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Autore: MissAdler    28/12/2019    7 recensioni
STORIA INCOMPIUTA. PERDONATEMI.
Frozen! AU
Sorrideva molto poco, per essere un bambino, e le poche volte in cui lo faceva erano quando trascorreva del tempo con suo fratello minore: un furetto di appena cinque anni, coi riccioli color nocciola e due occhioni curiosi che mostravano sfacciatamente le mille sfumature d’azzurro dell’aurora boreale.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Mr Holmes, Mrs. Holmes, Mycroft Holmes, Redbeard, Sherlock Holmes
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Incompiuta
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A Francesca, che mi ha fatto un bellissimo regalo di Natale. Grazie ♡

 

 

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Arendelle era un reame del nord, pacifico e florido, un diamante incastonato tra i fiordi e le montagne innevate, circondato dalle acque gelide e limpide di quel mare sempre calmo.
Le casette dai tetti turchesi se ne stavano arroccate sul fianco di un colle verde e rigoglioso, costeggiavano la strada maestra che conduceva ai cortili del palazzo reale, le cui fondamenta giungevano fin nelle profondità dell’acqua, creando un gioco di riflessi che avrebbe fatto credere ad un forestiero ignaro che esistessero ben due castelli identici, uno dei quali, capovolto e sommerso.
Le mura lisce e robuste si snodavano dal mastio angolare ed erano scandite da alte torri rotonde, sovrastate da tetti conici, azzurri come l’acqua sotto di essi.
Custodita all’interno della cinta muraria, una struttura armonica ed elegante si slanciava verso il cielo, con i suoi tetti spioventi e le torrette appuntite.
Il clima rigido, concedeva agli abitanti di quel piccolo regno delle estati fresche e fiori dai colori accesi, mentre gli inverni erano innevati e splendenti, con cieli notturni trapuntati di stelle, tanto luminose da far desiderare di allungare un dito per toccarle.
Arendelle dava l’impressione di essere un regno fuori dal tempo, sospeso tra fiaba e realtà, quasi come se, in un'epoca lontana, fosse stato abitato da fate e altre creature magiche, finché l’uomo non aveva calpestato quel suolo vergine e immacolato, facendo fuggire gli spiritelli silvani e le ninfe che abitavano le gelide acque sul cui specchio si riflettevano boschi e cime innevate.
Per secoli, il reame aveva vissuto in pace, governato da re e regine saggi e coraggiosi, appartenenti ad una dinastia nobile e antica, caratterizzata da un intelletto fuori dal comune, che il popolo ammirava senza riserve.
 

 
Mycroft Holmes era un ragazzino bruttarello e paffuto, con grandi occhi attenti e profondi, talmente chiari e limpidi da sembrare di ghiaccio.
All’età di dodici anni, il principe ereditario era già il più intelligente e imparziale dei suoi predecessori. Nonostante l’aspetto decisamente poco regale, tutti, inclusi i suoi genitori, erano convinti del suo valore come sovrano e non dubitavano che un giorno avrebbe governato Arendelle con impegno e discernimento.
Sorrideva molto poco, per essere un bambino, e le poche volte in cui lo faceva erano quando trascorreva del tempo con suo fratello minore: un furetto di appena cinque anni, coi riccioli color nocciola e due occhioni curiosi che mostravano sfacciatamente le mille sfumature d’azzurro dell’aurora boreale.
Si divertiva a sgattaiolare in camera di Mycroft in piena notte, indossando solamente una leggera tunica di cotone e portandosi dietro Barbarossa, un cucciolo di setter dal pelo fulvo che il fratello gli aveva regalato per il suo ultimo compleanno e che non abbandonava nemmeno per un secondo, lasciando che gli trotterellasse dietro ovunque andasse.
Sherlock era l’unica persona con cui Mycroft sembrava divertirsi sul serio, come se, nonostante la differenza d’età, lo ritenesse alla sua altezza, capace di comprendere concetti che la maggior parte delle persone sembrava non cogliere. Da parte sua, Sherlock trattava il principe ereditario come sarebbe stato giusto trattare un qualunque fratello maggiore, ignorando il fatto che spesso apparisse come un adulto altezzoso e disilluso, prigioniero nel corpo di un ragazzino anonimo, goffo e sproporzionato.
Si dilettavano a studiare insieme, a fare esperimenti insoliti e ad indovinare la vita delle persone osservando dettagli apparentemente insignificanti, come la piega dei pantaloni, pelucchi sulla giubba, la cura delle unghie. Lo facevano con i servitori e con i nobili boriosi ed insipidi che frequentavano i balli e le feste a palazzo, per sfuggire la noia della vita di corte.
Ovviamente l’erede al trono era il migliore in quel gioco di deduzioni, ma c’era da tenere in considerazione che il piccolo Sherlock era molto più piccolo e che, una volta cresciuto, la sua spigliatezza gli avrebbe facilmente consentito di superare la mente logica e calcolatrice del fratello.
 

 
Era una fredda notte di dicembre, quando un'onda di colori sgargianti squarciò l’oscurità, illuminando il cielo a giorno, destando Sherlock nel suo letto a baldacchino e costringendolo a sedersi sul materasso.
Si stropicciò pigramente un occhio, sbadigliando sonoramente e ritrovandosi Barbarossa sulle gambe, a leccargli il naso scodinzolando allegramente.
Calciò via la pesante trapunta colorata e balzò sul pavimento in fretta e furia, raggiungendo la porta e sollevandosi sulle punte dei piedi per abbassare la maniglia d’ottone, con il cucciolo che gli girava attorno incuriosito ed eccitato.
Attraversarono i corridoi freddi e tetri dell’Ala Est, Sherlock tremava e si stringeva nella camicia da notte troppo leggera, orientandosi senza la minima difficoltà, facendo scricchiolare le dure assi di legno sotto il tocco leggero dei piedini scalzi.
Superò i ritratti di famiglia, posti in sequenza cronologica sulla carta da parati damascata, in forte contrasto con il parallelo muro di pietra, intervallato da ampie finestre in ferro battuto, incorniciate da pesanti tende di broccato lasciate aperte a far filtrare la luce incantata di quell’aurora inopportuna.
Quando giunse dinnanzi alla porta bianca di suo fratello, non perse tempo a bussare. Aprì senza far rumore e saltellò fino al grande letto di fronte alla finestra, arrampicandosi senza sforzo e scuotendo il corpo massiccio e pesante che vi giaceva, aiutato dalle zampette entusiaste di Barbarossa.
“Mycroft… Mycroft!” gli bisbigliò all’orecchio.
“Sherlock, è notte, torna a dormire” mugugnò suo fratello in risposta, con voce impastata di sonno.
“Ma me l’avevi promesso” si lagnò il più piccolo, lasciandosi cadere di peso su di lui, “guarda, si è svegliato il cielo!”
Il principe tentò debolmente di divincolarsi, sbuffando e sbadigliando, capitolando una volta per tutte quando Barbarossa prese a leccargli il naso prominente.
“Va bene, va bene, basta che mi togli di dosso questo sacco di pulci.”
 
Si infilarono due pesanti cappotti di lana e stivali imbottiti, poi sgattaiolarono all’esterno, seguiti a ruota dal cucciolo fulvo, posizionandosi in silenzio sulla sponda del fiordo.
“Pirati?” domandò Mycroft sfoggiando un furbo sorriso fugace.
“Piratiiii!!!”
Sherlock iniziò a saltellare, completamente fuori di sé per la gioia, imitato ovviamente da Barbarossa che aveva iniziato ad abbaiare a più non posso.
“Fa' la magia, fa' la magia!” lo incoraggiò, senza smettere di esultare.
Fu allora, sotto quel cielo incantato, che il principe Mycroft gesticolò con eleganza, facendo apparire dal nulla dei fiocchi di neve scintillanti che rotearono intorno alle sue mani candide.
Sherlock smise di agitarsi e tacque, spalancando gli occhioni acquamarina e tenendoli fissi sul fratello, vedendolo alzare un dito verso l’onda di luci turchesi che illuminavano quella notte di dicembre, finché una nuvola sottile non si formò sulle loro teste, spolverandole di neve.
Le labbra del piccolo principe tremarono impercettibilmente, quando il maggiore stese un braccio in avanti, ad indicare una piccola porzione d’acqua, che immediatamente si agitò, lasciando emergere per incanto un galeone a misura di bambino completamente fatto di ghiaccio, che rimbalzò sullo specchio dell’acqua, producendo un sonoro “splash" e oscillando da una parte all’altra, fino a stabilizzarsi poco a poco.
Era perfetto, Sherlock lo guardava a bocca aperta, osservando estasiato la polena trasparente e levigata che sfoggiava le fattezze di una bellissima sirena, coi capelli d'acqua che galleggiavano nell’aria ignorando bellamente ogni legge fisica. Lasciò vagare lo sguardo meravigliato sull’albero maestro, circondato da un fumo bianco e denso, che il minore degli Holmes identificò come ghiaccio secco, un composto di cui aveva letto in biblioteca, sfogliando uno dei suoi libri di chimica. Infine notò il timone, simile ad un fiocco di neve che una volta aveva guardato al microscopio, in uno dei tanti esperimenti che faceva insieme a Mycroft.
E fu proprio suo fratello a parlare per primo, materializzando con un gesto lento una scaletta di ghiaccio davanti ai piedi di Sherlock, mentre la neve continuava a cadere leggera su di loro.
“Ti piace?”
“È grandioso! Ancora più bello dell’ultima volta! Grazie fratellone!”
Salì in fretta i gradini scivolosi, scavalcando il freddo parapetto e posizionandosi al timone, osservando con fierezza il fiordo dinnanzi a lui, che rifletteva, intensificandoli, i colori del cielo e le luci delle stelle.
Mycroft lo raggiunse senza dire altro, si sorrisero in quel modo furbo che li caratterizzava entrambi e presero il largo sospinti da una brezza tagliente che si era sollevata quasi per magia.
E forse era magia per davvero. Quella di Mycroft Holmes, che fin dalla più tenera età aveva mostrato di possedere, oltre alla sua inconsueta genialità, dei poteri incredibili, che avevano a che fare con il freddo, la neve ed il ghiaccio.
In effetti era come se dentro di lui custodisse l’inverno stesso, come se avesse l’abilità di controllarlo e potesse giocarci a suo piacimento, lasciando che il gelo trasparisse dai suoi occhi profondi e chiarissimi.
Solamente il re e la regina ne erano a conoscenza. E Sherlock, ovviamente, che trovava tutto molto divertente, come ci si sarebbe aspettato da un normale bimbo della sua età. Nonostante la sua intelligenza avrebbe dovuto instillare in quella sua testolina riccioluta, mille dubbi e domande su quella dote insolita e straordinaria, che suo fratello utilizzava di rado, il più delle volte per farlo divertire, Sherlock la considerava una parte imprescindibile di lui e non si era mai fatto troppi problemi.
Anche stavolta Mycroft era riuscito a farlo felice e sbirciava di sottecchi il largo sorriso incredulo del piccolo pirata Sherlock Holmes, che stringeva il timone con una mano e il corpicino esile di Barbarossa nell’altra, accostandoselo al petto per scaldarlo.
 
Quello che successe dopo, negli anni a venire sarebbe diventato un insieme di immagini confuse e sfocate nella memoria di Sherlock ed un incubo ricorrente nelle gelide notti solitarie di Mycroft, perché in quei poteri c’era bellezza e particolarità, ma anche un terribile pericolo.
Bastò un istante di distrazione, uno sguardo di troppo a quell’aurora boreale tanto attesa, e il cucciolo di setter si divincolò dalle braccia del suo piccolo umano, che, nell’infantile tentativo di riacciuffarlo, spinse il timone con forza, virando senza volerlo, facendo inclinare il piccolo galeone e perdendo l’equilibrio, scivolando sul pavimento di ghiaccio fino a schiantarsi sul parapetto, non riuscendo a tenersi e capovolgendosi fino a cadere in acqua.
Era talmente gelida da trafiggerlo come mille lame, da congelare i suoi pensieri e perfino la sua paura.
E infatti non pensò più a nulla, né a nuotare, né a trattenere il respiro. Andò a fondo, senza sapere che suo fratello si era tuffato subito dopo, perdendo il controllo della sua magia e facendo dissolvere il galeone di ghiaccio senza pensare al povero Barbarossa e facendosi agguantare da un panico e una confusione mentale che non aveva mai conosciuto prima d’allora.
Sherlock non si rese conto delle braccia di Mycroft che lo afferravano, che lo riportavano in superficie e poi a riva.
Non si rese conto di niente, non di essere di nuovo a casa, non del pianto sommesso di suo fratello o delle grida disperate dei suoi genitori, non della neve che aveva iniziato a cadere fitta nel salone dove tutti versavano lacrime sul suo corpicino violaceo e inerme, che presentava tutti i sintomi dell’ipotermia.
Ma Mycroft, nonostante non riuscisse a far cessare quell’insensata nevicata emotiva, era fin troppo lucido per non rendersi conto del suo errore, della leggerezza che poteva costare la vita a suo fratello e che aveva condannato Barbarossa a giacere in eterno sul fondo delle acque fredde e salate di quel fiordo.
“Cosa hai fatto, Mycroft?” aveva urlato la regina, tirandosi i capelli biondi e ansimando fuori controllo, “ti avevamo detto di non usarli, maledizione!”
Il re si rifiutò ostinatamente di guardarlo e non disse una parola, piangendo in silenzio e stringendosi il figlioletto al petto.
 
Ci vollero ore, prima che la neve smise di ricoprire il pavimento di marmo, ore, prima che si sciogliesse del tutto. E ci vollero due mesi, prima che Sherlock si riprendesse almeno un po’, convalescenza al termine della quale non ricordava nemmeno cosa fosse successo, né i poteri di suo fratello, né il povero Barbarossa.
Il medico di corte disse che un’amnesia tanto grave poteva dipendere dallo shock, un’autodifesa messa in atto dalla mente particolare di quel bambino prodigio, che giaceva ancora debole nel letto a baldacchino, sentendo la mancanza di qualcosa di importante, senza sapere cosa fosse, così come quella tristezza che gli gelava le ossa e non lo abbandonava mai.
Chiedeva di suo fratello continuamente, ma non sapeva che i sovrani erano decisi ad impedire che un episodio simile si ripetesse, tenendo il principe ereditario confinato nelle sue stanze, finché non avesse imparato a domare i suoi poteri e a tenerli celati al mondo.
 

 
Passarono giorni silenziosi e tristi, passarono le settimane, i mesi, e Sherlock si riprese del tutto, tornò ai suoi passatempi, ai libri e agli esperimenti, sentendosi sempre privo di qualcosa, a disagio, solo e smarrito.
Sgattaiolava di notte in camera di suo fratello e la trovava chiusa a chiave, bussava in pieno giorno e gli veniva intimato di togliersi dai piedi, senza troppi complimenti.
Era certo d’aver fatto qualcosa di molto brutto, per cui probabilmente si era meritato quel trattamento da parte di suo fratello, ma non riusciva a ricordare cosa fosse, come se ci fosse una chiazza nera nei suoi ricordi, che non gli lasciava vedere il motivo di quel distacco e di quella freddezza.
Nessuno sembrava volerlo aiutare a chiarirsi le idee, i suoi genitori erano spesso in viaggio e gli unici compagni su cui poteva contare erano i grossi tomi di scienze che sfogliava attentamente nella biblioteca del palazzo, dove trascorreva la maggior parte del suo tempo. Non aveva nessuno con cui parlare e confrontarsi, perciò lo faceva con se stesso, o sussurrando ai dipinti e ai busti di marmo che incrociava nei corridoi.
Di tanto in tanto continuava a bussare a quella porta bianca, trovandola sempre chiusa, ricevendo in risposta solo poche parole di diniego, tornando in camera sua con lo sguardo basso e un senso di vuoto che non riusciva a colmare in alcun modo.

 

 

CONTINUA...

 


 

ANGOLINO DELL'AUTRICE 

Buonasera ed eccomi qui con un piccolo esperimento natalizio. Non so, è la prima AU che scrivo ed ero indecisa se dividerla in capitoli o meno. Alla fine ho deciso di farlo, perché se aspettavo di finirla per pubblicare una OS, probabilmente ci avrei rinunciato e così ecco qui la prima parte.

Saranno al massimo tre o quattro capitoli e cercherò di aggiornare il più velocemente possibile, per finirla entro le feste e tornare a dedicarmi alla long.

Spero che un po' vi abbia incuriosito e non disperate per il povero Barbarossa, non sono un'autrice sadica, sappiatelo! ;)

Se vi va di lasciarmi due righe mi fate felice.

Buone feste!

   
 
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