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Autore: Vriterens    29/12/2019    1 recensioni
I suoi occhi si posarono su quello che da lontano intravedeva come un banchetto, una bancarella forse, la cui insegna riportava a caratteri cubitali: TORTELLINI. Ma a gelarle il sangue fu vedere chi fosse il venditore: un polipo dai tentacoli azzurri.
«Aspetta, mi stai dicendo che...»
Quello di Emilia fu un sussurro appena percettibile. «Siamo letteralmente nella Valle Spaziale».
Fandom: Space Valley
(Pubblicata anche su Wattpad)
Genere: Avventura, Fantasy, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo I

Maneggiare con cura

 






«Le mani di Dario continuavano a scorrere lungo la schiena dell'altro. Veloci. Fameliche. Non riusciva a rallentare. Sotto i polpastrelli poteva avvertire la pelle di Nicolas tremare, scossa dal battito irrefrenabile del suo cuore. Voleva toccarlo tutto, ogni lembo di pelle, ogni centimetro doveva essere conosciuto al suo tatto. Scese più giù, sostituendo caldi baci alle dita; poteva sentire il suo profumo...»
 
«Ma la vuoi piantare?» sbraitò improvvisamente una voce.
Angelica, con aria innocente, alzò lo sguardo verso la sua amica: «Cosa c'è, ti scandalizzi per così poco?»
Emilia sbuffò, levando gli occhi verdi al cielo: «Si dà il caso che io sia venuta qui per studiare».
«Un attimo di pausa non ha mai ucciso nessuno. E poi hai l'esame tra due mesi, che fretta c'è?»
«Angè, se devo stare qui solo per sentire le tue stupide storie d'amore, sdolcinate e tra l'altro con trame sterili, torno nella mia camera».
«Quanto sei noiosa...» sospirò la bionda, prima di riprendere a leggere ad altra voce: «Poteva sentire il suo profumo, quell'aroma che avrebbe riconosciuto tra mille. Sapone, muschio, pioggia. Un'inconfondibile essenza che gli procurava una morsa allo stomaco».
«Angè...»
«L’idea di averlo lì tra le braccia, in suo totale potere, lo inebriava. Non credeva che avere il controllo di una persona in quel modo potesse essere tanto soddisfacente».
«Angelica…»
«Vederlo sospirare, sentirlo fremere, era qualcosa che…»
«Ora basta!» La mora si alzò. «Piuttosto vado a mettere a posto in cucina, ma non ce la faccio più a sentire queste scemenze». Presi i libri, uscì dalla stanza con fare sbrigativo, lasciando l’amica sdraiata sul letto con il computer davanti, intenta a finire la sua lettura.
In cucina era tutto un disastro: piatti e bicchieri erano affogati nel lavandino colmo di acqua, padelle sporche ingombravano i fornelli e la tovaglia, ancora appallottolata, era stata abbandonata sul tavolo.
«Angè, possibile che lasci ogni volta questo casino?» sbuffò. «Tanto sono sempre io a dover pulire, eh?»
Non se la prendeva davvero per queste cose. Angelica era la persona più sbadata che conoscesse: sempre con la testa tra le nuvole, sempre a pensare a qualcos’altro. Era ingenua, con una mente semplice, ma mai cattiva. Nonostante quella convivenza fosse talvolta esasperante, Emilia le voleva bene come a una sorella.
Si erano prese fin da subito, dalla prima volta che si erano incontrate. Così diverse eppure così simili.
Istintività e pianificazione. Morbidezza e durezza. Fiducia e sospetto.
Si erano trovate e si erano scoperte. Ed erano rimaste, l’una per l’altra.
Con le mani immerse nell’acqua, alla ragazza venne da sorridere pensando all’ultima ossessione dell’amica. Da mesi, ormai, viveva dipendente da un gruppo di ragazzi bolognesi che creavano intrattenimento sul web, giovani, di pochi anni più grandi di loro e -anche se Emilia non lo avrebbe ammesso mai- piuttosto simpatici.
Non era tanto quello che facevano a coinvolgere le persone, quanto il modo. Sembravano gli amici che si possono incontrare al pub, quel gruppo di cui vorresti far parte perché sai che con loro staresti bene.
Erano genuini, spontanei. Di un fascino intelligente. Capaci di creare qualcosa di nuovo e diverso, ma senza troppe pretese.
Ma il troppo storpia, e vivendo con i loro video in sottofondo tutti i giorni, avendo loro come argomento di quasi tutte le conversazioni, Emilia aveva iniziato a non sopportarli più.
Ad aumentare questo senso di nausea, erano spuntate come funghi anche quelle fanfiction deliranti, piene di amori non corrisposti e trame che non avevano né capo né coda.
E alla ragazza quelle storie non piacevano. Non perché ci fosse qualcosa di male nello scriverle, ma non riusciva a spiegarsi come fosse possibile che così tante persone potessero perdere la testa a quel livello per dei ragazzi, in fondo, come tanti altri. C’era forse qualcosa in più in loro che a lei sfuggiva?
A distoglierla dai suoi pensieri fu il suono del campanello.
«Angelica, vai tu?». Dalla camera nessuna risposta, se non un insieme di voci indistinte. Stava sicuramente vedendo un loro video. «Angè, sto lavando i piatti, per favore!»
Niente.
Maledicendosi di avere una coinquilina come la sua amica, Emilia andò ad aprire alla porta, imprecando contro qualsiasi essere, umano e non. Il campanello suonò una seconda volta, più insistentemente.
«Arrivo, arrivo» urlò, nella speranza che chiunque stesse aspettando avesse la pazienza di attendere ancora qualche secondo. Guardò dallo spioncino, ma non vide nessuno.
Sbuffò, evidentemente avevano fretta. Pazienza.
Non fece in tempo a dare le spalle alla porta e a fare un altro passo che il campanello trillò nuovamente.
Guardò ancora dal piccolo foro senza, però, trovare nessuno dall’altra parte. Eppure, questa volta aveva fatto passare solo un paio di secondi.
Fece di nuovo per voltarsi, ma al terzo squillo non resistette più. Aprì la porta e strepitò: «Mi state prendendo in giro?»
Si pentì quasi subito. Nel pianerottolo di fronte al suo appartamento regnava un silenzio imponente, e la sua voce riecheggiò per la tromba delle scale.
Dell’ospite, (ormai) non gradito, nessuna traccia.
Solo mentre richiudeva la porta, si accorse di un oggetto ai suoi piedi. Era un pacco piuttosto grande, ricoperto di una carta marrone grigiastra, e chiuso da uno spago che passava su tutti i lati e si concludeva con un fiocco sul dorso. In alto a destra erano attaccati quattro o cinque adesivi che ricordavano i francobolli, anche se di dimensioni, forme e colori differenti l’uno dall’altro.
Non c’era mittente né destinatario, solo una scritta:
 
Maneggiare con cura
 
* * * * * * * * * * * * * * * *
 
Erano passati più di dieci minuti da quando aveva appoggiato il pacco sul tavolo della cucina. Si era seduta ed era rimasta a fissarlo, senza decidere cosa fare. Qualcuno si era sbagliato e lo aveva appoggiato lì distrattamente, o era davvero per loro? Avevano suonato al campanello, è vero, ma poi nessuno si era fatto vivo.
Doveva trattarsi di uno scherzo di qualche ragazzino, considerando che non c’era neanche scritto il destinatario. Proprio mentre rimuginava, entrò Angelica nella stanza.
«Oh, è arrivato qualcosa?»
«Lo hanno lasciato sul pianerottolo».
«Non l’hai ancora aperto?». Neanche il tempo di chiederlo, che la bionda si era avventata sull’oggetto e aveva già sciolto il nodo dello spago.
Scartò rapidamente e sollevò il coperchio della scatola che si era ritrovata davanti. Sopra la montagna di paglia trasparente, era posato un biglietto piegato in due, con sopra scritto il nome di Emila.
Angelica si girò verso la coinquilina sorridendo: «Deve essere per te».
L’altra prese il foglietto, titubante, e lo aprì. Dentro, scritte a macchina, comparivano solo tre parole:
 
Mettiti in gioco.
 
Nient’altro. Nessuna indicazione sul contenuto del pacchetto, nessun indizio su chi lo avesse mandato.
Spinta dalla curiosità, Emilia infilò la mano in quel groviglio di trucioli di plastica e ne estrasse uno strano oggetto: sembrava una trottola, grande quanto una mela, di un materiale trasparente, un misto tra plastica e vetro. Al suo interno, arrotolata intorno all’asse che fungeva da baricentro, era presente una spirale bianca. Non aveva altro dentro, ma all’esterno presentava otto cavità di forme diverse, come delle parti concave in cui si dovessero aggiungere pezzi. Evidentemente mancavano delle parti.
«Bell’affare, non è neanche completa».
«Chissà chi te la manda».
«Il biglietto non è firmato, sarà qualche stupido scherzo. Magari qualcuno voleva disfarsene e l’ha lasciata a noi».
«A te» la corresse Angelica, sollevando il foglietto e mostrandolo all’amica.
«Sì, va bene. A me» concordò Emilia. «Ma questo non dimostra che non sia una buffonata».
«Peccato, sarebbe stato carino pensare che avessi un corteggiatore» rise l’altra.
Emila non riuscì a trattenere un sorriso. «Tornatene a guardare i video di Space Valley che è meglio».
Fu questione di un secondo, la strana trottola che avevano appoggiato sul tavolo si illuminò e, dapprima lentamente, poi sempre con più velocità, prese a girare su se stessa.
Le due ragazze si scambiarono un’occhiata, sbalordite.
«Sei stata tu?» chiese la bionda.
«Io non l’ho neanche guardata».
«Ma non può aver fatto tutto da sola».
«Magari all’interno c’è un meccanismo con un timer e ogni tot si accende». Mentre pronunciava queste parole, Emilia allungò la mano verso l’oggetto.
«Aspetta» la bloccò l’altra, aggrappandosi alla sua spalla. «Magari è qualcosa di pericoloso».
«Suvvia, Angè» sospirò spazientita la mora. «È solo un giocattolo, cosa potrà mai fare…».
Il suo braccio era ancora proteso, quando con un leggero movimento la trottola sfiorò il suo dito. La sensazione che la ragazza sentì fu strana, come un leggero pizzicore, che dalla mano si estese per il braccio e poi in tutto il suo corpo. Qualcosa attraeva tutte le sue cellule verso quel vorticare frenetico, una strana energia. Improvvisamente venne abbagliata da un’accecante luce bianca.
E poi il buio.
 
****************
 
La prima cosa che vide, quando aprì gli occhi, fu una luce blu lampeggiante. Sbatté le palpebre, cercando di mettere a fuoco quello che aveva intorno.
Il cuore le fece un salto all’indietro. Un doppio carpiato.
Quella che la circondava non era la sua cucina. E neanche una qualunque altra stanza della sua casa.
Si trovava in un lungo corridoio, le cui pareti erano coperte da lastre di metallo, mentre ai bordi del pavimento correvano, per ogni lato, due tubi paralleli che emanavano una luce dorata.
Accortasi di essere distesa per terra, si tirò a sedere e provò un moto di sollievo quando vide l’amica accanto a sé. Anche lei sembrava stordita, ma almeno stava bene.
«Dove credi che siamo finite?»
«Non lo so, sembra il set di un film di fantascienza». Emilia continuò a guardarsi intorno, poi vide qualcosa che assomigliava a una porta e la indicò. «Proviamo ad andare lì. Vedrai che sarà tutto un grande scherzo di qualcuno che in questo momento si starà divertendo alle nostre spalle».
Mentre si alzava, notò di tenere in mano qualcosa. Aprì il pugno e vide la trottola nel suo palmo, immobile e spenta; se la mise in tasca. Possibile che quell’oggetto fosse complice di tutta questa sceneggiata? No, Emilia doveva restare razionale. Le trottole non teletrasportano le persone. Chiuso il discorso.
Si avvicinarono al varco e lo oltrepassarono, ritrovandosi nuovamente in un corridoio, che questa volta si biforcava. Girarono a destra, poi a sinistra e nuovamente a destra. Sembrava non finire mai. Era tutto uguale a ciò che si erano lasciate alle spalle e uguale a ciò che, dietro ogni curva, trovavano ad aspettarle.
Non proferirono parola neanche una volta, camminavano vicine, quasi toccandosi, avanzando lentamente.
Svoltato l’ennesimo angolo, si ritrovarono davanti un corridoio che collegava quelle che sembravano essere stanze. Decisero con un’occhiata di dirigersi verso l’ultima, quella più grande e l’unica ad essere illuminata. A pochi passi da questa, una grossa porta scorrevole trasparente si aprì, lasciando loro libero l’ingresso.
Quella che si trovarono di fronte era un’immensa cabina di pilotaggio, a più postazioni. Schermi, leve, bottoni dai colori diversi, luci accese a intermittenza occupavano tutto lo spazio davanti alle poltrone.
Sembrava di essere all’interno della scena di un film. No, di quel film.
«Non è possibile, sembra una ricostruzione del Millennium Falcon». Emilia era ammaliata da tutto ciò che la circondava. Non poteva essere reale. Non lo era, di questo ne era certa. Sorrise pensando all'assurdità generale della situazione: «Capace che troviamo anche Chewbacca...»
«Intendi dire il cane di Cesu?» La voce di Angelica la riportò alla realtà.
«Il cane di Cesare? Sei seria?»
«Perché, tu chi intendevi?»
«Lascia stare, dai. Sei un caso perso».
Attraversò tutto il locale, fino ad arrivare davanti all’avionica. Era incredibile l’idea di avere tutto quel complesso davanti, a portata di mano. Sembrava surreale, e lo era.
Fu quando, però, alzò lo sguardo, e osservò attraverso i vetri della cabina di pilotaggio, che si accorse che fra le mille cose assurde che la circondavano ce ne era una che lo era più del resto. Sotto di lei si estendeva una città intera: palazzi, strade, lampioni, tutto brillava alla luce del Sole. E fra quegli edifici non c’erano persone a camminare, ma esseri che con la razza umana non avevano niente a che fare.
Angelica le sia avvicinò sorridendo, ignara di quello che avrebbe trovato.
«Cosa stai guardando?»
Davanti al silenzio dell’amica, ne seguì lo sguardo e lentamente il sorriso le scivolò via dal volto.
I suoi occhi si posarono su quello che da lontano intravedeva come un banchetto, una bancarella forse, la cui insegna riportava a caratteri cubitali: TORTELLINI. Ma a gelarle il sangue fu vedere chi fosse il venditore: un polipo dai tentacoli azzurri.
«Aspetta, mi stai dicendo che...»
Quello di Emilia fu un sussurro appena percettibile. «Siamo letteralmente nella Valle Spaziale».
   
 
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