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Autore: Kiki87    29/12/2019    1 recensioni
Una giovane ragazza si trasferisce a Glasgow per concedersi un anno sabbatico, alla fine del suo percorso universitario, con la sua migliore amica. Qui incontrerà il suo amico di penna, nuovi amici ma, soprattutto, imparerà a conoscere se stessa. Perché se è vero che tutto è iniziato da un "sogno", Sara deve ancora imparare cosa sia davvero l'amore e come possa essere diverso da ciò che ha sempre immaginato.
La fanfiction è una revisione di un progetto omonimo del 2013: molti personaggi di Harry Potter sono stati sostituiti con quelli di Merlin e ci sono stati significativi cambiamenti anche nelle diverse storyline dei protagonisti.
CROSSOVER CON LA SEZIONE: "CAST DI HARRY POTTER".
Genere: Comico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Altri, Bradley James, Katie McGrath, Nuovo personaggio, Nuovo personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Premessa: più che mai in questo capitolo ritengo che sia necessario ribadire che si tratta di una storia di pura invenzione. Le caratteristiche e i comportamenti, soprattutto negativi, che ho attribuito ad alcuni attori che abbiamo conosciuto e apprezzato nei panni dei personaggi della saga di “Harry Potter” sono funzionali all’intrigo. Non ha nulla a che vedere con le loro reali personalità e non è mia intenzione mancare di rispetto a nessuno di loro. Vi prego di tenerne conto e nel caso in cui le scene che li coinvolgono non fossero di vostro gradimento o urtassero la vostra sensibilità, vi consiglio di cuore di non continuare con la lettura. L’ultima cosa che vorrei è arrecare dispiacere a qualcuno, ma devo restare coerente alla caratterizzazione che ho voluto assegnare a ogni “personaggio” di questa vicenda.
A chi resterà, anche solo per curiosità, auguro buona lettura 😉
 
15
Tutto questo sembra strano e surreale
E non perderò altro tempo senza di te […]
La rabbia mi ribolle dentro
e non vorrò sentirmi come fatto a pezzi […]
Alzati e allontanati da questi bugiardi
perché loro non hanno la tua anima
o il tuo fuoco interiore.
Prendi la mia mano e stringiamoci le dita […]
Ogni minuto da adesso
possiamo fare ciò che vogliamo dappertutto.
Vorrei tanto che tu aprissi gli occhi
perché ho bisogno che guardi nei miei.
Dimmi che aprirai gli occhi.
Open your eyes – Snow Patrol[1].
 
 
 
“Andiamo, Silente e Lupin vogliono parlarti”.
Sbattei le palpebre e sentii il cuore scalpitare rapidamente. Non potei fare a meno di porgli quella domanda, seppur ne conoscessi già la risposta. “Sanno tutto?”.
Bradley annuì e lo sguardo sembrò più serio che mai: “Naturalmente. Te lo avevo detto che non avrei lasciar correre questa volta”.
 
48 ore prima.
 
Ogni volta che entravo in Accademia provavo una fitta di ansia alla bocca dello stomaco che poco aveva a che vedere con l’avvicinarsi di Giugno. Cercavo di non soffermarmi troppo su quel pensiero per non aggiungere ulteriore pressione alle mie giornate.
Ero uscita dall’ufficio di Lupin con un vago sospiro, richiudendomi la porta alle spalle e domandandomi, ancora una volta, se non fosse opportuno chiedere esplicitamente a Bradley se avesse preso una decisione sulla nostra situazione. Durante le prove si comportava sempre in modo ineccepibile, ma erano i momenti di stasi che mi creavano maggiore nervosismo, quando avevo la sensazione che mi seguisse con lo sguardo, che fosse persino in procinto di dire qualcosa, ma senza mai comprendere che cosa gli passasse per la mente. Non aveva smesso di frequentare il pub, quando ne aveva l’occasione: vuoi per il the pomeridiano, vuoi per una fetta di torta o vuoi per qualche piatto d’asporto.  Scossi il capo, dicendomi che non aveva senso lambiccarsi troppo la mente e mi concentrai sugli impegni previsti per quella giornata. Ero talmente assorta da non accorgermi che qualcuno aveva allineato il suo passo al mio e quasi sussultai quando una mano mi si appoggiò sulla spalla.
“Ciao straniera.” Mi salutò una voce familiare.
“Ciao Sean.” Lo salutai, dopo essermi riavuta, e gli sorrisi. “Come stai?”
“Tutto bene,” rispose con aria serena, “e tu? Hai avuto una lezione con Bradley?”
Annuii, ma non gli sfuggì la mia espressione pensierosa. Inclinò il viso di un lato, premunendosi di abbassare la voce: “Non vi siete ancora chiariti?”
Mi strinsi nelle spalle e continuai a scendere la scalinata al suo fianco: “Morgana, come saprai meglio di me, sostiene che non devo pensarci troppo per non farmi venire paranoie,  drammi shondiani e, soprattutto, per non dargli a vedere che sto andando fuori di testa...” riassunsi la sua filosofia con un lieve scuotimento del capo. “Amy, invece, sostiene che ho il diritto di chiedergli una spiegazione o quanto meno una stima approssimativa di quanto tempo voglia prendersi prima di comunicarmi il verdetto”.
Sean aveva sorriso bonariamente all’allusione alle due amiche che sembravano spesso schierarsi su due orientamenti opposti, a prescindere dalle loro abituali schermaglie.
Mi guardò più intensamente: “Tu invece cosa ne pensi?”
Mi mordicchiai il labbro inferiore. “Naturalmente questa attesa mi sta snervando,” gli confidai con un bisbiglio, “ma al contempo non credo sia giusto fargli pressione: è il minimo che possa fare concedergli del tempo”.
“Sì, lo penso anche io,” ammise con un sospiro per poi rivolgermi un ulteriore sguardo indagatore: “Non ti sei pentita di avergli parlato, vero?”
Lo guardai per un breve istante prima di sospirare. “A volte sì,” gli confessai, “anche se continuo a ripetermi che è stata la cosa più giusta”.
Sean allungò la mano a darmi un buffetto e mi guardò dritto negli occhi, quasi a volersi assicurare che le sue parole fossero ascoltate con la dovuta attenzione. “Nonostante tutto, devi essere orgogliosa di te stessa: ti sei resa conto di aver sbagliato e stai cercando di imparare e di trarne una lezione”.
Non potei fare a meno di sorridere e di abbracciarlo brevemente, ringraziando il modo in cui riuscisse sempre a sollevarmi l’umore e a farmi guardare le cose da una prospettiva meno disastrosa di quella che adottavo io comunemente. “Grazie Sean,” mormorai in tono sentito, prima di mettere da parte i miei pensieri. “Ma basta parlare di me. Come stanno andando le prove del tuo spettacolo?”
Notai uno scintillio animato nel suo sguardo castano e un sorriso affiorò alle sue labbra: “Molto bene, persino la McGrannith mi ha concesso un sorriso…” precisò in tono quasi cospiratorio e non potei che rivolgergli uno sguardo orgoglioso.  L’unica occasione in cui mi ero confrontata con la donna, non era stata particolarmente lusinghiera per me, ciononostante mi era sembrata molto sincera e gentile, a dispetto della sua reputazione di insegnante particolarmente severa e rigida. “Sarai un meraviglioso McBeth.”
Mi diede un buffetto sulla punta del naso quasi a mo’ di ringraziamento, prima di indicarmi la direzione del refettorio. “Vieni a pranzo? Ho chiesto a Daniel di tenerci il posto”
Raggrinzii il naso. “Mi piacerebbe, ma vorrei evitare di restare qui dentro più del necessario…”.
Sean mi guardò attentamente. “Per via di Bradley o anche per qualcun altro?”.
Se già attraverso le lettere scambiate negli anni c’eravamo conosciuti, il vivere nella stessa città aveva reso le nostre interazioni ancora più profonde e rafforzato quel legame con esperienze quotidiane e condivise. Annuii mio malgrado. “Credo che Morgana mi abbia messo la pulce nell’orecchio”.
“Lo so bene,” sospirò Sean con aria comprensiva, “vede complotti ovunque”.
Sperai che almeno nei momenti di intimità con il suo fidanzato, gli risparmiasse commenti velenosi o speculazioni sul ragazzo in questione. Sorrisi tuttavia con aria complice: “E accusa noi due di essere eccessivamente ingenui”.
“E si sorprende che non abbiamo antenati in comune”, ribatté Sean con un sorriso.
Indugiai qualche secondo, ma non potei fare a meno di porgli quella domanda: “Come sta Tom? Ti sembra diverso dal solito?”
Assunse un’espressione pensierosa e scosse il capo. “Lo sai com’è fatto: non ha voluto parlarne neppure con me. A essere onesti non mi è sembrato particolarmente turbato dalla separazione”.
“Era quello che temevo…” risposi con un filo di voce.
“Quando mi sono proposto di offrirgli il mio aiuto, mi ha mandato malamente a quel paese ma con più enfasi del solito,” continuò Sean come se ciò fosse un indizio di particolare importanza.
Scossi il capo. Per quanto ammirassi la personalità del mio amico, la sua nobiltà d’animo, la sua dolcezza e la sua empatia, non riuscivo ancora a spiegarmi il rapporto che aveva intessuto con Tom. Non conoscevo i dettagli della loro cosiddetta “amicizia” seppur mi avesse brevemente confidato che era stato proprio il ragazzo ad aprirgli “bruscamente” gli occhi sulla sua ex che gli era stata fonte di tanta sofferenza. A parte ciò, tuttavia, non avevo mai visto da parte di Tom un particolare slancio nei suoi confronti, non paragonabile alle premure che erano invece tipiche di Sean per le persone a cui si affezionava.
“Temi che possa importunarti di nuovo?” mi domandò più seriamente, facendo breccia tra i miei pensieri.
Aggrottai le sopracciglia e scossi il capo. “Non ne vedo il motivo: a prescindere da Emma avevamo già chiarito che non avremmo avuto più a che fare l’un l’altra, spettacolo a parte”.
Sean sospirò. “Mi dispiace che tutta questa storia ti abbia creato problemi con Bradley: se vuoi che provi a parlargli io, non farti remore…”.
Gli strinsi la mano per un breve istante e gli sorrisi più dolcemente. “Sei un tesoro e ti ringrazio per l’offerta, ma credo che dovremo cominciare a cavarcela da soli. Allora buon pranzo: salutami gli altri”. Mi congedai da lui con un bacio e l’augurio di una buona giornata, prima di uscire frettolosamente dall’Accademia.
Mio malgrado, non potei fare a meno di rimuginare sulle sue parole circa lo stato d’animo di Tom.
 
Avevo tastato il comodino alla ricerca degli occhiali che avevo inforcato confusamente, prima di accendere la lampada e guardare nuovamente Morgana.
“Mi hai sentita,” aveva ribattuto lei in tono quasi impaziente, “sembra che Tom abbia lasciato Emma dopo una cena nel suo appartamento e…”.
Avevo sollevato la mano come a chiederle implicitamente di tacere. “Innanzitutto, ti pregherei di smetterla di svegliarmi in questo modo: ti ricordo che nella mia famiglia ci sono dei casi di cardiopatia. In secondo luogo… davvero mi hai svegliato per dirmi questo?” L’avevo incalzata in tono infastidito. “Nel bel mezzo di un sogno con Bradley per giunta!” avevo specificato in tono non poco indignato.
La mia amica aveva inclinato il viso di un lato e mi aveva rivolto una delle sue occhiatine taglienti, tipiche delle occasioni in cui si vedeva costretta a esplicitare qualcosa di ovvio: “Non potevo certo aspettare domattina!” aveva risposto in tono altrettanto determinato. “Sai cosa significa questo, vero?”.
In verità la mia prima reazione era stata di pura sorpresa e sgomento perché il mio istinto mi aveva messa in allerta, ma considerando gli ultimi eventi della mia disastrata situazione sentimentale, non volevo darle a vedere di essere particolarmente preoccupata. E tanto meno interessata. “Francamente non mi importa di quello che gli passa per la testa.”
Morgana non sembrava prestarmi attenzione. Si era appoggiata una mano sotto il mento e aveva assunto un’espressione pensierosa, come quando si dilettava a formulare ipotesi sulla vita amorosa di qualcuno. Che si trattasse di serie tv o di persone reali. “Devo ammettere di essere sorpresa: avrei giurato che Tom non l’avrebbe lasciata, neppure se fosse riuscito a sedurti com’era nei suoi piani. Ritenevo molto più probabile che volesse tenervi entrambe…” Spiegò in tono disgustato. “Insomma, rientrerebbe nel profilo del patologico narcisista. Hai chiesto a tua sorella di mandarti i PDF dei suoi libri di psicologia?”
Avevo sbuffato apertamente. “Morgana, in tutta onestà: non mi importa! Il mio eccessivo coinvolgimento con quei due mi ha solo creato guai!” Le ricordai con più asprezza di quanto volessi. “E comunque, per citare Amy, si meritavano a vicenda.” Aggiunsi con una smorfia.
La ragazzo, tutt’altro che tranquillizzata dal mio distacco, sembrò persino più ansiosa: “Sara, dico sul serio: quello stronzo deve essersi accorto che tu e Bradley siete in posizione di stallo!”
Sentii il mio cuore fermarsi in petto e quel sospetto fare breccia tra i miei pensieri: erano passate poche settimane da quella cena, ma mi fidavo di Sean e certamente non avrebbe divulgato qualcosa di così personale. Soprattutto a lui.
“E se anche fosse?” Ribattei quasi in tono di sfida.  “Questo non cambia le cose per me”.
Si era sporta in mia direzione e mi aveva cinto la mano, guardandomi così intensamente che sembrava stesse cercando di leggermi dentro. Era piuttosto inquietante a dirla tutta. “E’ il momento di essere totalmente e brutalmente sincere: tu sei assolutamente sicura che non vuoi più avere a che fare con lui, neppure come potenziale amico, giusto?”.
Sospirai, ma ne ricambiai lo sguardo e cercai di sdrammatizzare. “Ho autorizzato te ed Amy a picchiarmi in caso contrario, ricordi?” Notando che non sembrava tranquillizzarsi, sollevai gli occhi al cielo. “Vuoi anche una dichiarazione scritta?”.
Aveva rafforzato la pressione sulla mia mano, tanto da farmi quasi male. Raramente la vedevo così in preda all’ansia, ma sembrava che quell’ultimo periodo delle mie avventure a Glasgow stessero mettendo alla prova persino il suo self control. “Devi stare attenta più che mai sia a lui che a Emma, perché sono sicura che sarei nelle sue mire e dall’alto del suo egocentrismo, credi che biasimerà te o sé stessa per il ben servito?”.
Il pensiero mi procurò una fitta allo stomaco, ma sorrisi amaramente. “Non ti sembra che mi abbia già sabotato abbastanza?”.
“Tu dici?” Ribatté lei in tono quasi mordace. “Dopotutto Bradley è single al momento”.
Il ricordo del sogno e delle parole di Emma mi fecero salire il sangue alla testa e rimpiansi di non avere qualcosa più forte dell’acqua sul comodino. In tutta onestà, dubitavo che una ragazza come lei avrebbe giocato per molto la parte della damigella abbandonata e con il cuore spezzato. Soprattutto considerando quanti ragazzi l’ammirassero nei corridoi e persino nel pub. Ma il solo pensiero che volgesse lo sguardo al “mio” Bradley…
Mi concessi qualche secondo per una piacevolissima fantasia nella quale l’acciuffavo per i capelli e le spiaccicavo la testa contro uno dei piatti della tradizione scozzese a base di frattaglie e di budella di capra, disfacendole la pettinatura e il deturpandole il trucco. Mi sembrava persino di sentire il sibilo di Nagini, mentre io, imitando la voce di Riddle, mormoravo: “Nagini, la cena”.
Per la prima volta la mia amica mi aveva sorriso come se intuisse la portata dei miei pensieri.
“La terremo sotto controllo,” mi promise solennemente, “mando subito un messaggio anche ad Amy. E Sean farà la sua parte in Accademia”.
“Comunque Bradley è troppo intelligente per lei: ha già capito che tipo sia”, mi sentii dire con un moto di orgoglio al ricordo dei suoi commenti tutt’altro che lusinghieri sulla (ex) coppietta. Ma in verità avevo anche bisogno di ripeterlo a voce alta, quasi a sincerarmi che non avessi sognato quel dettaglio e che lui non sarebbe caduto in balia di un sorriso svenevole e di uno sguardo languido.
Morgana aveva annuito con enfasi, prima di rivolgermi uno sguardo sardonico. “Glielo auguro o dovrà espatriare per salvarsi da me”.
Mi ero concessa di sorridere, prima di sospirare. “Ora posso tornare a dormire?”
Speravo che il mio sogno riprendesse da dove mi ero interrotta o che mi proponesse una sequenza simile alla mia fantasia sul trattamento che avrei sottoposto a Emma.
“Solo se mi giuri che eviterai Tom come la peste e in Accademia starai sempre con la classe di recitazione, con Sean o con Daniel o con chiunque tranne che con quei due”.
Non avevo battuto ciglio. Era quasi impossibile pensare che, pochi mesi prima, in quella stessa stanza avessimo avuto ben altro tipo di conversazione. Avevo persino ammesso di provare una forte attrazione per il ragazzo, seppur dando la mia parola che avrei fatto di tutto per evitare situazione compromettenti. “Posso prometterlo facilmente”.
 
Scossi la testa mentre scendevo alla fermata della metro più vicina al pub. Non dovevo in alcun modo ossessionarmi in sciocche e superflue congetture. Tom ed Emma, continuavo a dirmi, mi avevano già condizionato fin troppo negli ultimi mesi.
 
~
 
 
Spesso e volentieri il lavoro al pub era un vero e proprio toccasana e non soltanto da un punto di vista finanziario. Il contatto coi clienti e coi colleghi mi consentiva di dimenticare momentaneamente le mie ansie. L’entrare in quell’ambiente, l’indossare la divisa da lavoro, mi davano l’impressione di poter dividere la mia quotidianità in settori ben separati tra loro. In giornate come quella, persino la calca di clienti mi sembrava una benedizione per impedirmi di riflettere.
Stavo ancora finendo di disporre il vassoio di pasticcini che mi aveva consegnato Neville, quando Madama Bumb mi chiamò e mi fece cenno di avvicinarmi a lei.
“Il Signor Riddle ti aspetta nel suo ufficio. Ha preparato il rinnovo del contratto”, mi disse e mi concesse uno dei suoi rari sorrisi. Non potei fare a meno di essere compiaciuta all’idea che sia lei che il mio datore di lavoro mi ritenessero ormai un membro effettivo dello staff.  D’altra parte, mi sembrava incredibile che fossero passati solo sei mesi dalla mia assunzione, considerando che spesso e volentieri avevo l’impressione di trovarmi in quel pub da molto più tempo.
“Vado subito, la ringrazio”.
Quando giunsi di fronte all’ufficio notai che la porta era semischiusa e allungai la mano per bussare ma il Signor Riddle, con la cornetta del telefono appoggiata all’orecchio, mi fece un cenno silenzioso affinché aspettassi. Rimasi quindi ferma sulla soglia dell’uscio, mentre lui era concentrato ad ascoltare il suo interlocutore. Notai che l’alta figura si era irrigidita e le sopracciglia si erano aggrottate per il disappunto. Persino il pomo d’Adamo sembrava in tensione e strinse in un pugno la mano libera. Chiunque stesse parlando, non gli stava dando notizie gradevoli.
“So benissimo che cosa sia l’inflazione, Shacklebolt!” aveva esclamato in tono risentito e quasi offeso. “Ma non posso aumentare ulteriormente i prezzi del listino!”
Non potei fare a meno di sentirmi a disagio, soprattutto all’idea di star ascoltando una conversazione di simile entità. Finsi di essere concentrata a osservare le mie unghie smaltate, domandandomi se non potessi indietreggiare senza farmi notare e aspettare una decina di minuti, prima di bussare nuovamente alla sua porta. Forse anche venti, a seconda dell’esito della conversazione.
“Perché non provi tu a far quadrare i conti senza licenziare nessuno o dissanguare i miei clienti abituali?” gli domandò il Signor Riddle, ma non attesa la replica del contabile e abbassò bruscamente la cornetta del telefono.
La sollevò di nuovo e sembrò in procinto di voler nuovamente digitare il numero, prima di scuotere il capo tra sé e sé. Aveva lo sguardo assente che vagava dal ricevitore alla parete spoglia del suo ufficio, ma una smorfia gli increspò le labbra e rabbiosamente prese a sbattere la cornetta a più riprese contro il ricevitore, come se stesse, così facendo, punendo Kingsley. Rimasi impietrita mentre infieriva sulla cornetta diverse volte, alternando ogni colpo a una parola: “Stupido… burocrate… saccente!” Gli cadde il ricevitore, ma lo raccolse senza scomporsi e riprese a sbattere la cornetta. Per quanto agghiacciata da quella visione, non riuscivo a smettere di guardarlo e tanto meno a lasciare la stanza.
Sussultai quasi nel sentire la voce di Rankin, come se mi fossi dimenticata del mondo esterno.
“Signor Riddle?” lo richiamò con l’intonazione che gli riservava quando cercava di accattivarsene l’attenzione o conquistarne la simpatia. Sembrò sbiancare alla vista del nostro datore di lavoro che, apparentemente indifferente alla nostra presenza, continuava a malmenare la cornetta.
“Signor Riddle!” lo apostrofò nuovamente in tono scandalizzato.
L’uomo alzò lo sguardo e lo fissò. Aveva le sopracciglia ancora aggrottate, le narici dilatate e gli occhi azzurri sembravano essersi tinti di una sfumatura più scura. Gli rivolse un’occhiata così gelida che io stessa sussultai dalla mia postazione. “Che vuoi?!”.
Il ragazzo sembrò raccogliere tutto il coraggio di cui era capace e deglutì a fatica prima di riprendere: “Signore, con tutto il rispetto, perché inveisce contro quel telefono? È solo un oggetto inanimato!” esclamò in tono di ovvietà, probabilmente nel tentativo di farlo tornare in sé. Era lodevole, dovevo concederglielo, il modo in cui addolcì il tono che sarebbe stato altrimenti saccente e petulante, come ogni volta che si sentiva in dovere di riprendere un collega.
Riddle non sembrò neppure dover riflettere perché la risposta gli uscì spontanea e naturale, mentre lasciava momentaneamente l’apparecchio. “Qui l’unico oggetto inanimato sei tu! SPARISCI![2]”.
Quasi a coronare quelle parole o a sfidare l’altro a contraddirlo, sbatté un’ultima volta la cornetta sul ricevitore. Poi afferrò l’intero apparecchio e lo gettò sul pavimento con veemenza.
Se non avessi percepito la tensione del momento, di fronte alla faccia prima esangue e poi paonazza di Rankin, avrei riso fino al giorno dopo. Quest’ultimo pigolò un commento di scuse e si affrettò a uscire dall’ufficio, mentre Riddle, le mani sui fianchi, contemplava il telefono ormai distrutto ai suoi piedi. Staccò la presa dalla corrente e lo calciò per assestarlo alla parete, di modo che non gli fosse di ingombro.
Quindi tornò a guardarmi con un’espressione molto più rilassata: “Desiderava?”.
Mi passai una mano tra i capelli, cercando di simulare un’espressione composta e tranquilla, come se non avessi appena assistito alla distruzione di uno strumento di lavoro. La voce, tuttavia, mi uscì tremula e dovette sforzarmi di non balbettare. “M-Madama Bumb mi ha riferito che voleva vedermi per il rinnovo del contratto.” Mi schiarii la gola: “Ma se preferisce, posso tornare…”
“Oh, giusto”, sembrò fare mente locale, annuendo con vigore. “Ce l’ho proprio qui”. Inforcò gli occhiali da lettura, estrasse un plico di pagine spillate da un faldone che teneva nella libreria alle sue spalle. Mi indicò la poltrona con un cenno della mano: “Si accomodi pure.” Mi invitò in tono tranquillo.
Mentre apponevo la firma non potei fare a meno di provare un dejà-vu: rividi la me stessa e il Riddle di qualche mese prima. Ricordai persino la lieve esitazione che avevo provato prima di firmare il modulo per la settimana di prove. Certe cose, fortunatamente, sembravano non poter cambiare.
 
~
Ventiquattro ore prima.
 
 
Uno dei nostri rituali preferiti, quando i rispettivi impegni lo permettevano, erano ritrovarsi al pub per la colazione. A quell’ora non era particolarmente frequentato e l’atmosfera era molto distesa e rilassata. Stavo ancora mangiucchiando la mia pasta, quando notai Morgana rivolgere ad Amy una di quelle sue occhiatine suadenti e piuttosto compiaciute, come chi ha la pretesa di aver compreso tutto quello che gli accade attorno e tutto ciò che riguarda le persone vicine. Aveva seguito con lo sguardo l’ingresso del Signor Riddle che ci aveva rivolto un breve cenno del capo, in risposta al nostro cordiale saluto.
“Deve mancarti tanto lavorare per lui…” commentò in tono divertito, pur premunendosi di parlare in italiano. “Tommaso Indovinello[3]”.
Quasi mi strozzai con la mia tazza di cappuccino a quel nomignolo, mentre Amy, al contrario, arrossiva e sbiancava nell’osservare la schiena dell’uomo, probabilmente temendo che potesse “intuire” l’oggetto del nostro divertimento. “Schhh!” la rimproverò, dandole anche una pacca sul braccio.
Non bastò a farla desistere perché la guardò con la guancia appoggiata a una mano e il sorriso persino più divertito: “Scommetto che è per lui che vieni tutte le mattine.”
“Ma che cosa dici?!” protestò Amy nella nostra lingua madre, le guance ancora arrossate. “Ho lavorato per anni in questo pub, è anche il minimo”.
La risposta di Morgana sembrò morirle sulle labbra quando sentimmo il suono del campanellino appeso alla porta. Ci voltammo istintivamente in quella direzione mentre Emma faceva il suo ingresso. Appoggiai la tazzina sul piattino e non potei fare a meno di studiarla: nel suo aspetto truccato e nell’abbigliamento ricercato non traspariva un cambiamento significativo dalla fine della sua storia con Tom. Sembrò sentire i nostri sguardi addosso perché si fermò vicino al nostro tavolo e un sorriso le increspò le labbra.  “Buongiorno a tutte, spero di non interrompere una chiacchierata intima”.
“Buongiorno.” Risposi pacatamente ma non avevo potuto fare a meno di notare l’enfasi con cui aveva pronunciato le ultime parole.
Morgana, d’altro canto, le rivolse il suo miglior sorriso lezioso, sbattendo appena le palpebre: “Non preoccuparti: non mancano occasioni per quelle”.
“Non hai lezioni stamani?” domandai io in tono casuale.
Emma si soffermò su di me con le sopracciglia inarcate. “Buffo, stavo per chiederti altrettanto delle prove”.
“Tra un’ora.” Risposi di riflesso. “Ma mi piace iniziare la giornata con buon cibo e una bella compagnia”.
“Capisco,” rispose senza smettere di sorridere. “Ad ogni modo questa mattina non ho impegni, vi lascio alla vostra colazione: buona giornata”.
“Vi lascio alla vostra colazione,” la scimmiottò Amy che prese a scribacchiare qualcosa sul blocco note del suo cellulare. Immaginai che avrebbe tratto ispirazione per una nuova vignetta.
Mi mordicchiai il labbro inferiore, ripensando a quella breve conversazione. Negli ultimi tempi tendevo ad analizzare dialoghi e comportamenti in modo quasi morboso. “Sono io quella paranoica o sembrava insinuare che dovessimo parlare di lei?”.
“Fai bene a pensare il peggio,” commentò Morgana. “Ma non diamole la soddisfazione di farle credere di essere al centro dei nostri pensieri.” Sorrise perché, come sempre, aveva in mente un argomento di conversazione molto più piacevole. “A proposito, non vi ho ancora raccontato della cena con Angel e Eoin!” Iniziò il suo resoconto dettagliato, senza mancare di una digressione (sinceramente non richiesta) sugli abiti indossati da tutti e quattro, con tanto di menzione delle marche e dei prezzi di listino. Solitamente Amy sbuffava e la incitava a darci qualche dettaglio effettivamente “interessante”, ma sembrava ascoltare solo in parte, lo sguardo castano che fissava un punto alle mie spalle. Mi parve di sentire la tiritera di Emma che, con voce tintinnante, stava spiegando il modo in cui preferiva il caffè.
“Ma vi pare?!” sbuffò Amy continuando a parlare in italiano e indicandola con un cenno della mano. “Sono passate appena due settimane da quando lo stronzo l’ha mollata e già ci prova con un altro?”
“Christian?!” domandai io incredula, alludendo al collega di turno. Non potendo voltarmi, finsi di voler controllare il mio riflesso da uno specchietto che avevo nella borsa e osservai le espressioni del ragazzo. Dovetti dargli atto che sembrava incassare la fiumana di parole di Emma in modo stoico, senza alterare la sua espressione ma annuendo e rivolgendole, quando necessario, un sorriso educato ma evidentemente distaccato.
Morgana inarcò le sopracciglia, concedendo alla scena appena trenta secondi della sua attenzione, prima di rivolgere ad Amy uno sguardo interdetto: “Sembra che la trovi attraente quanto Rankin”. Il paragone parve farla sorridere, ma si mise subito sulla difensiva quando Morgana le rivolse un sorrisetto sardonico. “Perché ti interessa?”.
“A chi? A me? Ma cosa dici?!” rispose di riflesso con voce appena più stridula. “Ma proprio per niente… mi dispiace soltanto perché è evidente che lo sta mettendo a disagio!”.
Inarcai le sopracciglia a quella precisazione, continuando a guardarlo dal riflesso dello specchio e scuotendo il capo. “Mi sembra imperscrutabile come sempre”.
“Diresti lo stesso se facesse quelle moine a Bradley?” mi provocò l’altra.
Senza accorgermene, stritolai il cucchiaino che reggevo ancora con la mano destra, mentre sentivo la risatina soffusa di Emma e provavo a immaginare che ci fosse qualcun altro al posto di Christian. “Gatta morta” sibilai.
“Continuo a non capire perché ti interessi tanto.” Riprese Morgana senza smettere di studiare l’altra con la coda dell’occhio. “Non sarai mica gelosa?”.
“Chi? Io?! Ma non è per Christian che lo dico!” ribatté con uno sbuffo quasi seccato. “Non sopporto le smorfiose come lei: mi darebbe fastidio se ci provasse anche con Rankin!” aggiunse con vigore.
Quasi mi strozzai una seconda volta al pensiero di quell’improbabile coppia: persino esteticamente sembravano cozzare incredibilmente l’uno con l’altra.
“E comunque credo che Christian sia gay, quindi tutta quella pantomima è inutile con lui!” Aggiunse come se ciò fosse il dettaglio più rilevante. “Solo che mi dispiace che possa sentirsi a disagio per i suoi modi svenevoli, tutto qui…”
Sbattei le palpebre con aria perplessa a quella supposizione: in verità non avevo mai sentito il collega fare alcun riferimento alla sua vita privata. Tanto meno alla possibilità di una relazione in corso o passata con chiunque.
Morgana rise e scosse il capo: “Io credo che il tuo gay-radar abbia bisogno di una revisione. Posso assicurarti che non è gay”.
“E tu che ne sai?” borbottò Amy per risposta e con aria piuttosto seccata.
“Possiamo fare un esperimento se vuoi” suggerì Morgana, lisciandosi i capelli con una mossa così casuale ma sensuale che Seamus, alle mie spalle, quasi rischiò di farsi cadere di mano il vassoio con le stoviglie sporche che stava riportando in cucina.
“Non farai un bel niente e smettila di guardarlo!” l’ammonì l’altra, parlando in un sussurro. “Mi bastano le figure di merda da ex dipendente, grazie! Comunque, ripeto: non lo dico per Christian. Mi danno fastidio quelle come lei. Se potessi, comprerei il locale solo per permettere l’ingresso a cani e porci, ma vietarlo alle smorfiose come Emma Watson che mulinano i capelli!”.
La mia coinquilina non sembrava del tutto convinta, ma io mi intromisi con una nuova riflessione, anche per evitare che cominciassero a bisticciare come loro solito. “Comunque sembra che si sia ripresa piuttosto in fretta dalla separazione”. Non potei fare a meno di sentirmi infastidita dal modo in cui lei avesse fatto una simile allusione nei miei confronti poco tempo prima.
“Non abbassare la guardia”, mi ammonì Morgana, distogliendo lo sguardo dall'altra. “Io farei così al posto suo: ti colpirei quando meno te l’aspetti”.
Mi lasciai sfuggire un verso ironico. “Molto rassicurante”.
“Vabbè, ragazze, oggi offro io,” commentò Amy e si rimise in piedi. “Vi darei un passaggio ma devo andare dall’altra parte della città e ho poco tempo”.
“Non ti preoccupare: buona giornata e buon lavoro”, la salutai con un sorriso.
“Non passi a salutare Tommaso Indovinello?” insistette Morgana.
“Smettila di chiamarlo in questo modo!” sibilò l’altra con le guance arrossate, facendoci ridere, fino a quando Percy, appena entrato, non guardò dall’una all’altra con aria interdetta. Si prese qualche secondo per controllare i propri abiti e sincerarsi di non aver dimenticato di sollevare la zip dei pantaloni, gesto che fece ridere anche Amy.
Piantò le mani sui fianchi e parve arrossire di sdegno: “Si può sapere cosa avete da ridere?!”.
“Niente!” rispondemmo in coro nella sua lingua, rivolgendogli il nostro sorriso più candido.
Ci rivolse una smorfia ma scosse il capo e si diresse verso lo spogliatoio, cercando di ignorare le nostre risatine di sottofondo.
 
Durante il tragitto in metro mi ero quasi assopita: era stata una giornata piuttosto lunga sia per le ore in Accademia, sia per il lavoro al pub. Ero stata in servizio dal dopo pranzo all’inizio del servizio serale. Inoltre, ero stata costretta a fare una commissione al supermercato perché Morgana mi aveva ricordato che avevamo quasi esaurito alcuni prodotti di uso quotidiano e mi stavo trascinando la borsa e un paio di sacchetti discretamente pesanti di generi alimentari. Mi fermai di fronte all’ascensore e imprecai sottovoce alla vista del cartello che indicava un guasto. Sospirai con aria sconfitta all’idea di dover salire più di cinque rampe di scale e con un simile carico addosso.
“Non è decisamente la mia giornata,” borbottai tra me e me.
Avevo appoggiato le buste a terra e stavo maledicendomi per aver smarrito le chiavi nel caos delle cose che portavo sempre con me. Dopo aver finalmente aperto l’uscio, risollevai le buste e lo richiusi con il piede, affrettandomi a raggiungere il tavolino del soggiorno per appoggiarvi la spesa. Mi tolsi il cappotto, mi sfilai le scarpe e strofinai le braccia indolenzite mentre riflettevo sulla possibilità di cucinare qualcosa di sbrigativo, senza cedere alla tentazione di ordinare qualcosa e di farmelo portare a casa.
“Ti offrirei una mano, se non temessi l’arrivo del tuo Cavaliere a difesa della tua virtù”.
Sussultai a quella voce familiare che aveva inaspettatamente infranto il silenzio, le mani ancora immerse nella borsa alla ricerca del cellulare per contattare Morgana e chiederle un parere sulla cena. Mi volsi con gli occhi sgranati e le labbra schiuse e fissai Tom con aria incredula per qualche secondo. Non potei fare a meno di chiedermi se non fosse stato nascosto per tutto il tempo, attendendo l’occasione propizia come quella: troppo impegnata con la spesa, avevo chiuso l’uscio ma senza dare un giro di serratura. Ne scrutai l’espressione: sembrava più serio che mai, ma anche piuttosto trascurato e trasandato. I capelli, che ormai gli arrivavano fino alle guance, erano scarmigliati come se vi avesse tuffato le mani dentro molteplici volte, gli abiti sembravano molto dimessi rispetto ai completi che indossava in Accademia e, mi accorsi con crescente apprensione, riuscivo a percepire uno sgradevole tanfo d’alcool provenire da lui.
Cercai di mantenere la calma, mantenendo il contatto visivo mentre nascondevo il cellulare nella tasca dei pantaloni “Che cosa ci fai qui?” domandai in tono pacato.
Lo sguardo non si staccò dal mio ma le labbra guizzarono in un sorriso fugace. Affatto divertito. E la sua voce sembrava più rauca del solito. “Mi sembra ovvio: ti stavo aspettando, love”. Aggiunse quel nomignolo quasi con aria minacciosa.
“Hai solo sprecato il tuo tempo,” risposi in tono determinato ma cercando di mantenere la calma. “Non abbiamo altro da dirci: voglio che tu te ne vada subito”.
Sorrise di nuovo e quell’espressione indugiò sul suo volto, rendendo l’effetto ancora più spiacevole. “Oh, no, mia cara, credo proprio che, al contrario, tu abbia molto da dire. Molte spiegazioni da dare”, precisò in tono d’accusa, additandomi.
Scossi il capo, non avendo la benché minima intenzione di perdere tempo con lui o fingere persino di riflettere al riguardo. “È evidente che tu non sia lucido,” risposi e sollevai le mani. “Per l’ultima volta: noi due abbiamo chiuso e non abbiamo più nulla da spartire, a parte lo spettacolo”.
Il cambiamento fu repentino nel suo sguardo che parve ispessirsi e divenire quasi liquido, la mascella si irrigidì, aggrottò le sopracciglia e le narici si dilatarono. Strinse i pugni lungo i fianchi “Smettila di mentire!”.
Un terribile sospetto mi si affacciò alla mente, seppur non potessi capire come fosse accaduto. Il mio cuore aveva iniziato a scalpitare più intensamente, ma cercai di controllare il timbro della voce e di non lasciar trasparire il mio stato d’animo. Avevo il timore che ciò non avrebbe fatto che peggiore la mia situazione. “La scelta è tua, Tom: o te ne vai con le buone o sarò costretta a chiamare-”
“Chi?” mi interruppe lui con voce grondante di divertimento e con sguardo maligno. “Il tuo fidanzato immaginario?” mi incalzò con voce beffarda e provocatoria.
Sembrò che un nodo mi stringesse la gola e la mia mente si congelò per qualche istante, mentre sbattevo le palpebre e continuavo a ripetermi che non fosse possibile. Doveva trattarsi di un brutto sogno: mi sarei svegliata da un momento all’altro e ne avrei persino riso.
Lui ridacchiò della mia espressione in modo beffardo. “Credevi davvero che non l’avrei scoperto?” mi incalzò con un sibilo e lo vidi nuovamente incupirsi. “Solo perché quel vecchio rimbambito di Silente ti ha dato dei privilegi, non significa certo che tu sia un’attrice provetta… per quanto quel fallito di Lupin cerchi di trasformarti in tale”.
Forse fu proprio sentirlo pronunciare quegli insulti a due persone che adoravo o l’ennesima dimostrazione della sua mancanza di rispetto nei loro confronti, ma strinsi i pugni lungo i fianchi. Presi un profondo respiro, prima di pronunciare le successive parole in tono deciso e serio: “Questa discussione non porterà a nulla di buono per nessuno dei due. Te lo chiedo gentilmente: vattene e mi comporterò come se tu non avessi mai fatto irruzione”.
Lo conoscevo abbastanza da sapere che non avrebbe affatto desistito e lo sentii ridere teatralmente, mentre si volgeva verso la porta, quasi ad assicurarsi di averla chiusa alle sue spalle. Approfittai dell’attimo di distrazione per avviare una telefonata a Morgana affinché potesse sentire la nostra conversazione.
“Così come hai finto per mesi interi di respingere le mie avances?” mi domandò quando la sua ilarità si interruppe. “Di non provare la stessa attrazione? Di non desiderare la stessa cosa?”.
Sentirlo pronunciare quelle parole con voce rauca, con quell’alito pesante e con quello sguardo mi procurò non poco disgusto e repulsione nei miei stessi confronti, contando quante volte mi fossi esposta a una situazione simile e non potessi cancellare quegli episodi che mi stava rinfacciando.
Scossi il capo e lo fissai risentita: “Non perderò tempo a discutere con te, tanto meno in queste condizioni,” lo indicai con una smorfia, “Vattene subito!”.
“Vi siete divertite abbastanza tu e le tue amiche?” mi domandò in un sussurro gelido che sembrava perfino più furioso. Seppur non nutrissi una profonda stima per Tom, non credevo che mi avrebbe fatto del male fisicamente, ma speravo che Morgana avesse risposto alla chiamata e che stesse arrivando. “Magari ti compiacevi persino di aver attirato la mia attenzione, ma se te lo fossi dimenticato, love, eri solo un discreto passatempo”, continuò a parlare con acredine.
Non potei fare a meno di incupirmi, attribuendogli un atteggiamento narcisistico e con tratti paranoici: evidentemente, dal suo punto di vista, l’unica spiegazione plausibile all’evolversi del nostro rapporto era stata una mia manipolazione volta a sedurlo per mero divertimento. Non sembrava riuscire a contemplare l’idea che avessi erroneamente interpretato le mie emozioni. Persino in quel momento, secondo la sua distorta versione del mondo, gli stavo negando una soddisfazione per mero dispetto. Dubitavo che avesse mai provato qualcosa di vagamente serio per me. “Stai delirando”.
“Al contrario, non sono mai stato tanto lucido”, rispose con una smorfia, inclinando il viso di un lato e guardandomi intensamente come se così facendo potesse bloccarmi. “Per mesi hai giocato con me, mi hai accusato di essere poco rispettoso della mia ragazza, mi hai giudicato dall’alto della tua cosiddetta levatura morale… sei solo una schifosa ipocrita”.
Mi odiai per la rabbia che sentivo in quel momento e che mi faceva prudere gli occhi, anziché avere una reazione più impulsiva come schiaffeggiarlo o assestargli un pugno. “Sei completamente pazzo!”.
Sorrise nel notare la mia voce tremula e avanzò di un passo con l’aria del gatto che giocava con il topo, mettendolo in trappola e godendosi la sua paura e il suo senso di impotenza, prima di sferrare il colpo fatale. “Ti piace tanto interpretare la parte dell’innocente verginella, ma sappiamo bene cosa sarebbe accaduto quella sera in quella cucina, se non fossimo stati interrotti”.
“Ringrazio ogni giorno che non sia successo davvero!”, mi sentii rispondere con foga. Maledissi la mancanza di un oggetto contundente a portata di mano, se si escludeva il cibo contenuto nelle buste.
Inarcò le sopracciglia e continuò a parlare con la stessa intonazione. “Ma poi hai cambiato idea e hai intessuto la tua tela intorno a qualcun altro. Eppure, sembrerebbe che lui ti abbia capita persino prima di me: forse dopotutto l’ho sottovalutato”. Si finse persino dispiaciuto di averlo giudicato male.
Fu il mio turno di ridere con aria sprezzante e non di meno schifata dalla sua ipocrisia. “La verità è che Bradley è più uomo di quanto tu sarai mai ed è questo che ti fa rodere nel profondo”.
Le mie parole parvero far breccia per un istante perché tacque e sembrò acquietarsi. Fu solo un battito di palpebre perché un altro sorriso, gelido e inquietante quanto il precedente, gli increspò le labbra e rise con aria quasi folle. Avanzò di un passo in mia direzione e sollevò una mano, parlando con il volto reclinato di un lato. “Sai qual è la parte più divertente di tutto questo?” mi incalzò con voce serafica, ma non attese che fingessi di voler rispondere. “Che, dopotutto, il tuo primo bacio lo avrò io in ogni caso”.
Sbattei le palpebre e mi sentii mancare l’aria, rendendomi conto di quanto la situazione stesse divenendo persino più sinistra e inquietante. Strinsi i pugni e mi concentrai sui suoi movimenti, pronta a scattare in caso di necessità e di colpirlo con tutte le mie forze.
“Ma non credo proprio che aspetterò Giugno.” Aggiunse in un sussurro e con un movimento brusco mi avvinse il braccio per attirarmi a sé.
“Lasciami!” gridai, strattonandolo e cercando di colpirlo sotto la vita, ma mi fu letteralmente strappato dalle mani.
Non mi ero resa conto dell’arrivo di Morgana e Sean, ancora ansanti per aver fatto di corsa le scale, fino a quando l’uscio non fu spalancato con tale forza da farlo sbattere contro la parete.  Il mio amico era rimasto congelato sulla soglia per un breve istante, gli occhi sgranati e le labbra schiuse, prima che il suo volto fosse completamente trasfigurato dalla rabbia. “Lasciala, bastardo!” gli urlò contro e si frappose tra noi. Fu un movimento naturale e fluido del braccio e lo colpì violentemente al volto con un pugno, facendolo cadere a terra.
Vidi fiotti copiosi di sangue scivolare dal naso di Tom, l’occhio appariva già arrossato e gonfio ma lui, dopo un istante di mero shock, riprese a ridere quasi in modo selvaggio.
Quasi neppure sentii la voce di Morgana che mi aveva cinto e mi stava chiedendo se stessi bene: non riuscivo a distogliere lo sguardo dal ragazzo che si era rimesso in piedi, barcollando leggermente e avvicinandosi al mio amico che appariva ancora rigido ma pronto a reagire.
“Tu…” stava indicando Sean con sguardo quasi folle. “Sei persino peggiore di lei. Per tutto questo tempo hai coperto le sue bugie.” Sibilò guardandolo con aria di profondo odio e di risentimento. I suoi lineamenti furono alterati dalla rabbia e la sua voce suonò molto più stridula e isterica: “Credevo che fossi mio amico!”
Sean, tuttavia, non distolse lo sguardo e ribatté prontamente, come se la risposta fosse sempre stata nascosta in un angolo remoto del suo cuore, ma non avesse mai avuto né il coraggio né la forza di pronunciarla. “Tu non lo sai cosa significa essere leali con qualcuno e mi dispiace soltanto di averci messo così tanto tempo per capirlo”. Non aveva gridato, ma la sua voce appariva così colma di sofferenza e di delusione che avrei quasi preferito che le sfogasse in modo più acceso. Inclinò il viso di un lato e gli rivolse uno sguardo minaccioso: “Adesso ricomponiti e vattene, o ti aiuterò io a farlo, ma ti avverto che non lo troverai piacevole”.
Si scrutarono per un lunghissimo istante in cui Morgana e io restammo immobili e quasi neppure in grado di respirare. Tom continuò a scrutare Sean come a studiarne le mosse. Rivolse infine a me un ultimo sguardo di puro astio e si diresse verso la porta con passo ancora malfermo. Il mio amico lo seguì, evidentemente volendo assicurarsi che uscisse davvero dall’edificio.
Mi sembrò che il mio corpo e la mia mente si fossero sdoppiati e stessi contemplando la scena dall’esterno: senza rendermene conto avevo cominciato a tremare e mi si era bagnato il volto di lacrime, pur non emettendo un singhiozzo. Morgana mi strinse a sé, carezzandomi i capelli e continuando a ripetermi che era tutto finito e che ero al sicuro. Soltanto quando vidi rientrare Sean che ci assicurò con un cenno affermativo che se n’era davvero andato, riuscii a tranquillizzarmi e lasciai che lui stesso mi stringesse.
“M-Mi dispiace,” mugugnai contro il suo maglione. Non sapevo esattamente per cosa mi stessi scusando: dei guai che gli avevo causato dal mio arrivo, della fine della sua amicizia con Tom, delle bugie che aveva dovuto coprire per mio conto e della situazione difficile in cui si era ritrovato nuovamente.
“Non hai motivo di scusarti,” sussurrò al mio orecchio in tono dolce e gentile. “Anzi, dovrei ringraziarti di avermi aperto gli occhi su tante cose”.
Mi stavo rilassando con una tazza di the che Morgana aveva preparato per tutti e quasi sussultai quando bussarono alla porta. Fu Sean ad alzarsi e ad andare ad aprire e sgranai gli occhi nel vedere Amy sulla soglia: aveva ancora addosso il tailleur da ufficio, ma i capelli, che stava facendo ricrescere, si erano allentati dall’acconciatura. Aveva il fiatone, le guance rosate e una pentola tra le mani. “Dov’è quel bastardo?!” domandò, facendo saettare lo sguardo tutto attorno. “Non è la pentola della Signora Weasley, ma servirà comunque allo scopo[4]”.
Persino Sean rise e scosse bonariamente il capo: “Temo che tu sia arrivata in ritardo: vieni a sederti”.
 
Sean era uscito per comprare qualcosa per cena e per lasciarci a una chiacchierata femminile. Avevo il sospetto che sentisse il bisogno di star solo per metabolizzare la fine della sua “amicizia” con Tom.
Cercando di controllare il tremito della voce, avevo iniziato a raccontare di come ero stata sorpresa alle spalle e di come ero riuscita a telefonare a Morgana. La mia amica proseguì da lì, riferendoci della sua sorpresa e dello sconcerto del sentirmi parlare con qualcun altro. Era stata una fortuna che si trovasse ancora con il suo ragazzo ed entrambi si erano precipitati a casa per aiutarmi. Lasciai che fosse lei, con non poca soddisfazione e compiacimento, a raccontare dell’intervento repentino ed efficace di quest’ultimo. “Tra parentesi è stato particolarmente eccitante.” Concluse con un’occhiatina più maliziosa, nel tentativo di stemperare la tensione.  
Amy era rimasta a bocca aperta, probabilmente provando a immaginare la scena: “Che peccato essermela persa,” dichiarò con uno sbuffo, prima che lo sguardo si rabbuiasse e mi osservasse, come per voler valutare sé stessi realmente bene. “Ma c’è una cosa che ancora non riesco ancora a capire: come accidenti ha fatto a scoprire la verità su Matteo?!”.
Sbattei le palpebre a più riprese e incrociai il suo sguardo. Ero stata talmente presa dal precipitare degli eventi da non essermi più posta quella domanda essenziale e dal non aver più riflettuto su quel “particolare”. Tom era visibilmente arrabbiato per quel motivo e aveva persino bevuto, forse per darsi il coraggio e la determinazione per arrivare da me e pretendere la mia ammissione.
“Emma.” Rispose Morgana, infrangendo il silenzio e guardando dall’una all’altra. Annuì con fervore di fronte al mio viso pallido e alla mia espressione interdetta. “Pensateci bene: tutto torna. Ti ha praticamente imboccato la bugia sul fidanzato italiano e per settimane ti ha dato il tormento per chiederti i dettagli, nella speranza che ti tradissi. Per non parlare dell’annuncio del ballo e delle sue continue insistenze sull’occasione ideale per farlo arrivare dall’Italia”.
L'altra stava annuendo a ogni frase, ma io continuavo a cercare di ricordare i dettagli più esaustivi dei nostri dialoghi: da quel giorno al pub in cui tutto era iniziato, ai pranzi alla mensa, fino a quella sorta di minaccia dopo Natale.
“Avresti dovuto fidarti del tuo istinto fin da subito,” mormorò Morgana. “Ricordi quelle sensazioni di disagio che provavi in sua compagnia? L’impressione che la sua gentilezza fosse solo finzione e che ti stesse mettendo in difficoltà fin da subito per intimidirti?”
“Sono stati i tuoi primissimi clienti,” intervenne Amy, “e sono pronta a scommettere che si è stranita fin da subito, quando Tom ha ammesso di averti già conosciuta, mentre tu lo negavi con forza. Sei stata nel suo mirino fin dall’inizio, anche se non te ne rendevi conto e cercavi di trovare una giustificazione[5]”.
Mi massaggiai la tempia, sentendola pulsare dolorosamente, ma cercando di restare il più possibile lucida per collegare i tasselli di un puzzle che mi era stato costruito attorno ben prima che me ne rendessi conto. Tuttavia, c’era ancora qualcosa che non mi convinceva di quella storia. “Ma se anche fosse, questo non spiega come abbia fatto a scoprirlo. In fondo avevamo Dario a coprirci le spalle”.
“Il tuo blog!” esclamò Amy, colta da quell’illuminazione improvvisa.  “E’ pubblico, no?”.
Morgana imprecò. “Abbiamo protetto tutti i tuoi social e questo deve averla insospettita ancora di più! Come abbiamo fatto a dimenticarci del blog?!” convenne nel portarsi una mano tra i capelli con espressione di profondo rammarico.
Scossi il capo, guardando dall’una all’altra e alzando le mani. “Il blog è in italiano”.
Amy sbuffò. “Oh, avanti: persino io ai miei primi tempi al pub, riuscivo a cavarmela con Google Translate. Coi suoi modi leziosi, scommetto che ha assunto persino qualche hacker per tenerti sotto controllo e visto che continuavi a rifiutarle l’amicizia su Facebook, deve aver sospettato che le nascondessi qualcosa e ha fatto in modo di tradurre ogni tuo post. Meno male che non avevi più tempo di scriverci ultimamente!”.
“A parte quell’articolo sulle bugie di recente”, sospirò Morgana per poi rabbuiarsi ulteriormente. “Deve essere andata così…” approvò il ragionamento della nostra amica. “Forse sapeva persino che Tom aveva comprato il libro di Sherlock e ha inscenato quella pantomima di proposito, così che tu lo affrontassi e decidessi di allontanarlo una volta per tutte”.
Amy appariva parimenti impressionata e disgustata. “Nonostante tutto, probabilmente se lo sarebbe comunque tenuto, se non le avesse dato il benservito”. Ci rifletté sopra e si incupì ulteriormente.  “Non poteva sopportare l’idea che non solo l’avesse lasciata dopo tutti quegli anni, ma persino che volesse tornare alla carica con te. Deve avergli spiattellato tutta la verità su Matteo o persino mostrato i tuoi post, così che poi ti affrontasse e magari tu decidessi di abbandonare lo spettacolo!”.
Sentivo lo stomaco serrato e una crescente sensazione di nausea e di orrore alla realizzazione di aver assecondato, senza saperlo, tutti i machiavellici piani di Emma. Doveva aver imparato a conoscermi in tutto questo tempo e a usare le mie debolezze. Chissà quanto divertimento aveva tratto nel vedermi agire come aveva previsto in diverse circostanze. Adesso che le mie amiche stavano ripercorrendo a ritroso gli ultimi mesi, sembrava fin troppo ovvio. Non potevo fare a meno di sentimi ulteriormente sciocca e ingenua per non essermene resa conto prima. Tutte le risposte erano state di fronte a me per tutto il tempo.
Morgana aveva le sopracciglia ancora contratte e guardò dall’una all’altra con espressione cospiratoria: “Scommetto che Bradley sarà il prossimo obiettivo: un ulteriore modo di infastidire Tom e vendicarsi di te. È una fortuna che tu gli abbia già parlato. Sai cosa devi fare adesso, vero?”.
Sospirai, passandomi una mano tra i capelli, desiderando che quella lunga giornata finisse al più presto. “Chiamare Lupin e fargli venire un infarto con la mia richiesta di dimissioni?” domandai in tono velatamente ironico. “Ci sto seriamente pensando,” confessai loro, pur consapevole che non avrebbero approvato una simile iniziativa.
Amy aveva imprecato: “Fallo e ti disconosco per sempre e poi ti rubo Bradley!”.
“Non lo starai pensando sul serio, vero?” mi incalzò Morgana con espressione realmente sorpresa e indignata insieme. “Piuttosto dovrebbero estromettere Tom!”.
L'altra sospirò per risposta. “Se fosse accaduto in Accademia, forse…”. Aggrottò le sopracciglia nell’osservare entrambe: “Piuttosto… dovreste richiedere un’ordinanza restrittiva e dico sul serio!”.
Morgana annuì con fervore. “Lo farò domani per prima cosa e consegnerò una sua foto in portineria così che non possa più entrare. Anche se non mi sarebbe dispiaciuto accecarlo coi miei tacchi, se Sean me lo avesse permesso”.
Sospirai, sentendomi più che mai stanca di tutta quella situazione. Arrivai persino a rimpiangere quella serata a casa dei Biggerstaff, quando avevo aperto l’uscio di ingresso ed era tutto iniziato. Se anche Sean prima o poi fosse stato costretto a presentarmelo, ciò sarebbe avvenuto in altre circostanze. Questo, tuttavia, significava anche rinunciare alle cose belle di questa esperienza: conoscere Silente, Lupin e, non in ultimo, Bradley.
Fu proprio quel nome a riscuotermi quando fu Morgana a pronunciarlo, appoggiando la mano sulla mia. “Dovresti chiamarlo”.
“Fallo subito… dammi retta o non troverai più il coraggio!” intervenne Amy.
Sbattei le palpebre, ancora frastornata. “E raccontargli tutto questo?!”. Di fronte ai loro cenni di assenso mi sentii persino più inquieta. “Io non credo che sia il caso”, mormorai e mi morsi il labbro. Di fronte alle loro espressioni incredule, continuai: “Non voglio apparirgli così vulnerabile… e non vorrei che questo pretesto lo inducesse a darmi una seconda occasione, se ha bisogno di ulteriore tempo”, aggiunsi con voce tremula e un moto di vergogna.
Parvero entrambe spiazzate dalla mia reazione ma più che determinate a farmi ragionare.
“Qui non si tratta di voi due,” iniziò Morgana in tono più dolce. “Non gli avevi promesso che avresti fatto tutto il necessario per riconquistarne la fiducia e la stima? Cosa penserebbe se lo venisse a scoprire da qualcun altro? Supponiamo che Tom si vanti in Accademia di essere venuto da te. O che Emma insinui che avete un flirt alle sue spalle!”.
“Vorrebbe saperlo da te!” rincarò la dose Amy. “Hai mentito in passato, ma questo non giustifica di certo il comportamento di Tom. E, se proprio vogliamo dirla tutta, se Bradley non riuscisse a farsi passare la delusione per la tua confessione, forse neppure lui è la persona che tu speravi”.
L’altra ragazza le scoccò un’occhiata ironica, seppur avesse annuito con aria di approvazione: “Non lo starai dicendo perché segretamente speri di avere un’occasione per provarci con lui, vero?”.
“Ma cosa dici?!” la rimbeccò l’altra pur con le guance arrossate.
“Forse avete ragione,” convenni in tono stanco. “Datemi un paio di minuti”.
Mi sollevai dal divano e mi diressi verso la mia camera e mi lasciai cadere sul letto, sentendomi quasi crollare per la stanchezza fisica e psicologica. Avrei solo voluto addormentarmi, risvegliarmi e scoprire che le ultime ore erano soltanto frutto di un sogno particolarmente inquietante, causato dallo stress e dall’ansia per le varie situazioni che stavo affrontando.
Sentivo le loro voci sommesse nel soggiorno e sapevo che stavano solo attendendo che raccogliessi il coraggio o molto probabilmente avrebbero composto il numero per poi costringermi a parlargli. Accarezzai il bigliettino di San Valentino che avevo conservato e cercai il suo numero in rubrica, affrettandomi a premere il pulsante della cornetta prima di cambiare idea. Sentii il segnale della linea libera e mi domandai quale espressione gli avrebbe attraversato il volto nel vedere il mio nome lampeggiare sul display. Rispose al terzo squillo e sentii un nodo in gola quando pronunciò il mio nome con l’accento britannico.
“Ciao Bradley,” mormorai per risposta, sentendo la voce ancora tremula. “Spero di non disturbarti”.
“No,” rispose fluidamente. “Ma stai bene? Sembri turbata” mi domandò in tono gentile.
“No, non va tutto bene,” risposi sinceramente, pur cercando di controllarmi per non rischiare di scoppiare a piangere al solo sentirne la voce. “Preferirei parlartene di persona: ti sarebbe possibile raggiungermi?”.
Dai rumori in sottofondo intuii che si era già alzato e aveva raccolto le chiavi dell’auto. “Sto arrivando”.
“Grazie Bradley, ti aspetto”. 
 
Lo aspettai in camera, dopo essermi riassettata i capelli e aver sciacquato il volto. Scambiò pochi convenevoli con le mie amiche e bussò all’uscio della mia camera, seppur la porta fosse ancora socchiusa. Lo invitai ad entrare e notai che si era già tolto la giacca e appariva confuso e preoccupato.
“Stai bene?” mi incalzò prima che avessi il tempo di salutarlo. “E’ di nuovo successo qualcosa al lavoro?”.
Scossi il capo. “Fisicamente sto bene.” mi affrettai a precisare, sollevando le mani quasi a dargliene una conferma implicita. Mi morsi il labbro prima di riprendere: “E’ successo qualcosa di spiacevole che riguarda Tom ed Emma.”
Sospirò ma non parve particolarmente sorpreso. Mi sforzai di sorridere per non farlo preoccupare troppo: “Credo sia meglio che ti sieda: forse dovrei chiedere alle ragazze di preparare una camomilla” cercai di smorzare la tensione. Ricordavo come Amy mi avesse bonariamente rimproverato di aver optato per il tiramisù, un dessert a base di caffè, prima di svelargli le mie bugie su Matteo.
Mi si avvicinò e sedette al mio fianco ma scosse il capo: “Arriviamo al punto per favore”.
Annuii ma dovetti esordire con una premessa: “Circa due settimane fa Tom ha deciso di porre fine alla sua relazione con Emma. Noi lo abbiamo saputo poco dopo da Sean”.
Bradley sbatté le palpebre e la sua mascella si indurì. Annuì tra sé e sé come se stesse trovando conferma ai suoi dubbi e incrociò le braccia al petto. “Immagino che non abbia perso tempo per tornare da te”. Fu solo in virtù del suo straordinario talento nella recitazione, immaginai, che riuscisse a pronunciare quelle parole senza evidente disapprovazione o rancore nei confronti del ragazzo.
Annuii. “A suo dire avevamo un conto in sospeso,” mi morsi il labbro prima di aggiungere: “Sa tutto, Bradley. Ha scoperto le mie bugie su Matteo ed era completamente fuori di sé…”
Non riuscì a dissimulare la sorpresa e la confusione a quella dichiarazione e sgranò gli occhi, sciogliendo la postura rigida delle braccia e guardandomi con una nuova apprensione: “Ma come è possibile?”.
“Non lo so per certo,” risposi e mi sentii nuovamente male al valutare le riflessioni che avevamo condiviso poco prima. “Le ragazze sono sicure che ci sia sempre stata Emma dietro a tutto, che abbia approfittato di me e che io abbia assecondato senza volere tutti i suoi stratagemmi”.
Il ragazzo si concesse qualche secondo per pensarci e strinse le labbra: “Avrebbe senso, ma dimmi come ha reagito quel verme,” mi esortò e mi strinse la mano. “Ti ha minacciato?!” domandò in tono così infervorato che deglutii a fatica.
“Sto bene.” Ripetei. Non solo per impedire che si agitasse ulteriormente, ma anche perché una parte di me aveva bisogno di continuare a ripeterselo per non indugiare in pensieri più amari su cosa sarebbe potuto accadere se i miei amici non fossero giunti. Se Tom fosse stato lucido e se non fossi stata tanto sciocca dal non chiudere subito a chiave la porta alle mie spalle.
Bradley avvampò di rabbia: “Allora ti ha aggredito!” ruggì quasi.
“Per favore, calmati”, lo supplicai e, a fatica, restò seduto ma mi fece cenno di parlare.
Cercai di riassumere la sequenza degli eventi in modo da dargliene una visione il più obiettiva possibile, ma il suo volto era una maschera di indignazione, di risentimento e di puro odio. Alla fine del mio racconto si alzò e cominciò a vagare per la stanza ma con movimenti più scoordinati di quando stava cercando un modo di contenersi dopo la mia confessione nel suo appartamento. Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi nel commentare il tutto con voce rabbiosa e sdegnata che mi fece sussultare. Non in ultimo perché era la prima volta che lo sentivo imprecare in modo volgare.
Figlio di puttana![6]”. Si volse verso di me: “Dimmi dove abita!” mi ordinò energicamente.
Scossi il capo e sollevai le mani. “Era proprio per questo che non volevo dirtelo!”.
“Lo stai difendendo? Nonostante questo?!” Mi domandò con il volto improvvisamente infiammato di stizza persino all’eventualità.
“Certo che no!” ribattei indignata mentre la mia voce si faceva più stridula e sentivo le mie amiche agitarsi nell’altra stanza. “Ma tu sei di gran lunga un uomo migliore di lui e…”
Bradley fece una smorfia a quel commento e mi interruppe: “Se non vuoi dirmelo tu, costringerò Sean a parlare!”.
“Posso assicurarti che non lo saprai né da me né da lui”, ribattei in tono più pacato ma deciso.
Ci squadrammo ai due lati della stanza, entrambi caparbi e intestarditi nella nostra posizione: dopo quello che parve un lungo attimo Bradley sospirò. Le parole successive furono pronunciate in tono più amareggiato. “Vorrei solo che ti sentissi libera di parlarmi di tutto: soprattutto quando succede qualcosa del genere. Non sopporto l’idea di doverlo scoprire da qualcun altro o che siano le tue amiche a costringerti a parlarmene…”.
Sussultai nel rendermi conto che ormai mi conosceva abbastanza da aver intuito la mia reazione naturale all’accaduto. “Lo so,” mormorai e mi morsi il labbro. “Hai ragione, ma avrei voluto riuscire a cavarmela da sola”.
Sospirò e mi guardò per un lungo istante prima di avvicinarsi e, con un gesto più delicato, mi cinse la vita e mi attirò al suo petto, inducendomi a rilassarmi a quel contatto. Era come se, nonostante le tensioni degli ultimi tempi, non mi fossi dimenticata del calore e della solidità del suo corpo.
“Ammiro la tua forza d’animo, ma devi ricordarti che non sei sola, soprattutto in questi momenti”, sussurrò al mio orecchio. Per la prima volta, nelle ultime ore, mi sentii al sicuro. In quel momento, cullata dalla sua presenza, ebbi l’impressione di poter realmente affrontare ogni cosa.
“Chiamerò Lupin questa sera stessa,” sussurrò al mio orecchio, quasi gli dispiacesse infrangere quel momento di stasi nel quale avrei quasi potuto illudermi di annullare tutto ciò che era accaduto dopo la nostra cena. “Non posso permettere che lui continui lo spettacolo”.
Mi morsi il labbro ma mi scostai per guardarlo e scossi il capo.  “Sai bene che lui e Silente non hanno autorità al di fuori dell’Accademia,” mormorai in tono tranquillo, “inoltre non voglio che Tom mi creda intimidita da lui e dai suoi comportamenti…”. Dovevo almeno preservare una parvenza di compostezze e di tranquillità, seppur ciò che era accaduto non avrebbe mai potuto essere dimenticato da nessuno dei due.
Bradley inclinò il viso di un lato con le sopracciglia nuovamente aggrottate: “Dovrebbero comunque saperlo, soprattutto se continua ad essere un pericolo per te o per qualcun altro. Non possiamo fidarci di lui”.
Il punto era quello, mi resi conto con profonda amarezza. Seppur Tom non si fosse sempre comportato in modo gentile o sincero e tanto meno leale nei miei confronti o in quelli di Emma o di Sean, e la mia stima e la mia fiducia nei suoi confronti si fossero incrinate da tempo, non avevo mai messo in dubbio che, pur coi suoi difetti, non mi avrebbe mai fatto del male. Certamente l’alcool gli aveva dato maggiore determinazione e risolutezza ma non potevo più provare a giustificarlo o a sminuire.
“Sei sicura di stare bene?” mi incalzò nuovamente Bradley in tono più preoccupato. “Ti assicuro che non lo perderò di vista un solo istante quando saremo in Accademia e ti staremo tutti vicino perché non provi nuovamente a tenderti un’imboscata”.
Nonostante tutto, non potevo, anche in quell’occasione, che essere grata della sua presenza e degli amici che non avrebbero esitato a starmi vicino e a farmi sentire protetta, al punto da commuovermi. Ma non potevo mentirgli e scossi il capo. “Una parte di me non può fare a meno di pensare che me la sono cercata: tutto questo non sarebbe accaduto se non avessi mentito e”
Mi appoggiò le mani sulle spalle e mi guardò intensamente, inducendomi a tacere. “Non hai motivo di incolparti: hanno deliberatamente scelto in più occasioni e di loro spontanea volontà di farti del male.” Specificò e il suo volto si contrasse in una smorfia di mero disprezzo e di risentimento al pensiero. “Adesso, nonostante tutto, puoi sentirti libera dalle bugie. Dovrai avere pazienza per un paio di mesi e ti libererai definitivamente di loro”, mi incoraggiò con un sorriso. “Hai investito troppo in questo spettacolo perché lui te lo rovini. D’accordo?”.
Riflettei su quelle parole e nonostante tutto non potei che annuire e sorridere all’idea che tutte le carte fossero state scoperte, mio malgrado, e che non avrei più dovuto temere le conseguenze. Indugiai nel suo sguardo e non potei fare a meno di sentire un dolce effluvio di calore che poco aveva a che fare con il calore di quella vicinanza. “Grazie di essere accorso… nonostante tutto”.
Lui inclinò il viso di un lato, sorridendo con un’ombra di mestizia e mi scostò una ciocca di capelli dal volto. “Sono stato molto duro con te…” sussurrò con evidente rammarico.
Scossi il capo fermamente. “Niente affatto,” asserii senza esitazione, “sei stato sincero e è quello che apprezzo più di tutto”.
Mi guardò più intensamente, come volesse scavarmi dentro e al contempo proiettarmi un futuro possibile che mai come quella sera mi sembrò nuovamente possibile. “Non avrai altro che sincerità da me. Sempre”.
La risposta mi morì sulle labbra, ma ne trattenni la mano e mi riscossi quando sentii bussare alla porta. Morgana, dopo aver ricevuto il permesso, fece capolino con la testa e guardò dall’uno all’altra. “Scusate se interrompo, ma è tornato Sean con la cena: ti fermi con noi?” aggiunse in direzione di Bradley.
Il ragazzo mi osservò come a chiedere una mia opinione, inclinò il viso di un lato e mi rivolse un sorrisetto più impudente. “Solo se mi prometti una tazza del tuo famoso budino al cioccolato come dessert”.
Risi per risposta ma annuii. “Credo che tu lo abbia meritato,” convenni per poi sorridere alla mia amica. “Arriviamo subito, grazie”.
 
~
 
Il giorno dopo, in Accademia, Tom aveva ancora il naso e le labbra tumefatte. Sembrava anche più pallido del solito e con le occhiaie in evidenza. Quando Lupin lo chiamò affinché salisse sul palco e notò quei particolari, sembrò sull’orlo dello svenimento.  “Felton, cosa diavolo è successo al tuo viso?” domandò in tono quasi sgomento. Bradley, al suo fianco, ammorbidì le labbra per in un fugace sorriso, prima di assumere un’espressione neutrale ma lo scrutò a sua volta, con le braccia incrociate al petto, probabilmente in attesa di scoprire come si sarebbe giustificato.
Tom sembrò rivolgersi più a lui che all’insegnante nello stringersi nelle spalle, a voler sminuire il tutto: “Un piccolo incidente: niente di che.” Spiegò in tono asciutto.
L’uomo sospirò e scosse il capo prima di rivolgersi a tutta la classe: “Ve lo chiedo per favore, siate prudenti: l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è che vi infortuniate prima dello spettacolo…” si raccomandò, prima di cercare nella sua borsa consunta il plico del copione. “Riprenderemo da dove siamo rimasti la scorsa settimana: il duello tra William e Duncan,” propose per poi guadarsi attorno, “Oh no, manca Robert quest’oggi” sospirò con evidente frustrazione. “Vorrà dire che andremo avanti con la scena successiva…”
Bradley si schiarì la gola, rivolgendogli il suo sorriso più affabile e premuroso. “Non è necessario. Sarei felice di poterlo sostituire: ho esperienza con la spada, sempre che per Tom non sia un problema,” ne cercò lo sguardo e il sorriso si fece più ampio, “potrei insegnargli un paio di trucchi”.
Si scrutarono per un lungo istante nel quale parvero comunicarsi con lo sguardo il reciproco astio, ma nessuno dei due sembrava intenzionato a cedere di fronte all’altro. Io mi morsi il labbro, domandandomi se non fosse il caso di intervenire con qualche pretesto, ma Lupin non parve affatto rendersi conto della reale atmosfera tra loro.
“Sarebbe davvero molto premuroso da parte tua, Bradley,” lo lodò con sincero entusiasmo e gratitudine, “te la senti, Felton?”.
Quest’ultimo si alzò in piedi, le mani conficcate nelle tasche dei pantaloni eleganti e un sorriso irriverente: “Ne sarei estasiato,” mormorò per risposta, “abbiamo un conto in sospeso dopotutto”.
Di fronte allo sguardo perplesso di Lupin, Bradley sorrise persino più serafico: “Gli ho promesso il giorno in cui ci siamo conosciuti che gli avrei mostrato le mie abilità da spadaccino”.
“Magnifico,” commentò distrattamente, “hai bisogno di leggere le battute di Duncan?”
Bradley scosse il capo: “Le ricordo bene: le ho provate con Robert la scorsa settimana”. Fece cenno a Tom verso il palco e quest’ultimo lo precedette con la tipica spavalderia. Incrociai lo sguardo di Bradley, ma lui mi rivolse un breve sorriso, quasi a schermire le mie preoccupazioni.
Sentimmo la suoneria di un cellulare e ci voltammo verso Lupin che appariva scosso. “Scusatemi: è mia moglie: devo rispondere”. Era piuttosto comprensibile che, all’avvicinarsi della fine del termine della gravidanza, dovesse essere sempre raggiungibile.  “Voi iniziate pure senza di me…” rivolse un cenno ai due ragazzi e si allontanò per poter sentire meglio la comunicazione.
I due contendenti si scrutarono l’un l’altro con aria guardinga, prendendo le reciproche spade e camminando ai rispettivi angoli. Vidi un sorriso suadente increspare le labbra di Bradley nell’indicare il volto dell’altro con un cenno del capo: “Ti fanno male le labbra quando parli?[7]”.
Tom assottigliò gli occhi quasi a ridurle in due fessure: “L’ho pensato fin dall’inizio che fossi un presuntuoso. Ma non avevo capito che fossi anche così idiota da provocarmi quando ho in mano un’arma…” gli fece notare, giocherellando con l’elsa. “Oh, scusa… vuoi chiamare Lupin o Silente per proteggerti?”.
Bradley ridacchiò con aria strafottente. Ripensandoci bene, fin dal loro primissimo incontro, il loro modo di interagire era stato all’insegna della reciproca ironia e di una buona dose di competitività. “Ti potrei distruggere con un soffio”, gli disse con un sorrisino compiaciuto di sé stesso.
L’altro inclinò il viso di un lato: “Io potrei distruggerti con meno…” sibilò per risposta.
Bradley inarcò le sopracciglia con aria teatralmente scettica: “Ne sei sicuro?”.
Tom non rispose ma si tolse la giacca con aria enfatica, rigirandosi la spada tra le mani.
L’altro rise, stringendo la propria: “Mi sono addestrato per oltre tre anni”, gli disse quasi a mo’ di avvertimento.
“Da quanto ti addestri per essere un idiota?” lo incalzò l’altro in tono sferzante.
Si fece scuro in volto: “Non puoi rivolgerti a me in questo modo”.
“Scusami,” replicò con un sorriso affettato e la voce grondante di sarcasmo, “riformulo la domanda: da quanto si addestra per essere un idiota, signor James?”.
Sorrise, quasi fosse realmente lusingato dalla rettifica. “Molto meglio, grazie”.
Si scambiarono un altro lungo sguardo prima che Tom coprisse la distanza per lanciarsi contro di lui: Bradley sembrò dapprima lasciarlo fare, studiandone i movimenti energici, pieni di foga, ma poco coordinati. Sembrava agire per istinto, senza una reale strategia o una reale consapevolezza di ciò che stesse facendo.  L’altro si muoveva in modo più fluido e naturale e riuscì prontamente a difendersi e a schivarlo.
Non stavano neppure fingendo di recitare e nessuno dei due aveva pronunciato le battute previste per quella scena. Persino il brusio degli altri studenti, che avevano commentato in modo animato e confuso quello scambio di battute, si era spento ed era calato un silenzio irreale. Seguivamo i loro movimenti come se fossero parte stessa dello spettacolo. Senza rendermene conto mi ero drizzata dalla mia postazione, atterrita all’idea che si facessero realmente del male.
Tom si scagliò contro Bradley con particolare impeto, cercando di metterlo alle strette, ma i riflessi del secondo erano eccezionali e riuscì a schivare un colpo di spada dall’alto. Nel volgersi rapidamente, gli assestò una gomitata, un lieve colpo al fianco e uno sulla fronte, facendolo cadere. Calciò via la sua spada, lasciandolo disarmato e ansante ai suoi piedi, ma con lo sguardo carico di odio e di risentimento. Bradley gli puntò la spada contro la gola, mentre un sorriso vittorioso gli increspava le labbra.
Fu così che li trovò Lupin che parve completamente spiazzato, tanto da guardare dall’uno all’altro.
“Professore?” sentii chiamare Tom con voce vagamente risentita. “Potrebbe ricordare al suo Assistente che la scena non finiva così? Curioso che non lo sappia, dopo aver detto di averla provata con Robert”.
L’uomo salì sul palco e si passò una mano tra i capelli brizzolati. “Ehm, da quello che ho notato, è stato molto intenso, Bradley,” mormorò e parve solo in quel momento domandarsene il motivo. “Tuttavia, Felton ha ragione: doveva essere lui a disarmarti”.
Bradley simulò un’espressione contrita e imbarazzata: “Chiedo venia: devo essermi lasciato trasportare troppo,” spiegò in tono pacato ma guardando Tom con un sorriso affabile, “spero di non averti spaventato”.
“Ti dispiacerebbe smettere di puntarmela contro?” gli domandò risentito, afferrando la spada per la punta.
“Attento, potresti farti ancora male,” commentò Bradley ritirando l’arma ma continuando a osservarlo con le sopracciglia aggrottate. Anche se non fossi stata coinvolta nelle loro interazioni, non avrei potuto fare a meno di pensare che la minaccia non riguardasse esclusivamente la lama tagliente.
“O forse sarai tu a fartene la prossima volta” replicò Tom con altrettanta freddezza.
L’altro serrò la mascella e sembrò in procinto di ribattere ma sussultammo tutti quando sentimmo un battito di mani. Mi volsi in quella direzione e scrutai Silente tra le due file di poltrone come quando, qualche mese prima, aveva annunciato l’arrivo di Bradley. In quel frangente, sembrava un uomo diverso a causa della mancanza del tipico sorriso allegro e spensierato: seppur magro e fragile emanava un’aura di potere che mi impressionò non poco. “Davvero un’ottima performance, signori: molto realistica e vissuta” commentò pacatamente, ma sembrava insinuare cose molto più serie. “Mio caro Remus, temo di dover annullare le prove previste per questa mattina”.
“Che cosa?!” domandò quest’ultimo che divenne persino più pallido alla prospettiva. “Ma Preside, mancano appena due mesi allo spettacolo! Non possiamo permetterci di sprecare tempo!”
L’uomo più anziano lo fece tacere con un cenno della mano e scosse il capo: “Ho urgenza di parlare con entrambi i protagonisti del tuo spettacolo e credo sia bene che sia tu che il tuo Assistente siate presenti durante i colloqui”.
“E’ successo qualcosa?” domandò Lupin confuso, guardando noi tre come se solo in quel momento cominciasse a nutrire qualche sospetto.
Neppure volendo sarei riuscita a tranquillizzarlo: avevo il cuore in gola e le guance imporporate ma non osavo incrociare lo sguardo degli altri.
“Tutto a tempo debito,” rispose garbatamente Silente per poi rivolgermi un breve sorriso. “Mia cara, mi perdonerai se sarò poco cavaliere e parlerò prima con Thomas. Potrai aspettarci nell’ufficio del Vicepreside e con una buona colazione offerta da me”. Al mio cenno di assenso, si rivolse al resto della classe e placò i sussurri carichi di confusione e di sorpresa. “In quanto a voi, vi consiglio caldamente di approfittare di questo tempo extra per studiare in vista degli esami di fine corso”.
 
Avevo seguito le indicazioni di Silente e mi ero fermata nell’ufficio del vicepreside, non riuscendo a fare a meno di domandarmi che cosa stesse accadendo nel frattempo. Non avevo alcun dubbio su quale fosse l’argomento di discussione, ma temevo le possibili conseguenze. Era come se il tempo si fosse dilatato e sentivo accrescere l’ansia e la preoccupazione. Mi parve passata un’eternità quando sentii l’uscio aprirsi e intravidi Tom uscirne con passo rapido e il viso livido di furore.
Mi mordicchiai il labbro inferiore e attesi fino a quando Bradley, non uscì dalla stessa camera e si diressi verso di me.
“Andiamo, Silente e Lupin vogliono parlarti”.
Sbattei le palpebre e sentii il cuore scalpitare rapidamente. Non potei fare a meno di porgli quella domanda, seppur ne conoscessi già la risposta. “Sanno tutto?”.
Bradley annuì e lo sguardo sembrò più serio che mai: “Naturalmente. Te lo avevo detto che non avrei lasciar correre questa volta”.
Nonostante le sue parole e la sua mano appoggiata sulla schiena a mo’ di rassicurazione, non potei fare a meno di sentirmi tesa, quando entrai nell’ufficio del Preside. Seppur l’uomo anziano mi sorridesse con la medesima dolcezza di sempre, il suo volto mi sembrava profondamente preoccupato. Lupin si era drizzato bruscamente dalla sedia e mi si era avvicinato con volto pallido e i capelli più scarmigliati che mai. “Mio Dio, Sarah, non avevo idea di quello che stava succedendo: sono mortificato…” mi disse in tono agitato e con un evidente senso di colpa.
“Sto bene, Professore, davvero…” cercai subito di tranquillizzarlo, non volendo fargli gravare addosso ulteriori motivi di cruccio e tanto meno sensi di colpa.
Silente mi indicò la poltrona libera di fronte a lui: “Spero che tu non ne voglia a Bradley per essere venuto da me questa mattina”.
Osservai il profilo del giovane e sorrisi prima di scuotere il capo e incrociare nuovamente lo sguardo azzurro del Preside. “Me lo aveva preannunciato. Inoltre, a ben pensarci, avrei fatto bene a venire di persona e prima che le cose degenerassero…” ammisi con un sospiro.
“Se tu volessi tirarti indietro dallo spettacolo lo capirei” mormorò Lupin e lessi nel suo sguardo la sincerità. Non osavo immaginare con quanto stress e disperazione avrebbe affrontato la successiva crisi e la ricerca di un’altra aspirante protagonista in pochissimo tempo, ma sapevo che non avrebbe esitato, se lo avessi pregato di togliermi dalle spalle questa responsabilità.  
“Non voglio,” specificai e lo guardai intensamente, “qualcuno mi ha ricordato che ho investito troppe energie per questo progetto e non voglio abbandonarlo o tradire gli altri partecipanti: ci siamo dentro tutti quanti insieme…”.  Non potei fare a meno di sorridere al pensiero di Robert e delle altre persone che avevo conosciuto in quei mesi e che erano diventati parte della mia routine, nonostante gli esordi meno piacevoli.
Silente sorrise con aria di approvazione prima che lo scintillio azzurro si spegnesse. “Non possiamo regolamentare e tantomeno punire ciò che accade al di fuori dell’Accademia,” esordì in tono quasi stanco, “Ma, come ho comunicato a Thomas, ho parlato con il corpo docente e tutti si impegneranno a monitorare la sua condotta da questo giorno in poi. In particolare, il Professor Piton che lo ha sempre considerato il suo pupillo più talentuoso. Sarà anche mia personale premura assicurarmi che tu possa sentirti al sicuro tra queste mura e in ogni circostanza. Sono sicuro che Tom Riddle in persona abbia preso a cuore la tua sicurezza e di certo non mancano persone che vogliono vegliare su di te,” concluse con una garbata strizzatina d’occhi in direzione di Bradley. Quest’ultimo sorrise per risposta e appoggiò la spalla contro la mia, pur non accennando altri gesti confidenziali, ma facendomi comunque percepire la sua vicinanza.
“Vi ringrazio di cuore,” mi sentii dire con voce più tremula e un sorriso, “mi sento molto meglio adesso”.
“Ti prego, mia cara, non esitare a bussare alla mia porta, anche per condividere una dolce colazione tra golosi…” mi disse con uno sguardo più complice che riuscì a farmi ridere nonostante tutto.
Lupin mi appoggiò la mano sulla spalla: “Bradley e io ci metterei al lavoro per riadattare la scena finale senza stravolgerla, ma limitando il contatto fisico, hai la mia parola”.
Fu come se un grosso macigno mi si fosse liberato dallo stomaco e, a dispetto di tutto, cercai la mano di Bradley che intrecciò le dita alle mie senza esitazione, ma continuai a guardare Lupin: “Non volevo creare un simile scompiglio e in tutta onestà, malgrado tutto…” tornai a guardare Silente. “Quello che mi addolora di più è il dubbio che Tom avrebbe potuto farmi del male anche se fosse stato lucido”.
L’uomo anziano sospirò con aria altrettanto mortificata. “Thomas ha disperatamente bisogno di aiuto: spero che un giorno decida di accettare il mio, quando si sentirà pronto a cambiare. In ogni caso non gli permetterò di arrecare danno a nessun altro”. Si sporse in mia direzione, guardandomi intensamente, come se volesse leggermi dentro. “La tua fiducia nel prossimo è una dote splendida, mia cara, ma ti consiglio caldamente di non permettere a nessuno di abusarne. Non più”, sottolineò con voce profonda e solenne. Ero certa che quelle parole non le avrei mai dimenticate in vita mia e avrei sempre avuto un dolce ricordo di quell’uomo.
 
 
“Niente più bacio finale quindi?” domandò Amy, sbattendo le palpebre come se non riuscisse a crederci.
“No,” confermai con un sorriso, ricordando il breve messaggio che mi aveva lasciato Bradley, “sono molto sollevata. Dopo quello che è successo ieri, il pensiero mi era ancora più insopportabile”.
“Sono contenta che Silente lo abbia affrontato e sono assolutamente d’accordo con lui”. Commentò Morgana con espressione seria.
Amy annuì a sua volta per poi farsi scura in volto: “Mi dispiace soltanto che Emma la passi liscia: più ci penso e più sono convinta che abbia aizzato Tom di proposito. Anche se non è stata lei la colpevole materiale, dovrebbe ricevere almeno un cazziatone!” borbottò in tono non poco scandalizzato all’idea che lei ne uscisse completamente indenne.
“Qualcosa mi dice che Silente lo farà,” mormorai per risposta, “ma forse vuol fare calmare le acque o darle la possibilità di fare ammenda da sola”.
In verità non ero affatto convinta che ciò sarebbe accaduto e dalle loro espressioni, intuii che anche le altre due la pensassero allo stesso modo.
“Passando alle buone notizie, mi sembra che le cose tra te e Bradley vadano meglio”, mormorò Morgana con tono decisamente più allusivo e un alone più sbarazzino nello sguardo.  
Non potei fare a meno di sorridere al pensiero: “E’ stato molto dolce e protettivo e farò di tutto per non sprecare questa ulteriore occasione”.
 “A proposito di ragazzi,” si era voltata verso Amy, “quand’è che ti deciderai a dirci con chi te la sei spassata?”.
Sbattei le palpebre con aria perplessa, ma persino la diretta interessata sembrava presa in contropiede: la mano che reggeva la tazza tremò e fece urtare la porcellana contro la superficie del tavolo.
“Di cosa stai parlando?” le domandò in tono casuale, ma notai un certo rossore sulle gote.
“Anche se siamo state distratte da eventi di causa maggiore, non credere che non mi sia accorta che sei diversa”, la incalzò la mia coinquilina con espressione più sagace. “Persino il tuo modo di camminare: hai fatto cose sconce, vero?”.
“Ma cosa dici?!” la interruppe l’altra con voce più alta del consueto. “Voglio dire: magari!”.
“Credevo che non volessi più conoscere nessuno per il momento,” intervenni io, ricordando anche la recente cancellazione dai siti di incontri on-line.
“Infatti!” precisò lei in tono deciso, sollevando il mento e guardandoci quasi con aria di sfida a contraddirla. “Voglio concentrarmi soltanto sul nuovo lavoro e ho già abbastanza da fare con l’appartamento e quella cagnolina insopportabile che non mi lascia quasi chiudere occhio!”.
Morgana inclinò il viso di un lato, studiandola con il mento appoggiato sulla mano, tutt’altro che convinta: “Va bene, fai pure finta di nulla,” le concesse e sollevò le spalle, “Ma tanto lo sai che lo scoprirò comunque da sola”. Aggiunse con voce flautata e uno scintillio malizioso nelle iridi.
“Ti ho detto che non c’è niente e ora lasciami in pace!”. Berciò l’altra in risposta, prima di rimettersi in piedi e indossare di nuovo il cappotto. “E’ meglio che vada, devo anche passare a fare la spesa: abbiamo il frigo quasi vuoto…” brontolò prima di congedarsi frettolosamente e lasciare il nostro appartamento.
Morgana e io la seguimmo con lo sguardo.
“Sì, nasconde decisamente qualcosa” convenni.
“Le concedo al massimo settantadue ore per confessare spontaneamente, poi inizierò le mie indagini”, sancì la mia amica con un sorriso divertito. Quasi a sugellare quella promessa, intrecciò le dita e le fece scrocchiare.
 
~
 
Quella sera il pub aveva registrato molte prenotazioni per la cena: avevo notato molta stanchezza tra i colleghi che si occupavano dei tavoli e della cucina. Era curioso come, alla fine del servizio serale, quelle stesse pareti sembravano rimpicciolirsi e il silenzio era incredibilmente rilassante. Mancavano pochi minuti allo scoccare del divieto del consumo di alcolici. Bill e io stavamo approfittando della mancanza di clienti per riordinare: lui stava riallineando le bottiglie sugli scaffali e io stavo riassettando i tavoli del pub, strofinando le superfici con il solvente. Ridacchiai tra me e me al ricordo dei miei primi giorni, quando Percy mi alitava sul collo nel darmi una spiegazione “enciclopedica” persino sul modo “giusto” di svolgere quella mansione. Il Signor Riddle si era congedato da circa mezzora, raccomandando a Bill di non lasciarmi sola: non avevo potuto fare a meno di sentirmi insieme lusingata e in imbarazzo. Avevo il presentimento che il Preside avesse raccontato tutto al mio datore di lavoro che quest’oggi era stato particolarmente gentile nei miei confronti, pur non facendo minimamente allusioni eloquenti.
“Sono quasi le 22, dovremmo resistere ancora mezzora: vuoi che ti dia il cambio?” mi domandò Bill con un sorriso.
“Non sono stanca, ma ti ringrazio.” In verità trovavo particolarmente rilassante occuparmi di quel compito. Inoltre, dovevo attendere Neville che si era molto gentilmente offerto di riaccompagnarmi a casa in auto, così da evitarmi di telefonare a Sean o ad Amy che probabilmente si era già buttata sotto le coperte vista la stanchezza accumulata in quei giorni.
Il tintinnio del campanello mi fece sollevare il capo e sentii un familiare batticuore quando la sagoma di Bradley riempì la soglia dell’uscio e ci rivolse un cordiale saluto con quel sorriso che mi spezzava il fiato.
“Ciao Bradley,” lo salutò a sua volta Bill, “sei ancora in tempo per una birra”.
L’altro scosse il capo: “Preferirei un caffè: devo accompagnare la nostra protagonista a casa”.
“Non c’era bisogno che ti scomodassi,” mormorai con le guance arrossate. “Neville si era già offerto”.
“Lo so, ma volevo farlo,” specificò e si chinò a baciarmi delicatamente la guancia. “Ma già che ci sono,” soggiunse con voce più allegra, rivolgendosi al mio collega, “credo che approfitterò dell’attesa per degustare una torta del mio pasticcere preferito, se ha preparato qualcosa di buono”.
“Torta di mele”, indicò Bill con una pinza per dolci.
Bradley sospirò con aria enfatica. “Amo questo posto”.
Non potei fare a meno di ridere, ma gli spostai la sedia: “Accomodati pure: ti portiamo la torta e il caffè”.
Avevo lasciato Bradley al bancone a chiacchierare con Bill e con Neville e mi ero chiusa nello spogliatoio per cambiarmi. Mi ero stretta nel cappotto e avevo recuperato il cellulare: feci una breve telefonata a casa (approfittando del fuso orario sapevo che non avrei svegliato nessuno), lasciai un messaggio di risposta ad Amy e rassicurai Morgana e Sean che sarei tornata a casa con Bradley.
“Com’è andata al lavoro?” mi domandò dopo aver messo in moto l’auto.
“Abbiamo avuto il pienone per cena,” raccontai con un sorriso, dopo essermi allacciata la cintura, “e la tua serata?”.
“Ho lavorato con Remus fino a quando non l’ho letteralmente costretto a tornare a casa da sua moglie e da suo figlio,” raccontò con tono divertito. Non potei fare a meno di notare che, malgrado le belle fattezze e il tono ciarliero, apparisse pallido e stanco. Si volse in mia direzione durante l’attesa di un semaforo rosso e sorrise: “Devo dire che stiamo facendo un ottimo lavoro: oserei dire che questa scena finale sia persino migliore dell’originale”.
“Mi dispiace davvero che abbiate avuto quest’ulteriore incombenza”.
Corrugò le sopracciglia e scosse il capo: “Non scusarti più per questo, per favore” mormorò in tono deciso seppur con voce gentile e vellutata. “Remus stesso ha ammesso di aver ecceduto di sentimentalismo nella prima versione: dopotutto stiamo pur sempre parlando dell’epoca vittoriana e grandi slanci di affetto non erano verosimili in situazioni pubbliche”.
Non potei fare a meno di pensare a quanto, in modo infantile, fossi rimasta quasi delusa quando alcuni dei miei romanzi preferiti, ambientati in quel contesto, mancassero di dettagli particolarmente romantici nelle scene sentimentali. “Vero anche questo”.
“Quindi non hai motivi per sentirti in colpa e poi lo conosci meglio di me: non mi sorprenderebbe se da qui a Giugno modificasse altre scene,” soggiunse con un bonario scuotimento del capo al pensiero dell’insegnante fin troppo devoto al suo progetto.
“Purché non elimini la scena del valzer sono disposta a tutto: non sopporterei di vedere Allock con il broncio” commentai in tono ironico, volendo smorzare la tensione delle ultime ore.
L’espressione di Bradley a metà tra l’inquietudine e il medesimo dispiacere al pensiero mi strappò una risata. Sospirò tra sé e sé: “Pensi che potrei darmi malato alle prossime prove?”.
“Potresti,” commentai per risposta, “ma non sarebbe solo Allock a dispiacersene” gli feci notare in tono calmo ma osservandolo di sottecchi e con un sorriso.
Sospirò. “Questo è un colpo basso, lo sai?”.
Risi per risposta.
Lo ringraziai quando mi tenne aperta la portiera e mi porse la mano per scendere e non potei fare a meno di sorridere al calore delle sue dita e alla loro presa salda e forte.
“Pensi che possa accompagnarti al vostro appartamento, senza rischiare scandali con la tua proprietaria?”.
Controllai distrattamente l’orologio e sorrisi. “Non è ancora scoccato il coprifuoco”.
Dal silenzio che percepii all’interno della camera intuii che Morgana non era ancora rientrata, quindi aprii la borsa e pescai le chiavi in una delle tasche interne. Mi volsi in sua direzione, dopo aver aperto l’uscio e gli sorrisi: “Posso offrirti qualcosa?”.
“Meglio di no: ho già sgarrato la dieta con la torta”.
Scossi il capo in risposta, dal momento che non avesse minimamente di questi problemi.
“Inoltre è stata una giornata lunga ed è meglio che tu vada a riposare” aggiunse in tono più premuroso.
“Grazie di avermi accompagnata”.
Inclinò il viso da un lato e sorrise: “Piacere mio, te l’assicuro”.
“Allora buonanotte”. Avevo esitato qualche istante e mi ero mordicchiata il labbro, prima di sollevarmi sulle punte a lasciargli un bacio sulla guancia. “Oh, aspetta, ti ho macchiato,” feci per allungare la mano a pulire il segno del lucidalabbra, ma mi trattenne la mano.
“Milady?”
Sentii il cuore tambureggiare più intensamente in petto. Quasi neppure ricordavo l’ultima volta che avesse usato quel nomignolo, ma era sicuramente avvenuto prima di quella cena dall’esito disastroso. “Sì?”
Mi guardò per un lungo istante e un sorriso più dolce ne increspò le labbra, mentre mi sfiorava il dorso della mano con le dita. “Vorrei ricominciare da dove ci siamo interrotti, se sei d’accordo”.
Un effluvio di meraviglioso calore sembrò avvolgermi e sentii le guance accalorarsi e non potei fare a meno di sorridere, intrecciando le mie dita alle sue. Inclinai il viso di un lato. “Solo se mi permetti di invitarti a cena, una di queste sere, dopo che avrò sbattuto fuori Morgana” precisai in tono più scherzoso.
Lo sguardo sembrò sfolgorare del medesimo entusiasmo al pensiero. “Non chiederei di meglio, compresa l’assenza della tua amica. Ho già detto che la trovo inquietante quanto affascinante?”.
Risi per risposta ma annuii: “Allora è riuscita nel suo intento”.
Si chinò sul mio volto per premere delicatamente le labbra sulla mia guancia e ne sospirai il profumo.
“Fai sogni d’oro” sussurrò al mio orecchio, strappandomi un brivido lungo la spina dorsale.
 
Fu esattamente ciò che mi augurai quando mi distesi sotto le coperte mezzora dopo, non riuscendo a fare a meno di sorridere. Non sentivo più il bisogno di scoprire chi fosse il “Principe misterioso” che era apparso negli ultimi mesi. O forse, per dirla con un linguaggio più consono a Luna, tutta la mia aura rosata era concentrata su un ben noto Cavaliere.
 
To be continued…
 

Per prima cosa credo che sia doveroso chiedervi perdono: sono passati più di due mesi dalla pubblicazione del capitolo precedente. Non vi nascondo che talvolta mi sento frustrata: non fraintendetemi, sono felicissima di questa revisione e sempre più convinta che fosse la cosa migliore, ma d’altra parte, come potete immaginare, più passa il tempo e meno si ha tempo da dedicare a simili progetti. Seppur (per fortuna!!) io abbia già le idee piuttosto chiare sugli avvenimenti dei restanti capitoli (e ringrazio come sempre Evil Queen che si è letteralmente sfornata da sola le idee per il suo alter ego), è sempre più difficile riuscire a trovare la concentrazione per mettersi a scrivere. Il ritmo è ulteriormente rallentato perché spesso le sedute di scrittura sono distanti tra loro e questo mi costringe a dover ricontrollare per evitare incongruenze o ripetizioni.
Mi auguro di tutto cuore che il 2020 veda la conclusione di questo progetto! Colgo l’occasione per farvi i miei migliori auguri di buon anno 😊
 
Ringrazio chi è riuscito ad arrivare alla fine di questo capitolo: per le fan di Tom ed Emma non deve essere stato particolarmente facile, ma spero possiate apprezzare questa scelta di renderli i “villain” della situazione e siate curiosi di continuare la lettura ;)
 
Un abbraccione e ancora tanti auguri,
 
Kiki87
 
 

 
 
 
 
 
 
[1] Per ascoltare e leggere il brano originale cliccate qui. Ringrazio la mia amica Evil Queen per avermi consigliato tempo fa di adottare questa canzone tra le colonne sonore: non credo possa esserci capitolo migliore per inserirla :D
[2] La mia amica ed io abbiamo immaginato questa scena ispirandoci al film “In Bruges” (2008) in cui Ralph nei panni di Harry inveiva contro un apparecchio telefonico e poi bisticciava con la moglie :D Potete vedere la scena originale in questo filmato
[3] Si tratta della traduzione letterale del nome “Tom Riddle”. Sinceramente non mi ero mai soffermata su questo pensiero, almeno fino a quando non ho cominciato a seguire “Il Trono del Muori” e i suoi riassunti accuratissimi dedicati alla saga di Harry Potter. E’ stato lui a farlo diventare un vero e proprio meme e consiglio caldamente la visione dei suoi video non solo dedicati alla saga del nostro maghetto preferito 😉 Trovate il suo canale qui
[4] Si riferisce a una promessa fatta a Sara nella scena finale del capitolo 5: usare la pentola della Signora Weasley qualora Tom l’avesse nuovamente importunata.
[5] Dovete sapere che questo non era stato studiato a tavolino né nella prima versione e neppure nella revisione. E’ stata proprio Evil Queen, rileggendo i primi capitoli, ad avanzare questa possibile interpretazione e ci siamo rese conto che era davvero molto intrigante, anche per dare al personaggio di Emma un maggiore spessore e un carisma davvero niente male come vera e propria antagonista della vicenda :D
[6] NON UCCIDETEMI :D Non è ASSOLUTAMENTE mia intenzione infierire sulla VERA madre di Tom Felton. Ma non posso fare a meno di immaginare Bradley con la voce di Stefano Crescentini che lo ha doppiato in “Merlin” e presta la sua voce anche a Dean Winchester nella versione italiana di “Supernatural”. Dovete sapere che quell’imprecazione è tipica del suo personaggio e non ho potuto resistere e pensare a Bradley nel pronunciare la stessa frase con altrettanta enfasi :D
[7] Per questa scena, seguendo un suggerimento di Evil Queen, mi sono ispirata al primo episodio della serie tv “Merlin”. Nella fattispecie si intravede uno “scontro” tra Arthur (interpretato dallo stesso Bradley) e Merlino (interpretato da Colin Morgan).  Se siete curiosi potete vedere il video originale qui.
La sequenza che ci interessa inizia al minuto: 1.14.
   
 
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