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Autore: Lady_Snow    27/12/2019    0 recensioni
Tahira è una figlia del deserto: il suo mondo gira intorno alla carovana che naviga da una città all'altra, oasi in mezzo ad una distesa infinita di sabbia.E' una quasi-donna forgiata tra tempeste, tradizioni di un popolo devoto al deserto e racconti dei rababa intorno al fuoco.
Il destino però ha altro in serbo per lei, e la ragazza verrà strappata al proprio mondo e catapultata nella capitale Zahrat Alsahra, in mezzo a intrighi, tradimenti e uccisioni: un mondo a lei sconosciuto che la spingerà verso l'età adulta.
Una storia fantasy immersa nel deserto, dove ogni granello è sabbia e la sabbia è ogni granello.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il piccolo Jaabir sapeva benissimo che non doveva tardare, il racconto del rababa sarebbe iniziato da lì a poco. Non succedeva tutte le sere: era una rarità quanto mangiare della carne rossa o non trovarsi la sabbia dentro alle scarpe.
Si tirò velocemente su i pantaloni, li strinse con un nodo che aveva appena imparato dal capo carovana e corse a perdifiato su per la collina di sabbia, arrampicandosi con le mani e una volta arrivato in cima, scivolò lungo l'altro dorso. La frenata fu burrascosa accompagnata da una capriola. Gli ultimi metri furono di corsa sputacchiando fuori dalla piccola bocca tutta quella sabbia che aveva mangiato.
Arrivò giusto in tempo a sedersi di fianco ad Azza, che lo fissò in malo modo,ma non si sorprese: faceva così con tutti.
- Sei in ritardo – gli fece notare con quel tono saccente che soltanto una bambina di sei lune poteva avere.
- Non sono in ritardo, semplicemente dovevo pisciare. - Risposte Jaabir con quel sorrisetto spavaldo di chi sapeva perfettamente che certe parole erano soltanto per adulti e usarle comportava l'ira funesta della piccola Azza.
Infatti la bambina non fece aspettare la sua risposta e gli diede una gomitata sul fianco facendogli mozzare il fiato.
- Basta bambini, dovete ascoltare perchè il Rababa non ripeterà questa storia. - La voce era calda, accogliente e materna.
Era la madre di tutta la carovana.
Era bellissima, nonostante le piccole rughe che si dipingevano sopra al suo viso quando sorrideva, cosa che faceva sempre. Folti capelli neri ondulati come le creste delle dune le accarezzavano un viso ovale, con zigomi alti e occhi azzurri come il cielo. Era alta, snella e Jaabir sapeva perfettamente come gli uomini la fissavano e cosa dicevano di lei. Così come parlavano di Tahira l'unica figlia di lei e del capo carovana Ibrahim. Però aveva promesso al padre di non dire una singola parola di quei discorsi, anche perchè l'alternativa erano cinghiate sulle natiche e il fatto di esser cacciato quando gli uomini si radunavano nella loro tenda.
- Ci scusi, Um – Dissero in coro lui e Azza, ma lei continuava a fissarlo con uno sguardo carico di ira che faceva intendere che l'avrebbe pagata dopo a suon di pugni e sberle in giro per il corpo.
- Va bene bambini, ora però guardate il Rababa e ascoltate le sue storie.- Rispose in maniera morbida, appoggiando la mano sulla testa dei bambini in una carezza che scompigliò i capelli ad entrambi. Ridacchiarono entrambi, diedero attenzione al Rababa, maestoso, scintillante dietro a quel grande falò che riscaldava l'intero accampamento.
Le tende erano a centinaia, aperte come i petali di una rosa nera. Quelle che formavano il cerchio più vicino al falò erano del capo della eayila, il al'ab e della sua famiglia e dei suoi dima' damiy, poi seguivano gli ospiti paganti e per finire si arrivava a coloro che servivano la carovana.
Durante i pasti e dopo ci si riuniva lì al centro della rosa scura, intorno al fuoco cercando riparo dal freddo pungente del deserto.
Quella sera era una notte speciale: nel gruppo delle persone paganti per il trasporto nella carovana vi era un Rababa, un uomo vecchio, con addosso vestiti colorati ed eccentrici che variavano da un azzurro magenta sulle maniche, al petto dove vi erano rossi e viola che si mescolavano, i pantaloni invece erano formate da chiazze verdi, il turbante, le scarpe con la punta arrotondata e la fascia sul ventre invece erano dorati.
I Rababa erano rari e tutti sempre di una certa età: conoscevano storie, leggende e in un regno di sabbia, le storie erano rare e preziose quanto le monete d'oro. Fuori dalle carovane soltanto le famiglie nobili si potevano permettere quell'intrattenimento, ma lì nella eayila era facile trovarli, visto che era l'unico modo per spostarsi in modo sicuro da una città all'altra, viaggiare in mezzo ai Atfal Alramal.

- La nostra storia nasce, cresce e muore in un tempo molto lontano, quando il nostro pianeta era solo una palla infuocata che girava intorno al nostro amatissimo sole. Era rosso come le fiamme dei fuochi che incantano i templi della dea Ard sui monti innevati che si vedono solo all'estremità del deserto.
Ard era la dea madre indiscussa in tutto il creato, creatrice di mondi. Era di una bellezza a noi sconosciuta in quanto poveri mortali: i suoi lunghi capelli erano fatti di vie stellate, la sua pelle era ricoperta da soli e i suoi occhi erano chiazze di un nero talmente profondo da risucchiare chiunque potesse posarvi lo sguardo. Era rispettata e temuta da tutti gli altri dei, ma era soprattutto amata. Nonostante fosse forte e gentile al medesimo tempo, nessuno aveva mai fatto breccia nel suo cuore. Soltanto Ma'an valoroso dio dell'acqua e della guerra decise di far sua Ard e di insinuarsi in quel cuore gelido che non aveva mai conosciuto l'amore.
Ma'an convinse Ard dopo millenni di prender forma umana.
Infatti Ma'an era sempre stato affascinato da noi, creature mortali che vivevano una vita così breve da esser paragonata a un suo batter di ciglia, ma usando quel breve periodo a pieno e senza rimorsi, accettando la morte e la fine della propria esistenza con un certo orgoglio. Era rimasto affascinato dal concetto di fine; in quanto esser celestiale non conosceva il concetto né di nascita e neppure di morte, ma solo il concetto di esistenza. Quando vide gli umani ancora primitivi e affamati della propria esistenza, ne fu ammaliato.-

La voce del menestrello era morbida, alzava il tono quando doveva attirare l'attenzione e lo abbassava quando invece la storia diventava più cupa, le mani si muovevano e così i fumi del falò ballavano contro il cielo stellato, privo di luna. Quei gesti avevano disegnato la madre Ard come in ogni statua in giro per il regno e così come il padre Ma'an possente, virile.Il rababa aprì le mani e lanciò in mezzo al fuoco una polvere che fece un piccolo scoppio. Il fuoco da rosso iniziò a prendere delle sfumature viola e il fumo iniziò ad animarsi seguendo la voce melodiosa dell'uomo barbuto e anziano.

- Il primo a prender forma umana fu Ma'an e decise di esser un uomo, lunghi capelli del color della paglia, pelle dorata, occhi azzurri come il cielo di giorno, il corpo che neppure i scultori della sacra città di Min Alsamawat potrebbero mai disegnare. Ard lo seguì titubante, ma decise di prender anche lei forma umana: i capelli divennero neri e gli occhi divennero marroni come i tronchi degli alberi, la sua pelle bianca come le cime delle montagne innevate. Era un corpo sinuoso come quello di nessun'altra, una perfezione che si può solo immaginare. Nelle loro forme umane, Ma'An e Ard girarono per questo pianeta, per questo insignificante sassolino che da lei era stato creato miliardi di anni prima. Però fu la prima volta che provò il caldo del sole, il fresco dell'ombra degli alberi, fu gioia quando sentì il canto degli uccelli per la prima volta. Proprio qui, in mezzo alla natura incontaminata, Ma'An gli diede il proprio dono, una cosa che non avrebbero mai potuto fare nella loro forma originaria. Un bacio.
Oh miei ascoltatori, non era un bacio qualunque, era una tempesta, un alluvione, un terremoto e una tempesta di sabbia.
Ard si innamorò, per quanto fosse una dea immortale, anche lei era una femmina e si innamorò di quel maschio.
Ogni giorno in cui passavano sulla terra il desiderio cresceva, e così Ma'an e Ard vi cedettero e si unirono. -

Le figure di fumo, iniziarono ad avvinghiarsi tra di loro. Le ragazze e le quasi-donne si guardavano tra di loro e ridacchiavano intanto che i ragazzi e i quasi-uomini gonfiavano il petto come per farsi notare, come per far vedere quanto potessero esser virili, intanto che i bambini ancora immersi nella loro innocenza guardavano quella danza con il pensiero costante che gli adulti fossero creature molto strane.

- L'unione piacque ai due e, dopo molte notti passati insieme nelle verdi praterie, Ard rimase incinta. Bloccata nella forma umana per via di quella vita che stava crescendo dentro di lei ella partorì tra dolori e urla, come ogni singola donna. Diede alla luce quattro figli: Ghaba, Jabel, Sahl e Waha. Ard e Ma'an crebbero i propri figli sulla terra, ma una volta arrivati ad esser adulti li liberarono dalla propria forma mortale ed insieme partirono per il regno celeste degli dei. -

I fumi danzarono di nuovo e le sei figure due adulte e quattro bambini si alzarono verso il manto celeste sfumando le loro forme mortali.

-I secoli passarono e i quattro bambini crebbero ed iniziarono ad aiutare i genitori nelle creazioni di mondi e galassie; ma Waha non era felice, non era appagata, gli mancava la sua forma mortale e la sua casa, dov'era nata e cresciuta. Queste voci arrivarono alla sorella minore di Ard, Jafaaf, che era l'opposto di sua sorella: se Ard dava la vita, Jafaaf la toglieva, perchè vi deve esser un continuo equilibrio nel creato, la vita deve coesistere con la morte. Jafaaf era una persona invidiosa del bene che volevano ad Ard e del suo potere assoluto su tutti gli altri dei, così si avvicinò a Waha e le sussurrò all'orecchio che sarebbe stata capace di accontentare il suo desiderio di poterla riportare sulla sua amatissima terra. Waha cedette a quella mera promessa della zia, che in cambio gli chiese solo una cosa per compiere quella grande magia: la ciocca di capelli della madre dov'era incastonata la sua amata terra.
Durante un lungo riposo di Ard, la figlia prediletta e ultima arrivata le tagliò la ciocca di capelli e corse dalla zia con il piccolo bottino. Jafaaf incantò la chioma nascondendola alla vista della sorella e di tutta la sua famiglia e poi prese Waha, unica complice, e la spinse dentro al suo amato mondo.
Waha quando comprese che la zia non voleva aiutarla, ma solo intrappolarla, iniziò a ribellarsi, ma Jafaaf iniziò a risucchiarle la vita. La piccola dea era combattiva, la guerra fu ardua e durò per tantissimi decenni, fino quando l'oasi più amata dello regno celestiale non cadde sconfitta. Waha si trasformò in Bariya e cadde quasi priva di vita dentro al suo amato mondo, coprendo una buona porzione di superficie con il proprio manto di sabbia, formando così il nostro amato e temuto deserto.
Ard quando non trovò più sua figlia si disperò e iniziò a cercarla ovunque; nella sua disperazione mosse cieli, stelle e galassie, smise di creare lasciando il compito di coltivare quei pianeti ai restanti tre figli. Jafaaf era libera di viaggiare per mondi e galassie, inaridendo tutto quello che toccava.
Ard, caduta in un lungo riposo fatto di pianti continui per la perdita di sua figlia, sentì qualcosa, una sottile voce: erano canti di un popolo abbandonato migliaia di anni prima, un popolo che stava raccontando e festeggiando le imprese di Ard e del suo amato Ma'an nel deserto durante una notte di luna. Solo allora Ard smise di piangere.
Si racconta che Bariya si svegli solo quando la luna compare nel cielo, ma è talmente debole da non far arrivare la propria voce alla madre per indicargli la strada di dove Jafaaf ci tiene nascosti, allora manda i canti, i racconti e la musica che quella notte si suonano sopra di lei, in questo deserto arido, ma ancora pieno d'amore. -

Il Rabba finì il racconto lanciando una manciata di un'altra sostanza dentro al fuoco che divenne dorato, alzandosi verso il cielo pieno di stelle. A quel punto arrivò un'ondata di applausi che venne sostituito velocemente da una musica allegra e voci che iniziavano a intonare canzoni in nome di Ard e del suo amato Ma'an.


- Merda. - Non era proprio un linguaggio femminile, se sua madre l'avesse sentita l'avrebbe rimproverata, o meglio: se l'avesse anche vista in quel momento, quella parola sarebbe stata l'ultimo dei propri problemi.
- Dovrei insegnarti qualche altra parola volgare, mi piace quando sei una ragazzaccia. - La sua voce era come miele dentro alle proprie orecchie; calda, dolce e le faceva percorrere la schiena da un brivido freddo e caldo insieme.
- Quasi-donna..- Lo corresse immediatamente – dovresti saperlo.- Rispose girandosi tra quelle pellicce che avevano rubato dalle rispettive tende soltanto per nascondersi dietro a quella piccola duna, vicino, forse fin troppo all'accampamento. Le mani del quasi-uomo scivolarono lungo la schiena della quasi-donna, disegnavano linee lungo ad esse, delicatamente, come se fosse la cosa più fragile che ci fosse, anche se non era vero.
La vita di un alfal alramal era una guerra continua con la natura e con il deserto, tra la vita e la morte. Ogni giorno vi erano persone che morivano, si doveva razionare l'acqua e si doveva star attenti a non lasciarsi trasportare dalla pazzia dovuta al caldo e all'orizzonte, anche se come sosteneva quella quasi-donna: “Solo i alfal alramal possono comprendere quanto la sabbia sia mutevole.”
- E.. se ti facessi diventare una donna?- La domanda che venne fuori dal quasi-uomo fu un sussurro, la voce tremava e un sorriso imbarazzato si disegnava su quel viso scolpito dal viaggio lungo e periglioso. Era bello, aveva i capelli color oro, la carnagione olivastra ma con qualche mese in una città e all'ombra sarebbe diventato decisamente più pallido, lei lo sapeva, l'aveva visto. Aveva occhi di un marrone scuro che ricordava i pochi alberi che aveva visto, con venature d'oro, ci si poteva perdere lì dentro e se n'era persa in tutti quelle lune in cui la sua famiglia viaggiava con loro. Il corpo era scattante, agile, i muscoli definiti e aveva quel vigore da giovane quasi-uomo.
Se gli avesse detto di sì sarebbe stato decisamente semplice. A suo padre piaceva Bishr, lo trattava come un figlio quando veniva nei posti anteriori della carovana solo per vederla. Sua madre non aveva detto niente quando si fermava a dormire nella sua tenda, perciò andava bene anche a lei. La sua famiglia era rispettabile, mercanti e con tanti soldi, il nome nobile sarebbe stata suo e forse tra meno di dieci anni avrebbero avuto una carovana tutta loro. Però, nonostante tutto...
- Forse è meglio che vada, i miei genitori mi staranno cercando – Parole dette con una certa veemenza, e scivolò via dalle braccia del quasi-uomo, togliendo le coperte, intanto che il freddo del deserto le scivolava addosso come un manto ambrato.
- Tahira..- La stava richiamando, cercando di allungare una mano per afferrarle il braccio.
- Domani mattina si parte e davvero mi staranno cercando. - Era facile schivare la presa di Bishr, era lento per lei.
- Almeno parliamone. - Si era alzato anche lui e le coperte erano scivolate via. Era possente, alto, era un uomo perfetto sotto ogni singola sfumatura, ogni quasi-donna al proprio posto avrebbe accettato anche perchè lei sapeva perfettamente che non avrebbe preso nessun'altra moglie, sarebbe stato leale e soltanto suo.
- Bishr, mi dispiace – Era sincero quel sentimento, almeno quello. Ormai con gli abiti già indossati e lo sguardo dispiaciuto le diede le spalle al quasi-uomo che con il cuore spezzato stava cercando di allungare la mano per afferrarla, per trattenerla, continuando a chiamarla.
Più lei si avvicinava alle tende, alla musica e al calore del falò più si rendeva conto che vi era solo una verità, che non amava Bishr e non voleva passare il resto della propria vita legata a lui.

  
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