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Autore: Cara93    28/12/2019    1 recensioni
E se i Big little lies fosse ambientato nel Reich americano di "The man in the high castle"?
AU
What if
Possibile OOC
{Partecipa al contest "Do you want to build a snowman? Indetto da Marika Ciarrotti sul forum di EFP}
Genere: Drammatico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Madeline attraversa con passo sicuro l’incrocio tra la Quinta e la Sesta. Sta andando ad un incontro con altre madri per organizzare l’imminente festa per la raccolta fondi per la Gioventù Hitleriana. Almeno, questa è la scusa ufficiale. I tacchi ticchettano sull’asfalto, si stringe nel cappotto leggero. Per strada c’è poca gente: la città ancora risente del tentato omicidio del Führer. Si liscia nervosamente i vestiti, come è solita fare da quando si sono trasferiti in città, dopo la promozione di Nathan. Nella piccola cittadina del New Jersey da cui provenivano era sempre stata lei l’Ape Regina, ma tra le alte schiere delle SS della capitale, non è così. Suo marito non è abbastanza importante e non perché non fosse abbastanza ariano o abbia manifestato idee controverse. No, Nathan è pigro. Se non fosse stato per lei, probabilmente, non avrebbe mai raggiunto quel livello. E Chloe avrebbe finito per frequentare la stessa scuola che aveva frequentato lei stessa da bambina, anche se un po’ diversa, ovviamente. E non poteva rischiare che Chloe finisse come Amanda. Una ragione in più che la spingeva a partecipare a quell’incontro estemporaneo. 
 
Celeste si ritira in camera sua, non prima di aver ordinato a Sue, la cameriera, di preparare del tè e dei dolcetti nel salottino. Non vuole che le altre donne la vedano in quello stato, non starebbe bene. E non è accettabile. Anche se è distrutta per la morte di Perry, non può, anzi, non deve darlo a vedere. Si siede alla toeletta, prende un lungo respiro ed inizia a truccarsi. Per prima cosa, copre le occhiaie e i lividi che ancora le costellano la pelle. Sono in via di guarigione, non è passato così tanto tempo dall’ultima volta che l’ha colpita. Solo dopo aver reso la pelle perfettamente uniforme può passare agli occhi e alle labbra. Nessuno può immaginare quanto tempo le serva per ricostruire la sua bellezza angelica e impalpabile. Quanto le costi quel processo di ricostruzione. 
 
Anche Jane, come Madeline, si sta recando a casa di Celeste. Lo sta facendo per Ed e per Ziggy. Ha paura ed è una paura che conosce molto bene. È vestita in modo piuttosto semplice e sotto certi aspetti si potrebbe definire sciatto, ma la cosa non la turba. Non le è mai importato niente delle chiacchiere e dei giudizi della gente. Se ne occupa solo se toccano Ziggy. Ziggy è il suo bambino e la sua unica ragione di vita e, ogni volta che soffre, una rabbia pura ed inscalfibile la assale. Vorrebbe prendere e sbattere la testa di quei piccoli nazisti che lo prendono in giro a scuola. O scrollare le spalle delle vecchie matrone che li fissano quando camminano per strada. O incidere con le unghie le facce dei giovani SS, riconoscibili dalle uniformi nere, che guardano il bambino con orrore e disgusto malcelati. Ziggy è un’aberrazione, ai loro occhi. Una creatura che non dovrebbe provenire dal suo grembo infetto, sicuramente. 
 
 
 
La festa era al suo culmine. Fiumi di champagne scorrevano senza sosta, vassoi di canapè, perfette tartine e deliziosi stuzzichini passavano di mano in mano. L’euforia era alle stelle: ancora pochi secondi e la Statua della Libertà sarebbe stata solo il ricordo di un oscuro passato. La nuova era aveva inizio, il tempo del superuomo era alle porte. Madeline conversava convulsivamente con chiunque le passasse a tiro, seppellendo con le parole qualsiasi obiezione del proprio interlocutore. Sentiva di non essere abbastanza. Sentiva che ogni suo tentativo, compreso quello di distinguersi ad ogni costo, per emergere e dimostrare alle altre donne dell’alta società di essere come loro, le stava sfuggendo di mano. A differenza delle altre ospiti, portava un vestito corto e i capelli sciolti. Era l’unica e ciò la faceva sentire leggermente a disagio, anche se si sarebbe amputata l’arto sinistro pur di non darlo a vedere. Probabilmente, l’unica altra ospite più a disagio di lei era Jane Chapman-Mackenzie. Il pensiero la divertì per un istante, per poi atterrirla. Ammirava il coraggio di Jane: se fosse stata nei suoi panni, quasi certamente sarebbe fuggita il più lontano possibile dal Grande Reich Nazista. 
-Signora Carlson, che piacere- come se l’avesse evocato, il placido sorriso del maggiore Ed Mackenzie, braccio destro del segretario di Stato americano, John Smith, la affiancò. Sorrise, cercando di stemperare la propria agitazione. Non avrebbe mai pensato che un pezzo grosso potesse interessarsi a lei. Specialmente non quel pezzo grosso. Le sue capacità erano così peculiari che neppure il suo matrimonio con Jane aveva scalfito la sua ascesa. 
-Maggiore Mackenzie! Il piacere è tutto mio. Ovviamente- 
Ed le sorrise, un sorriso vero, non come quelli di facciata che aveva avuto modo di subire per tutta la sera.
-Come sta trovando la festa? No, non me lo dica... dozzinale-
-Oh, no. Certo che no. Non direi mai una cosa del genere... non è così, anzi è molto.. particolare- parlò troppo rapidamente, accavallando le parole. 
-Non provi neppure a mentirmi, signora Carlson. Lo vedo e lo vede anche lei-
-Perché è qui, allora?- si azzardò a chiedergli alla fine, indispettita. Nessuno, nemmeno Nathan si era mai permesso di dire con quella sicumera cosa provasse o cosa no. 
-Perché temo che le altre feste in programma in città siano persino peggio-
E la lasciò da sola. 
“Come diavolo ha fatto a scalare la gerarchia, questo tipo?” Evitò del tutto di pensare a come Ed Mackenzie era riuscito a leggerle dentro, a capire quanto, sotto sotto disprezzasse tutto quello che era riuscita ad ottenere. 
 
-Non capisco. Proprio non capisco- erano dieci minuti buoni che Renata Klein continuava a ripeterle le stesse cose. Tra le madri che facevano parte dello stesso gruppo scolastico, Renata era quella più restia ad accettare Ziggy Chapman-Mackenzie e, soprattutto, sua madre. 
-Non posso credere che la mia Amabella sia costretta a dividere il proprio banco con quel... quel bambino- disse la parola “bambino” come se in realtà avesse voluto dire altro. E, probabilmente, l’avrebbe anche fatto, se non si fosse resa conto della vicinanza di altre persone importanti, tra cui il segretario di Stato in persona. 
-Sono sicura che è stato fatto solo per dimostrare quanto Amabella sia perfetta, Renata- le rispose Celeste, sovrappensiero. 
-Certo che è perfetta! Però, insomma...cosa ne pensa, Perry?-
-Oh, a lui non interessano queste cose...-
-Immagino. Avrà altro a cui pensare, un uomo nella sua posizione...-
-Esatto. È proprio quello che intendevo- annaspò per un momento, cercando di eludere lo sguardo di falco dell’altra. 
-Ha ricevuto un appalto direttamente dal Reichsmareschall Heim, non è così?-
-Sì... sì. E ne siamo molto orgogliosi, come puoi immaginare, cara-
Rimasero per un attimo in silenzio. 
-Sei sicura di stare bene, Celeste?- 
La domanda di Renata non era proprio campata per aria. Aveva imparato presto a conoscere Celeste, frequentando gli stessi ambienti per anni. Aveva sempre avuto l’impressione che sotto quella bellezza perfetta si nascondesse molto di più. Da quell’ameba di suo marito, che le faceva la grazia di dimostrarsi utile ogni tanto, aveva saputo che un tempo Celeste era stata un avvocato di successo. Questo la classificava come più istruita di tutte le persone presenti alla festa e della metà dei Marescialli con incarichi importanti. Nonostante non avesse una laurea, Renata sapeva di essere molto intelligente e tenace. L’aveva già dimostrato, facendo il lavoro che veniva attribuito al marito. Quindi poteva capire quanto essere una donna in quell’ambiente potesse essere difficile. Eppure, come sicuramente tutte le persone in quella stanza, non avrebbe cambiato la propria situazione per nulla al mondo. Non avrebbe sopportato di essere nelle mani di quei musi gialli. Soprattutto, non con una guerra imminente. 
 
Jane guardava con scialba disattenzione le persone, vuoti manichini dalla pallida consistenza di un fantasma, che la circondavano. Sembrava che qualcosa li manovrasse, facendoli muovere all’unisono, facendoli distogliere l’attenzione e girare lontano ogni volta che lei si muoveva. Odiava tutto del Reich, ne odiava la gente e la grigia patina industriale e conformista che si poteva notare ad ogni angolo. Odiava il modo in cui la facevano sentire. Sola. Sbagliata. E, più di tutti, odiava Ed. Lo odiava nella stessa misura in cui gli era grata e aveva imparato ad amarlo, in un certo senso. Era entrato nella cella che divideva con Ziggy, il bambino maledetto che nessuno, nemmeno gli scienziati del team di Mengele avevano avuto il coraggio di toccare e l’aveva trattata come un essere umano. L’aveva ascoltata e l’aveva confortata. Solo a Ed aveva permesso di sfiorarla brevemente, anche solo per un contatto fugace e distratto. Non era previsto che la sposasse e anche in questo caso, nel loro matrimonio, non era previsto che la toccasse. Tutte le persone attorno a lei amavano sparlarne, ma solo poche, contate sulle dita di una mano, davvero potevano vantarsi di sapere. Quella consapevolezza divertiva suo marito, lo rendeva potente e pericoloso agli occhi degli altri, ma era l’aspetto che più la portava a pentirsi di aver sottoscritto quel patto, a chiedersi se Ed fosse veramente il mostro che emergeva quando si rapportava con gli altri o l’uomo che, nascosto dalle mura domestiche, sorprendeva a giocare con Ziggy, che la aiutava a rimanere in vita senza niente in cambio. In definitiva, l’uomo che proteggeva lei e il suo bambino. Centellinava il vino a labbra strette, lo stesso vino che era stata costretta a cacciare, dato che nessun cameriere si era degnato di avvicinarla. Allora lo vide: lui, la causa di tutto. 
 
Perry Wright, di pessimo umore, si aggirava per la stanza regalando a chiunque avesse la sfortuna di incrociare il suo sguardo, il cipiglio più severo e aggressivo che potesse annoverare nel suo repertorio. Sapeva che avrebbe dovuto aspettare la fine della festa, come sapeva anche che non ce l’avrebbe fatta. Celeste doveva pagare per il tiro mancino che gli aveva giocato. L’aveva privato del giusto orgoglio che un buon padre nazista deve provare per i suoi rampolli, ritirandoli a sua insaputa dalla Gioventù Hitleriana con una scusa. Non che questo piccolo ostacolo abbia incrinato il prestigio di Perry, certo che no. Era ancora l’immagine della perfetta arianità, con i suoi capelli biondi e il corpo possente da vichingo. E nessuno si sarebbe mai sognato di mettere in dubbio la sua fedeltà alla causa e il suo impegno professionale. Però. Però tutti lo avrebbero guardato in modo diverso. Avrebbero pensato che i suoi figli avessero qualche problema, che godessero di chissà quale privilegio. E lo erano, privilegiati. Solo nessuno doveva saperlo, per ordine dello stesso Hitler prima e di Himmler dopo di lui. I suoi figli erano Lebensborn e perciò naturalmente superiori agli altri. Dovevano, però, poter dimostrare la loro superiorità sul campo ed era quello che Celeste doveva capire. E lui si sarebbe assicurato che lo facesse. 
 
-Obermareshall Mackenzie, che piacere- la voce di Nathan Carlson perforò i suoi timpani, già compromessi dalla musica ad alto volume. Carlson era esattamente il genere d’uomo che Ed non poteva vedere. In più, aveva anche una piccola questione personale nei suoi confronti. Dalle poche informazioni che era riuscito ad avere da Jane, aveva ristretto il campo e solo pochi ufficiali avrebbero potuto essere Lui. Aveva molte ragioni per sperare che Lui venisse allo scoperto e quasi tutte avrebbero servito il Reich. Altre, quelle che aveva cercato di reprimere da sempre, che lo facevano vergognare della propria debolezza, erano più difficili da celare: Jane. 
-Il piacere è tutto mio- rispose, avendo cura di non nominare né il grado né il cognome dell’altro. Nathan corrugò la fronte a quella mancanza di rispetto, ma più di così non avrebbe potuto fare: l’altro era troppo in alto nella gerarchia per potersi permettere risentimenti e ritorsioni a suo sfavore.
-Bella festa, no?- ritentò, cercando di contenere l’irritazione, ma senza successo. Ed sorrise. Anche se Carlson non si fosse rivelato Lui, era divertente vederlo in quello stato.
-A dire la verità, come ho detto a sua moglie, no. Non è una bella festa-
-Ha parlato con mia moglie?- ripeté Nathan, tentando di analizzare la frase. Non riusciva a capire se l’uomo lo stesse prendendo in giro oppure no. 
-Sì, davvero una conversazione piacevole. E che mi piacerebbe approfondire in altre circostanze-
Probabilmente era stato il tono, ma in quel momento a Nathan parve che l’altro gli stesse dicendo che aveva intenzione di sbattersi sua moglie. Non poteva permetterlo: Madeline era sua. La sua intelligenza era sua, il suo corpo era suo e di nessun altro. Senza pensare, strinse il pugno e lo colpì. 
 
L’urlo fece voltare tutti. Con una ferocia impensabile, Nathan Carlson non solo aveva dato un pugno in faccia ad Ed Mackenzie, ma lo stava letteralmente pestando. 
-Non metterai le mani su mia moglie, pezzo di merda! Adesso cosa credi di fare, eh, vigliacco? Eh?- continuava ad urlare, trattenuto da un paio di SS in uniforme. Madeline, rossa in viso, per la prima volta non sapeva che fare. A parte mettersi in mezzo. 
-Cosa diavolo sta succedendo? Cos’è questa storia?- 
Ed sorrise, la bocca sporca di sangue. La trovava adorabile, con le mani sui fianchi e lo sguardo severo. Quel sorriso parve gettare benzina sul fuoco, rendendo più difficoltoso ai soldati il compito di trattenere Nathan. 
-Questo... questo... ha detto... lui ha detto che ti avrebbe portata a letto!- riuscì infine a balbettare Nathan. Il mormorio della folla, che si era calmato dopo l’intervento delle SS, riprese, più forte di prima. Era un pettegolezzo succulento e un’accusa piuttosto pesante, ai danni di un ufficiale d’alto rango. Persino John Smith e la moglie, se ne interessarono.
-A dire la verità- lo corresse con molta calma Ed, detergendosi la faccia e mettendosi seduto -le ho solo detto che questa sera ho avuto modo di scambiare due parole con sua moglie e che mi sarebbe piaciuto rifarlo, anche fuori da questo contesto. Il che vorrebbe dire anche a casa vostra, durante una cena. O mia. O in altre migliaia riunioni mondane e amichevoli-
Il mormorio della folla cessò e riprese, qualcuno ridacchiò. John Smith guardò con disgusto e sgomento Nathan Carlson.
-Sei proprio un imbecille, Nathan!- sibilò Madeline, inviperita e piena di vegogna. In poco meno di dieci minuti, suo marito aveva messo in dubbio la sua reputazione di donna onorevole e, contemporaneamente, a repentaglio la sua stessa carriera. 
 
 
 
Madeline non riesce a credere ai suoi occhi. La casa di Celeste è molto più grande e lussuosa della sua e ha pure una cameriera. Non poteva certo lamentarsi del suo appartamento, dieci volte più costoso della sua vecchia casa, ma il paragone, ovviamente, non c’è. Perry Wright, nonostante fosse una bestia (anche e soprattutto per gli standard nazisti, direbbe qualcuno) aveva goduto di una posizione di rilievo, posizione che era stata assicurata alla sua vedova e ai suoi figli. 
-Come stai, Celeste?- è la prima cosa che chiede, non appena la donna varca la soglia. Madeline è affascinata e allo stesso tempo abbagliata dalla sua bellezza. Non riesce a descriverla, tanto appare perfetta. Il vestito nero la fascia alla perfezione, i capelli ramati sono trattenuti da un sottile nastro nero, che evidentemente le dava una sorta di conforto, dato che lo sfiorava in continuazione. Solo gli occhi arrossati e il grazioso nasino leggermente umido lasciavano intravedere che qualcosa di tanto grave da turbare quella perfezione era successo. 
-Bene, grazie. Nonostante tutto. Ma siediti pure, Madeline- le risponde. Parla a scatti, come se le parole fossero troppo astratte, troppo difficili da mettere insieme agevolmente e avesse bisogno di forzarle e obbligarle ad uscire. 
“Non riesco a credere che sia ridotta in questo stato per lui. Che gliel’abbia lasciato fare. D’altra parte, com’è che dice Amanda? Gli abbiamo lasciato fare troppo, a questi nazisti”, pensa con rabbia e non per la prima volta, da quella maledetta festa. “Almeno un aspetto positivo l’ha avuto. Ho ricominciato a parlare con Amanda come facevo prima. Come una madre preoccupata per la figlia, non come una bisbetica bigotta pronta alla caccia alle streghe.” 
 
 
 
Amanda Carlson aveva sperato di rimanere nascosta il più possibile. Era stata costretta ad andare a quella festa dai genitori, nonostante lei non solo non ne avesse voglia, ma era una dissidente riconosciuta. E se qualcuno ancora si poneva dei dubbi, questi sarebbero presto svaniti di fronte al suo occhio nero, che sfoggiava con spavalderia. Anche se, ad essere sincera, erano poche le persone che la guardavano direttamente senza fingere che tutto andasse bene e che non era stato il suo stesso padre, fervente nazista, a “darle una lezione”. Era figlia di un nazista in ascesa, non poteva pensare liberamente. Non poteva permettersi di scappare nella Terra di Nessuno per coronare il suo sogno d’amore. Certo, magari Bonnie l’aveva traviata e presa in giro, ma era lei e solo lei ad avere il diritto di decidere come comportarsi. E l’avrebbe esercitato, anche con poco. Non voleva essere lì, perciò se ne sarebbe andata. Si allontanò, approfittando della confusione creata dalla rissa, per rifugiarsi nella prima stanza che trovò aperta. Doveva decidere cosa fare e in fretta. 
 
Anche Perry Wright aveva approfittato della confusione. Si era avvicinato a Celeste e l’aveva trascinata via. Era giunto il momento di darle una lezione, come poteva permettersi di contrariarlo, lui, l’immagine del perfetto ariano? 
 
Jane, turbata, si era avviata barcollando verso il primo bagno disponibile. Aveva bisogno di respirare e di calmarsi. L’aveva visto. Era lì. Lui, il padre di Ziggy. Il marito di Celeste. 
Come tutte le persone che non avevano un documento che ne attestasse la purezza della razza e ci fosse un sospetto di “giudaicità”, era stata costretta a vivere nei ghetti. Era stata una vita dura, per lo più fatta di espedienti e di rinunce. Lavorava come cameriera in uno dei club nascosti che fiorivano in tutto il Reich, locali dove chiunque potesse appagare i più turpi desideri. Era strabiliante constatare che tanti bravi nazisti, per la maggior parte militanti, adorassero appartarsi proprio con chi tanto disprezzavano. Jane li disprezzava anche per questo. Lui sembrava diverso. Nonostante fosse un cliente abituale, sembrava l’unico coerente con ciò che predicava. Più o meno. Aveva abbassato la guardia. L’aveva lasciato avvicinare, certa che il suo disgusto l’avrebbe protetta, ma non era stato così. E arrivò Ziggy. Era stata costretta a nascondere prima la gravidanza, poi il bambino. Le SS non erano amorevoli con i non ariani, non avrebbero mai avuto pietà di una ragazza madre, anzi, ciò l’avrebbe resa ai loro occhi la prova vivente della bontà dei loro pregiudizi. Non era ariana, perciò era automaticamente una puttana. Perché si sa, loro hanno meno pudori. Loro non pensano alle conseguenze, vogliono tutto e subito. E se c’è da inguaiare un bravo ariano, ecco, loro non esitano a farlo. Era la solita storia. Nel suo caso, però, era destinata a peggiorare: il bambino che aveva messo al mondo era perfetto per gli standard ariani. E questo, era ed è inaccettabile. Non aveva alcuna importanza che il padre fosse un nazista e quindi con un’alta dose di arianità garantita. Lei, imperfetta, non avrebbe mai potuto generare la perfezione. 
 
 
 
Sono arrivate tutte, compresa Amanda, ancora fasciata dalla divisa della Scuola di Rieducazione. Sono lì, tutte e cinque, per decidere come comportarsi. Perchè qualcuno sapeva. 
 
 
 
Renata Klein, disgustata dalla piega che aveva preso una serata così importante, stava cercando per tutto l’appartamento, enorme, Perry Wright. Doveva parlare con lui d’affari, al posto dell’Inutile, come chiamava suo marito, spesso anche in pubblico. Era una donna stressata e pienamente integrata, eppure, se avesse avuto la possibilità concreta di cambiare le cose, avrebbe dato maggior potere alle donne, soprattutto se capaci come lei. Alla fine, però, lo trovò. Da dietro una porta sentì un gemito soffocato e un trapestio concitato, che attirò la sua attenzione: la aprì e la scena che si trovò davanti l’agghiacciò. Perry Wright stava strattonando brutalmente Celeste, ringhiandole a pochi millimetri dalla faccia. Jane, accasciata sul pavimento, stordita, si teneva una mano sulla testa, a tamponare una ferita. Madeline, incattivita, che sbraitava contro Perry, insultandolo e cercando di staccarlo da Celeste. Con uno strepito indignato, anche Renata si unì alla difesa di Celeste. 
 
 
 
-Cosa facciamo?- esordisce Renata, pratica. Si trova seduta sul divano di Celeste, sulla punta del sedile, pronta ad alzarsi alla prima occasione. Vicino a lei, Jane, forse per un piacere perverso, la sfiora in modo apparentemente casuale. 
-Niente- le risponde Celeste.
-Niente?- le chiede piccata -qualcuno sa che abbiamo ucciso Perry e non vogliamo fare niente?- 
Celeste sussulta visibilmente, tormentando un nastro che tiene legato al polso, speculare a quello nero che ha tra i capelli. 
-Ma non sappiamo cosa vuole. Dobbiamo aspettare che si faccia vivo e dica qualcosa- si intromette Jane, solo per dare fastidio a Renata, che storce la bocca dandole manforte suo malgrado. 
-Aspettate, aspettate. Solo noi cinque sappiamo cos’è successo quando Perry è morto. Ci basta solo... stare zitte- propone Madeline. Tutte ammutoliscono, pensando a cosa fare. 
-Potremmo confessare- dice in un soffio Amanda.
-E cosa pensate che ci farebbero, se confessassimo?- chiede retoricamente Madeline. 
 
 
Dalla poltrona dietro cui si era nascosta, Amanda riuscì a sentire la porta aprirsi e delle voci dure scontrarsi. Cercò di estraniarsi, leggendo il libro che aveva sfilato dalla libreria poco prima di nascondersi. L’impatto della carne contro carne la gelò, immobilizzandola. Non sapeva se intervenire o meno. Si abbracciò, cingendosi le ginocchia, appoggiandoci la fronte. L’occhio nero pulsava ancora, così come altre ferite provocate dalle punizioni riservate ai traditori. Non voleva farsi coinvolgere. 
 
Madeline si aggrappò alle spalle di Perry, facendogli mollare la presa dalle braccia di Celeste, che cadde a terra, e finendo contro la parete alle sue spalle, quando lui se la scrollò di dosso. Renata lo attaccò ad unghie spianate, mordendolo e graffiandolo con ferocia. Perry gridò, e frustrato, colpì Renata al fianco, togliendole il respiro. Jane e Celeste, dalla loro posizione, si lanciarono contro le sue gambe, facendolo barcollare. Solo vedendo sua madre ferita, Amanda decise di intervenire. Con uno sprazzo di folle lucidità, si rese conto che Perry era vicino, troppo vicino alla grande vetrata che incorniciava la stanza. Lo spinse. 
Perry Wright cadde nel vuoto nel momento esatto in cui anche la Statua della Libertà, perso il suo piedistallo, cadde nella baia, sprofondando lentamente. 
 
-Perry Wright è morto. Assassinato- comunicò Ed, laconico, al suo capo. John Smith si incupì: l’omicidio di un importante esponente delle SS durante i festeggiamenti per il giorno più importante per il Reich americano non era un buon biglietto da visita, davanti ad Himmler.
-Possiamo farlo passare per un incidente?-
Ed ci pensò su per un momento, prima di rispondere. 
-Forse- 
 
Le cinque donne osservarono sconvolte il corpo che giaceva scomposto sul marciapiede. La prima a riprendersi, Renata, cominciò a sistemarsi il vestito e i capelli. Vedendola, Jane, consapevole che i militari avrebbero presto capito da dove Perry era caduto, esortò le altre a sistemarsi e a nascondere alla meglio le ferite.
-No, Perry, no!- mugolò Celeste, tra le lacrime. Madeline l’abbracciò forte, portandola lontano dalla vetrata. 
-Tesoro, so che è difficile, ma devi rimanere calma e concentrata. Dobbiamo tutte uscire di qui e fingere di non saperne niente. È facile. Noi non sappiamo niente-
-E come credi di fare, ci sono centinaia di invitati alla festa!- esclamò Renata, la voce tremante per lo choc. 
-Appunto- le disse Jane -la confusione della festa ci proteggerà. Chissà quanta gente è entrata qui dentro, riusciremmo persino a confondere le tracce- 
-Oh, certo e tu lo sai bene perché sei una sporca criminale!-
-Ragazze, non è il momento. Basta. Renata, porta via Celeste e cerca di tenerla lontana dalla gente. Jane, tu e io accompagneremo Amanda al bagno, che sembra sul punto di vomitare, e poi cercheremo di mettere un po’ in ordine qua dentro. Finché non viene scoperto il corpo, cerchiamo di non entrare in questa stanza più del dovuto- 
Chissà come, Madeline Carlson, l’anonima moglie venuta dai sobborghi, aveva preso il comando.
 
 
 
-Quindi non faremo niente- conclude Renata, esasperata. È la donna di punta del regime, o meglio, il perfetto esempio di come dovesse essere una donna del regime, eppure, non può fare nulla. Non riesce a sopportarlo. 
-No, c’è qualcosa che possiamo fare, invece- le risponde la voce esitante di Amanda. -Coprirci le spalle, sempre-
Tutte e cinque tacciono; Celeste, Madeline, Jane e Renata annuiscono lentamente, a turno, consapevoli di aver stretto un patto per la vita.


Note dell'autrice: la storia partecipa ad un contest particolare in cui bisognava costruire una storia/palla di neve. La prima palla è appunto l'ambientazione, che è quella di "The man inin the high castle" (e dato che essa è la parte portante della storia ho deciso di inserirla in questa sezione); la seconda palla è lala situazione: ho scelto una festa nell'Upper East Side e una figura misteriosa che conosce i segreti di tutti (Gossip girl), una palla bonus, un nastro ( come Violet Baudelaire in Una serie di sfortunati eventi) e, infine, la palla più importante: i personaggi. Come detto nell'intero, sono i personaggi di Big little lies, con qualche aggiustati a per amalgamarsi all'ambientazioneall'ambientazione (da l'avvertenza OOC). 
Spero sia godibile, nonostante la carne al fuoco sia tanta (forse troppa) e non tuttotutto viene spiegato nel dettaglio. 
   
 
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