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Autore: Napee    29/12/2019    3 recensioni
[future!AU dal nono capitolo]
Rin è cresciuta al villaggio con la sporadica presenza del suo "Signor Sesshomaru", ma come si evolverà il loro rapporto?
***
Era da quando l'aveva lasciata al villaggio che lei lo sognava, ogni notte, ogni singola notte, per dieci anni,lei lo aveva sognato.
Sognava il suo "Signor Sesshoumaru" che tornava a prenderla, che le accarezzava il viso come quando era piccola, ed ogni mattino era sempre una tortura doversi svegliare ed interrompere quel dolce idillio.
***
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rin, Sesshoumaru | Coppie: Rin/Sesshoumaru
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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11. Radure sconfinate 



Il sole sorge sotto al suo sguardo pregno d’angoscia e disperazione.
Un altro giorno è tramontato e uno nuovo è nato su quel mondo.
Le parole enigmatiche di sua madre gli risuonano in testa come una canzone di sirena.
Che siano un presagio? Una predizione?
Come può essere tornata a camminare su quella terra dopo tanto tempo?
E come farà per trovarla?
Mille ostacoli si dipingono dinanzi ai suoi occhi stanchi. Si sente sconfitto prima ancora di aver iniziato a combattere.
Sente il suo orgoglio demoniaco vacillare dopo tanti anni di tormento. Non è più il demone di un tempo, non è più la creatura maestosa che dominava il cielo e la terra.
È debole adesso. Spaventato e impaurito solo all’idea di rivederla ancora.
Ha imparato così bene a vivere nel dolore che l’idea di liberarsene lo turba.
Sente i passi di sua madre alle sue spalle, ma non si volta.
Lascia che lo raggiunga in silenzio e che esso parli per loro.
L’aria è elettrica fra loro, pregna di odori e sensazione chiare che dialogano e combattono silenti.
“Non è più il mondo che ricordi, è normale esserne spaventati.” Esordisce infine, riempiendosi la bocca con una saccenza e un arroganza che meriterebbero una punizione.
Sesshomaru le rivolge un muto sguardo d’avvertimento che s’infrange sgretolandosi contro il suo sorriso scarlatto.
“Io non ho mai paura.” Risponde meccanicamente più per abitudine che altro. La sua mente e il suo cuore tremano al pensiero di lei, di rivederla, di scoprire che il suo riflesso in quegli occhi nocciola non ha subito alterazioni ed è sempre accompagnato dallo stupore e dalla meraviglia.
Trema per lei di paura, ma anche di attesa. Vuole vederla, vuole farlo subito.
Le sue mani fremono per sentire di nuovo la consistenza tiepida delle sue guance.
“Ti ho fatto preparare degli abiti più consoni a quest’epoca e le dame ti attendono per un bagno caldo.” Lo avvisa la donna seguitando ad osservare il sole issarsi oltre la coltre di nuvole chiare ed illuminare il giardino.
I fiori blu si ergono diritti come spilli, salutando l’astro con la baldanzosa arroganza di chi non teme l’inverno.
“Poi vieni da me.” Aggiunge dopo qualche attimo di silenzio.
“Incanterò la tua figura affinché non crei scompiglio fra i mortali e poi ti condurrò da lei.”

L’incantesimo con il quale sua madre aveva coperto il suo aspetto puzzava di bruciato e terra. Il potere del cristallo che teneva al collo lo avrebbe mascherato agli occhi degli umani, così gli aveva rivelato sua madre.
Lo avrebbe dovuto indossare sempre, come un collare… come InuYasha indossava il rosario magico che la sacerdotessa gli aveva messo al collo.
Solo facendo quella semplice analogia, il suo orgoglio gorgoglia bruciando. Ma per il momento ha ben altri problemi fra le mani. Primo fra tutti: i vestiti moderni consoni per quell’epoca.
Scomodi e stretti, tiravano il cavallo dei pantaloni e la cosiddetta “camicia” era stretta come una seconda pelle.
L’unico indumento che aveva trovato decente era il cosiddetto “cappotto” che avrebbe dovuto proteggerlo da quel freddo che neppure sentiva.
“L’incanto durerà finché lo vorrai e avrà effetto sugli occhi di chi guarda.” Spiega brevemente rivolgendogli un sorriso sereno.
“Anche Rin vedrà la tua figura incantata.” Aggiunge in seguito rivolgendogli uno sguardo serio.
“Come potrà riconoscermi allora?”
“Non lo farà.” Risponde lesta la donna abbandonando gli attrezzi da strega sul tavolo del laboratorio e voltandosi a fronteggiare il figlio.
“La magia non può essere piegata per assecondare i tuoi capricci, Sesshomaru. Ha bisogno di fare il suo corso e l’anima di Rin deve congiungersi con quella che alberga nel suo corpo adesso prima che si ricordi di te.” Una pausa. Un sospiro.
“Non sarà facile, soprattutto per te. Devi entrare nella sua vita di adesso piano e lasciare che l’incantesimo faccia il suo corso senza affrettare le cose.” Conclude infine, tornando a sminuzzare le erbe mediche nel mortaio.
Sesshomaru si sofferma a guardarla per qualche secondo, mentre pesta in un qualche erba dall’odore nauseante.
“Come saprò quando l’incantesimo è terminato?”
“La congiunzione delle anime richiede tempo, figlio mio. Tanto più è forte l’anima, tanto più sono diverse, tanto più tempo occorrerà.” Spiega con una strana espressione contrita sul viso. Sesshomaru non osa chiedere oltre, ma nota la tremenda somiglianza con la solita espressione che assume sua madre quando parlano di suo padre.
“Quindi non ricorda della sua vita passata.” Conclude infine il demone tornando al discorso principale senza lasciare che la conversazione muoia. È affamato di risposte, Sesshomaru. Pieno di domande che necessitano risposte il prima possibile se vuole riuscire a trovarla.
“In parte.” Risponde enigmatica la donna e Sesshomaru resta in attesa silente.
“Ricorderà qualcosa, forse inizierà dai ricordi o dalle emozioni… non è sempre uguale per tutti.
Puoi stare certo però che il sentimento che vi lega sboccerà di nuovo in lei e a quel punto potrai rivelarle la verità”.
“Perché mi aiuti a ritrovarla?” La domanda forza le sue labbra senza che lui se ne accorga. Se lo stava chiedendo ormai da un po’ di tempo, precisamente da quando gli aveva rivelato che i fiori blu in giardino erano legati all’anima della sua Rin.
La donna smette di pestare le erbe e si ferma per un secondo. Guarda dritto dinanzi a sé con un sorriso nostalgico sulle labbra scarlatte.
“Mi piaceva quella cucciola d’uomo. Piansi la sua dipartita come piangerei quella di mio figlio.” Confessa infine sospirando.
“Ti aveva trasformato in una creatura migliore.”freccia.
Sesshomaru non risponde, ma le va vicino e poggia i palmi grandi sul tavolo di legno scuro del laboratorio di sua madre.
Non nega le sue parole. Non era stato mai un ipocrita, anzi, era ben a conoscenza che Rin lo avesse mutato piano piano.
Era divenuto un altro demone, diverso, più consapevole. Aveva acquisito la capacità di vedere ciò che era invisibile ai più solo perché Rin era in grado di mostrarglielo.
Aveva saputo attirare la sua attenzione e fargli scoprire la bellezza nascosta che giaceva in una goccia d’acqua piovana.
Era speciale. Era sempre stata una ragazzina speciale la sua Rin.
Lo aveva cambiato tanto, in meglio, ma il suo orgoglio a quel tempo era rimasto intonso e l’idea che una stupida strega potesse portargliela via era stata pura blasfemia alle sue orecchie.
Aveva sottovalutato il nemico, la sua pericolosità e la sua scaltrezza. 
Era vero, Rin lo aveva cambiato, ma aveva alterato anche le sue capacità strategiche? Aveva mutato e plasmato anche il suo spirito guerriero? 
In quei secoli, una delle domande divenute tormento era proprio quella: se fosse stato sempre lo spietato principe dei demoni, l’avrebbe salvata?
Ritorna in sé, lontano dai suoi funesti pensieri solo quando sua madre estrae dalla tasca il piccolo fiore blu. Segue i suoi movimenti lenti con lo sguardo senza fiatare.
La donna deposita il piccolo fiore nel mortaio e pesta pure quello mescolandolo alle erbe già tritate.
Prende l’impasto con un cucchiaio e lo trasferisce in una piccola bottiglietta di vetro.
All’impasto di erbe aggiunge l’intero contenuto di una fialetta che tiene legata al collo e poi sorride soddisfatta.
Il composto inizia a bollire e da esso si leva un fumo chiaro e denso.
Non ha alcun dubbio Sesshomaru. Appena respira quel fumo, riconosce immediatamente in esso il profumo della sua Rin.
È il suo, dolce e amabile, delicato, selvaggio, sa di fiori, di frutta fresca, di oceano, di bosco, di neve e di sole.
Poi si fa via via più lieve, appena accennato, quasi labile.
Compie un passo, poi un altro ricercando quel profumo e cercando di non farlo andare via.
Lo ritrova per qualche secondo, poi svanisce ancora quando Sesshomaru si ritrova a pochi centimetri dalla porta del laboratorio.
Si volta verso sua madre con una muta domanda sulle labbra.
“Segui il profumo, ti condurrà da lei.”




La sveglia suona sempre con il solito gracchiare fastidioso. La ragazza la spegne subito e balza giù dal letto piena di energie.
Mister Pelosetto le si struscia alle caviglie nude con un tripudio di fusa a darle il buongiorno. Ricambia con una carezza e una grattatina sotto al mento proprio come piace a lui.
Non sa spiegarsi il perché, ma quel giorno si è svegliata stranamente di buon umore. Ricorda ancora il sogno di quella notte, quei campi che si estendevano a perdita d’occhio, quei boschi scuri che profumavano di terra e pioggia, quelle valli fiorite che le facevano arricciare il naso per la diversità di profumi che sentiva.
E lei camminava su quelle terre prima come una bambina, poi come una ragazza, con una leggerezza ed una spensieratezza che non aveva mai avuto il piacere di conoscere.
Si sentiva protetta anche se non conosceva quei luoghi. Era come se una piccola parte di sé sapesse che qualcuno vegliava su di lei.
Forse una buona stella o un angelo custode.
Il suo umore è così radioso che il sorriso spensierato e leggere che lo specchio le rimanda, non sembrava neppure suo. Quando mai aveva sorriso così?
Quando mai era stata così di buon umore?
Sente di poter camminare a tre metri da terra… il che è tutto dire, dato che il giorno prima sarebbe stato possibile classificarlo come il peggiore della sua intera esistenza.
Il Signor Okonimura non aveva mai osato tanto, non aveva mai scavalcato quella sottile linea che li teneva distanti.
Ci aveva provato molte volte a parole, con qualche battutaccia di cattivo gusto, ma mai aveva osato sfiorarla in maniera così intima e maliziosa.
Ricorda ancora con fin troppa chiarezza la schifosa sensazione della sua mano fra le cosce strette. Era stato orribile. Si era sentita derubata per tutto il tempo che era stata chiusa in quella stanzina angusta con il capo.
Il solo pensiero di dover tornare in quella fogna con quel maiale depravato, la nausea.
Preferirebbe qualsiasi altra cosa al mondo, qualsiasi altra tortura, anche la più crudele, ma essere costretta a subire molestie su molestie ogni giorno è diventato troppo anche per lei.
Sospira un sorrisetto e il primo pensiero della giornata le carezza la mente come una soave melodia.
Magari quel giorno sarebbe andata meglio. Magari il suo capo non l’avrebbe importunata.
Magari sarebbero stati talmente indaffarati che a stento avrebbero avuto il tempo di salutarsi.
In cuor suo, ci spera davvero. Spera che i suoi pensieri si concretizzino in una giornata vera e piena e spera di poter accantonare quell’episodio spiacevole e lasciarselo alle spalle.
E spera anche che quei buoni desideri non restino tali.
Non sa proprio da dove le arrivi tutto questo buon umore e tutta questa speranza. Non riesce a spiegarsi molte cose di sé quel giorno.

A lavoro la giornata scorre intensa e frenetica come aveva previsto. La ragazza è sollevata però perché per tutto il giorno, il capo non ha trovato il tempo di andare ad importunarla.
Il sorriso che adorna le sue labbra è luminoso. Pensa di non aver mai sorriso così. Anzi, erano anni interi che ormai le era passato il buon umore e la spensieratezza tipica di un’età più giovane e infantile, dove il mondo sembra tutto da scoprire e ha in serbo solo cose belle.

La sera piove lesta sulla città e l’avvolge con il suo gelido freddo. Esce dal locale del lavoro dal retro e getta l’immondizia fischiettando un motivetto strano. Non lo ha mai sentito, è una canzone totalmente nuova per le sue orecchie, ma qualcosa in lei le sussurra che non è così, che ha già sentito quella melodia lontana molto molto tempo prima.
Rientra nel locale con un sospiro. È stanca, ma ciò non ha intaccato il suo buonumore.
È così raggiante che non riesce a smettere di sorridere. E si sente stupida, pensa che non dovrebbe sentirsi così, ma non riesce a farsi inghiottire dal solito malumore come sempre.
E come potrebbe se ogni volta che chiude gli occhi le si apre una visione del genere?
Prati incontaminati grandi come oceani, boschi così fitti e profumati che le sembrano veri.
Poi ancora, risaie nelle quali affondare con i piedi nel fango, la sensazione dell’erba che le solletica fra le dita, il profumo della natura, il calore del fuoco e la cenere che vola ovunque.
Si sente leggera. Il suo corpo è come addormentato, completamente in estasi.
Rotola nell’erba reda fredda dalla rugiada. Ride con una voce squillante che ormai non ricorda più di avere.
Sente qualcosa. Una sensazione strana alle spalle. Qualcuno la guarda, ma non le crea fastidio.
È uno sguardo insistente, ma gentile al tempo stesso. Non è in allarme, non è spaventata… è serena.
Quegli occhi la scrutano da lontano, da dentro al bosco e non la perdono di vista neppure per un secondo.
E lei si sente protetta e tranquilla. Una sensazione di benessere che non ha mai avuto la fortuna di provare.
Poi la figura in lontananza fa un passo in avanti. I raggi della luna la illuminano di bianco candore.
Sente il suo cuore accelerare. È un ragazzo che non conosce… non lo ha mai visto prima eppure le sembra incredibilmente familiare.
Non riesce a vederlo bene da lontano, ma sente che di lui può fidarsi.
Apre gli occhi di scatto e si ritrova da sola nella cucina con il cuore a mille e tutta sudata.
Le orecchie le fischiano forte e la testa gira parecchio.
La vista inizia a farsi via via più sfocata ed è costretta ad afferrare il bancone di metallo per impedirsi di cadere a terra.
Il Signor Okonimura decide di entrare in quel momento nella cucina e le rivolge uno sguardo strano che la fa rabbrividire.
È il suo stesso corpo che la mette in allarme. È il suo istinto a gridarle ad alta voce che, anche se non si sente bene, deve andarsene da lì prima che sia troppo tardi.
“Stai bene?” Le chiede il capo con un tono fin troppo preoccupato. La ragazza ansima senza fiato e si sforza di annuire.
Prende le sue cose velocemente e saluta con un inchino prima di uscire dalla cucina.
Si chiude la porta alle spalle con un sospiro ed è costretta a tenersi al muro mentre cammina verso casa.
La strada non è lunga, ma le sembra infinita. Qualche passante la guarda con gli occhi colmi di un giudizio non richiesto.
Sta male, si sente svenire eppure riesce a sentirsi felice.
Sorride accasciandosi sulla porta di casa e se la chiude alle spalle.
Mister Pelosetto le va incontro salutandola con un tripudio di fusa e un miagolio disperato alla ricerca della sua cena.
La ragazza sorride e chiude gli occhi abbandonando la mano sul pavimento e lasciando che il gatto ci si strusci contro.












  
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