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Autore: NPC_Stories    01/01/2020    1 recensioni
Seguito di Lezioni di sopravvivenza - Primo Livello, L'alba del Solstizio d'Inverno e Cursed with Awesome.
Dee Dee continua il suo percorso di crescita scendendo sempre più nelle viscere del dungeon, ma qui l'aspettano sfide ancora peggiori. Il suo compagno di viaggio drow è più dannoso che utile, anche se a volte le due cose coincidono.
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Spoiler: niente romance. La differenza di età la renderebbe una cosa creepy.
Nota: come al solito i personaggi principali sono tutti originali, ma potrebbero comparire a spot alcuni personaggi famosi dei Forgotten Realms
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 10)


Dee Dee si era svegliata con una spalla anchilosata a causa della posizione scomoda in cui aveva dormito, ma il problema era rientrato da solo grazie alla sua semplice routine di ginnastica mattutina. In realtà non sapeva se fosse mattina, ma dentro di sé chiamava ancora così il momento che seguiva il risveglio. C’erano abitudini troppo radicate nella sua natura di abitante della Superficie, e ancora non era riuscita a rinunciare a calcolare il tempo anche se viveva nel sottosuolo da mesi.
Una decina di minuti di esercizi fecero miracoli per recuperare mobilità muscolare, e Dee Dee si chiese, non per la prima volta, se l’essere una mezza vampira influisse su questo. Daren le aveva detto che era eccezionalmente forte e resistente per la sua stazza, e prima di lui anche Valaghar aveva espresso un parere simile. Il suo corpo poteva guarire velocemente dalle ferite, forse la sua natura contaminata da influenze non-morte paradossalmente l’aiutava a riprendersi prima anche dalle infermità e dalle malattie… era strano, se si fermava a pensarci, che essere una mezza non morta le permettesse di sopravvivere più facilmente.
Quando si sentì pronta, si lavò brevemente di nuovo e controllò il suo equipaggiamento, mentre faceva piani per la giornata. La sera prima non si era guardata intorno con molta cura, fidandosi dei suoi ospiti, ma ora era curiosa. Si trovava in un posto nuovo, non sapeva dove andare, non sapeva dove non andare (era in un tempio, quindi c’erano per forza dei luoghi interdetti agli estranei), e non sapeva con chi parlare. Le uniche persone che conosceva erano Raeliana, la sacerdotessa con quello strano senso dell’umorismo, e Adinvyr, il giovane che stava di guardia al fiume. Aveva incontrato altre persone da quando era arrivata, ma non sapeva i loro nomi.
Già, Adinvyr. Avevano una mezza promessa di incontrarsi alle caserme per una schermaglia di addestramento, ma Dee Dee si sentiva un po’ in imbarazzo per via del modo in cui gliel’aveva proposto. Era davvero una ragazzina goffa, quando si trattava di interagire con i ragazzi, ma a sua discolpa non le era mai successo di volerlo fare, prima.
Accidenti, si rimproverò, nascondendo il viso fra le mani nella privacy della sua stanza. Dovrò raccogliere un bel po’ di coraggio prima di presentarmi alle caserme, oggi. A parte che non so nemmeno dove siano… e comunque prima devo parlare con Qilué Veladorn, chiunque sia. Ho già consegnato il prigioniero, ma devo portare a termine il mio compito. Aprì la scarsella magica e ne tirò fuori la pergamena, che all’ingresso non le avevano requisito. Se gli ordini erano che la consegnasse a Qilué in persona, così lei avrebbe fatto.
Uscì dalla sua stanza, sentendosi stranamente sola anche se era in un luogo pieno di gente.
Si trovava in una caverna dalla forma più o meno circolare, anche se frastagliata. Il diametro sarà stato di una trentina di metri o poco più, ma dalla sua posizione Dee Dee trovava difficile stabilirlo. C’erano molti edifici costruiti in pietra, e il pavimento della caverna non era pianeggiante, presentava salite e discese e c’erano stradine che sembravano perdersi sotto ad altre strade diventando cunicoli sotterranei, mentre altre ancora si sollevavano dal livello del terreno costeggiando edifici e diventando ponti, solo per poi tornare a essere normali strade quando si appoggiavano ad una piattaforma o a un gradone di roccia più in alto. Alcuni di quei camminamenti erano di sicuro artificiali, altri lasciavano qualche dubbio. Case edificate in solida pietra si affiancavano a caverne scavate nella parete per ricavarne abitazioni. Qualcuno ci aveva messo molto impegno, nel progettare quel luogo. Per qualche ragione l’intera caverna era illuminata da fuochi fatati verdi e blu, oltre che dalla presenza di licheni fosforescenti per natura.
Ieri c’era una maga halfling in un posto di guardia, rammentò. Forse qui non vivono solo drow?
La sua domanda trovò implicita risposta quando due soldatesse le passarono accanto, chiaramente dirette a pattugliare qualche altra zona, e una delle due era umana. Dee Dee se ne accorse dal profumo secco e caldo del suo sangue, prima ancora di vederla. I drow avevano sangue più dolce, ma anche più acidulo. Dee Dee sentiva la mancanza del sangue umano da quando si era attaccata al collo dell’adepto di Juiblex per indebolirlo, ma riuscì a trattenersi senza problemi; aveva bevuto solo il giorno prima, da Daren. Sarebbe stata… non proprio sazia, ma almeno capace di controllare la sete, per altri due o tre giorni. Certo stare in mezzo a tutta quella gente non aiutava. Il loro profumo era una tentazione continua.
Dee Dee scattò per correre dietro alle due guardie che l’avevano appena superata.
“Perdonatemi, cerco Qilué Veladorn, mi potete dire dove…?”
“La sua magione è quella molto grande, e molto illuminata, scavata nella parete orientale. Ma non c’è certezza che ora sia lì, potrebbe essere a pregare o impegnata in altro modo. Sei una visitatrice?”
Dee Dee annuì, sorpresa dai modi spiccioli della soldatessa. Forse era una cosa tipica degli umani, per via della loro vita breve.
“Se hai comunicato alle guardie agli ingressi che vuoi conferire con la Gran Sacerdotessa, sarà lei a trovarti.” Promise la guardia drow.
Dee Dee fece spallucce e le lasciò andare, ma dentro di sé non era di umore tanto roseo. Non era abituata ad avere a che fare con la gerarchia, non era una grande ammiratrice delle chiese in generale, e tutto questo cominciava a darle un po’ sui nervi.
Decise di andare un po’ in giro a zonzo, almeno in quella caverna, e scoprì che verso il centro c’era un grosso edificio in cui venivano alloggiati gli ospiti più rispettati; fu inevitabile fare mentalmente il confronto con la caverna laterale in cui avevano ospitato lei.
La giovane si accigliò, chiedendosi se quell’accoglienza tiepida fosse dovuta al fatto che era una dhampir, o se fosse perché la sua missione era di natura incerta. Lei stessa non sapeva perché si trovasse in quel luogo.
Ad ogni modo, per quanto con reticenza, le avevano dato un letto e del cibo, quindi lei si sentiva in dovere di sdebitarsi. Valaghar le aveva insegnato che era meglio non dare per scontata la gentilezza altrui, e che rendersi utile era un buon metodo per farsi benvolere. Gironzolando intorno alla casa degli ospiti più onorati, quasi andò a sbattere contro un nano canuto senza un braccio che lavorava nelle cucine ed era uscito a ritirare una consegna. In breve si ritrovò a scambiare due chiacchiere e a trasportare all’interno le sue casse di tuberi.
Venne fuori che il nano si chiamava Podlen, si trovava lì per lealtà verso una sacerdotessa che gli aveva salvato la vita, e in gioventù era stato un fabbro. Senza più un clan e senza un braccio, il nano si era reinventato come cuoco, e Dee Dee passò un’allegra mattinata aiutandolo con i lavori più semplici mentre lui le raccontava storie della sua vita e antiche leggende naniche. La dhampir rimase in silenzio per quasi tutto il tempo, affascinata. Le piaceva ascoltare antiche storie. Quando era bambina, nella corrotta cittadella dei non morti in cui era cresciuta, era riuscita a trovare un angolino di pace proprio nello studio di un lich millenario che per lavoro scriveva enormi tomi sulla storia del Netheril. Nei giorni in cui si accorgeva che Dee Dee era riuscita a sgattaiolare nel suo studio, si metteva a leggere ad alta voce quello che stava scrivendo, senza curarsi di partire dall’inizio o di rendere la storia in qualche modo interessante. Non era un gran narratore, specialmente per una bambina, ma Dee Dee gli era grata per quelle piccole attenzioni. Lui riconosceva la sua esistenza, e la lasciava stare. Non la terrorizzava, non cercava di convincerla a diventare un vampiro, non la torturava. In breve tempo lei aveva iniziato a trarre un grandissimo conforto da quelle infinite e noiose storie, quelle sequele di date e nomi impossibili da memorizzare.
I racconti di Podlen erano molto più interessanti. Parlavano di antichi re sotto la montagna, di dèi che si davano battaglia, di eroi che ispiravano eserciti e le cui gesta riverberavano attraverso i secoli. O forse era solo il modo di narrare, che era diverso.
“Fei ficuro di non effere un bardo?” gli domandò ad un certo punto, approfittando di un momento di silenzio.
“Che dici? Ogni nano è fiero delle proprie origini! E se non lo è” annunciò, agitando un mestolo con aria minacciosa “gli spacco il mio scettro sulla testa, altro che! Ma ora prendimi quella pentola, ragazza. Sei forte, anche se sei così gracilina.” Indicò con disinvoltura un pentolone che era più grosso di lei, in cima a un armadio. “Per quando Meryl tornerà devo aver messo a cuocere lo stufato.”
“Chi è Meryl?” domandò la biondina, arrampicandosi con agio su una scala a pioli e sollevando il grosso pentolone per un manico. Era pesante, ma nulla che non potesse gestire.
“Pah! Chi è Meryl? Nessun’altra che Meryl Vyrmoth, capocuoca di questa magione, e che dico, miglior cuoca del tempio e della città messi insieme. Il mio capo, insomma.”
“La citt… oh, Fkullport? Quindi non fei tu il cuoco di quefta cafa?”
“Hai davvero una pronuncia strana, ragazza, te l’hanno mai detto?”
“Colpa dei canini” si scusò Dee Dee.
“Bah! Io sono un aiutante cuoco. Sono anche bravo, eh, la cucina era la mia passione. Un fabbro deve avere uno svago, ogni tanto. Ma sul serio pensavi che un cuoco con un braccio solo potesse cucinare tutto quello che serve qui? Ascolta un vecchio nano, ragazza… e io lo sono, eh, molto vecchio, e anche molto nano, che Moradin mi prenda a calci se non è vero! Un nano con un braccio solo può suonarle a un orco, e può suonarle anche a un drow se serve, ma non può pelare radici e non può cucinare un pranzo per venti persone. No, eh! Già che siamo in tema, pelami queste radici, ragazza coi canini.”
Dee Dee fece spallucce, e si mise a pelare radici, mentre lui le raccontava di quella volta che le aveva suonate ad un ogre, pur con un braccio solo.

Quando la cuoca ufficiale arrivò, Dee Dee scoprì che la famosa Meryl Vyrmoth era una donnina all’apparenza simpatica e alla mano, ma che nascondeva un caratterino da rispettare. Non ci entrò in contrasto, ma non fu necessario: c’era qualcosa nel suo modo di parlare, che lasciava intendere Sono qui per servire, ma non sono una serva.
Per esempio, aspettò che Dee Dee avesse finito di lavare i piatti prima di dirle che Qilué Veladorn aveva finalmente chiesto di vederla.
La dhampir non se la prese. Amava tenere le mani in ammollo nell’acqua calda.

La Gran Sacerdotessa l’aspettava nella sua casa. Come le aveva detto la guerriera umana, era l’edificio molto grande sulla parete est. Era più illuminato del resto della caverna, e Dee Dee se ne chiese la ragione. La luce non dava fastidio ai drow? Ad ogni modo non erano affari suoi, quindi allontanò quei dubbi e si avvicinò alla porta. C’era una sola guardia, ma dopo uno scambio di convenevoli chiarirono che la dhampir era attesa, e venne fatta entrare. La ragazza si ritrovò sola in una grande stanza d’ingresso, ma Qilué le venne incontro poco dopo, togliendola d’impiccio.
Dee Dee intuì che fosse lei la padrona di casa, perché si muoveva come se la stanza fosse un’estensione dei suoi abiti, con portamento regale e sicuro. La sua bellezza era a malapena coperta da un abito bianco leggero, quasi trasparente, e nei suoi occhi si intuiva una luce benevola e serena, ma in qualche modo distante.
“Benvenuta, visitatrice. Sono Qilué Veladorn, guida spirituale di questa piccola comunità e… destinataria della tua lettera, suppongo. Spero che non ti sia annoiata nell’attesa.”
Dee Dee aveva la sensazione che la sacerdotessa si stesse sforzando di mettere in fila tutte quelle parole, come se di solito non usasse trattenersi così a lungo con i visitatori. Ma forse era solo una sua impressione, forse partiva prevenuta.
Si riprese dal suo torpore e frugò nella scarsella, tirando fuori la pergamena arrotolata. Non l’aveva aperta, anche se era curiosa. Daren si era fidato di lei.
“Io fono Dee Dee, e fono un’avventuriera… e portatrice di lettere.” Non aveva molto altro da dire su se stessa, e questo la fece sentire un po’ inadeguata. Decise di passare a cose più pratiche. Fece due passi avanti, porgendole la missiva. “Ecco, fignora. Credo che abbia a che fare con il prigioniero… ma oneftamente non l’ho letta e non ne fono certa.”
L’elfa scura prese la pergamena, ma non l’aprì davanti a Dee Dee. La dhampir capì il messaggio, rivolse un leggero inchino alla sacerdotessa e fece per arretrare verso la porta (non voleva voltarle le spalle, le sembrava maleducato).
“Aspetta. Ho sentito dire che hai espresso il desiderio di addestrarti con i nostri soldati… o con uno in particolare?”
Dee Dee arrossì furiosamente, e sulla sua carnagione pallida purtroppo si vedeva moltissimo. “Uh… mi piacerebbe… per… confrontare i noftri ftili di combattimento e… per non impigrirmi troppo” si giustificò.
La donna più anziana annuì con un sorrisetto complice. “Ma certo. I quartieri della milizia sono nella caverna a sud di qui. Fuori da questa casa, subito a sinistra c’è un passaggio. Dovrò leggere la tua missiva e forse mi darà di che riflettere, stasera potrei chiedere ancora di te, ma fino ad allora ritieniti libera.”
“Grazie. Allora… mi farete fapere fe invece non farò neceffaria? Non defidero imporvi la mia prefenza più del dovuto.”
“Non è un’imposizione. Finché ti rendi utile, sei la benvenuta. Sono certa che Meryl ha apprezzato il tuo contributo in cucina” buttò lì, e Dee Dee si chiese come facesse a saperlo “ma a seconda dei tuoi talenti, potremmo trovarti un’occupazione più utile.”
“Io… fono una guerriera e bafta. Non penfo che abbiate penuria di foldati.”
“No, ma due mani in più servono sempre e… forse tu hai anche altre qualità che dai per scontate. Per esempio, una mezza vampira potrebbe sapere molte cose sui non morti.”
Dee Dee sobbalzò, perché non ci aveva pensato. Lei sapeva molte cose sui non morti.
“Certo, fe le mie conofhenze poffono effere utili…”
“La conoscenza è sempre utile” confermò la bella sacerdotessa, e le sue parole ricordavano molto da vicino le opinioni di Daren in merito. Dee Dee si diede della sciocca per non averci pensato.
“Ho anche efplorato buona parte del primo livello, negli ultimi mefi” raccontò, volenterosa. “Da… il mio compagno di viaggio dice che le alleanze e i confini territoriali mutano velocemente, potrei avere informazioni più aggiornate delle voftre se vi intereffa.”
“Potrebbe interessarmi” decise la drow. “Confido di rivederti qui dopo il pasto serale. Ma prima, ti hanno offerto qualcosa da mangiare, da quando ti sei svegliata?”
Dee Dee arrossì ancora, imbarazzata da quelle premure. Non era una bambina.
“Difficile paffare la mattinata nelle cucine fenza mangiare nulla” confessò.
Contro ogni sua previsione, Qilué si lasciò andare in una risata cordiale. Era il tipo di risata che si rivolge a un bambino, ma Dee Dee non se la prese.

Adinvyr era giovane, ma era già un buon guerriero. Daren le aveva accennato al fatto che i drow vengono addestrati nell’uso delle armi fin da ragazzini, ma ora ne aveva la prova; l’elfo scuro non era molto più vecchio di lei, ma già si muoveva con la scioltezza di qualcuno che ha un solido addestramento alle spalle. I suoi movimenti erano automatici, non doveva stare a pensarci, gli affondi e le parate si susseguivano con fluidità.
Un addestramento scolastico però non basta, nella vita reale. Dee Dee aveva imparato a difendersi più o meno quando aveva imparato a camminare. Nessuno le aveva mai insegnato e all’inizio faceva affidamento solo sui suoi canini, sulla sua forza fisica e su armi improvvisate che il terreno di battaglia le offriva. Da bambina aveva imparato soprattutto a colpire l’avversario abbastanza da rallentarlo o distrarlo, e poi scappare. Poi aveva dovuto imparare anche a cacciare, si era nutrita di carne e sangue di troll perché a Warlock’s Crypt non c’era altro per sostentare una persona vivente. Non era stato facile, aveva imparato a giocare d’astuzia e tendere trappole, e aveva iniziato a maneggiare armi vere per poter tagliare pezzi di troll (rubare un piede o una mano era più sicuro che cercare di uccidere un troll intero, tanto la maggior parte di loro non si curavano di inseguirla solo per un piede o una mano). Finalmente, quando lei aveva circa tredici anni, era arrivato Valaghar e l’aveva salvata da quella vita orribile. Non solo le aveva insegnato come comportarsi nella vita, ma in quei pochi anni insieme l’aveva anche addestrata secondo un onesto codice di combattimento. Lui era un paladino, comportarsi bene nella vita e comportarsi bene sul campo di battaglia erano due facce della stessa medaglia.
Quello stile di combattimento l’aveva quasi fatta uccidere, nell’Undermountain. Dee Dee non aveva dubbi che Valaghar sarebbe riuscito a sopravvivere perfino laggiù, ma occorreva una grandissima maestria per combattere correttamente e non soccombere. Lei aveva solo un’infarinatura di scherma e se avesse seguito i precetti del suo vecchio maestro sarebbe morta.
Daren aveva tutto un altro punto di vista sulle battaglie e sul proprio ruolo in relazione agli avversari. Lui partiva dal presupposto che se qualcuno era suo nemico, troppa correttezza non se la meritava. Ogni sua azione in combattimento era finalizzata a vincere o a ingannare. Quando voleva vincere non andava troppo per il sottile; incalzava l’avversario senza pietà e se riusciva a buttarlo a terra di sicuro non gli dava il tempo di rialzarsi. Valaghar invece lo faceva. Se invece Daren si prendeva il disturbo di ingannare qualcuno, probabilmente non aveva intenzione di ucciderlo, e questo dipendeva sempre dalla natura dell’avversario. Aveva raggirato Dee Dee la prima volta in cui avevano combattuto l’uno contro l’altra. Poi aveva mentito ai soldati seguaci di Selvetarm facendo loro credere di essere devoto a Vhaeraun, una divinità rivale, e aveva permesso che uno o due di loro scappassero incolumi per diffondere la notizia.
Dee Dee si stava chiedendo quale tecnica fosse meglio usare contro Adinvyr. Combatteva secondo lo stile drow, anzi, lo stile drow dei seguaci di Eilistraee, mulinando una grossa spada a una mano e mezza. I suoi movimenti erano eleganti e fluidi come una danza. Forse stava dando fin troppa importanza all’estetica, perché c’erano dei momenti (brevi, ma visibili) in cui la sua guardia restava scoperta. Se al posto della ragazza ci fosse stato Valaghar, lui avrebbe apprezzato la bellezza di quell’esecuzione come gesto di rispetto verso una dea buona, e avrebbe combattuto correttamente rispondendo alla forza con la forza. Forse avrebbe visto le falle della difesa di Adinvyr, ma non le avrebbe sfruttate.
Dee Dee decise di sfruttarle. Adinvyr era un drow, viveva in un mondo pericoloso, era molto meglio che quei difetti fossero messi in luce da lei anziché dal suo prossimo vero nemico.
Il guerriero roteò la spada alzandola verso l’alto in un movimento a spirale. La dhampir aveva osservato abbastanza le sue movenze da sapere che sarebbe seguito uno sgualembro dritto, cioè un colpo che anziché calare dritto dall’alto sarebbe giunto in obliquo verso la sua spalla sinistra. Si mosse prima che la spada potesse calare. S’infilò sotto la guardia dell’avversario e alzò il braccio destro, incrociando la sua spada lunga con la bastarda del drow. Voleva spingere la spada più grossa verso l’esterno, ma era troppo pesante, quindi si trovò a doversi girare su se stessa per imprimere forza nel movimento. Riuscì a deviare la bastarda ma si trovò con la schiena contro il petto dell’elfo scuro. Si aspettava che lui avesse un’arma nell’altra mano. Daren l’avrebbe avuta, quindi d’istinto aveva sollevato il pugnale dietro la schiena per parare un affondo che però non venne.
“Non… non hai un’arma nella mano finiftra?” domandò, dopo un istante di silenzio imbarazzato.
“Rendo onore alla mia dea usando la sua arma prediletta” rispose lui, facendo un passo indietro e rimettendosi in posizione di difesa.
Dee Dee lo imitò, voltandosi verso di lui e rilassando le spalle in modo che le sue armi rimanessero ben visibili ai suoi fianchi. Erano una spada lunga e un pugnale da addestramento, senza filo e senza punta, come anche la bastarda di Adinvyr, ma gli altri combattenti si stavano esercitando con armi vere. Forse per lei avevano fatto un’eccezione perché era una visitatrice.
E cosa ne diresti di onorare la tua dea restando in vita? domandò, ma solo nella sua mente. Non aveva una grande opinione della fede religiosa, in generale. Valaghar era morto per onorare il suo dio.
L’idea che un ragazzo così giovane anteponesse l’estetica della sua esibizione e il desiderio di onorare la sua dea a decisioni pragmatiche come vincere una sfida, l’offese profondamente anche se non capiva perché.
Forse perché sospettava che anche Daren seguisse la stessa divinità, e in fondo in fondo era spaventata che un giorno facesse la fine di Valaghar. Alla fine, in tutto quel tempo, quante volte si era immischiato in situazioni che non lo riguardavano? Praticamente sempre? Perché lo aveva fatto?
Quando Adinvyr l’attaccò di nuovo, Dee Dee decise che avrebbe giocato sporco. La battaglia fu molto rapida. Dee Dee permise all’avversario di disarmarla facendole volare via la spada lunga, cosa che lo convinse di essere in vantaggio, ma poi il loro scontro si concluse con il drow atterrato sulla pietra dura del campo d’addestramento e la dhampir sopra di lui, troppo vicina per poter essere colpita con la bastarda, il pugnale puntato contro il polso di Adinvyr in modo da tenere la mano armata a distanza, e i suoi denti appuntiti poggiati contro il suo collo esposto.
“Ora fei morto” sussurrò Dee Dee, sfiorandogli appena la pelle. Lui provava disagio, anche una punta di paura, e questo per fortuna rendeva il suo sangue meno appetibile. Alcuni vampiri si eccitavano sentendo la paura delle loro vittime, ma per Dee Dee era un grosso deterrente. Si alzò a sedere, notando solo in quel momento che alcuni altri guerrieri intorno a lei avevano messo mano alla spada. Si rialzò in piedi con grazia, porgendo una mano ad Adinvyr.
“Hai giocato sporco” protestò lui, tastandosi il collo dove i denti di lei l’avevano sfiorato. Non aveva neanche un graffio. A quel punto accettò la sua mano per rialzarsi.
“Ho giocato fporco e tu fei morto” insistette lei. Era sconcertata che un drow avesse appena protestato per un inganno in combattimento. Se ci fosse stato Daren probabilmente lo avrebbe preso a calci dove non batte il sole. Cioè dappertutto, siccome erano sottoterra.
Adinvyr scosse la testa, ma poi sorrise accettando quella logica. “Si vede che sei un’avventuriera. Non vai per il sottile.” Ora non suonava più come una recriminazione, ma come un complimento.
Dee Dee gli sorrise, andò a recuperare la spada lunga e si rimise in posizione d’attacco. Aspettò che lui le facesse cenno di cominciare. Non voleva insistere nel giocare sporco.
Si addestrarono insieme per un’altra oretta, poi furono organizzati dei combattimenti a squadre e Dee Dee e il suo nuovo amico si trovarono dalla stessa parte, per un po’. Non era male neanche così, ma la loro squadra perse miseramente contro alcune sacerdotesse guerriere più esperte. La dhampir non se la prese, era sempre bello imparare qualcosa di nuovo.

Le squadre vennero modificate diverse volte, in modo che tutti si abituassero a combattere con tutti, e Dee Dee si ritrovò la maggior parte delle volte nella squadra perdente. Un paio di volte fu anche colpa sua, perché aveva uno stile di combattimento troppo individualista e poco portato alla cooperazione. Era abituata a girare con uno che sapeva difendersi molto meglio di lei, quindi non le veniva naturale tenere d’occhio i suoi alleati. Era sempre stata lei quella debole, fino a quel momento, invece nell’addestramento non era così e all’inizio non l’aveva capito; si sentì tremendamente in colpa quando una sua compagna di squadra, una ragazza umana che si impegnava molto ma non aveva talento, si prese una spadata di piatto contro la tempia e cadde a terra come un sacco di patate. Dopo quell’incidente Dee Dee si ritirò dai combattimenti per accompagnare la ragazza in infermeria.
A onor del vero, una volta avevano anche vinto per merito suo, perché aveva individuato correttamente l’avversaria più forte ed era riuscita ad abbatterla, sollevando il morale della sua squadra e affossando quello degli avversari. Ma in generale le sacerdotesse avevano capito che non era abituata a lavorare in gruppo e gliel’avevano fatto notare.
Dee Dee ci ripensò con serietà, mentre la giovane Calsica veniva medicata da un’accolita. Per fortuna la donna non sembrava essersela presa, e voleva tornare all’addestramento prima che terminasse.
“Tu fei umana, come mai fei una feguace cofì fervente di una dea drow?” Le domandò, mentre finivano di bendarle la fronte.
“Facevo parte di un gruppo di schiavi diretti a Skullport, tre anni fa, e le sacerdotesse della Signora della Danza mi hanno liberata. Ero un’avventuriera mercenaria prima di essere catturata e ridotta in schiavitù” raccontò la donna, e in effetti parlava la lingua comune della Superficie con fluidità. “Non ho una vera vita a cui tornare, i miei compagni erano morti e non mi andava più di rischiare la vita solo in cambio di soldi. Questa gente mi ha dato una casa e mi ha dato un ideale più alto. Sono in debito, e la mia devozione è il minimo che possa offrire in cambio.”
Ricordando la facilità con cui Calsica era stata atterrata, Dee Dee cominciava a sospettare che non fosse un granché, come mercenaria, e che l’avessero catturata per questo.
Molte persone qui devono avere una storia simile… spiegherebbe come mai c’è un così grande numero di fedeli che non sono drow, considerò, mandando a mente quanti umani, halfling, mezzi-umani o persone di altre razze aveva visto in quel tempio dal giorno prima. I drow erano comunque la maggioranza, ma non si era aspettata di trovare anche persone che avrebbero vissuto sicuramente meglio in Superficie.
Decise di non tornare al cortile degli addestramenti. Si trattenne per un po’ nell’infermeria e aiutò l’accolita a mettere in ordine e a svolgere i quotidiani compiti di pulizia, poi tornò verso il suo alloggio. Nonostante tutto, era stanca. Aveva preso un po’ di botte che la sua resistenza sovrannaturale aveva guarito quasi subito, ma ora sentiva il peso di quella giornata piena. Non riusciva a spiegarselo, di solito la sua routine era anche più stancante di così…
Quando si chiuse alle spalle la porta del suo alloggio sentì un profondo sollievo, e allora capì. Il problema era stare gomito a gomito con così tante persone, tutte insieme. Non ci era abituata ed era stato più stancante che combattere o lavorare.
Qualcuno aveva lasciato del cibo e dell’acqua sul suo tavolo di pietra. Dee Dee si lavò, poi si riposò un’oretta e infine consumò il suo pasto serale, anche se controvoglia. Non aveva dimenticato che Qilué Veladorn aveva espresso il desiderio di rivederla, quella sera.

Quando tornò alla magione della Gran Sacerdotessa non era più in soggezione come quella mattina e riuscì ad apprezzarne maggiormente la bellezza. Non era un edificio pomposo come quelli che aveva visto a Waterdeep, era comunque una casa scavata nella pietra e che si adattava bene allo stile di vita semplice del tempio, però i drow avevano uno spiccato senso estetico e ogni curvatura della roccia, ogni bassorilievo o dettaglio, erano sottolineati con grazia da luminescenze di colori diversi. Se doveva basarsi sulle sue osservazioni di quel giorno, Eilistraee doveva essere una dea che dava importanza alle arti e alla bellezza. Perfino lo stile di combattimento di quella gente doveva somigliare a una danza.
Per i suoi gusti era tutto un po’ troppo poco pratico. Le sembrava che fosse un limite, come per Valaghar era un limite il dovere di essere sempre corretto e onesto.
Attese Qilué nel vasto atrio in cui l’avevano fatta accomodare anche quella mattina. C’era un divanetto e Dee Dee, dopo una decina di minuti, decise di approfittarne. Cominciava a pensare di essere venuta troppo presto. Forse era di troppo. Forse la religiosa non si trovava nemmeno lì.
Poi però sentì delle voci avvicinarsi alla porta che dava verso le stanze più interne. Le parole non giungevano chiarissime, ma Dee Dee aveva un udito eccellente.
“...non sono anch’essi figli di questo mondo?” chiese una voce femminile, soffocata dallo spessore della porta di legno di fungo.
Una breve pausa, in cui si sentì qualcuno armeggiare con la chiave nella toppa.
“Ora penso di capire” cominciò la seconda voce, poi divenne più chiara quando la porta si aprì “la ragione del vostro rifiuto.” A Dee Dee sembrava la voce della Gran Sacerdotessa.
“Vi ho sconvolta?” continuò la prima voce.
Qilué aprì la porta e si accorse della presenza di Dee Dee. Se provò disagio, non lo diede a vedere.
“Mi avete sorpresa, piuttosto” sorrise all’altra donna, che era anch’essa una drow. “Vi auguro un viaggio di ritorno rapido e sicuro.”
“Grazie, lo spero anch'io. Scendere quaggiù è stata una strada in salita." Scherzò. "Non sono certa di cosa dovrei augurarvi in cambio… vittoria e fortuna, immagino.” La drow sconosciuta controllò che la sua borsa fosse ben chiusa, indossò un cappello a punta, fece un cenno di saluto a Dee Dee e si diresse con passo sicuro verso la porta.
La ragazza la seguì con lo sguardo, incuriosita. Era vestita con abiti da viaggio molto banali, di lana leggera e cotone, e i suoi stivali di cuoio pesante avevano visto giorni migliori. Il suo cappello era floscio da un lato ed era stato rattoppato diverse volte. La dhampir non emise fiato finché la visitatrice non fu lontana, ma poi diede voce ai suoi dubbi.
“Perché un cappello? Quaggiù non piove.”
Qilué sorrise con una certa condiscendenza. “Sospetto che sia più che altro un simbolo. Chiederesti a una regina perché indossa la corona?”
Dee Dee spostò lo sguardo sulla sacerdotessa, che ai suoi occhi sembrava una regina molto più di quell’avventuriera vestita da contadina. “Boh? Non ne ho mai vifta una.”
“La lettera che mi hai portato conteneva rivelazioni interessanti” esordì la drow, introducendo l’argomento principale. “Presto ti chiederò di approfondire il racconto della tua disavventura nel tempio di Juiblex, dove hai catturato quel malvagio cultista. Io ed altre sacerdotesse abbiamo dei dettagli da considerare ed il tuo racconto ci aiuterà. Prima però è necessario che ti avverta: il tuo compagno… non è benvisto da tutti, qui. Da me sì, ma questo è un segreto. Ci sono persone in questo tempio che lo giudicano un poco di buono, niente più che una spia di Skullport o un mercenario. Altre non considerano nemmeno la sua esistenza. Fra le sacerdotesse che conoscerai più tardi, vedrai anche una drow con una bambina piccola. Vorrei che tu riferissi a… al nostro amico” ci pensò un istante, vagliando diverse opzioni. “Solo che le hai viste e che stanno bene.”
“Oh” Dee Dee cercò di ricordare se Daren le avesse mai parlato di una compagna, una figlia, o forse una sorella. Non le veniva in mente nulla. “Fono perfone importanti? Cioè… per lui?”
Qilué rispose al suo sguardo interrogativo con un’espressione di incertezza che non dava risposta.
“Potrebbero esserlo. Non ne sono sicura.”
In quel momento arrivò un’altra soldatessa, una mezza drow vestita con un’armatura leggera che non faceva nulla per mascherare le sue forme. Qilué fece un cenno di saluto alla donna e sembrò riconoscente per quell’arrivo provvidenziale.
“Rylla. Vieni, ti prego. In quanto comandante delle guardie del tempio e dei nostri Cavalieri del Cantoscuro, ho necessità di discutere con te alcuni… dettagli che sono emersi di recente. Questa ragazza si chiama Dee Dee” la presentò alla nuova arrivata “ed è lei che ci ha portato il prigioniero. Ha qualcosa di interessante da raccontarci.”

           

   
 
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