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Autore: MoeniaDea    30/12/2019    2 recensioni
Se Medusa avesse la possibilità di parlarci, cosa direbbe? Narrerebbe la sua storia, sicuro, e la commenterebbe.
Un po' come fece il Maestro Camilleri con Tiresia e Caino. Lei parlerà di sé attraverso i miti e le storie, ma con un nuovo finale.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Medusa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Le Tre Meduse'
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Entra Medusa su un palco al buio, seguita da una luce. Quando giunge al centro, altre luci si accendono da dietro e rivelano alcune statue di uomini e donne nude sparse, nell’atto della fuga. Medusa veste di nero, i serpenti della chioma liberi e gli occhi coperti da una sottile striscia di tessuto rosso. Al fianco porta un pugnale.
 
Il mio nome è Medusa.
Sono la Gorgone, colei che trasforma gli Uomini in pietra col solo sguardo. Colei che, per maledizione di Atena, non può più amare. Non mi sono stati negati i sentimenti, ma come si può fare ad amare se neanche si può scambiare uno sguardo col proprio amato? I miei occhi non trasmettono più amore ed affetto, ma solo morte. La luce delle mie pupille rende granito e marmo ciò che è vivo e palpita di passione.
I miei bellissimi capelli, di cui Atena era invidiosa, sono diventati spire di serpenti, verdi e venefici. La gelosia, unita all’orgoglio per il titolo di “dea”, porta solo ed unicamente a terribili punizioni col quale schiacciare chi tenta di superarla. Sia Atena che gli altri dei dell’Olimpo: tutti uguali!
Le mie sorelle, Steno ed Euriale, pregando la dea che mi ha punito di perdonarmi, sono state anch’esse trasformate: capelli di serpenti, mani di bronzo e ali dorate. Ma possono ancora guardare negli occhi e sussurrare “Ti amo”, nonostante nessuno voglia amarle perché respinti dall’aspetto.
Tutto è iniziato quando Poseidone ha osato violarmi, ma non avendo pazienza scelse come luogo dell’atto il tempio di Atena. Ammetto, mi aveva ingannata: credevo volesse solo dedicarsi ai semplici scambi dei giovani innamorati, e non ad un tale atto vile. Ma la punizione per la mia ingenuità è stata maggiore al mio errore.
 
Molti scrittori hanno preso e narrato la mia storia, negli anni dall’origine della civiltà fino alla caduta degli dei antichi in favore di quel Dio con la D maiuscola che piegò la Storia col suo volere.
Per i primi narratori, io e le mie sorelle eravamo uguali: tre mostri che, oltre alle chiome di serpenti e gli arti metallici, avevano anche zanne suine e la barba. La barba, come se l’essere mostruosi significhi essere a cavallo tra i due sessi. Ma il tempo ci donò la bellezza, e gli sono grato.
C’è chi mi descrisse con in volto una maschera orrenda: oltre ai serpenti come capelli, avevo anche la bocca con zanne di cinghiale, mani e piedi di bronzo con artigli di leone. Eppure, tutti gli artisti mi hanno dipinta e scolpita bella, caratterizzata solo dalle serpi. I tentativi di Atena di sminuirvi sono falliti.
 
Eravamo figlie del dio Forco e di Ceto, nati da Crono e Rea e genitori dei mostri marini. Questo fatto venne narrato da Esiodo con la sua Teogonia, ma anche a Eschilo piacque l’idea, inserendole nella sua storia. Figlie di Titani, come gli dei. Ma invece di essere come quest’ultimi, eravamo relegate a mostri, carne da macello per le imprese dei loro figli semidivini.
Questa nostra origine, lo ammetto, è vera.
 
I poeti pensarono anche a trovarci una dimora a vantaggio delle loro storie fatte di imprese e viaggi: da un lato l’Oceano, ad Occidente, con le Esperidi e la Notte; dall’altro, la città di Tartesso. Scegliete voi la versione che preferite, quale scenario più vi aggrada nella vostra fantasia.
 
Ovidio si avvicinò alla verità della vicenda, copiando anche lui Esiodo, e descrivendomi per la donna bellissima che ero, ed i miei bellissimi capelli trasformati in serpi dalla vendetta di una dea vergine. La mia metamorfosi è come quella di molte altre donne e uomini: ingannati da quegli schifosi uomini che si definiscono dei, vittime delle vendette di quelle invidiose donne che si nominano dee. Ma poi il poeta romano raccontò l’umiliazione di vedere la mia testa sullo scudo di Atena. Un vero affronto!
 
Non mancano versioni della storia totalmente diverse, ma non per questo meno interessanti. Pausania, nella sua Periegesi della Grecia, dichiara che io fui la regina del lago Tritone, tra Libia e Tunisia, ed oggi ormai scomparso. Ebbene, io sarei succeduta a mio padre Forco ed avrei guidato il mio esercito in battute di caccia e battaglie. Durante una battaglia contro Perseo, lui venne e mi uccise di notte, mentre giacevo indifesa tra le braccia di Hypnos, ed all’alba ero col fratello Thanatos. L’eroe greco, ammirando la mia bellezza, portò la mia testa in Grecia. Un atto vile e schifoso! Ma d’altronde, cos’altro ci si può aspettare da uno di quegli eroi idealizzati?
Sono tutti viscidi uomini, convinti di essere nel giusto per quella parola: “eroe”. Vivono immersi nel vino e nelle belle donne e nei bei uomini, vantandosi delle loro imprese ingigantite dai contastorie.
In realtà sono ripugnanti fantocci di ideali altrui, col cervello delle dimensioni di un fico rinsecchito, che vivono nell’istinto e ripetendo sempre lo stesso percorso: impresa, ricompensa, vita agiata.
La gente ha pure il coraggio di dedicargli statue, storie e canzoni!
 
Vorrei dedicare anche due parole a Diodoro Siculo: lui pensava che noi Gorgoni fossimo un popolo di donne guerriere, e Perseo mosse guerra verso di noi. Affascinante, ma lontano dalla realtà. Mi lusinga molto essere vicina alle prodi Amazzoni.
Ma Noi Gorgoni siamo figlie degli dei Forco e Ceto, questa è la sola verità. L’intero Olimpo doveva riconoscere la nostra bellezza, invece di punirci!
 
Persino Dante, il “Sommo poeta”, secoli dopo, si è ricordato di me: nella sua Commedia, vengo invocata dalle Erinni di fronte alle porte di Dite, ma un angelo prima del mio arrivo le scaccia, impedendomi di pietrificare il poeta. Lo stesso Virgilio, per salvare il suo protetto, gli copre gli occhi. Come se la mano di un’anima fosse corporea!
Ebbene, sapete cosa pensava di me, lui e i suoi commentatori? Che il mio volto rappresentava il piacere sensuale che pietrifica ed indurisce il cuore umano, che oscura l’intelletto e spegne nell’Uomo ogni gusto per le cose divine.
Per quel poetastro, sono solo l’arma in mano alle Erinni per impedire che lui possa compiere quel viaggio.
Sì, è vero, il mio volto rappresenta il piacere sensuale: evidentemente non voleva vedermi perché temeva che fossi più bella della sua Beatrice, e rinunciasse al viaggio fino al suo dio per stare con me. Un vero idiota!
 
Ma la mia storia non si ferma alla sola metamorfosi: ora arriva l’atto eroico, la forza degli Uomini sulle Mostruosità. Ecco Perseo, che arriva col suo scudo bronzeo a cercare di uccidermi per conto del re di Serifo, si avvicina alla mia grotta sui suoi sandali alati. Lo vedo da lontano, un punto scuro sull’azzurro cielo, con la sua armatura che riflette il sole. Si vanta di essere figlio di Zeus, e con questa spavalderia verrà a reclamare la mia testa. Così, per ogni ciclo che le storie degli dei compiono.
Non questa volta!
Questa volta il finale lo voglio decidere io: la mia testa non verrà recisa, non nasceranno Pegaso e Crisaore, figli del violento Poseidone. Né nascerà il corallo, né Andromeda verrà salvata. Atena non mi avrà sul suo scudo per vincere in battaglia, il mio corpo non verrà seppellito sotto l’agorà ateniese.
I poeti narreranno di me in una nuova maniera, gli scultori ed i pittori mi daranno un nuovo significato.
Io, Medusa, decido da sola il mio finale. Mi basta questo pugnale e il mio cuore, ormai incapace di amare.
 
Medusa prende il pugnale al suo fianco e si trafigge il cuore, cadendo a terra. Le luci si spengono lentamente, accompagnato dal cigolio di ali metalliche che si avvicinano. Prima che l’ultima luce si spenga, due ombre di donne alate si avvicinano al cadavere.
   
 
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