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Autore: carlyxy    31/12/2019    2 recensioni
Con l’avanzare degli eventi si era inconsciamente accorta di non sopportare più nulla di Connor. Ma non era per i suoi interminabili silenzi o il modo improvviso in cui spariva per mesi interi senza dare notizia alcuna. No, il suo problema era che Connor era stato inevitabile.
Inevitabile era una parola opprimente e le sbatteva in faccia ogni cosa: l’inevitabilità di fissare la sua schiena quando le camminava d’avanti, l’inevitabilità del bisogno di sentire la sua voce, l’inevitabilità di lanciare uno sguardo in sua direzione con la coda dell’occhio e l’inevitabile dolore che provava quando scopriva che mai una volta l’indiano ricambiava il suo sguardo.
A quel punto le sarebbe piaciuto poter tornare indietro, riavvolgere il nastro e azzerare tutto.
Ma era conscia che qualsiasi cosa avesse fatto, non avrebbe fatto differenza. Era questo il problema: anche se fosse tornata indietro, in alcun modo avrebbe potuto fare a meno di innamorarsi di Ratonhnhaké:ton. [Connor x OC]
Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Achille Davenport, Connor Kenway, Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ok, probabilmente quando nello scorso capitolo scrissi a presto non intendevo fra tre anni ma sorvoliamo..
Non so se questa sezione sia ancora seguita da qualcuno ma questa storia non ha mai smesso di darmi pace, nonostante l’avessi abbandonata, ripresa e poi abbandonata nuovamente, in qualche modo ha sempre continuato a chiamarmi da quella cartella rilegata in un angolo del pc e quindi dopo ben tre anni (praticamente quattro) arieccoce.
Bando alla ciance, se siete vecchi lettori vi ringrazio per essere nuovamente qui dopo secoli e anzi vi invito a rileggere il primo che è stato modificato e revisionato (ma anche perchè probabilmente non ricorderete più nulla ahah) se invece siete nuovi lettori grazie per aver continuato la lettura oltre il primo capitolo. Vi lascio e ne approfitto per farvi gli auguri di buon anno e ci vediamo al prossimo!  


Senza-titolo-1

  Icu Wana
    – 02 Capitolo –
 
Tenuta Davenport, 1775
 
Il tempo è subdolo. Quando vuoi che voli, quello non si muove mai.
Fu un pensiero che passò spesso nella mente di Lily quei primi giorni passati a casa del taglialegna in attesta di una risposta da parte di quel Connor.
Non che la loro permanenza si fosse rivelata sgradevole anzi, la famiglia del signor Godfrey era piuttosto piacevole, persone semplici e di buona compagnia.
Ma sin dalla nascita era stata abituata al caos che regnava nella locanda e ritrovarsi nel bel mezzo del nulla, lontana dai mille rumori della città era decisamente sconfortante, per non parlare del fatto che non ci fosse nessuno della sua età nel piccolo villaggio. Si, c’erano i figli del taglialegna ma erano pur sempre bambini. Non che lei si sentisse una donna, sapeva di essere ancora qualche anno lontano dall’essere chiamata tale ma sentiva la mancanza di conversare con una figura femminile che avesse la sua stessa età e le sue stesse esigenze.
Altro neo di quell’ improvvisa situazione era l’altra metà di Godfrey – e no, non si riferiva a sua moglie – bensì al burbero e pungente amico del taglialegna, dai capelli fiammeggianti e il viso da furetto, Terry.
Per il resto, fra gli aiuti domestici e qualche chiacchiera, i giorni trascorrevano lenti e le ore sembravano non passare mai mentre i suoi genitori aspettavano con trepidazione novità dal nativo.
Non avevano più avuto sue notizie e non sapeva bene cosa sperare. Desiderava più di ogni altra cosa tornare a Boston ma i suoi genitori sembravano già preferire quella nuova vita ed erano pieni di aspettative riguardanti la nuova locanda.
Sospirò poggiando la testa da una mano all’altra. Quella mattina, come tutte le altre, i suoi genitori si erano recati in strada cercando di vendere a qualche viandante di passaggio le bevande che gli erano rimaste. Aveva promesso che li avrebbe raggiunti per dargli una mano ma in realtà lo faceva più per non morire di noia fissando il muro di legno della casa.
Fu a quel punto che si accorse del suono deciso e penetrante che echeggiava nell’abitazione: qualcuno stava bussando alla porta.
Lentamente e cercando di fare meno rumore possibile si accostò al lato della finestra per spostare le tende e sbirciare la figura che stava alla soglia. Si disse che la sua cautela era più che giustificata visto che si trovava da sola in una casa non sua e che per di più si trovava nel bel mezzo del bosco. Se fosse stato un ladro? O un bracconiere? La possibilità che i suoi genitori la sentissero urlare era praticamente inesistente.
Quando però intravide la figura di Connor, sussultò per la sorpresa lasciando subito ricadere il pezzo di stoffa. Se fosse meglio o peggio di quello che si era immaginata, sul momento, non seppe dirlo.
Suo malgrado, s’affrettò ad aprire prima che il prossimo datore di lavoro di suo padre andasse via. 
Appena spalancò la porta l’odore di terra e aria fresca la investì e lo lasciò penetrare volentieri nei polmoni.
Almeno quello era uno degli aspetti che le piaceva della vita fuori città. Non le mancava la puzza di sterco e di urina che infestava strade e vicoli e nemmeno la puzza di zolfo proveniente dai camini o l’odore penetrante dei solventi dalle concerie e men che meno non rimpiangeva l’odore di sangue rappreso dai macelli.
«Buongiorno, Signor Connor», lo salutò.
L’indiano ricambiò il saluto con un cenno del capo. «Tuo padre è in casa? Ho delle buone notizie».
La ragazza scosse la testa. «Sono usciti questa mattina presto. Di solito si recano sulla strada, cercando di vendere quel poco che ci è rimasto».
«Sapresti indicarmi da che parte?».
Deglutì. «Vi ci porto io, stavo per raggiungerli. Datemi solo un minuto», disse prima di sparire all’interno della casa. Afferrò un vecchio diario dal tavolo e lo portò con sé.
Una volta fuori, scese i tre scalini di legno e le scarpe affondarono nella terra bagnata. Sospirò immaginandosi qualche ora più tardi a scrostare via il fango.
Connor l’aspettava appoggiato contro un albero dall’altro lato della strada mentre teneva le braccia incrociate al petto e lo sguardo rivolto verso il terreno. Sembrava assorto in chissà quali pensieri. I rami gli si agitavano attorno, sembrava quasi che lo cullassero fra tutte quelle fronde e quelle foglie.
Quando la udì avvicinarsi sembrò destarsi e le venne nuovamente incontro. «Andiamo?». Lily annuì.

La strada era immersa nel silenzio. Durante il tragitto Lily si sforzò nel cercare un argomento di conversazione adatto o qualcosa di intelligente da dire che potesse mettere in buona luce la sua famiglia ma nulla, in quel momento la sua mente sembrò svuotata. Per sua fortuna, prima che il suo cervello prendesse fuoco, fu Connor a proferire parola.
«Mi sono procurato i soldi che servivano per i materiali, Godfrey e Terry vi aiuteranno con la costruzione».
«I miei genitori faranno i salti di gioia quando udiranno quello che avete fatto».
«Tu no?»
Lily sussultò impercettibilmente a quella domanda inaspettata. «Certo che sono felice, davvero», ma la luce negli occhi dell’indiano le diceva che non era del tutto sincera, lo sapeva. «E’ stata una vera fortuna avervi incontrato solo che sembra essere troppo bello per essere vero», aggiunse e lo pensava davvero. Al di là di quale potesse essere la sua personale visione su quella vicenda, doveva ammettere che il permesso di poter costruire una locanda completamente nuova in quel piccolo villaggio era qualcosa che andava al di là di ogni speranza. Ma si domandava anche dove fosse la fregatura.
«Darvi ospitalità non è un problema, il terreno è grande. Ma la locanda dovrà funzionare, in modo che Achille sia soddisfatto»
«Achille?».
«Quando ho detto di non essere un Signore non l’ho fatto per semplice modestia. E’ Achille il padrone della tenuta, non io».
«Oh. Non credo di averlo mai visto finora».
Il ragazzo fece una smorfia. «Diciamo che Achille è un tipo un po’ particolare»
«E chi non lo è da queste parti», pensò ma si morse la lingua e non parlò.
«Non ama molto mostrarsi o avere a che fare con le persone. Preferisce che mi occupi io degli affari della tenuta».
Lei annuì. «Capisco».
Si rese conto che lo stava osservando solo dopo una manciata di istanti. Distolse lo sguardo. Si stava domandando quale fosse l’età del ragazzo e scoprì di trovarsi incerta sull’indovinare la risposta. Non sembrava poi molto più vecchio di lei eppure c’era qualcosa nel suo volto che lo avrebbe quasi descritto come antico.
«Un libro?».
«Uh? Ah, non proprio», disse facendo scivolare lo sguardo sul vecchio taccuino sgualcito che aveva fra le mani. «E’ più che altro un diario dove tenevo i conti per la vecchia locanda».
Il ragazzo non aggiunse altro e si domandò se Connor avesse abitudine di tenere i pensieri per sé.
«Voi sapete leggere?».
«E scrivere». Lo disse come se fosse una naturale conseguenza. «Ti sorprende?».
«Non intendevo offendervi! E’ che metà delle persone che conosco non sanno farlo, compresi i miei genitori. Mio padre sa leggere con fatica», s’affrettò a giustificarsi. «Probabilmente voi dovreste esserne più sorpreso, non è consueto che una donna sappia leggere».
«Perché no?».
«Mia madre dice che i libri allontanano i mariti». A nutrire quei pensieri di sua madre aveva contribuito anche il pastore del suo quartiere che sosteneva che ogni donna dovesse avere come unico interesse la cura della casa e i figli. “I libri, in mano alle donne, causano distrazioni e strani pensieri”, era solito predicare.  
I lati della bocca di lui si sollevarono.
«Lo trovate divertente?».
«In parte». Finalmente Connor alzò lo sguardo su di lei. «Ma è un pensiero triste».
«Una verità triste».
«Si può sempre scegliere diversamente».
Lily sbatté le palpebre. «Sono una donna, non posso scegliere niente. Posso solo appartenere a qualcuno e fare quello che mi viene chiesto, alla pari di un animale», replicò. «E’ questo che la gente si aspetta» aggiunse, come per avvalorare quello che affermava.
«La prima volta che mi hai visto mi hai guardato come se fossi un animale ed è quello che la maggior parte delle persone si aspetta dalla mia gente». A quelle parole le guance della ragazza andarono in fiamme dalla vergogna e il primo desiderio fu quello di girarsi e scappare lontano dallo sguardo dell’indiano. «Per molti non siamo altro che selvaggi, il cui massimo desiderio è essere schiavi di qualche padrone bianco ed esserne persino grati. Ma io ho fatto delle scelte e ho deciso di combattere per questo».
In quel momento Lily non capì ciò che significavano quelle parole per Connor, né la storia che c’era dietro di esse.
«Con tutto il rispetto ma non mi ci vedo a combattere con torcia e forcone per dei libri». Le sarebbe piaciuto se qualcuno avesse infilzato il pastore, però.
Connor scosse la testa. «Non era questo ciò che intendevo. Prendi Miryam: poteva finire in convento o in un bordello ma lei ha scelto diversamente, ha scelto la libertà. Tutti gli uomini e le donne meritano di essere liberi, è questo quello per cui mi batto».
La ragazza avvertì un senso di inadeguatezza e non rispose. Distolse lo sguardo sentendo quasi come se non meritasse di guardarlo in quel momento, si limitò a concentrare tutta la propria attenzione sul diario che stringeva fra le dita.
«Ad ogni modo, se non sono stati i tuoi, chi ha insegnato a farlo a te?».
«Mio fratello, mia madre non era d’accordo ma lui lo ha fatto di nascosto. Prima che partisse si occupava lui dei conti».
Connor corrugò le sopracciglia. «Dov’è adesso?».
Le labbra della ragazza si schiusero per dare a quella domanda una risposta che però Connor non udì mai: la voce dell’oste fece voltare entrambi verso la strada.
Oliver e Corrine erano qualche metro più avanti, accostati al lato della strada con un tavolo e il carro dei barili.
«Mio padre non smette di fare l’oste neanche quando non ce l’ha una locanda», mormorò pronunciando con un sorriso ciò che voleva sembrare un rimprovero.
«Connor! Posso offrirvi qualcosa da bere?», sorrise suo padre ma l’indiano declinò e porse all’oste un sacchetto di colore scuro. «Questi dovrebbero bastare per la nuova locanda».
Lily vide sua madre portarsi le mani alla bocca.
«Grazie mille, non ve ne pentirete, è una promessa».
Nessuna esistenza scorre piatta e regolare. Ogni vita ad un certo punto curva e cambia direzione, per sempre. Spesso non riusciamo ad accorgerci il momento esatto in cui ciò avviene eppure Lily, in quell'istante, capì con rassegnazione che indietro non sarebbero più tornati.

 
Qualche giorno dopo, le costruzioni per la nuova locanda ebbero inizio e tutti gli abitanti del villaggio sembravano lieti di dare una mano, ognuno a modo proprio.
Quel pomeriggio, Lily si recò dai due legnaioli con qualche pezzo di torta di marzapane che aveva fatto sua madre quella mattina.
«Buongiorno, signorina», la salutò Godfrey mentre si asciugava il sudore con la manica del maglione scuro.
Lily sorrise poggiando il vassoio su un ceppo. «Da parte di mia madre, servitevi pure».
I due abbandonarono gli attrezzi sul posto e quasi si avventarono sul dolce.
«Ma quanti pezzi ne prendi? Lasciane anche per me!», si lamentò Terry. A Lily venne da ridere, guardando i due falegnami comportarsi come bambini. «Quanto vorrei che Connor ti cacciasse a calci fuori dalla tenuta, Godfrey!».
«Visto il tuo caratteraccio se non fosse stato per me nemmeno ce lo avremmo un lavoro qui, stupido!».
«Posso farvi una domanda?», s’intromise spezzando quella sorta di faida che avveniva praticamente ogni qual volta Godfrey e Terry erano in disaccordo su qualcosa, ovvero quasi ogni cosa. Si era chiesta come avessero fatto a diventare così amici quei due.
«Quello che vuoi, bambina», le sorrise Godfrey lasciando perdere l’amico col viso da furetto e tornando ad addentare un nuovo pezzo di torta.
«Che tipo di lavoro fa Connor? Voglio dire, devono volerci molti soldi per mantenere tutta questa tenuta».
«In realtà non è proprio sua», disse Terry. «E’ del vecchio».
«Achille?».
«Si, Achille Davenport, è lui il padrone. Credo che Connor sia tipo il suo..», si fermò qualche attimo come per cercare le parole adatte. «..figlio adottivo?», concluse fissando Godfrey.
«E voi l’avete conosciuto?».
«Si, più o meno», disse rigirando il martello che aveva fra le mani. «Lo abbiamo incrociato qualche volta nel corso degli anni ma per qualsiasi cosa ci riferiamo a Connor quando si trova alla tenuta».
«Non esce molto spesso di casa», aggiunse Godfrey.
«Quindi Connor abita qui da sempre?», continuò.
«Per quanto ne sappiamo», mormorò scrollando le spalle. «Penso avesse più o meno la tua età quando ci trasferimmo qui».
Lily corrugò le sopracciglia sorprendendosi di come quei due non sapessero nulla del ragazzo, nonostante ormai vivessero lì da anni.
«Ma perché ti interessa tanto, comunque?», domandò Terry alzando un sopracciglio rubro.
«Per pura curiosità», si difese. «Lavorate per lui, dovreste farvi le medesime domande».
«Connor è un bravo ragazzo», disse Godfrey mentre era piegato a piallare un’asse. «Ci basta sapere questo».
«Ma se proprio ci tieni a sapere, perché queste domande non lei fai a lui?», disse Terry. «Invece di farci perdere tempo quando qui abbiamo ancora molto da lavorare. Di questo passo potrò bere birra in santa pace nel prossimo decennio».
«Bene, allora vado», disse sollevando il piatto ormai vuoto dal ceppo. «Ma sappi che ti sei appena giocato il pudding che vi avrei portato domani». Senza lasciargli il tempo di replicare si voltò e corse via.
   
 
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