sotto il getto tiepido e ristoratore dell’acqua i suoi nervi a poco a poco si sciolsero, insieme a qualche lacrima scaturita dalla tensione emotiva che aveva accumulato sin dalla mattina e che era faticosamente riuscita a trattenere perché non voleva apparire debole davanti a quegli sporchi criminali e soprattutto davanti al suo impavido collega, se così doveva sforzarsi ancora di considerarlo.

Un’oretta più tardi, però, dopo aver rimesso tutto quanto in ordine ed essersi distesa sulle lenzuola pulite che profumavano di lavanda, non captando ancora alcun segnale del suo ritorno, alla delusione cominciò a subentrare l’ansia che, nonostante la spossatezza, le impedì di lasciarsi vincere dal sonno.
Era una situazione per cui era passata tante e tante volte da che era diventata la sua convivente, ma proprio non riusciva a non impensierirsi per le sue assenze, né a odiarlo a causa di esse. L’amore sconfinato che nutriva per lui glielo impediva. Se dopo tanto penare era rimasta in quella casa e stava affliggendosi era perché nel profondo si fidava ciecamente di lui, della sua lealtà, delle promesse che aveva sempre mantenuto, ed era fortemente sicura che non avrebbe mai potuto dedicare la vita a nessun altro all’infuori di lui.
Nonostante i suoi mille e incorreggibili difetti, Ryo Saeba era un uomo giusto e altruista che le aveva insegnato a sopravvivere in un mondo più corrotto e violento di quanto non immaginasse. Anche se continuava a provare un vuoto lacerante, non le importava se la loro complicità si sarebbe limitata al lavoro. A conti fatti erano l’uno la famiglia dell’altra.
Avvertiva una forte fitta allo stomaco mentre le lancette dell’orologio continuavano inesorabilmente a scorrere, si sentiva come imprigionata in un eterno e deprimente dejà vu senza via d’uscita ...

Il tintinnio di una chiave che girava nella toppa e il rumoroso tonfo dell’uscio d’ingresso posero fine a quella tortura.
Kaori si affacciò appena sulla soglia della sua stanza: «Si può sapere dove diamine ti eri cacciato?» sibilò stringendosi nelle braccia, scoccandogli un’occhiataccia stizzita che lasciò trapelare in maniera più che palese il suo malumore, mascherando l’apprensione.
Per tutta risposta Ryo sollevò pigramente la testa nella sua direzione, squadrandola dalle punte dei capelli arruffati a quella delle variopinte pantofole di spugna, una delle quali batteva nervosamente sul pavimento.
«Ho bisogno di una doccia, tu hai finito di strigliarti? Eri ridotta davvero uno straccio!», commentò insolente, notando che era ancora avvolta in un leggero accappatoio lilla.
Il volto della ragazza, pur rimanendo in parte nascosto nella penombra, divenne livido: «Prego, va’ pure», ribatté in un ringhio irritato, «Brutto cafone!» aggiunse sdegnata, sbattendo la porta e seguitando a soffocare sul cuscino altri improperi al suo indirizzo.
«Ti ringrazio», mormorò sconfortato lo sweeper, strisciando le scarpe verso il bagno. Con i suoi astrusi tentativi di proteggerla dalla verità riusciva puntualmente a farla soffrire, considerò, mentre si ripuliva dalla polvere e dal sudore di quell’intensa giornata che, con tutto il putiferio che era accaduto, pareva quasi essere durata il doppio delle fatidiche ventiquattro ore.

Terminato di lavarsi e indossata una t-shirt bianca sopra un paio di boxer, Ryo decise che per quella notte sarebbe rimasto di guardia. Non si fidava troppo delle informazioni che aveva reperito prima di rincasare. Salì sul terrazzo e si accese una sigaretta. Il cielo stava annuvolandosi e una tiepida brezza impregnata di umidità annunciava l’arrivo di una burrasca.
Rimase per qualche minuto a sondare con il suo sguardo acuto i dintorni, ma il suo infallibile sesto senso non colse alcun movimento o rumore sospetto, suggerendogli che piuttosto ciò che lo angustiava aveva fattezze ben più desiderabili di quelle di un rozzo sicario occultato in qualche angolo oscuro. Scendendo al piano di sotto, indugiò a origliare dietro la camera della sua cara, suscettibile e testarda coinquilina, avvicinandosi in punta di piedi. Era tentato di dare anche una sbirciata, per assicurarsi che fosse effettivamente lì, ma l’eventualità di ricevere qualche dolorosa martellata sulle gengive lo dissuase dal provarci. Riusciva comunque a percepire nettamente la sua presenza. Non udendo altro che un leggero sospirare, dedusse che si fosse finalmente addormentata. E quindi, fortunatamente, per un pezzo avrebbe potuto evitare di incrociarla e subire altri ficcanti interrogatori o aggressive sfuriate. Questo però significava che avrebbe dovuto trovare qualche altro espediente per rimanere sveglio.

Perciò si sistemò sul divano del soggiorno, e, sebbene, non fosse solito farlo, accese il televisore, studiando i tasti del telecomando per impostare il volume su una tonalità che non fosse di disturbo, ma nemmeno troppo bassa da impedirgli di seguire i dialoghi sullo schermo e appisolarsi. Cominciò a fare zapping senza tanto interesse, imbattendosi in una serie di verbosi talk politici, documentari naturalistici, televendite di elettrodomestici portentosi e grotteschi film dell’orrore che lo infastidirono per il modo irrealistico e spettacolarizzato in cui mettevano in scena la violenza, privandola della sua gravità. Per uno come lui, cresciuto nel sangue e avvezzo a viverlo sin dalla più tenera età, era un affronto vedere una rappresentazione così ridicolizzata.
Intenzionato ad allontanare quei cattivi ricordi, si mise in cerca di qualche programma più leggero, magari con qualche bella donnina discinta. Abbandonato dopo qualche minuto un fracassone telefilm poliziesco, con armi e sparatorie palesemente fasulle, optò per un canale sportivo che stava trasmettendo una partita di pallavolo femminile.
«Adesso sì che ragioniamo!», esclamò fiondandosi più vicino allo schermo, ad occhi sgranati. La sua felicità durò ben poco perché il match era alle battute finali e subito dopo ebbe inizio un incontro di tennis maschile. Ryo, deluso, si stravaccò di nuovo sul divano, costringendosi a farsi piacere quella trasmissione in mancanza di meglio ma, tra un set e l’altro, a poco a poco le sue palpebre si appesantirono e cadde vittima inerme di Morfeo.
A risvegliarlo fu un forte brontolio della sua pancia vuota che protestava. Aveva mangiato solo un boccone al volo quando nel primo pomeriggio erano andati a fare visita a Miki e a quel gorilla che si era scelta come marito, e adesso avrebbe volentieri messo qualcosa di più sostanzioso sotto i denti.
Si stiracchiò sbadigliando rumorosamente. Il televisore era spento e, se non fosse stato per il riverbero dei neon e dei lampioni che le ampie vetrate lasciavano entrare dall’esterno, si sarebbe ritrovato al buio pesto. Tuttavia un tenue bagliore proveniva dalla cucina, assieme ad un sommesso borbottio. Con i sensi in allerta, afferrò la pistola, avanzando con andatura felpata tra le ombre, distinguendo un leggero scalpiccio attutito dal parquet. Il chiarore tremolante di alcune candele sparse tra le mensole gli permise di mettere a fuoco una sagoma familiare che si muoveva a suo agio, pur nella scarsa visibilità dell’ambiente.
Perché non aveva acceso la luce? Che quella matta stesse architettando qualcosa?

Riponendo la colt nella fondina a tracolla, si accostò alla parete e approfittò di non essere stato da lei avvertito per poterla contemplare indisturbato.
Era molto più che bella, non le serviva truccarsi o vestirsi in maniera particolare perché si notasse. La sua era una bellezza genuina, non studiata né esasperata, era qualcosa che risplendeva da dentro e lo abbagliava nella semplicità di ogni suo gesto, da cui trapelavano tutta l’esuberanza, la positività e la tenacia di cui la natura l’aveva dotata. Non che esteriormente gli fosse indifferente, per quanto si fosse imposto di rinnegarlo con ostinazione al fine di non contaminarla con i tanti veleni della sua anima, cui lei però era rimasta immune, fortificandosi.
Il suo fisico, snello e sinuoso, era racchiuso in una maglia di un giallo pallido, sformata e non troppo aderente che a malapena le copriva il fondoschiena, la cui superba rotondità spiccava capricciosa ad ogni piegamento, mentre era intenta a setacciare le dispense, smozzicando imprecazioni incomprensibili. Il fatto che sotto non portasse neanche un misero pantaloncino, metteva in risalto le sue strepitose gambe, divenute in quegli anni oggetto delle sue più segrete e indecenti fantasie. Si allungò verso uno stipetto più in alto e poté intravedere le mutandine rosa con dei ricami floreali. Era decisamente troppo per le sue povere coronarie! Sentì la pressione aumentare sensibilmente, soprattutto nelle parti più basse ...

«Kaori, insomma! Con chi diavolo ce l’hai?», sbottò contrariato, facendola trasalire meno di quanto si aspettasse.
La ragazza si raddrizzò senza voltarsi, rimanendo con la mano artigliata sulla maniglia del frigorifero: «Dimmi Ryo caro, hai fame, per caso?» gli chiese con un tono falsamente mieloso che non lasciava presagire niente di positivo.
La razionalità dell’uomo era però troppo offuscata dai bollori per poter cogliere la sfumatura minacciosa insita in quella domanda: «Una fame tremenda», mugugnò continuando a scrutare ogni centimetro della sua armoniosa figura.
«Beh, mi spiace, ma per stasera resterai a digiuno!» ribatté la rossa, chiudendo seccamente l’anta del congelatore. «Non c’è più niente di commestibile in frigo e anche le credenze piangono miseria», lo informò con fare accusatorio, portando le mani ai fianchi e fulminandolo con uno sguardo che la semioscurità rese ancora più intimidatorio.
Il socio boccheggiò, ritornando in sé, dopo quelle inopportune divagazioni. La pessima notizia lo lasciò interdetto: «Com’è possibile?! Non ti sei ricordata di fare la spesa in questi ultimi giorni?!»
Stentava davvero a credere che un tipo tanto preciso e affidabile come lei potesse aver trascurato una commissione tanto abituale.
«Eh, certo! Perché in questa cavolo di casa devo sempre pensare a tutto quanto io! La spesa, la cucina, il bucato, le pulizie, le bollette … Ti sei accorto che ci hanno pure tagliato l’elettricità, o no?»

No, lui, in effetti, non lo aveva intuito, ma allora capì il perché del televisore spentosi da solo e di tutte quelle candele accese. Si sentì un idiota: gli era perfino balenata l’ipotesi che potesse esserci un’implicazione romantica in tutto ciò!
«Quindi non sei nemmeno andata a pagare le bollette!», la rimproverò indignato, così come un padre poteva esserlo nell’ammonire una figlia disubbidiente. La sua convivente si stava lamentando d’incombenze ordinarie di cui si era sempre occupata meticolosamente e senza problemi. A dire il vero, se non ci fosse stata lei ad occuparsene, lui non avrebbe avuto alcuna nozione di come sbrigare quelle basilari mansioni casalinghe. Non si era mai trovato nella necessità di imparare come affrontarle. Era inutile negarlo: senza di lei sarebbe stato perso.

«Sono andata in banca l’altro ieri, ma purtroppo eravamo già oltre la scadenza. Sono sempre così fiscali per queste cose!», riprese a giustificarsi Kaori, furente di rabbia. «Tu poi non allunghi mai un dito per aiutarmi. Eh, no il signorino qui presente è sempre troppo impegnato ad allungare le mani su qualunque sventola gli capiti sotto il naso per chiedersi se io ogni tanto abbia mai bisogno di un briciolo di supporto per portare avanti la baracca!», perseverò a rinfacciargli, camminando in tondo e gesticolando, con i capelli dritti per il nervosismo.
«Se mi avessi chiesto di accompagnarti al supermercato mentre tornavamo a casa, non mi sarei rifiutato di farlo», proruppe Ryo, incrociando le braccia, sentendosi un po’ offeso e un po’ colpevole per quelle critiche osservazioni al suo meschino egoismo. Quella generosa ragazza si era sempre presa cura di lui in maniera amorevole e impeccabile.
Anche se la sua difesa pareva sincera, la socia si figurò immediatamente la scena: avrebbe fatto il cascamorto molesto con le cassiere o con le clienti più appariscenti, costringendola ad inseguirlo per evitare denunce. Non lo avrebbe sopportato, non quel giorno, non dopo le frasi con cui le aveva fatto sussultare il cuore, e che, adesso che avevano ripreso a litigare com’era consuetudine, le pareva di avere solamente sognato.
«Scusami, ma dopo tutto il casino in cui siamo rimasti invischiati, fare la spesa era l’ultimo dei miei pensieri!», replicò con voce lievemente malferma. Qualcosa di umido premeva per uscire dalle ciglia, ma non volle dargliela vinta.
Lui accorciò le distanze, un luccichio malizioso nelle iridi tenebrose: «E qual era il tuo primo pensiero?».
Kaori si sentì di colpo spogliata da quello sguardo impertinente e inquisitorio: «Il letto», deglutì di riflesso, «Cioè, intendo dire il riposo», si corresse subito, ritraendosi. Il viso del suo socio le era improvvisamente arrivato talmente vicino da destabilizzarla.
«Ero stanca, stanca morta. Ancora adesso sto praticamente dormendo in piedi», insistette paonazza, simulando un gran sbadiglio e accennando a volersene tornare di sopra.
«Ah», bofonchiò lui, rivolgendole un’espressione sorniona. «Comunque sia, sono ancora molto affamato, come la mettiamo?», tornò a chiederle insofferente, versandosi un bicchiere d’acqua direttamente dal lavandino, senza smettere di fissarla ambiguo e con un’insistenza che non le aveva mai riservato in passato.

Kaori ebbe l’impressione che ci fosse un’allusione erotica neanche troppo camuffata in quella constatazione. Involontariamente le sue pupille guizzarono sui suoi ampi boxer, per poi schizzare sul soffitto, un fiotto di vergogna a imporporarle le guance. Si domandò se stesse sul serio cercando, maldestramente, di farle capire che la voleva, o se piuttosto quel suo bislacco blaterare a doppio senso non fosse tutta una presa per i fondelli con cui l’avrebbe nuovamente schernita. In entrambi i casi non volle reggergli il gioco, era ancora troppo amareggiata per come l’aveva abbandonata a se stessa poco prima.
«Potresti andare a mangiare in qualcuno di quei localini per debosciati che frequenti. Sono certa che lì troveresti di che sfamarti», gli consigliò acidamente, allontanandosi da lui confusa, non senza un velo di tristezza che ricacciò in gola.
«Ma non hai visto che ha iniziato a piovere a dirotto? Non ho alcuna voglia di uscire», si lagnò quello, assumendo un broncio bambinesco.
La ragazza distolse la faccia sul picchiettio delle gocce che copiosamente rigavano i vetri: «È solo una pioggerella passeggera. E comunque io non ho nessuna intenzione di andare a fare la spesa per te a quest’ora», borbottò irremovibile per poi rimettersi a trafficare, sondando ancora l’esiguo contenuto della credenza e allineando una serie di lattine e pacchettini sul tavolo.

Ryo sospirò, facendosi coraggio. Aveva finalmente avuto il fegato di esporsi quella mattina, dopo che lei aveva urlato con fierezza ai quattro venti che sarebbe stata disposta a morire per lui. Che razza d’infimo uomo di merda poteva essere per ignorarlo? La vigliaccheria se lo stava mangiando vivo. Anche se serbava un’innata avversione ad esternare i suoi sentimenti più intimi, più la guardava, più sentiva divampare dentro il bisogno di farlo per alleviare quell’infido formicolio alle budella. Da quando il tenero affetto che aveva scoperto germogliare dentro di sé per lei si era tramutato in un’invincibile attrazione, era diventato un supplizio restarle accanto e immergersi in quegli occhi nocciola senza poterla stringere a sé. E la forzata astinenza degli ultimi tempi non lo aiutava per niente a scacciare quella tentazione, avendola così a portata di mano.
Doveva agire e basta.
Si piegò leggermente su di lei, limitando il loro distacco per tastare la sua reazione, non azzardando sfiorarla: «Quanto sei prevenuta, Kaori. Cucinare per me non è quello che ti sto chiedendo adesso …»

Il suo accento velato e sensuale fece vibrare l’aria, costringendola a sospendere quella vana occupazione e a girarsi verso di lui. Quando non si comportava da perfetto imbecille, c’era una fiamma magnetica nei suoi penetranti occhi neri che la intimidiva per la potenza con cui riusciva ad attanagliarle ragione e sensi. Aveva un’assurda voglia di saltargli addosso senza ritegno. Se non fosse stata tanto allenata a controllarsi, lo avrebbe già fatto.
«Spiegati meglio, allora», balbettò piccata, i pugni distesi a stirare verso il basso i lembi della maglia, ultimo inutile tentativo di nascondere quanto intimamente lo stesse agognando, al punto da sentirsi tremare le ginocchia nell’essergli tanto vicina e poter sentire il suo ciuffo ribelle vellicarle la frangia sbarazzina.
Due grandi mani estranee eppure conosciute le si agganciarono improvvisamente alla vita sottile, una presa decisa e misurata. Fu un attimo. Le labbra dell’uomo che amava invano da ben otto anni catturarono le sue, morbidamente, con una dolcezza disarmante, che doveva tenere confinata nei meandri del suo essere, ma della cui esistenza lei non aveva mai dubitato perché l’aveva intravista spesso affiorare in precise circostanze.
Quando quel contatto inebriante si interruppe, Kaori credette di perdere l’equilibrio e istintivamente si sostenne alle sue robuste spalle, che le trasmisero, come sempre, forza e sicurezza.
Il risentimento evaporò come rugiada al sole. Lo stava già perdonando, contrariamente ai suoi ferrei propositi, ma fece un po’ la sostenuta. Non le andava di mostrarsi troppo arrendevole, anche se sapeva di essere una pessima bugiarda. Era sicurissima che in ogni più microscopica particella del suo corpo si leggesse palesemente quanto stesse gioendo.
«Credo di non aver capito bene», asserì trasognata, non potendo fare a meno di stamparsi un sogghigno furbetto.

Ryo ridacchiò divertito: «Non ti facevo così ottusa» sussurrò beffardo poggiando la fronte contro la sua, un sorriso genuino ad addolcirgli i tratti del bellissimo viso. La stretta delle sue dita divenne salda e possessiva, mentre la attirava a sé facendola aderire al suo profilo e si riappropriava delle sue labbra con più impeto, arreso alla brama di assaporare quella bocca che aveva saputo sgridarlo e confortarlo, criticarlo e consigliarlo, insultarlo e allietarlo, sempre sincera nel bene e nel male, scoprendola deliziosa nella sua purezza, proprio come lei.
Un torrente di emozioni lo travolse, lo sconcertò essere riuscito a resisterle tanto a lungo ed essersi negato quel pezzetto di paradiso. Baciarsi così, senza più filtri, freni né paure, davanti alle finestre bagnate da quel temporale primaverile, con le luci della strada che illuminavano le loro figure avvinghiate, in piedi in mezzo alla stanza, sentire le sue dita affusolate solleticargli la nuca, il suo soffice seno pressato contro il busto, la sua lingua insicura ricambiare con curiosità la sua, e immaginarsi che di lì a breve i loro corpi smaniosi e accaldati si sarebbero fusi completamente, gli fece scalpitare dentro una frenesia che non aveva mai sperimentato con nessun’altra donna.

Kaori indietreggiò, travolta dalla sua incalzante foga, ritrovandosi contro il tavolo e finendo per sdraiarcisi sopra rovesciando tutto ciò che vi aveva posato. Lui la sovrastò in un istante, ricoprendola di altri baci roventi e al tempo stesso delicati, sulla fronte, sulle guance, sul mento, per poi accanirsi sulla pelle sensibile del collo, trattenendola energicamente per un fianco.
La sua indiscussa maestria la fece subito contorcere e gemere di piacere. Affondò le dita tra i suoi folti capelli corvini. Era indubbio che il suo partner non riuscisse proprio ad essere troppo romantico, per lui era sicuramente più semplice eliminare qualche feroce gang di spacciatori, ma sotto l’aspetto galante aveva sempre sospettato che fosse imbattibile e alla fine le era bastato meno del previsto per cedergli, si rammaricò, beandosi di ricevere quelle spasimate attenzioni che le inondavano di brividi terminazioni nervose di cui fino ad allora sconosceva perfino l’esistenza.
I sempre più inquietanti scricchiolii dell’asse di legno sotto di loro, però, le instillarono un briciolo di buon senso. Spettava sempre a lei essere l’antipatica della situazione, anche a suo stesso discapito.
«Ryo, non possiamo permetterci un altro tavolo … » ansimò frustrata, puntellandosi sui gomiti per tentare di spostare il suo piacevole ma ingombrante peso di dosso.
«Tesoro, quanto sei venale … », mugolò quello con strafottenza, continuando a mordicchiarla lascivamente. Un’energica tirata di orecchie lo sollecitò a desistere. Lei era la voce del cuore e della ragione, immancabilmente finiva sempre per ascoltarla. Si rialzò malvolentieri, sollevandola tra le braccia come fosse un fuscello, strappandole un singulto di sorpresa.
«Però prendi qualche candela: voglio poterti vedere» le intimò in un complice ed eloquente sussurro, prima di incamminarsi al piano di sopra. Orientandosi alla perfezione nella semioscurità della casa, raggiunse la sua stanza da letto, depose la fondina sul comodino e adagiò l’amata sulle lenzuola che sapevano di lui, intrappolandola sotto di sé dopo che ebbe riacceso i moccoli.
«Qui ti va bene?», le domandò suadente, sfiorandola di proposito con la sua malcelata erezione.
Lei annuì lievemente e, benché non potesse scorgere bene il suo colorito per la scarsa luce, fu sicuro di averla fatta arrossire come una pesca matura. Adorava il suo pudore.
Si chinò per riprendere a marchiarle la pelle nivea e mielata con quella scia bollente di saliva, abbassandole una spallina, scendendo con indolenza sempre più giù, ma restando steso sul bordo del materasso, evitando di strusciarsi su di lei per tenerla ancora un po’ sulle spine. Voleva farla impazzire e portarla ad implorare il suo nome, per la prima volta senza che il presupposto fosse negativo. Aveva un modo così eccitante di urlare.

Sentirsi avvolgere dal suo dirompente calore di maschio, sentirlo bruciare di desiderio per lei, l’aveva stordita. Kaori si accorse di essersi irrigidita e intuì che lui stava indugiando in attesa di un suo più convinto . Cominciò a lisciargli i bicipiti, delineandone ogni perfetta venatura, e poi fece scorrere i polpastrelli sulle sottili cicatrici della sua schiena, ancora coperta dalla maglietta di cui lui si spogliò prontamente, gettandola sul pavimento, dandole libero accesso a quegli scattanti muscoli che tante volte l’avevano salvata da situazioni al limite dell’impossibile e che ora la stringevano con veemenza, non più solo per proteggerla, ma perché smaniavano dal bisogno di toccarla.
Socchiuse gli occhi lasciandosi trasportare da quelle meravigliose sensazioni. Le parve di fare qualcosa di proibito accarezzandogli il torace e quegli addominali scolpiti che spesso aveva adocchiato con imbarazzo da lontano, potendone saggiare la consistenza marmorea che tuttavia del marmo non avevano affatto la freddezza, anzi scottavano. Il sapore intenso di sale e tabacco della sua bocca si riversò di nuovo nella sua, mentre un palmo si addentrava sotto la sua maglia leggera, esplorando avidamente la sua pancia piatta e tesa, per poi salire su a tirare l’elastico del reggiseno. Come se non bastasse quello a surriscaldarle il bassoventre mandandola nella più totale confusione, il suo inguine turgido e pulsante si addossò prepotente al bacino, sgomentandola. D’impulso gli conficcò le unghie nelle scapole, ma, anziché frenarlo, quella mossa lo incitò a far scivolare una mano tra le sue cosce tremanti, tastando lo striminzito tessuto che celava il centro dei suoi desideri ...

Erano già arrivati proprio a quel punto?!

«Ti prego! Aspetta!» scattò su scalciandolo via, la voce incrinata dall’assordante battito che senza pietà le martellava il petto, mozzandole il fiato.
Ryo annaspò rimanendo carponi: «Che significa “aspetta”?! Sono sette lunghissimi anni che aspetto!», protestò con più schiettezza di quanto non volesse, tappandosi subito la bocca.
Kaori fremette titubante. La sua lussuria così tangibile l’aveva mandata nel panico, facendo riaffiorare angosce vecchie e nuove su quanto stava per accadere. Inconsciamente era terrorizzata che potesse farle del male, non in senso fisico, anche se un po’ di naturale timore lo provava pure, ma dopo essersi spinti tanto oltre sapeva che niente avrebbe mai potuto essere come prima tra loro due. E temeva quanto disperatamente avrebbe sofferto se lui l’indomani avesse ricominciato a respingerla. O forse in fondo si era talmente abituata a quella loro strana relazione, fatta di liti furibonde e riappacificazioni sussurrate, sempre sospesa tra la solleticante convinzione che qualcosa potesse evolversi e la rassicurante sensazione di ritrovare tutto come prima, che quel radicale cambiamento la metteva a disagio. Si sentì una gran vigliacca.
«Renditi conto, per me è pur sempre la prima volta … », farfugliò impacciata con un’innocente alzata di spalle, raccogliendo le ginocchia al petto, cercando di rallentare i battiti ancora accelerati.

Ryo vedendola tanto indifesa si maledisse. Era stato un animale, con la sua eccessiva irruenza doveva averla spaventata, quando il suo unico intento era venerarla e farle capire finalmente quanto la amava. Viveva da tanti anni accanto ad un uomo che aveva una vera e propria ossessione per il sesso, non poteva non sapere come funzionano certe cose, ma per certi versi era ancora una ragazzina candida e inesperta. Forse aveva compromesso tutto irrimediabilmente. Era proprio un disastro.
«Beh, anche per me è la prima volta», dichiarò spiccio, guadagnandosi un’occhiata scettica e interrogativa da parte della ragazza. «Non sono mai stato con una donna di cui sono innamorato», precisò senza vergognarsi di ammetterlo, perché con lei era tutto così meravigliosamente spontaneo.
«Ma che dici! Tu ti innamori di continuo» obiettò lei guardandolo in tralice, lottando contro uno sgradevole groppo alla gola.

Quegli occhi rossi da cerbiatta ferita lo scossero. Non riusciva ancora a credergli, non poteva darle tanto torto: «È vero. Ho amato moltissime donne e sono stato corrisposto da tantissime di loro», ostentò con un misto di serietà e orgoglio. «Eppure ho scelto di rimanere accanto a te».
«Perché sono l’unica cogliona che ancora sopporta le tue cazzate», sentenziò demoralizzata e irritata quella, ravviandosi una ciocca dietro l’orecchio, raggomitolandosi ancora di più.
Anche un gesto così normale e irriflessivo lo rimescolava, fomentandogli il bisogno di coccolarla. Ryo ribollì di rimorso e disperazione. La cocciutaggine e la diffidenza di quella ragazza erano qualcosa di tremendo. Possibile che riuscissero soltanto a bisticciare? La sua idea di movimentare la serata stava assumendo tutto un altro significato. Se voleva che le aprisse tutto il suo cuore, l’avrebbe accontentata. Tanto le apparteneva già da parecchio tempo.
«Kaori, su, non fare la bambina. Quello che provo per te è totalmente diverso. Da quando sei entrata qui, queste quattro mura spoglie e anonime si sono trasformate in una vera casa e io non mi sono sentito più solo. Anche se spesso sei intrattabile, isterica e avventata, sei anche la persona per cui ho iniziato a voler vivere con dignità e onore, non più soltanto a sopravvivere, senza alcuno scopo», fece una pausa distendendo quel cipiglio intenso e posato. «E poi sei l’unica donna con cui riesca a discutere pur trovandoci in un letto, seminudi e avendolo così in tiro da star male».

Un sorriso commosso e intenerito si allargò sul volto incredulo di Kaori, mentre dei minuscoli luccichii le solcavano le guance rosate e lei si domandava quale malsano ascendente possedesse quel mascalzone per risultargli tanto persuasivo anche con un’asserzione del genere. La stava fissando con impazienza, ma non c’era traccia della tipica faccia da pervertito, era deciso, rapito, trepidante, come non l’aveva mai visto. L’impenitente sciupafemmine Ryo Saeba aveva gettato via ogni maschera per lei, solo per lei.
Gli si buttò incontro, affogando un singhiozzo nell’incavo del suo collo: «Sei un deficiente».
«Maledizione! Per un motivo o per un altro riesco sempre a farti piangere!», la beffeggiò lui, scompigliandole i capelli, sentendola sorridere piano e ricevendo un puntuale pizzicotto sul fianco che lo rincuorò.
Tutte quei ripensamenti e tutti quei suoi repentini cambi di umore lo stavano esasperando un po’, se si fosse trattato di un’altra donna, probabilmente ci avrebbe già rinunciato da un pezzo, ma per lei era disposto a pazientare ancora. Si sentiva così sereno e appagato anche soltanto a cullarla tra le braccia e inspirare il suo soave profumo di buono. Non che la sua conturbante vicinanza avesse smesso di accendere pensieri pruriginosi ... Ma voleva comportarsi bene con lei.
La scostò leggermente da sé, sollevandole il mento con due dita: «Se non te la senti di proseguire, possiamo rimandare», le propose da vero gentiluomo, stendendosi sul lato destro del materasso, incrociando le braccia dietro la testa. «Resta qui se vuoi, ma non ti garantisco per lui. Come si suol dire “non svegliare il cane che dorme”!».

A Kaori sfuggì un sorrisetto divertito: diventava davvero molto buffo quando si sforzava di contenere le sue pulsioni. A giudicare da quell’evidente rigonfiamento nei boxer, il cane incriminato non dormiva affatto.
«Oh, quindi il famigerato stallone di Shinjuku si tira indietro? Che peccato …» lo punzecchiò irriverente, prendendosi la libertà di strisciare un piede sul suo polpaccio, sentendogli rizzare i peli e udendolo guaire sommessamente. Fu come soffiare sulla brace. Oramai lo conosceva, bastava il minimo tocco per mandarlo in escandescenze e, di conseguenza, piegarlo al suo volere. Ammesso che fosse riuscita a tenerlo a bada.
«Allora non ti faccio tanto schifo … Anche tu mi vuoi», le si riavvicinò leggermente euforico cingendola, rinnegando il contegno tranquillo e controllato che aveva assunto poco prima.
La compagna smorzò il suo assalto, tracciando delle lievi carezze sulla sua mascella appena irruvidita dalla ricrescita della barba: «Certo che ti voglio. Moltissimo. Ti amo, dal primo istante», l’ambra fusa dei suoi begli occhi divenne liquida e luminosa a quella palpitante confessione. «Ma prima voglio sapere dove te ne sei sgattaiolato dopo avermi lasciata qui», puntualizzò con uno sguardo più severo.
«Te l’ho detto. A fare il pieno alla Mini», replicò lui evasivo, inclinandosi a rubarle un bacio veloce ma intriso di ardore e poi schioccandone un altro più peccaminoso sulla piega dei seni, che le aveva scoperto tirandole giù la scollatura.
Kaori inghiottì un gemito. Doveva imparare a dominarsi o con quelle sue indiscusse abilità l’avrebbe circuita: «Tre ore per andare dal benzinaio? Non credere di potermi abbindolare!», gli puntò contro l’indice risoluta, reprimendo il languore che l’aveva avvinta nell’avere di nuovo le sue esperte labbra a lambirle la pelle.
«Sei proprio frigida, allora» bofonchiò con una smorfia il partner, levigandole le lunghe gambe e ostinandosi a non rispondere.
La ragazza sbuffò. Con lui servivano sempre le maniere forti.
«Voglio la verità» gli ordinò con piglio inflessibile, salendogli cavalcioni e inchiodandolo alla testiera del letto, le mani serrate come grinfie rapaci attorno al collo.

La posizione che avevano assunto gli faceva affluire poco sangue al cervello, ma di fronte alla sua esitazione la stretta della sua amata divenne asfissiante. Perché doveva sempre essere tutto così combattuto e complicato con lei?
«La verità, Ryo! O puoi anche dimenticarti quello che stavo per concederti», lo ricattò irremovibile, quasi strozzandolo. Quelle sue seducenti curve che non aveva ancora potuto del tutto assaggiare erano una invitante lusinga a cui sarebbe stato un gran sacrificio rinunciare. Aveva argomenti molto convincenti e una forza degna di un vulcano attivo quando si infuriava.
«E va bene», si arrese esasperato, tentando invano di nascondere il sudore freddo che gli aveva già impregnato le tempie, «Ho fatto un giro di ricognizione nei paraggi per controllare che non ci fosse qualche altra trappola a darci il benvenuto».
«E hai trovato qualcosa? Qualcuno?», lo incalzò lei agitata, divenendo un fascio di nervi, comprimendogli ancora di più il mokkori. Doveva essere un po’ masochista, se perfino quelle discussioni violente lo attizzavano.
«Solo due scimmioni appostati nel bar di fronte che ho fatto fuori con facilità. Niente di allarmante. Saeko mi ha assicurato di aver provveduto a sguinzagliare anche alcuni suoi agenti di pattuglia mentre io e Umi eravamo impegnati nel tuo inseguimento» raccontò svelto, rasserenandosi nel sentire diminuire gradualmente la morsa delle sue dita. «Ora possiamo riprendere da dove ci eravamo interrotti?», la scongiurò, congiungendo i palmi con un sorriso docile e speranzoso.
Kaori esalò un profondo sospiro di sollievo spostandosi alla sua sinistra, poi la sua espressione si alterò e un basso gorgoglio le ribollì in gola: «Dannato delinquente! Mi hai piantato qui pur avendo il sospetto che potessi ritrovarmi qualche brutto ceffo pronto a sgozzarmi!»
«Non essere sciocca, non sono uno sconsiderato. Per prima cosa ho controllato proprio il nostro appartamento e quelli di tutti gli altri piani», confutò con noncuranza, bloccando tempestivamente col piede un martello da appena 100 t che la ragazza stava per scagliargli contro.
La compagna rimase interdetta dalla sua insolita contromossa e soprattutto da quella rivelazione: «Ma quando? Non è possibile, io non mi sono accorta di nulla», bisbigliò sbigottita, lasciando cadere la fedele arma di offesa. Si vergognò di averlo ritenuto tanto codardo e di essere stata così sbadata.
«Eri troppo occupata a scegliere qualcosa di carino da indossare per me. Ma sai, non ce n’era alcun bisogno: potevi aspettarmi nuda», ammiccò malandrino lui, sdrammatizzando il tutto com’era tipico del suo spirito sardonico.
Questa volta non fece in tempo a scansare il sonoro ceffone che gli fece scrocchiare la mandibola.
«Scemo! Io ero preoccupata da morire per te! Non hai la più pallida idea delle pene d’inferno che mi fai passare ogni maledetta volta in cui sparisci senza dirmi niente! Non voglio perderti! Non posso immaginare che il mondo perda una persona incredibile come te», stridette infervorata. Il suo volto era in fiamme e allo stesso tempo madido di lacrime.

Quello struggente sfogo gli lacerò la carne, peggio di un proiettile. Ryo si domandò come fosse possibile che una brava ragazza come lei potesse amare tanto un uomo così profondamente sbagliato come lui. Ma era così, nulla in quegli anni aveva minato quel suo folle attaccamento.
«Cosa credi? Anch’io passo momenti d’inferno quando qualche figlio di puttana ti porta via da me o prova a farti del male» dichiarò cupo e risentito, afferrandola bruscamente per le spalle, scosso da un cocente fremito di passione e di collera.
Non scherzava più, anzi a Kaori parve anche abbastanza arrabbiato, con se stesso oltre che con lei. Non avrebbe mai posseduto il suo invidiabile autocontrollo, tantomeno la sua eccezionale destrezza nel combattere. A volte continuava a sentirsi d’intralcio per lui.
«Mi dispiace. Sono sempre così impulsiva e imbranata», mormorò crucciata, asciugandosi le palpebre con un mezzo sorriso discolpante.
«Giusto un tantino», la prese in giro bonariamente Ryo, stuzzicandole i fianchi, «In compenso hai sempre avuto coraggio da vendere, sugar boy», le premette un pudico bacio sulla fronte febbricitante per quel complimento, ma lei percepì chiaramente che stava di nuovo infervorandosi, ogni suo poro sprigionava calore contagiandolo ad ogni cellula del suo corpo e adesso non voleva più opporsi a scoprire cos’altro le avrebbe insegnato.
Raccolse quelle sue mani calde e ruvide, baciando dolcemente le sbucciature sulle sue nocche e poi se le portò sul seno, sentendolo trattenere uno spasmo di stupore e di eccitazione che le rimbalzò addosso, inviandole un lungo brivido alla spina dorsale. Era dannatamente difficile sostenere il suo sguardo acceso, sentire il suo respiro caldo vellicarle le labbra, gridandole un desiderio impetuoso e incontenibile. Dovette appellarsi a quello stesso coraggio che lui aveva elogiato poco prima per parlare: «Promettimi che d’ora in avanti qualsiasi ostacolo lo affronteremo in due e che mi metterai sempre al corrente di tutto ciò che ti accade. Me lo devi. Dopotutto io sono la metà di City Hunter», gli rammentò determinata e spavalda.

Ryo sorrise compiaciuto, percorrendo con dita vogliose le sinuosità della sua morbida silhouette e liberandola della maglia con un movimento fluido e quasi invisibile: «Mhh. Non sei ancora del tutto la mia metà. E intendo rimediare immediatamente a questa imperdonabile mancanza», le promise trascinandola in un bacio ardito, facendola reclinare sul cuscino e continuando a rimarcare la sua bramosia di possederla, tracciando un arroventato sentiero di baci e carezze sul velluto della sua pelle esposta.
Kaori in un imprevisto impeto di sfrontatezza si privò del pezzo di sopra, anticipando il suo pensiero. Quelle forme non più timide e acerbe, ma piene e sensuali lo lasciarono incantato. Già sapeva che ne sarebbe diventato dipendente.
«Sei stupenda» le sillabe gli uscirono spontanee facendola sciogliere in un sorriso radioso e confortato, mentre gli acciuffava i capelli reclamando la sua bocca. Se ne separò per tuffarsi tra quei dolci pendii inesplorati, ridisegnandone i contorni con il tocco rovente della sua lingua, sentendola fremere in maniera sempre più incontrollata e appigliarsi supplice a lui. Quel suo tenero ardore lo incendiò ulteriormente, incitandolo ad avventurarsi sempre più giù, come un assetato attratto da una sorgente d’acqua incontaminata che gli si offriva dopo interminabile girovagare. Perché lei era questo, un’oasi di pace dopo tanto orrore. Era un immeritato dono del cielo averla incontrata.

«Ryo?» ansimò lei trafelata, richiamando con smarrimento e amorevolezza i suoi occhi, sobbalzando appena nel vederlo quasi avventarsi con dissolutezza sul suo ventre madido.
«Lasciami fare. Sono un professionista», la rassicurò con spudorata ironia, vezzeggiandole l’ombelico.
La ragazza si piegò in avanti afferrandogli l’avambraccio, rinnovandogli quella viscerale fiducia che gli aveva sempre riservato e che aveva il potere di debellare qualsiasi paura. Il suo squisito aroma femminile era così vicino da stordirlo, ma si costrinse a non essere eccessivamente dissoluto, almeno non per quella prima notte. Era pur sempre una novellina, non voleva scioccarla troppo. Addentò il cinto di quel piccolo pezzo di stoffa che custodiva la sua femminilità, sfilandoglielo con estrema lentezza, godendo dei suoi adorabili piccoli sussulti e della sensazione di essere da lei scrutato con ammutolita agitazione. Poi si denudò a sua volta dell’ultimo indumento che impediva la loro completa unione, sistemandosi con cautela tra le sue accoglienti anche.

Kaori si sentì ghermire da lui i polsi e posizionarseli sulle spalle nerborute, mentre una pressione consistente le schiacciava l’addome e un calore vischioso la inumidiva. Si aggrappò a lui come se potesse precipitare nel vuoto in caso non lo avesse fatto, sentendo le sue mani spostarsi dietro le sue cosce, sollevandole delicatamente il bacino verso il suo epicentro. Perse qualche battito nel percepirlo duro e scalpitante contro di sé. Allora la consapevolezza che stessero per unirsi anche nel corpo divenne inequivocabilmente tangibile.
«Respira, Kaori. Rilassati. Non voglio farti del male. Mai più», la voce bassa e controllata di Ryo arrivò ad alleviare con ineffabile tempismo la sua residua ritrosia, «Dovrai guidarmi tu, come hai fatto quando abbiamo sparato insieme. Ti ricordi?»
Lei assentì, scaldandosi nel rievocare l’assoluta sintonia di quel momento. Quel sorprendente affiatamento l’aveva sconvolta, aveva creduto che non avrebbe mai potuto esserci niente di più intimo tra loro due. Non si era mai sentita tanto unita a nessun altro prima di allora. E capì che non aveva ragione di preoccuparsi: loro erano già un solo cuore che batteva in due casse toraciche separate, ma all’unisono. Anche ora che erano così attaccati da non distinguere chi dei due stesse palpitando più forte.
Cominciò ad ondeggiare lentamente, sentendolo assecondare i suoi movimenti incerti e istintivi senza forzarla, osservando con estrema devozione ogni increspamento delle sue labbra e della sua fronte che baciò ripetutamente, con crescente trasporto, spingendosi piano sempre di più dentro di lei.

I loro respiri si mescolarono, al pari delle mani e dei battiti, della carne e dei gemiti, della pelle e dei pensieri, finché l’incastro divenne indissolubile, legandoli in un amplesso di fuoco a lungo represso e vagheggiato.

 

Salve :) Torno a fare timidamente capolino in questa sezione a parecchi anni di distanza dalla pubblicazione della mia prima ff dedicata a questi due, stavolta con una one shot che ho deciso di suddividere in due capitoli, il primo dei quali è questo qui, più sostanzioso, mentre il secondo molto più breve e leggero conto di concluderlo a giorni (nonostante dovrei concentrarmi su altro ^.^").
Sono consapevole di non brillare per originalità, dato che che l'argomento "prima volta" è stato trattato in tutte le salse, ma casualmente ho ritrovato da poco online sia l'anime che il manga e la mia vena scrittoria addormentata ha deciso di uscire improvvisamente da un lungo letargo, sollecitandomi a comporre quanto sopra.
Dunque ringrazio chi ha avuto la resistenza di arrivare a leggere fin qui e spero che questa mia divagazione vi sia stata gradita e che magari mi farete avere qualche opinone in merito.
Buone feste!)
 
   
 
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