Libri > Good Omens
Ricorda la storia  |      
Autore: _Edelweiss_    29/12/2019    9 recensioni
E c’è questo atomo, questo embrione, questo piccolo granello di polvere che non trova il suo posto nell’universo, né la sua strada verso tutti gli altri. C’è questo piccolo puntolino che non è mai dove dovrebbe essere, non è mai a posto, ed è rosso come un mattone ma non sarà mai buono per costruire un muro.
Storia del (complicato) rapporto fra Crowley e suo Padre. Sì, esatto. Proprio Lui.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Dio
Note: Lime, Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

HOUSE OF FATHER



 

“This house

She's quite the talker

She creeks and moans

She keeps me up

And the photographs

know I'm a liar

They just laugh as I burn her down.

[...] 

This house

She's quite the keeper

Quite the keeper 

of you.

[...]

And I will go if you ask me to

I will stay if you dare

And if I go I'm goin on fire

Let my anger take me there”

“If I go, I’m goin'”, Gregory Alan Isakov



 

Prima.

Qualcuno dirà che in principio era il nulla.

Non è proprio vero. 

C’è qualcosa, anche se nessuno può vederlo.

C’è Qualcuno.

Prima.

Il tempo non esiste, e non c’è un prima.

C’è questo vuoto, grande, infinito, ed Egli pensa ne farò la mia casa.

C’è questo cielo, enorme, senza stelle, ed Egli pensa lo riempirò di vita.

C’è questa polvere, volante, inerte, ed Egli pensa ne farò i miei figli.

Ancora prima.

È dalla polvere che tutto ha inizio.

Due granelli fluttuano l’uno accanto all’altro, così vicini da sembrare uno, così invisibili da domandarsi se ci sono davvero. 

Ma Lui è Dio, e davvero, può giurare che ci sono. 

Li ha fatti Lui. 

Ha un Grande Piano.

 

Com'era prima, Padre?

Fai troppe domande, figliolo.

L'Onnipotente sorride e gli accarezza lievemente il capo, perché Egli è buono e ama tutti i suoi figli. 

L’angelo dai capelli rossi non capisce. 

Ad essere sinceri, non capisce quasi mai.

Ci sono troppe cose che gli sfuggono, troppe cose che non può chiedere. 

Solo il Signore possiede la conoscenza, e agli altri non è concessa. 

Ma il Signore è buono, buono sopra ogni cosa. 

Non mi terresti mai all’oscuro, vero?

Lo pensa, ma non lo dice. 

Perchè i Suoi figli non possono fare altro che fidarsi ciecamente.

Perdonami, Padre.

 

Il Signore ha un compito per lui. 

Crea le stelle, gli dice, e le nebulose, e le comete, e il firmamento. 

Crea tutte le luci dell'universo. 

Per chi sono, Padre?

Cosa dovranno illuminare? 

Ancora una volta, il Signore non risponde.

 

Avere in mano materia inerte, e un attimo dopo vederla plasmata davanti ai suoi occhi. Sentir scorrere il potere sottopelle fin dentro le ossa. 

Percepire la luce divina in ogni poro della sua pelle.

Ecco tre cose che gli piacciono, mentre gioca a fare Dio.

È così che mi hai creato, Signore? 

Sono stato materia inerte sotto le tue dita anch’io? 

Gli angeli del Paradiso sono tanti, quasi quante le stelle del cielo. Un esercito sterminato di soldati, braccia e gambe del loro Padre. Ma non c’è nessuno con i capelli rossi e gli occhi verdi come i suoi.

Perchè io sono diverso?

Magari ce n’è un altro, che è diverso. 

Magari lì fuori, nella vastità del vuoto universo, c’è un altro angelo che fa domande, proprio come lui. 

Magari diventerebbero amici.

Ma probabilmente se lo immagina, perché in Paradiso è solo e non ha nessuno con cui parlare. 

Li infastidisce, dicono. Troppe domande.

Perché mi hai fatto così? 

Vorrebbe usare quella materia inerte per crearsi un amico. Un gemello, un compagno fatto di polvere di stelle. 

Lui non lo permetterebbe. 

Comunque ci pensa. Tutto il santo giorno, mentre disegna la trama dell’universo.

Ha in mente un paio di occhi azzurri, e capelli biondi, quando crea due stelle nebulose, così vicine da sembrare un solo astro. 

È così che vorrebbe che fossero.

E io, perchè ho creato questa coppia di stelle?

Perché due? Perché non una sola? 

Perché separarle quando sono così vicine da splendere l'una della luce dell'altra? 

L'ho fatto per sbaglio? L'ho fatto a posta? 

Ho una stella gemella anch’io, Padre?

C’è n’è un altro come me?

 

Fai troppe domande, angelo dai capelli rossi. 

Fai troppe domande. 

 

Accende un’altra stella, per quelli che brancolano nel buio. 

Non vuole essere uno di loro. 

Non so niente. 

Vorrei sapere tutto. 

 

E ogni giorno il Signore è più infastidito da tutte le sue questioni, le speculazioni, e le richieste di spiegazioni. Anche altri angeli stanno cominciando a fare domande. E Lui non è più così clemente con tutti i suoi figli. Non lo ascolta da un bel po’. 

Mi hai mai veramente ascoltato, Padre?

 

Il Paradiso non sembra più una casa. Ma è l’unica casa che conosce. 

L’unica che c’è al mondo. 

Forse. 

Non le ha create in maniera premeditata, ma si ritrova a rintanarsi sempre più spesso sulle due stelle gemelle. Gli piacciono più di tutte le altre. Si sente quasi a casa. 

Vorrei portarci qualcuno.

Non le ha create per Dio.

Le ha create per qualcun altro.

 

Un giorno si domanda che succederebbe se Lo pregassi? 

Ti prego, Signore, crea per me un compagno, così come l’ho immaginato nella mia testa.

Ti prego, non lasciarmi solo.

Ma il Signore non ascolta le preghiere di nessuno.

 

La Via Lattea è quasi completata quando un altro angelo gli rivolge la parola. 

L’ha già visto da qualche parte, sempre seduto alla destra del Padre, o qualcosa del genere. 

Ehi, Rosso.

Non mi chiamo Rosso.

E come ti chiami?

Glielo dice.

E tu? Tu chi sei?

Lucifero.

Lucifero?

Stella del Mattino.

Stella.

Non sei una stella. Sei un angelo. Lo saprei, se fossi una stella.

Lucifero socchiude gli occhi. 

Sei uno sveglio, eh? Più degli altri.

È la prima volta che qualcuno apprezza il suo acume. Di solito lo guardano in tralice e lo tengono a distanza.

Posso farti una domanda?

Ma certo che può. 

Non c’è niente di sbagliato nel fare domande.

Sei felice qui?

Lo sorprende. 

Si rende conto improvvisamente che il vero problema delle domande è dover dare risposte. 

Sembra niente.

Ma è complicato.

Si stringe nelle spalle.

Siamo in Paradiso.

Ma lo sei?

Esita. 

Sono un angelo. 

Non posso essere infelice.

Lucifero scoppia a ridere. È una risata cattiva, stridula, che gli deforma i tratti del volto. Per un attimo, non sembra più lui.

Oh, puoi. 

Ti assicuro che puoi.

 

Lucifero non ha tutti i torti. Questa storia del Paradiso non funziona. Insomma, Dio non è certo il Padre del secolo. Ordina, ingiunge, minaccia velatamente, e mai neanche  una risposta.

Che fine fanno tutte le mie domande?

Il Signore non si rende conto che non può continuare a ignorarli. È grazie a loro se Egli risplende. È grazie a loro se il Grande Piano si compie.

È grazie a loro se il Paradiso è quel meraviglioso giardino dove non esistono rabbia e dolore. 

È grazie a me che esistono le stelle.

Questa volta glielo chiede, giura che glielo chiede. Anche se è la domanda che fa più paura di tutte.

Padre…

Da dove si comincia con una domanda del genere? 

Dimmi, figliolo.

È contento di come ha costruito le stelle? È contento che lui sia suo figlio? Anche se è diverso dagli altri? Anche se parla tanto e fa troppe domande? 

È così difficile da riassumere. 

Ma ci prova comunque.

Padre, mi vuoi bene?

Il Signore sospira. Ha l’aria stanca, come se avesse creato un intero universo in sette giorni e non avesse ancora trovato il tempo di riposare.

Vorrei che non facessi così tante domande.

Gli angeli non provano emozioni, a parte gioia e amore. E allora lui non merita di essere un angelo, perché un sentimento nuovo gli attraversa le membra fino alla punta delle ali. 

La luce che lo avvolge esplode di rosso, e sente una miriade di occhi emergere da sotto la sua pelle. 

Qualcosa sta cambiando.

"Forse smetterei di fare domande, se solo mi dessi una risposta, una, una sola, se solo mi ascoltassi, non siamo i tuoi servi, perché ci hai dotati di una mente e di una bocca se non vuoi che li usiamo, forse sei Tu che hai sbagliato…”

Ora basta. 

Fai troppe domande, Crawley, 

Fai troppe domande.

“Cosa...” tenta di sussurrare lui “come mi hai…”. 

Ma il suo tempo in Paradiso è scaduto.

E Lui lo manda giù, giù e ancora più giù, in un luogo così profondo che non riuscirà mai a vedere il cielo. 

Peccato. Gli piacevano le stelle. 

 

Lo zolfo gli invade i polmoni, gli impregna le ali, gli brucia la pelle. Si rende conto che sta galleggiando in una piscina di lava bollente, ma non si muove, non può, e per andare dove? Non riesce a volare. 

Non sa nemmeno se ci riuscirà di nuovo. 

Il tempo non esiste ancora, ma se ci fosse, Crowley conterebbe un secolo e forse più, prima di aprire un paio di occhi che non sono più i suoi. Sono gialli, come lo zolfo. 

 

“ Sul tuo ventre camminerai 

e polvere mangerai 

per tutti i giorni della tua vita. “

 

Satana non è così male, una volta che ti ci abitui. Certo, da Lucifero era tutta un’altra storia. Ora spunta un po’ sull’irascibile.

Niente che Crawley non abbia già visto.

Un po’ lo capisce, non se la sta passando bene, essere cacciati dal Paradiso e tutto il resto... 

Almeno, quando fa troppe domande, si limita a ignorarlo. 

I suoi colleghi demoni, invece, sono un altro paio di maniche. 

"Perché te ne vai in giro con quel fango sulla testa?“ chiede un giorno a un tizio di nome Hastur. Riceve il suo primo pugno in faccia, e ringrazia qualcuno di essere immortale. 

Grazie, per non avermi dato via d’uscita.

Non importa, non ha paura di questi buffoni. È che si sente più solo di prima

Satana non è di gran compagnia. 

Ti prego, Padre, gli chiede un giorno, voglio tornare su. 

Solo per un attimo, lasciami vedere stelle.

 

Non sono tuo padre.

Sono il tuo Padrone.

Tu non hai un padre. 

Nessuno di noi ha un padre.

Non ne abbiamo più bisogno.

Satana si sbaglia. Non ha mai avuto un Padre. Ma ne ha così disperatamente bisogno.

E non puoi tornare su, aggiunge Satana, sollevando la testa cornuta. 

Tace un attimo, contemplando la porta del Regno dei Cieli. 

Lui non ci vuole.

 

Alla fine torna su, non certo per volere di Dio. 

Va’ là fuori, e combina qualche casino.

Dio, come odio questo lavoro.

 

Il Guardiano della Porta Orientale sembra familiare. Magari lo ha già visto prima. Magari no. 

Cosa importa, comunque. 

Non ci tiene a ricordare. 

"È stato un buco nell'acqua" mormora tra sé, cercando di scacciare il pensiero del Paradiso. Inaspettatamente, l'angelo accanto a lui si anima. 

"Come dici?" 

Non è abituato. Di solito nessuno gli rivolge la parola.

Mi senti, Crawley? 

Comportati bene. 

E cerca di non fare domande.

"Cosa c'è di sbagliato nel voler conoscere la differenza tra bene e male?" 

"Meglio non speculare. Non spetta a noi comprenderlo". 

Oh no, ci risiamo. Avanti, dillo anche tu, angelo.

Fai troppe domande, Crawley. 

Fai troppe domande. 

"È ineffabile". 

Ineffabile. Che parola interessante. 

Sì, pensa mentre sente il cielo tuonare, l’universo è pieno cose ineffabili

Lui lo ha costruito così, per far sì che nessuno arrivasse mai a comprenderlo. 

Se fosse meno autoironico, Crawley la prenderebbe sul personale.

Bella mossa, Signore. 

Satana è un dilettante, a confronto.

E, a proposito di belle mosse, notizia lampo dal Giardino dell’Eden: l’angelo ha dato via la sua spada di fuoco.

Dimmi di più.

Mentre l’altro si affanna a raccontare una storia confusa su animali feroci e donne incinte (che roba è? deve ricordarsi di chiedere a Satana), Crawley viene colto da uno strano pensiero.

“Non sarebbe divertente se avessimo fatto io la cosa giusta, e tu quella sbagliata?”

Vorrebbe mordersi la lingua biforcuta un attimo dopo. Adesso l’angelo lo odierà e lo scaccerà, probabilmente a calci, visto che non ha più la spada. E, cosa più importante, non parlerà mai più con lui, e un po’ gli dispiace, non parla con nessuno da secoli…

E va bene, con nessuno che non sfoggi liquami sulla testa.

Sì, insomma, gli dispiacerebbe non vedere più un paio di occhi normali. 

Ma è strano.

Perché, mentre irrompe in una risata amara che lo prepara a un’eterna vita di solitudine, si accorge che questo angelo potrebbe non essere come tutti gli altri. Questo angelo non gli lancia occhiatacce, né si allontana. Non lo fissa con disappunto, e non esprime disgusto alla sola idea di essere assimilato a lui.

Questo angelo scoppia a ridere, unendosi a lui. 

Non ho mai riso con qualcuno.

Non so nemmeno come si fa.

È una bella sensazione. Ma Crawley è un demone, e non è sicuro di poterla provare.

In cerca di una via di fuga, cede a una vecchia - vecchissima - tentazione, e alza lo sguardo verso il cielo. 

Si aspetta di vedere le nuvole. 

Qualche stella, magari.

Sono le mie creature.

Mi mancano.

Ma non si aspetta di trovare un'ala bianca che lo avvolge, e lo ripara dalle prime gocce di pioggia dell'universo. 

 

L'angelo è un tipo a posto. Crawley è contento di vedere una faccia amica in mezzo a tutto questo marasma.

Quello che non è affatto a posto, adesso, è l’atteggiamento del Signore. Insomma, è sempre stato uno che se la prende per niente, ma questa storia del Diluvio Universale sta davvero valicando ogni limite. 

"Anche i ragazzini? Non può uccidere i ragazzini!" 

Gli sembra quasi di sentirlo, adesso.

Fai troppe domande, Crowley. 

Mi hai cacciato, risponde il demone che è in lui, posso fare tutte le domande che voglio.

Sto meglio senza di te. Almeno sono libero. 

Libero di fare cosa, Crowley?

Libero... pausa. Di essere lasciato in pace.

Di essere solo. 

Guarda Aziraphale, che scruta il cielo con aria preoccupata, sperando forse in un contatto con Dio che l'Onnipotente non gli concederà mai. Sta cominciando a piovere. 

Non voglio essere solo. 

Ti prego, non lasciarmi solo. 

 

Viene fuori che Crowley si sbagliava. Il Signore non ama affatto tutti i suoi figli, e nemmeno tutti i suoi figli che non sono Crowley. 

C’è un uomo, in Galilea, che dice di essere il figlio di Dio. Buona parte della gente non gli crede, ma quando Crowley lo vede crocifisso in mezzo a due ladroni, non può fare a meno di pensare che questa sembra proprio la dannata opera di un Onnipotente con un perverso senso dell’umorismo.

Avverte la presenza di Aziraphale senza nemmeno voltarsi.

“Sei venuto a sbeffeggiarlo?”

Come fa Lui con me.

“Sbeffeggiarlo?” scandisce Aziraphale.  

“Lo hanno messo lì i tuoi”.

Crowley ci metterebbe la mano sul fuoco, se rischiasse di bruciarsi. Non ci si può fidare di quelli del Piano di Sopra.

“Non mi consultano per queste decisioni, Crawley” sospira l’altro. 

Ma certo, angelo. 

Tu sei diverso.

Lo informa che di recente ha cambiato nome. In realtà è successo diversi decenni fa, ma non ha mai avuto nessuno a cui dirlo. 

Di solito è il genere cosa che si dice…

...ad un amico?

Qualcosa del genere.

Cristo sta rantolando sulla croce, rovinando tutta l’atmosfera. Ha l’aria di soffrire molto.

Come in tutte le cose della sua esistenza, è la curiosità a guidare Crowley quando chiede:

"Cos'ha detto per farli arrabbiare?”

Ha fatto domande? 

È stato un figlio cattivo come me?

Cosa può aver mai fatto un uomo per meritare questo? 

"Ama il tuo prossimo" risponde l’angelo. 

Sì, è decisamente opera di Dio.

Andiamo, Signore, lo spettacolo è finito. Tiralo giù da quella croce, ha sofferto abbastanza.

Ma Dio non viene, suo figlio muore, e il sole cala, gettando il deserto del Golgotha in quella che sembra una notte eterna e senza stelle. 

La folla comincia a disperdersi, uomini e donne si allontanano stringendosi nelle vesti. 

Dovrei andare anch’io?

“Crowley” esordisce l’angelo.

È che non so dove.

Crowley si volta. Il volto di Aziraphale gli fa da specchio, sembra aver vissuto cent’anni in una sola notte. Riesce quasi a vedere le piccole crepe del dubbio che affiorano sull’espressione esitante dell’angelo.

Hanno appena visto un uomo morire, probabilmente in uno dei modi più dolorosi in   cui si possa morire. 

Ed è stato il suo stesso padre, che guarda caso è anche il loro, che guarda caso è anche il Signore e Creatore dell’Universo, a ucciderlo.

Non è così che Crowley immaginava di passare la serata.

“Vuoi... vorresti…” .

Non lo lascia nemmeno finire.

“Certo, angelo. Qualsiasi cosa”.

Qualsiasi.

 

La locanda è affollata e chiassosa. Crowley è abbastanza certo che qualche altro demone sia passato di qui, vista l’aria di perdizione che impregna le pareti di fango. 

Osserva Aziraphale prendere congedo dall’oste per dirigersi verso di lui.

“Gli umani hanno inventato questa cosa” esordisce, porgendogli un recipiente di terracotta, “la chiamano ‘vino’”.

“Che roba è?” di Crowley, scrutando la tazza dubbioso.

“È una specie di... ehm, uva fermentata. Se bevuta in quantità eccessive ha effetti piuttosto…”

“Angelo” lo interrompe “dà qua”.

Ho bisogno di non pensare per due o tremila anni.

 

Questo vino è grandioso, decide Crowley. 

Gli sembra di volare senza bisogno di spiegare le ali. Si sdraia sui sassi del deserto e non sente niente, nemmeno le cicatrici sulla schiena. 

Il cielo si estende sterminato di fronte a lui, e le stelle gli vorticano davanti agli occhi, così vicine che ha quasi l’illusione di poterle toccare.

Come se non fossi mai caduto.

C’è un angelo vicino a lui, ubriaco marcio, e Crowley riderebbe per l’assurdità della situazione, se ricordasse come si fa. Dall’ultima volta che ha riso è passato un migliaio di anni, sui cancelli dell’Eden, per una battuta sul Grande Piano.

Magari, un giorno, imparerò.

“Vuoi sentire una storia?” biascica, prima di riuscire a fermarsi. 

Voglio sentirti ridere di nuovo.

Aziraphale non dice di sì, forse non è in grado. Gliela racconta lo stesso.

“Vedi quella? E quella, e quella, e quella…” il braccio ubriaco di Crowley si muove scomposto, nell’ansia di indicare tutte le stelle dei cieli del Golgotha. 

“Tutte mie. Un bel lavoro di fino. Il giorno prima era buio, e poi tac!, Lui ha detto “e luce sia”, e le ha accese tutte insieme. Uno spettacolo, dico sul serio. Il cielo non è più stato lo stesso”.

Davvero, non lo è stato.

Nemmeno io.

“Forse hai bevuto troppo” borbotta Aziraphale “lasciar creare le stelle a un demone? Suvvia”. 

“Ero un angelo, una volta” spiega Crowley al deserto. 

Aziraphale si è addormentato, e non sta più ascoltando.

Si distende sui sassi, e allunga la spina dorsale. Uno dei pochi vantaggi di essere un demone. 

Gli dispiace per l’angelo. Dev’essere veramente sconvolto. Vedere il tuo capo che mette a morte suo figlio non è mai un bello spettacolo.

Magari un giorno l’angelo se ne accorgerà, e potrà…

È ancora ubriaco, ma la realizzazione lo colpisce in pieno viso.

Fare cosa, dannato idiota? 

Cadere come hai fatto tu? 

Sei veramente così egoista?

C’è qualcosa di serio che non va in lui, non c’è dubbio. È un demone, non dovrebbe importargli se un angelo cade. 

Ma la sensazione di essere difettoso, di avere qualcosa che non funziona, lo ha accompagnato per tutta la sua esistenza.

Se non fossi caduto, ci saremmo incontrati?

Ci siamo già incontrati prima?

Probabilmente no.

La sua vita in Paradiso potrebbe essere stata tutta un grande sogno. 

Con un risveglio tremendo.

Si addormenta pensando che non gli piace il suo nome. 

 

Una volta, senza volerlo, assiste alla morte di una stella. 

È uno spettacolo terribile: l’astro implode su se stesso, e si espande fino a inglobare tutti quelli circostanti. Li brucia, e li trascina via con sé nell’oblio. 

Il cielo si illumina, prende fuoco. 

Ma non è un bello spettacolo. 

Perché una stella che muore deve trascinare le altre giù con sé? 

Non può abbandonare questo cielo in silenzio, da sola?

La verità è che l’oscurità è spaventosa.

Essere soli è spaventoso.

“Tutte le creature muoiono” gli spiega il Signore.

“Perché io no?”

Ormai è abituato alle domande senza risposta.

 

Si sveglia di soprassalto, ed è appena l’alba. L’angelo dorme ancora, e prima di cedere all’impulso di accarezzarlo nel sonno, Crowley si alza e cammina, cammina per tutto il deserto del Golgotha, cammina ancora sporco di sabbia mentre i suoi piedi umani si ricoprono di piaghe e vesciche. Cammina senza meta, perché sta bruciando, e non è colpa del sole che è sorto ormai da molte ore.

Lui che ha sempre voluto sapere tutto, ora vorrebbe estirparsi la consapevolezza via dal cranio.

Questo non lo dovevi fare.

“Sei Onnipotente, giusto? Allora sistema questo Grande-stamaledetto-Piano!” gli grida.

Perchè ti sei sbagliato, giusto? Di certo non avevi intenzione di…

Non riesce neanche a dirlo.

I demoni non possono amare. È una cosa che tutti sanno, ma nessuno dice ad alta voce, perché è così-dannatamente-ovvio.

Figurati se all’Inferno ci mettiamo a parlare d’amore.

Ma Crowley non ha dubbi neanche per un momento. Lui può amare, e cavolo se lo fa. 

Ha fatto un sogno strano, in cui un Padre un po’ assente lo getta fuori di casa come l’immondizia del giorno prima. Poi, però, continua a sventolargli sotto il naso il suo fratellastro, il figlio degno, amato, stimato.

Riesce quasi a sentirlo.

Ti ricordi com’era, Crowley? Non vorresti un po’ di Paradiso anche tu?

Lo vuole.

E sta diventando troppo anche per lui.

Perchè non la smetti, non puoi punirmi per sempre…

Mentre ormai si trascina, lo colpisce una realizzazione. 

Il Signore può punirlo per sempre, e lo farà.

Guarda cos’hai fatto a Tuo figlio. 

E che Crowley sia dannato due volte, se trascinerà Aziraphale giù con sé. 

“Devi lasciarlo in pace, mi senti?”.

Quando le gambe iniziano a cedergli, si trasforma in un serpente e striscia. Le pietre roventi che un attimo prima gli ferivano i piedi, ora scivolano sul suo ventre squamoso come un piacevole tepore. 

Lontano, lontano.

Ancora più lontano.

Guarda cosa mi costringi a fare.

Ha passato un migliaio di anni a cercare di dimenticare la Caduta. Ora ne rievoca ogni singolo istante, perché non può e non deve dimenticare cosa può fare un Dio arrabbiato.

Il dolore.

La perdita.

Il vuoto. 

È questo che vuoi per lui?

“Se lo fai cadere” sibila verso il cielo, e per un attimo tutto il deserto tace “non Ti darò pace per tutta l’eternità. Ti perseguiterò, mi senti? Sventerò tutti i tuoi piani ineffabili, e tirerò giù il dannato Paradiso fino al mio livello, finché non sarete tutti qui, a strisciare come vermi. E quant’è vero che esisti, e che non mi hai voluto come figlio, giuro che non ti libererai mai di me, e delle mie domande, e della mia lingua biforcuta. Sarò il tuo incubo, mi senti, Dio? Satana ti sembrerà uno scherzo!”. 

Si sente un idiota. Lui non ha paura delle sue minacce, non le ascolta nemmeno. 

E allora prega.

“Non potresti almeno...non so, sistemarmi o qualcosa del genere…? Non funziono come demone. Difetto di fabbrica. Rendimi incapace d’amare, e facciamola finita”.

Voglio solo proteggerlo da me.

Crowley semina guai ovunque vada, con le sue domande e la sua lingua troppo lunga. Nessuno ha potuto proteggerlo da se stesso. Ma lui può proteggere Aziraphale.

Non sa, però, che Dio non può renderlo un vero demone. 

Non se lo chiede come atto d’amore.

veri demoni non possono amare.

 

 

Quando Aziraphale si sveglia, con la testa dolorante e le ossa ammaccate per aver dormito sui sassi della Galilea, le stelle sono già tutte spente, e Crowley non è al suo fianco. È ancora confuso - qualcuno dovrebbe inventare un miracolo per liberarsi dei postumi dell’alcool - ma ricorda vagamente di aver sentito il demone blaterare riguardo alla creazione di un mucchio di stelle. Probabilmente l’ha immaginato.

La sola idea è assurda. 

Eppure.

 

Gli anni passano come se fossero giorni. 

Ha accettato i suoi sentimenti per l’angelo molto tempo fa.

Non che possa fare altrimenti. Si rassegna a vederlo una volta al secolo, non di più, e ogni volta che si separano è come perdere un pezzo di firmamento. 

Ma gli piace stare sulla Terra. Davvero.

Non è mai veramente solo. 

Umani che lo circondano, umani ovunque vada. 

Qualche studioso della parola di Dio (ha! Dio non parla affatto), dichiara che sono fatti a Sua immagine e somiglianza. Crowley non saprebbe dirlo, non ricorda il volto di Dio. Ma si accorge che ogni tanto gli umani riescono a colmare il vuoto che il Paradiso gli ha lasciato. 

Non colmano il vuoto dì Aziraphale, mai. 

E come potrebbero. 

Al mondo, c’è una sola metà mancante. 

Sarebbe più facile, se ce ne fossero milioni.

Ma non siamo stelle.

 

Una volta, durante la sua lunghissima esistenza, incontra un uomo. È vecchio, così vecchio che potrebbe avere qualsiasi età. Crowley sta vagando per la città, invisibile, perché c’è un’epidemia di spagnola e non vuole guardare negli occhi tutti quelli che muoiono agli angoli delle strade. Ma il vecchio forse delira, ha le allucinazioni, o sta per andare all’Inferno, perché quando Crowley gli passa accanto, fissa il vuoto e inizia a parlare, con la voce stanca di chi sta per tornare alla casa del padre. 

“Di me, quando sarò morto, voglio che si dica ‘questo è un uomo che deve aver amato molto, così profondamente da strapparsi il cuore, e che è stato amato in cambio. Quest'uomo, quando parla d’amore, sa davvero di cosa sta parlando’. Questo, vorrei che si dicesse”.

Amare, ed essere amati in cambio.

Da un genitore, da un figlio, da un amante. 

Non riesce nemmeno a immaginarlo.

Anche Crowley, se potesse morire, vorrebbe essere ricordato come qualcuno che ha amato molto.

Ma Tu non mi lasci neanche morire. 

 

Ci pensa da una vita. Più o meno da quando si è ritrovato immerso in una piscina di zolfo con la pelle bruciata e le squame su tutto il corpo. 

"Mi serve un favore". 

Dio sa quanto gli costa chiederlo. 

"L'ho scritto qui. I muri hanno orecchie". 

Aziraphale prende il frammento di pergamena con due dita, come se avesse paura di infettarsi. Sono quasi 6000 anni che Crowley cerca di non farci caso. 

L’angelo osserva il foglietto, e quasi simultaneamente sibila:

"È fuori questione".

"Perché?" 

Se lo aspettava. Aziraphale è stato forse l’unico essere della sua esistenza che non l’abbia preso a calci, allontanato o trasformato in un serpente. Ma il loro rapporto finisce là. Si aiutano a vicenda e non si intralciano se possono evitarlo, fine. 

Sono praticamente meno che conoscenti.

"Perché ti distruggeresti!" 

Oh, angelo. 

Non dirmi che ti importa qualcosa. 

"Sai in che guaio mi caccerei se si sapesse che noi...fraternizziamo?" 

Oh, questa è bella. Sarà che si conoscono da più di sei millenni, e sarà che non ne può più di essere guardato con disgusto sia dagli angeli che dai demoni, e forse c’entra anche il fatto che per l’amor di qualcuno, Crowley è innamorato pazzo di questo angelo e probabilmente non glielo dirà mai perché preferisce tagliarsi le ali piuttosto che essere rifiutato per l’ennesima volta nella sua patetica vita, ma non può fare a meno di sbottare:

“Fraternizziamo?”

È questo che sono per te? 

Un sordido piccolo segreto che non deve mai vedere la luce? 

“Ho molta altra gente con cui fraternizzare”.

"Beh, la cosa è reciproca! Ovviamente!"  Aziraphale lancia in acqua il biglietto e si allontana a grandi passi, pestando i piedi.

"Ovviamente!" gli starnazza dietro Crowley, sperando che l'angelo riesca ancora a sentirlo. 

Si calca il cappello in testa e si trascina per le strade della Londra vittoriana. Un paio di prostitute lo scambiano per Jack lo Squartatore e iniziano a urlare. 

Ormai non ci faccio nemmeno più caso. 

Mentre entra nel suo appartamento di Mayfair, pensa ad Aziraphale. È così stanco di elemosinare il suo affetto e la sua compagnia, per poi vederseli negare entrambi. 

Gli ricorda qualcosa.

E si ripete le stesse parole di 6000 anni prima, quando Dio l'ha abbandonato e Aziraphale era solo un sogno nella sua testa, creato per vedere un po' di luce. 

Non importa, Crowley.

Stai meglio senza di lui.

Stai meglio da solo.

Striscia nel letto e si raggomitola sotto la coperta. Ha bisogno di dormire per un giorno o due.

Si sveglia dopo 69 anni. 

 

“Vai troppo veloce per me, Crowley”.

E senza un’altra parola, Aziraphale apre la portiera e scivola fuori, lasciandolo solo con il suo thermos  e il suo risentimento.

 

E polvere mangerai 

per tutti i giorni della tua vita. 

 

Dio l’ha maledetto, non c’è altra spiegazione. Prima gli ha negato l’accesso al Paradiso, e poi la possibilità di costruirne uno suo.

È così, allora?

Non c’è perdono per me?

Non c’è nient’altro per me?

Per un attimo, dimentica che Lui non lo ascolta.

“Sono stufo di mangiare polvere” dice ad alta voce, e prima di potersi controllare, sferra un pugno contro il volante della Bentley. 

Per tutta risposta, l’autoradio si accende da sola, e riproduce una canzone che non è ancora stata inventata. 

Another one bites the dust” dei Queen risuona nell’abitacolo, derisoria come poche cose al mondo. Crowley preme freneticamente tutti i pulsanti cercando di spegnerla, ma quella canzone non esiste ancora e forse è solo nella sua testa e non riesce a  sbarazzarsene. 

“Lo trovi divertente?” ringhia “stupida macchina”. 

Lo trovi divertente, Dio? 

 

“È complicato” sibila Crowley all’indirizzo del Sergente Shadwell, loquace come non mai dopo la quarta tazza di latte condensato. Il vecchio pazzo sta chiedendo notizie di suo padre. Crowley non è stupido, sapeva che prima o poi il problema si sarebbe presentato. Lì per lì, da qualche parte nel bel mezzo degli anni ‘90, spacciarsi per il figlio di se stesso per giustificare la mancanza di invecchiamento, gli era parsa una gran trovata. Ma, come si scopre in seguito, le grandi trovate di Crowley tendono a originare situazioni imbarazzanti come la nascita del peccato originale o l’imminente fine del mondo. 

Inventa qualche storia sul padre anziano, malato, ormai così senile da non ricordare più nemmeno dove si trova.

“Sì, beh” bofonchia Shadwell, imbarazzato  “i soldati hanno bisogno di fondi...suo padre avrebbe...”

“Nessun problema” taglia corto Crowley.

La parola padre lo infastidisce più di tutte le altre parole. Tira fuori una mazzetta di banconote, e ne deposita alcune davanti al muso attonito di Shadwell. Più del dovuto, per evitare che il vecchio pazzo continui fare domande. 

Si alza dal tavolo e si dirige verso la porta, muovendo leggermente i fianchi al ritmo di una canzone che stanno trasmettendo su MTV..

“Ehi, signor Crowley, signore!” 

Crowley sospira, e si arresta a pochi metri dall’uscita. Spera che Shadwell non voglia trattenerlo con qualche buffonata sulle streghe. 

“Cosa c’è?”.

Il vecchio sembra tremendamente a disagio.

“Mi dispiace per suo padre”.

Anche a me.

“Era un brav’uomo” continua.

“No, non lo era” risponde Crowley, e varca la soglia del bar senza voltarsi, scivolando via nella notte.

 

Ehi, Hastur.

Cosa?

Rimpiangi mai di essere Caduto?

Forse dovrebbe smetterla di fare domande alle persone sbagliate.

Tu devi essere pazzo, Crowley. 

Pazzo o stupido, non c’è altra spiegazione.

 

“Salve” esordisce, mentre più di venti paia di occhi lo fissano “mi chiamo Anthony Crowley, e sono…”

“Non occorre dire il cognome” lo interrompe Rhonda all’altro capo del cerchio “questo è un gruppo anonimo”.

“Bene” sbuffa Crowley “mi chiamo solo Anthony, allora, e sono un alcolista”.

“Ciao, Anthony” lo salutano, come un coro angelico composto da sfigati.

 

Naturalmente, Crowley non ha un problema con l’alcool. Certo, si ubriaca frequentemente, e nelle serate d’oro con Aziraphale possono arrivare a scolarsi anche sette bottiglie a testa, ma...andiamo, è un demone. Non può sviluppare certe dipendenze.

La fortuna del diavolo. 

Il fatto è che, quando sei un demone, mentire non rappresenta un problema. Anzi, è caldamente raccomandato dai Piani Bassi per incrementare i profitti - e persino Crowley ancora si stupisce della catena di peccati che può generare una menzogna ben assestata.

Mesi prima, facendo zapping sul suo mega schermo, aveva notato come i personaggi dei film avessero tutti una tendenza in comune: durante i periodi di stress, iniziavano a bere o ad assumere droghe fino a farsi sbattere in clinica. Seguivano poi immancabili sedute di terapia di gruppo in cui potevano piangere, commiserarsi, e qualche volta addirittura giungere a grandi verità. Ma soprattutto piangere e commiserarsi. 

Dare la colpa dei miei fallimenti agli altri, piuttosto che a me stesso.

Perché non ci ho pensato prima?

Decide di conciliare l’utile e il dilettevole, perchè negli ultimi tempi non ha compiuto abbastanza cattive azioni nemmeno per i suoi - bassissimi - standard.

All’inizio aveva considerato di infiltrarsi nel gruppo di sostegno “convivenza con genitori instabili”, ma lui e Dio non stavano veramente convivendo, no? E poi, ad essere sinceri, sarebbe stato troppo persino per lui.

Naturalmente Crowley non lo sta facendo perché è disturbato, certo che no. Né tantomeno perché si sente solo. Non soffre di depressione, disturbo da stress post traumatico o altre stupidaggini che affliggono gli umani. La sola idea è ridicola. 

Sta alla grande, lui. 

È solo che si annoia. E si diverte a inventare storie. E a prendere in giro la gente. E ad essere cattivo. 

Diavolo, sono i suoi passatempi preferiti.

E così eccolo qui, in mezzo a questo gruppo di umani stramboidi.

“...e poi mi ha buttato fuori di casa. Dalla finestra.”

“Non ci posso credere!” esclama Cindy.

“Quale padre fa questo?” aggiunge Rob.

“È addirittura peggio di quando mio zio mi ha molestata” dice Annie.

“Sì, be’, non è finita” prosegue Crowley, “mi ha anche inseguito. E mi ha dato fuoco.”

Cosa?”

“Non mi sono più ripreso dalle ustioni, ” annuisce grave, l'espressione granitica come quella di un martire “e sono stato costretto a strisciare fino all’ospedale più vicino”.

Le esclamazioni indignate ora rimbombano per tutta la sala. 

Riuscite a immaginarlo?

No, certo che no. 

Non si sopravvive ad una cosa del genere.

“Dove vivi adesso, Anthony?” chiede Sheryl. 

“Praticamente all’Inferno” sospira, con aria drammatica.

Gli altri lo fissano, in attesa.

“In una specie di scantinato, con un mucchio di ladri, drogati e prostitute. 

“E tuo padre? Si è mai fatto vivo?”

“Nah. Non risponde nemmeno alle mie telefonate. Probabilmente non vuole più vedermi. Sono secoli che non rimetto piede in casa”.

Mentre un coro di “oh”, “è terribile” “mi dispiace, Anthony” lo investe, Crowley si sente un po’ meglio.

Non troppo. 

Solo un po’. 

 

Naturalmente, se c’è una cosa che ha imparato, è che le cose belle durano poco. Lo scoprono praticamente subito.

Innanzitutto, nei suoi sfoghi non fa mai un accenno al suo presunto problema con l’alcool. Non salta mai una riunione, si presenta sempre sobrio, e nel giro di poche settimane colleziona più gettoni di chiunque altro. 

Inoltre, fa troppe domande.

“Ehi, Annie, se il tuo fidanzato è un violento, che ne diresti di mollarlo?”

“Frank, c’è qualche possibilità che tuo figlio non voglia più parlarti perché hai usato i suoi risparmi per comprare da bere?”.

In breve tempo, i commenti che origlia sul suo conto passano da“Poverino, deve aver sofferto tanto, non c’è da stupirsi se nasconde il dolore dietro gli occhiali da sole” a “Quell’Anthony ha qualcosa che non va, probabilmente è pazzo. 

“Pensavo, Cindy” esordisce, la sera in cui finalmente viene cacciato “se il tuo figlioletto di sei anni ti chiede con le lacrime agli occhi di rimanere sobria per il giorno del suo compleanno…hai provato, non so…” pausa di superiorità  “a non bere?”

Rhonda sospira. Moderare gli incontri sta diventando sempre più complicato da quando c’è Crowley.

Va bene, Anthony, possiamo limitarci a non giudicare, per una volta?”

“Non sto giudicando, sto solo facendo una doman…”

Allora smettila di fare domande!” gli grida Cindy, sull’orlo delle lacrime.

“Bene, adesso diamoci tutti una bella calmata” cinguetta Rhonda, querula. 

“Anthony, apprezziamo la tua schiettezza…” qualcosa gli dice che no, non la apprezzano “ma diversi membri del gruppo potrebbero rimanere feriti dalla...come posso dire...scarsa empatia che sembri mostrare nei confronti delle loro storie personali. Forse sei convinto di poter attirare tutta l’attenzione con i tuoi racconti estremamente…fantasiosi…”

“Fantasiosi” ripete Crowley, atono.

“Anthony, capisco che a volte può essere dura venire a patti con la realtà, ma…”

Oh, andiamo!” la interrompe Daniel “sei pazzo come un cavallo, amico! Quelli di cui parli non hanno nemmeno nomi reali! Chi diavolo chiamerebbe suo figlio ‘Hastur’?!” 

“Già, le tue storie sono veramente assurde! È come se non ti sforzassi nemmeno!” aggiunge Sheryl.

“Cosa…” il corpo di Crowley non è veramente in grado di disidratarsi, ma gli sembra di sentire la bocca che si secca “non sto inventando niente, davvero, non…”.

“Secondo me non sei nemmeno un alcolista, sei solo un egocentrico che è venuto qui per farsi compatire” affonda Annie.

E poi, Frank gli infligge il colpo di di grazia.

“Sì, forse è per questo che tuo padre non vuole parlarti”. 

La porta della sala si spalanca di botto e colpisce il muro con un tonfo che fa trasalire tutti quanti. Tutti tranne Crowley.

“Bene” dice, sforzandosi di mantenere il suo tono piatto “non disturbatevi a buttarmi fuori. Conosco l’uscita”.

Conosco tutte le uscite del mondo.

Le ho attraversate una per una, quasi sempre contro la mia volontà.

Questa è solo l’ennesima.

“Oh, a proposito” aggiunge allegramente “andate tutti all’Inferno”.

A me è servito.

Mentre se ne va sbattendo la porta, miracola via dalle menti degli altri tutti i ricordi delle sedute. Svaniti, puff, addio, ciao.

Forse si lascia un po’ prendere un po’ la mano.

 

“Rhonda, quella porta...non aveva la maniglia antipanico?” sussurra Daniel, tenendo d’occhio Crowley che si allontana “non dovrebbe spalancarsi così”.

  “Dev’essere stato il vento” mormora lei, domandandosi dove diavolo si trova.

 

       Quella sera, Aziraphale riceve un curioso encomio da parte del Piano di Sopra. Sembra che ventitrè alcolisti londinesi abbiano miracolosamente dimenticato come si beve.

 

Quando iniziano i preparativi per l’Apocalisse, Crowley non può fare a meno di sentirsi vagamente eccitato. L’idea di trascorrere undici anni a stretto contatto con Aziraphale è più allettante di una mela sull’Albero della Conoscenza. 

Tutto sommato, la prospettiva di infilarsi in un corsetto da tata vittoriana non gli pare poi così male, specie se un certo giardiniere dai denti sporgenti lo fissa ogni volta che attraversa il campo da tennis dei Dowling.

Certo, ci sono un paio di cosette che davvero non aveva programmato. 

Primo, essere costretto a comporre fantasiosi inni a Satana, per poi ritrovarsi a cantarli di fronte al bambino sbagliato. 

Secondo, innamorarsi di qualcuno così senza speranza da classificare i Velvet Underground nella categoria “bebop”.

 

“È ridicolo, tu sei ridicolo, non so perché parlo ancora con te…”

Davvero non lo so.

E improvvisamente si rende conto che non importa quante volte Aziraphale possa respingerlo, lui continuerà a gravitargli attorno, come una stella separata dalla sua gemella.

“Da quanto tempo siamo amici? 6000 anni?”

Avrei creato le stelle per te.

Avrei disegnato il cielo per te.

Avrei fatto domande per te.

Vorrei tanto averlo fatto per te.

Invece l’ho fatto per Lui. 

E per me.

Non si rende nemmeno conto di aver ricominciato a parlare:

“E anche se tutto finirà in una palla di fuoco, ce ne andremo insieme”.

Alpha Centauri. Quelle due stelle abbastanza vicine da sembrare una, abbastanza lontane da essere due mondi a parte. 

L’ho costruita io, sai? 

Pensavo a te quando l’ho fatta. Non ti conoscevo ancora. 

O forse sì. Non lo so. Non riesco a ricordare. 

“Non siamo amici! Non mi piaci nemmeno!” 

“Non è affatto vero” sibila, rivolto più a se stesso che ad Aziraphale.

“Siamo di due fazioni opposte!”

“Siamo della nostra fazione!

“Non c’è una nostra fazione!”

Mentre si urlano addosso, Crowley può quasi presagire quello che accadrà dopo. 

Lo sa. 

Ci è passato troppe volte. 

È finita”.

Vuoi vedere quanto posso sopportare, Dio?

Mi hai reso un serpente. Ho la pelle dura.

Mi hai reso un demone. Il cuore è messo ancora peggio. 

Il più stupido dei suoi desideri è stato esaudito: nel corso dei suoi 6000 anni, ha imparato a ridere. Ed è ridendo che si allontana, dando le spalle al parco musicale e ad Aziraphale.

La prima volta ho riso con te.

“Bene. Buona Apocalisse!”.

Anche l’ultima.

 

E ancora...

“Che Dio ti perdoni”.

“Non può perdonarmi. Fa parte della descrizione di ogni demone, sono imperdonabile”.

È la mia natura.

“Eri un angelo, una volta”.

E come un flash, lo travolge il ricordo di una notte passata sui sassi della Galilea, con il cielo così enorme che sembra avvolgerlo come una coperta, e il firmamento che gli corre incontro come un figlio che riabbraccia suo padre. 

“È stato molto tempo fa”.

Molto, molto tempo fa.

Sembra ieri.

 

E ancora...

"Hanno scoperto che è stata tutta colpa mia, ma possiamo fuggire insieme… Alpha Centauri…".

Ti prego, angelo. 

Vieni su Alpha Centauri con me.

Vieni a casa.

“Ci sono un sacco di pianeti, nessuno ci troverà…”.

“Crowley, non essere assurdo” il tono misurato di Aziraphale è sicuramente un preludio a qualche assurdità.

E infatti...

 “Sono sicuro che se riuscissi a parlare con le persone giuste…”

“Non ci sono le persone giuste!” abbaia Crowley “c’è solo Dio, ma lui agisce per vie misteriose e non vuole parlare con noi!” ormai non riesce più a nascondere il suo disgusto per l’intera situazione.

"Parlerò con l’Onnipotente e lui si

“Come può un tipo così sveglio essere così stupido?”

Bene. Forse è così che deve andare.

E quando sarò tra le stelle…

Non penserò mai più a te. 

 

Questo è il suo problema. Lo stesso di Aziraphale. In tutti questi anni, non ha mai pensato che Lui facesse sul serio. Né con la Terra, né non con lui. Ha sempre segretamente sperato che un giorno lo avrebbe richiamato, magari per dirgli “Crowley, ho sbagliato, parliamone”. Probabilmente è stupido. Ma Crowley è pazzo, o stupido, o forse tutte e due, perchè si addormenta e sogna Aziraphale e Dio e le stelle e tutto ciò che non può avere. 

E ciononostante continua a dormire.

Ma poi si sveglia. E si accorge che Lui sta per distruggere il mondo, e questo include anche loro. 

Forse stavolta fa sul serio.

A Crowley non importa di essere discorporato. Nemmeno di morire. Non gli importa quasi di niente. 

Quasi di nessuno.

Non avrebbe mai pensato di arrivare a questo. Non parla con Dio da secoli. Ma poi, non hanno mai veramente parlato. 

È il momento di rompere questo eterno silenzio.

Uccidici tutti, Signore. Non mi interessa. Ma lascia stare Aziraphale. È un bravo angelo. Non voleva nemmeno lavorare con me.

L’ho convinto io, perchè sono un demone tentatore che fa troppe domande. Dovresti punire me. Non lui. 

Si ritrova nell’aria rovente della libreria, e non riesce a sentire più niente. Non come si è sempre sforzato di fare, bocca chiusa, occhi coperti, pelle fasciata, cuore al sicuro sotto la giacca all’ultima moda.

Stavolta niente ha più senso per davvero.

Vorrebbe che le fiamme potessero bruciarlo. E non può fare a meno di pensare che Lui non l’ha ascoltato neanche questa volta.

 

Incredibilmente, Aziraphale non è morto, e questo sì che è un bel colpo di scena, perché il Signore va pazzo per un bello sterminio di persone innocenti, di tanto in tanto.

Infatti non smette di provarci.

 

“Dunque, per cominciare, in quel giardino c’era...beh, c’era Lui, c’era...ehm...un infido vecchio serpente, e il sottoscritto...”,

Dice ad Aziraphale di stare zitto, mentre l'angelo cerca di raccontare il loro primo incontro ad un gruppetto di pazzoidi nella base militare di Tadfield. 

E, davvero, è meglio che Aziraphale taccia.

Perché non ci sono parole al mondo che possano spiegare il primo incontro di due creature ineffabili, dopo che hanno trascorso 6000 anni insieme. Non ci sono parole al mondo per descrivere un demone che si innamora di un angelo, e un angelo che viola il piano divino. E forse Crowley preferisce che loro due siano i soli a conoscere quella storia, una storia di cadute, spade di fuoco, diluvi e crocifissioni, nazisti e acqua santa, la storia di un anticristo sbagliato e di uno giusto, di una tata vittoriana e di un giardiniere. 

Va bene, angelo. Non c'è bisogno che lo sappia nessuno. 

Non c'è bisogno che tu dica da quanto tempo siamo amici.

Da quanto tempo ti... 

 

“Dobbiamo parlare” sospira Aziraphale, mentre prendono posto sull’autobus. 

Crowley emette un gemito. 

“Angelo, abbiamo appena sventato una dannata Apocalisse. Dacci un attimo di respiro”. 

“È importante” insiste l’angelo, petulante. 

“Bene” si arrende Crowley, affondando, se possibile, ancor di più nel sedile, “sto ascoltando”.

La voce di Aziraphale è carica di rammarico.

“È possibile che in passato io non sia stato del tutto...onesto, con te, Crowley”.

“No?” sbadiglia lui. Non riesce proprio a fingere curiosità. Aziraphale dovrebbe darsi una rilassata.

“Probabilmente ricordi il 1967. La notte in cui ti ho consegnato l’acqua santa”.

“Vagamente” mente Crowley. Ha pensato a quella notte per più di cinquanta dannatissimi anni, alternando imprecazioni a scoppi d’ira, e sicuramente non a pianti irrefrenabili, perché i demoni non piangono.

“Mi hai chiesto di venire su Alpha Centauri con te. Avrei dovuto accettare”.

"Non importa, angelo. Il passato è passato". 

In verità, alcune ferite nell'anima di Crowley che non sono guarite nemmeno dopo 6000 anni. Ma non c'è bisogno che Aziraphale si crocifig... si affligga al posto suo. 

"Ma il presente è presente”. 

“Sì, bene” bofonchia “ora, se abbiamo finito con le ovv…”.

"Sono innamorato di te" lo interrompe Aziraphale.

Crowley deglutisce. 

"Sì, beh...posso capirti". 

L’angelo lo guarda, inarcando le sopracciglia. 

Bravo, Crowley. 

Anche oggi sei un idiota.

"Quello che intendevo dire" tenta disperatamente di spiegare "è che anch'io provo... sì, insomma... lo stesso. Nei tuoi confronti”.

“Lo stesso?”

“Sentimenti” si affretta a dire Crowley “quella roba lì”.

Aziraphale non parla. 

"Da un po'". 

Niente. L'angelo lo fissa e basta. 

“Non c'è bisogno di farne un dramma” aggiunge poi, sulla difensiva.

Aziraphale ha le pupille leggermente dilatate e la fronte aggrottata, come quando disapprova la sua guida troppo veloce. 

Poi il suo sguardo si ammorbidisce, e scoppia a ridere. 

Crowley cerca di ridere insieme a lui, ma tutto quello che esce dalla sua gola è un gorgoglio isterico.  

Mentre l’auto devia verso Londra, Aziraphale intreccia cautamente le dita con le sue, e Crowley poggia la testa sulla sua spalla. 

È andata. Lode a Satana, ce l’ho fatta. Ho fatto una dannata dichiarazione all’amore della mia vita. 

Meno imbarazzante che essere cacciati dal Paradiso. 

 

Le ali. 

Le vertebre. 

Le labbra. 

La pelle.

Le ossa.

Tutto questo, e molto altro, vuole imparare del corpo di Aziraphale.

Non basterebbe tutta una vita. Nemmeno una lunga 6000 anni.

“Che stai facendo?” gli sussurra l’angelo.

“Sto cercando di ricordare”. 

“E ci stai riuscendo?”

 

E c’è questo atomo, questo embrione, questo piccolo granello di polvere che non trova il suo posto nell’universo, né la sua strada verso tutti gli altri. C’è questo piccolo puntolino che non è mai dove dovrebbe essere, non è mai a posto, ed è rosso come un mattone ma non sarà mai buono per costruire un muro.

E c’é Dio che crea il Piano Ineffabile, dove ogni cosa accade per una ragione. 

E ci sono due atomi, due embrioni, due piccoli granelli di polvere. 

Un minuscolo, impalpabile frammento di universo. Un niente. 

Buono solo per costruire le stelle.

“Sì” mormora Crowley “penso di sì”.

 

Perchè non mi ha voluto?

Non lo so. 

Io ti voglio.

 

Quella notte riesce a dormire. 

Ha smesso di farsi domande.

 

Questa è una lunga, lunghissima storia. E termina più o meno così. 

 

"Al mondo" 

E non ci sono parole migliori per racchiudere tutto questo. Perché il mondo è fatto di Aziraphale, della Bentley, delle piante da maltrattare e delle canzoni dei Queen. 

Magari un giorno andranno su Alpha Centauri. O magari no. Magari resteranno sulla Terra per tutta la vita, e compreranno un cottage nel South Down con un enorme terrazzo, così che Crowley possa vedere le stelle.

E vorrebbe chiedere “perché a me?”.

Ma non è il momento di fare domande.

"Al mondo" sussurra piano, con l'assoluta certezza di avere stampato in faccia un sorriso da idiota che non può e non vuole nascondere. 

C'era un gioco che faceva una volta - o forse era più una specie di punizione: alzava il viso verso la luce più abbagliante che riuscisse a trovare, e cercava di ricordare com'era essere invasi dall'amore divino. 

Uno stupido gioco, davvero, pensa ora guardando Aziraphale. Perché non c'è luce più grande di quella che splende ora sul volto dell'angelo all'idea di trascorrere tutta la vita con lui. 

È per questo che mi hai voluto qui, Dio? 

Valeva la pena di cadere e bruciare e diventare un demone solo per arrivare a conoscere Aziraphale? 

Le vie del Signore sono infinite, piene di punti ciechi e vicoli bui. Ma tornerebbe al punto di partenza e rifarebbe tutto strisciando, se sapesse che c'è quest'angelo ad aspettarlo alla fine del cammino.

Lo giurerebbe davanti a Dio. Ma Dio è troppo stanco, o occupato, e non ha tempo di ascoltare gli spergiuri di un angelo che non è più nei cieli.

Eppure, per la prima volta dopo più di 6000 anni, guarda Aziraphale e gli sembra che il Signore abbia finalmente risposto a una delle sue domande. 

E si accorge che il perdono si può ottenere in tanti modi diversi. 

Per la prima volta, gli sembra di essere tornato a casa.

Dio è distante, lo è sempre stato. Non è un buon padre per i suoi figli. Ma Crowley si augura, nel profondo del suo cuore nero, che almeno questa volta, quest’unica volta, Lui riesca a sentirlo, solo per un secondo.

 

Mi senti, Dio?

Sono io, Crowley.

Volevo dirti grazie.








 

N.d.A.: Ok, lo ammetto, ho bisogno di aiuto. Ero partita da una piccola one-shot di neanche 2000 parole, e si è trasformata in...beh, in questo. Più la rileggo e più arrossisco, ma ho deciso di fare un atto di coraggio e pubblicarla. Mi piacerebbe sapere che ne pensate.

Lasciatemi una recensione, o, in alternativa, il numero di un bravo psicologo. 

Alla prossima!

Baci, Edelweiss

 
   
 
Leggi le 9 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Good Omens / Vai alla pagina dell'autore: _Edelweiss_