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Autore: Melanto    01/01/2020    7 recensioni
[Soulmate Series - #5]
Mamoru ha tutto programmato: quel week-end è il loro. Lo stanno aspettando da quel San Valentino rubato al caso solo grazie a un pizzico di follia e di fortuna. Questa volta, invece, nessuna fortuna né caso: tutto è stato calcolato nei minimi dettagli. Takeshi non c'è, e lui e Yuzo hanno casa libera.
Ma che fare quando non hai tenuto conto della Prima Legge di Murphy?
Un romantico week-end a due rischia di trasformarsi in un incubo, perché 'niente è facile come sembra'...
...soprattutto quando hai un ingombrante 'Terzo Incomodo' a remarti contro.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Mamoru Izawa/Paul Diamond, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Soulmate Series'
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The 'Third Wheel' Theory

 

 

The 'Third Wheel' Theory

Soulmate series - #5

 

 

 

Mamoru aveva un sorriso a trentadue denti stampato in faccia da che era partito da Yokohama City.

Il week-end era stato organizzato, calcolato al secondo, da circa un mese e lui – anche se non lo avrebbe mai ammesso – aveva tenuto il countdown, perché per quanto fosse sempre stato abituato alla libertà nelle relazioni, a mettere l’importanza dei propri spazi su di un piedistallo, a non legarsi mai a doppio giro di laccio, la mancanza da Yuzo la sentiva con tutti gli interessi che non aveva messo in conto. Nemmeno si trattasse del debito da saldare a uno strozzino. I suoi sentimenti erano un po’ questo: ostaggi di un vecchio boss di quartiere che aspettava saldi giornalieri e lui arrancava con i pagamenti, non riusciva a essere puntuale e il cuore – rimasto orfano – ne soffriva zitto zitto. Poi riusciva a racimolare il tempo necessario, piazzandolo tutto nelle mani di quel vecchio senza pietà… e quel vecchio aveva il volto di Yuzo. Era lui a tenergli i sentimenti in ostaggio fino al prossimo incontro. E quando si vedevano… quando si vedevano finalmente il suo cuore non si sentiva più solo né sofferente.

Gli era capitato di chiedersi se anche lui non apparisse come un vecchio strozzino agli occhi del portiere, ma non aveva saputo rispondersi. Yuzo appariva sempre così calmo e tranquillo, che fosse al telefono, in videochiamata o proprio dal vivo; pareva refrattario alla sua smania che impazziva quando si trovavano uno di fronte all’altro dopo mesi, e tutto quello che riusciva a fare, nell’immediato, era chiuderlo contro il muro e baciarlo fino a ritrovarsi senza fiato. Baciarlo, toccarlo. Dalla soglia al finire a letto era un attimo; a San Valentino era stato così. E ora che era maggio, e loro non si vedevano da circa tre mesi, non aveva idea di cosa sarebbe accaduto una volta che si fossero trovati da soli. Nella sua testa, avevano già battezzato ogni angolo della casa che non aveva mai visto se non dalle fotografie che Yuzo gli aveva girato tramite WhatsApp.

Per quel weekend, Takeshi sarebbe tornato a Nankatsu per un impegno di famiglia, mentre sia la S-Pulse che i Marinos avrebbero saltato il turno di campionato perché erano stati impegnati con le partite di coppa; avrebbero recuperato durante la settimana. Quel weekend, dunque, era stato dato loro di riposo. Una fatalità che, come detto, conoscevano già da un mese e per la quale si erano preparati a dovere progettando tutto alla perfezione: Mamoru si sarebbe messo in moto da Yokohama nella serata di venerdì e poi la domenica sera sarebbe ripartito. Nel mezzo, due notti intere e due giorni pieni da godere in pace, possibilmente sotto le coperte o svaccati sul divano, come i peggio pantofolai e fidanzatini del mondo. Un’uscita per andare a ballare? Una cenetta al ristornante? Avrebbero deciso strada facendo, quello che contava era poter stare insieme e recuperare il tempo che li aveva visti separati, tra lenzuola, plaid e doccia.

Mamoru sentiva già il calore risalire dalle piante dei piedi lungo le cosce e, quindi, continuava a sorridere. Non c’era proprio nulla che potesse andare male: aveva addirittura preso la macchina per evitare di dover dipendere dai treni e dagli orari dei mezzi pubblici. Takeshi era partito prima di pranzo e Yuzo era a casa ad attenderlo. Se lo figurava ai fornelli a preparare qualcosa per la cena, mentre lui si era fermato a comprare gunyabe e ravioli presi nella Chinatown di Yokohama. Aveva anche portato una bottiglia di rosso, giusto per non trovarsi senza e dare quel leggero tocco alcolico alla loro prima sera.

Oh, sì, tutto perfetto. Tutto bellissimo.

Anche guidare con il sole ormai agli sgoccioli, che importava? Le luci delle città erano lucciole che lastricavano la strada verso il sogno e l’atmosfera lo riscopriva romantico in maniera sciocca e sdolcinata. Mamoru ne sorrise, si concentrò sulla musica dell’autoradio e seguì la via. Il cellulare dava segni di vita, di tanto in tanto, ma lui aveva dimenticato l’auricolare a casa per la fretta di uscire, e non aveva voglia di perdere tempo per fermarsi in una piazzola e controllare i messaggi; di certo non li avrebbe letti mentre guidava. Conoscendolo, Yuzo gli avrebbe fatto una partaccia delle sue sulle regole da seguire quando si era al volante. Quindi, un po’ per obbligo e un po’ perché la musica della radio copriva gli avvisi sonori, Mamoru non prestò troppa attenzione al telefono né ai messaggi e si lasciò assorbire solo dalla propria destinazione.

Shimizu aveva il traffico dell’ora di cena e degli uffici che chiudevano a riempirle le strade di macchine. In fila, a seconda della direzione in cui si guardavano creavano una scia di luci rosse e luci bianche. Chi andava e chi veniva per una destinazione più o meno comune: casa.

Mamoru ci perse più di quella mezz’ora che aveva tenuto in conto e nonostante bramasse raggiungere il compagno il prima possibile, lasciò che la frenesia ribollisse in lui come lava di vulcano pur senza assecondarla. La teneva in pressione dove era libera di circolare, ma solo sotto la pelle; alla testa non le diede modo di arrivare per non farsi distrarre. Al cuore sì, però. E il cuore era un formicaio.

Una deviazione lo costrinse a passare per la zona del porto, dove l’S-Pulse Dream Plaza illuminava la baia; la ruota panoramica girava pigra con luci arancio, verdi, porpora. Gli venne voglia di salirci con Yuzo, magari fare una scappata veloce per vedere il centro commerciale dedicato alla squadra e gustarsi la vista tranquilla della città, del Fuji, del mare. Anche Yokohama dava sul mare, ma era un panorama che non riusciva a stancarlo. Sapeva che per Yuzo era lo stesso e allora ne avrebbe approfittato. A Shimizu ci era stato pochissime volte e solo di passaggio: una mezza giornata, un pomeriggio. Non poteva fermarsi da Yuzo per il fatto che lui vivesse in dormitorio, ma ora che aveva preso casa indipendente con Takeshi, magari avrebbe potuto approfittare per conoscerla meglio. Magari avrebbe preso una piccola guida e l’avrebbe riempita delle informazioni del posto, suggerimenti, annotazioni personali. Proprio come Yuzo aveva fatto con quella che gli aveva regalato di Yokohama a Capodanno e che gli era stata utilissima, soprattutto per i primi tempi.

Quando il traffico si fece più intenso verso il centro cittadino, Mamoru mise il navigatore. L’occhio sull’icona della chat segnava qualche centinaio di messaggi e lui sospirò. Buona parte erano di certo del gruppo dei Marinos, qualcuno del gruppo Nankatsu e qualcun altro della chat privata che aveva con Hajime e Teppei. Magari gli avrebbero augurato di passare un buon weekend. Con tutti i sottintesi del caso; soprattutto da parte di Hajime. Nel mischione, ci dovevano essere anche i messaggi di Yuzo che non aveva letto. Lui ignorò tutto e impostò l’indirizzo di destinazione. Il navigatore segnò che ci sarebbero voluti ancora dieci minuti che nel traffico si trasformarono in venti. Parcheggiò dove gli aveva detto il suo ragazzo e recuperò in fretta il borsone dal seggiolino posteriore, dove aveva lasciato anche lo zaino e la busta con il cibo comprato a Yokohama.

Alla fine, Yuzo e Takeshi avevano preso in affitto una casetta indipendente in un complesso che ne contava altre quattro, una attaccata all’altra, e formavano il lato di un isolato che, fortunatamente, non affacciava sulla strada principale, ma su una traversina. Avevano un piccolo cancelletto che separava il portone d’ingresso dalla strada con un cortile in cemento su cui erano poggiati vasi con dentro degli alberelli di sempreverde: oltre a dare una nota di colore, fungevano da piccola siepe che desse maggiore riservatezza rispetto alle abitazioni vicine.

Mamoru accelerò il passo solo quando riconobbe l’ingresso dalle foto che gli aveva girato Yuzo e quel lampione un po’ fioco che illuminava proprio fuori dal suo cancelletto. Quest’ultimo era accostato e lui scivolò all’interno del cortile in un attimo, richiudendolo fino a fargli fare lo scatto, nemmeno fosse un segnale preciso per chiunque avesse deciso di avventurarsi da quelle parti proprio in quel week-end: siete di troppo, restate fuori.

Mamoru salì i tre gradini che conducevano alla porta, appoggiò a terra borsone e busta con il cibo per avere entrambe le mani libere e afferrare il suo ragazzo non appena fosse comparso sulla soglia. Gli avrebbe scoccato quel bacio che conservava da mesi. Il formicolio della frenesia non poteva più controllarlo, avrebbe travolto Yuzo, gli avrebbe fatto capire quanto lo desiderasse e poi… e poi avrebbero pensato al resto. Già immaginava il suo portiere sciogliersi dopo un attimo di reticenza e quella quadrata chiusura mentale che gli avrebbe fatto dire: ‘non qui! I vicini potrebbero vederci!’. Per quello che gli importava, i vicini avrebbero potuto anche sedersi a mangiare pop-corn mentre lo chiudeva al muro e gli infilava le mani nei pantaloni, a essere onesti. Poi però sapeva che non appena fosse stata chiusa la porta, anche tutte le paranoie e i riserbi sarebbero stati messi fuori, come i sacchetti della spazzatura. Doveva solo baciarlo, nient’altro. Solo stringerlo.

Sulle labbra il sorriso predatore gli svirgolò nella smania che ormai era dilagata dappertutto, anche nella testa.

Dito sul campanello, cavalli nel petto.

Passi pesanti in avvicinamento, porta che veniva aperta e una sagoma familiare si stagliò controluce. Mamoru ne vide solo i contorni, mentre il resto era in ombra, ma gli bastò: perché quella silhouette avrebbe potuto riconoscerla ovunque, anche al buio.

«Finalmente», sospirò. Gli afferrò il viso e gli andò incontro, baciandolo con tutto il trasporto di cui era capace e pagando quel debito che si accumulava per mesi interi e poi veniva donato con gli interessi fatti di bocche, sapori e un desiderio che non aveva il tempo di essere espresso a parole: bastava il corpo. E il corpo sentiva una cedevolezza più aperta del solito da parte del portiere. Si era aspettato resistenza, un tentativo di allontanarlo e sospirare di ammonimenti. Invece la bocca di Yuzo sapeva di birra; aperta mentre cucinava forse, e lui era consapevole di quanto l’alcool aiutasse a sciogliere le remore del suo ragazzo. Birra e un retrogusto estraneo che riconobbe solo quando si separarono. Aggrottò leggermente le sopracciglia: Yuzo non fumava…

«Quindi è così che baci mio fratello, fottuto maiale?»

Il tono sprezzante. Il sapore del tabacco. L’odore di fumo.

Mamoru allontanò il ragazzo con una spinta e contemporaneamente fece un salto all’indietro così brusco che per poco non si trovò a cadere per i tre scalini. Incespicò e barcollò, emettendo un ululato ultrasonico, ma non cadde.

La luce del portico venne accesa l’attimo dopo e l’espressione di Shuzo, addossato con la spalla allo stipite della porta, era la manifestazione di ogni suo peggior incubo.

«T’ammazzo, bastardo depravato», sogghignò il ragazzo a denti stretti.

«Tu!» Mamoru lo indicò, poi iniziò a sputare per togliersi quel sapore estraneo dalla bocca. Il sapore che non era di Yuzo. Se solo avesse potuto, si sarebbe strappato la lingua. «Perché sei qui, razza di… di… Oddio, che schifo! E ti ho pure-… oddio!»

«Tu sei quello che mi è saltato addosso credendo fossi Yuzo. Cazzo, ma dove hai il cervello? No, guarda, non rispondere, tanto è palese. Dovrò scolarmi almeno un paio di birre per togliermi dalla bocca il tuo saporaccio- …ahio!»

Shuzo si piegò leggermente in avanti e alle sue spalle apparve Yuzo, dall’espressione nera come le nubi di un tifone. Tra le mani reggeva un giornale arrotolato e aveva appena colpito il fratello alla nuca.

«Chiudi la bocca», ammonì in tono tagliente, poi guardò lui. «In quanto a te…»

«Perché ho baciato tuo fratello?!»

«Perché non leggi i fottuti messaggi di WhatsApp, a quanto pare. Ora muovetevi a entrare in casa, state facendo un casino del diavolo. Non fatemi fare figure di merda con i vicini, o vi sbatto fuori a tutti e due!»

 

La casa era organizzata su due livelli: zona giorno al piano inferiore e zona notte al piano superiore. L’ingresso dava sul salotto non molto grande che fungeva anche da sala da pranzo e faceva da raccordo per il piccolo corridoio che conduceva alla stanza da bagno con lavanderia e il cucinino.

Mamoru aveva lasciato i suoi pochi bagagli accanto all’ingresso e aveva seguito Yuzo fino in cucina, con la busta del cibo. Senza perdersi di vista, e lanciando sguardi d’odio, aveva tenuto sotto controllo ogni movimento di Shuzo, che invece si era diretto in salotto. La televisione era accesa, ma Mamoru non aveva sentito cosa stesse dicendo. Lui controllava il tamarro come si controllava un animale pericoloso o uno scarafaggio: sembravano immobili, se non morti, e poi ti bastava distrarti un secondo per non ritrovarli più, perché quei bastardi correvano velocissimi.

Una volta in cucina, appoggiò la busta con il cibo. Scoteva il capo e non poteva credere di avere baciato quell’essere. Sembrava di essere finito in un film di Nightmare. Magari si era addormentato alla guida, aveva fatto un incidente mortale e quello era l’inferno!

Si girò di scatto verso Yuzo, e lo trovò appoggiato contro il mobile opposto ai fuochi. Il cucinino era un ambiente così piccolo da non avere tavolo, neppure per due persone. I pensili correvano attorno al perimetro rettangolare, lasciando libera solo la parete della porta. Una finestrella dava sull’esterno per disperdere gli odori.

Yuzo aveva le braccia conserte, l’espressione di chi stesse aspettando delle spiegazioni, quando avrebbe dovuto essere lui a spiegare che diavolo stesse succedendo e che fine avesse fatto il loro week-end soli soletti a scopare come ricci. Solo gli dèi sapevano quanto volesse la testa di quel tamarro in technicolor su di un piatto d’argento.

Mamoru buttò fuori l’aria, si aggirò per lo spazio angusto con le mani ai fianchi.

«Dio, che schifo. Hai della candeggina o dell’acido muriatico? Devo fare dei gargarismi.»

«Non essere melodrammatico.»

«Ho baciato tuo fratello!» esclamò piantandoglisi davanti e convinto che si sarebbe arrabbiato per questo, invece Yuzo sollevò le spalle.

«Per fortuna non sono geloso di Shuzo. Soprattutto perché ti detesta.»

«Ma se non mi ha allontanato!»

«Perché è un provocatore! Lo fa apposta! Ancora non l’hai capito?!» Yuzo allargò le braccia, cambiò posizione, appoggiandosi con la schiena ai mobili. Le mani affondarono nelle tasche della tuta che indossava e scendeva un po’ larga sul cavallo. Sospirò e lui fece altrettanto.

«Spiegami perché è qui.»

«Per dannarmi l’esistenza, forse…» Yuzo scosse la testa e Mamoru colse un tono rassegnato nel dirlo, e anche un po’ infastidito, quando di solito aveva sempre teso a difenderlo nonostante fosse da prendere a calci più che volentieri. Questa volta Shuzo l’aveva fatta davvero fuori dal vaso. «E comunque…» aggiunse Yuzo, dandosi una spinta dal mobile. Lo afferrò per la maglietta con entrambe le mani e se lo tirò addosso per baciarlo con inusuale irruenza. La stessa con cui lui aveva baciato Shuzo sulla soglia di casa; quella smania, quel desiderio. Il pegno che veniva pagato allo strozzino che li teneva entrambi in ostaggio per mesi. Mamoru si beò di quella sicurezza così insolita nel suo portiere, che preferiva essere argilla nelle sue mani. Lo afferrò ai fianchi, fece scivolare i palmi dietro la schiena e se lo premette addosso, stretto. Si separarono solo quando ebbero bisogno di riprendere fiato, e nonostante tutto rimasero abbracciati.

«Meglio ora?» chiese Yuzo, il viso ancora vicino.

Mamoru lo baciò di nuovo, restituì quel pegno che aveva consegnato nelle mani sbagliate e si sentì finalmente appagato e in pace con l’universo. «Adesso sì… Anche se dovrò bermi mezza fiaschetta di collutorio per togliermi quel disgustoso sapore di tabacco. Bleah! Ma come fa?!»

Finalmente, le nubi scure che offuscavano lo sguardo del suo ragazzo si diradarono e Yuzo gli mostrò quanto sole si nascondesse dietro al suo sorriso. Lo sentì stringersi di più, affondando il viso nel collo, tra i capelli lunghi che non sembravano dargli alcun fastidio.

Mamoru gli accarezzò la schiena con gesti lenti e ripetitivi; le dita salivano e scendevano in maniera rassicurante.

«Avanti, raccontami cos’è successo. Non avrebbe dovuto trasferirsi da te il prossimo mese?»

«Così diceva, ma inizio a pensare che fossero palle.»

«Ehi! E quale miracolo è questo?! Stai pensando male di tuo fratello. Aspetta che me lo segno sul calendario.»

Yuzo gli pizzicò il fianco e lui si contorse sotto quel tocco deciso, poi rabbrividì nel sentire il fiato sul collo: il portiere riusciva sempre a trovare anche il più microscopico lembo di pelle, e Mamoru non sapeva come ci riuscisse, ma gli piaceva da impazzire.

«Comunque, per quanto mi detesti, non credo che arriverebbe a mentire tanto da rovinarti uno dei rari fine settimana di tranquillità.»

Yuzo strusciò il viso da un lato e dall’altro, in gesto di diniego. «Lo stai sopravvalutando. Pur di tenermi alla larga dalle persone che reputa ‘inadatte’ al sottoscritto, sarebbe capace di chiudermi sotto una campana di vetro o nella torre del castello.»

Mamoru esplose in una risata. «E per chi ti ha preso? Per una cazzo di principessa?! Fammi sentire se hai mutandine di pizzo sotto questi pantaloni…» Con gesto smaliziato, infilò la mano nell’elastico. Gli afferrò una natica, stringendola con forza da sopra i boxer. Era soda, atletica. Tutta da mordere.

«Dovresti toccare davanti, per vedere che palle ha la tua principessa», sbuffò Yuzo all’orecchio, in un sorriso.

Mamoru non riuscì a trattenere una seconda risata, più forte della prima. Lo abbracciò stretto stampandogli un bacio sul collo e poi lo lasciò andare.

«Questa è l’influenza negativa di tuo fratello.»

«Non che la tua sia da meno, però sì. Diciannove anni insieme hanno un loro peso.» Yuzo pasticciò i capelli corti con una mano, li tirò in avanti e poi indietro.

Fermandosi fianco a fianco cercarono entrambi appoggio contro il mobile.

«Spiegami perché questo week-end di coppia si è trasformato nel peggior terzetto della storia.»

Yuzo affondò il viso nelle mani, lo strofinò adagio e a Mamoru apparve stanco e un po’ abbattuto: che non fosse contento di avere in casa il suo adorato gemello glielo si leggeva in faccia e per fargli capire che andava tutto ugualmente bene, anche se sarebbero stati in tre, gli sfiorò la guancia con il dorso delle dita.

Yuzo lo guardò. Il volto piegato di lato e gli occhi che si affilavano sul nocciola delle iridi, mostrandone solo metà. La bocca aveva un sorriso accennato a entrambi gli angoli che gli addolciva lo sguardo già dolce e fin troppo buono. Tratti regolari sulle mascelle non spigolose, naso dalla linea dritta e straniera, mandorla che sembrava disegnata da un mangaka.

Un ragazzo con le imperfezioni nei posti giusti e nella giusta misura che lo rendevano bello abbastanza da far tenere il suo poster nella camera di qualche ragazzina. Un bel ragazzo che non era consapevole dell’effetto che poteva fare sugli altri e che neppure ci badava, perché non ne era interessato, e ai suoi occhi lo rendeva ancora più bello. Con le sue spalle ampie, le braccia muscolose e le cosce tornite, chiappe di marmo. Se non fosse che stavano parlando con calma e che nella stanza accanto c’era quell’idiota patentato di Shuzo, lo avrebbe posseduto proprio lì, contro i mobili della cucina. L’avrebbe preso per i fianchi e sollevato sul ripiano. Gli avrebbe tolto i vestiti con la stessa fretta con cui ci si liberava di un cappotto in una sauna. Voleva averlo attorno, sentire le sue gambe che lo cingevano, le braccia che passavano su fianchi e le mani sulla schiena. Ventre piatto sotto le dita, sesso duro che premeva nei boxer.

«Che stai pensando?»

«Cosa?» Mamoru si riscosse. Yuzo abbozzò un sorriso ironico, spostò lo sguardo e prese un respiro profondo.

«Shuzo avrebbe dovuto iniziare il suo apprendistato dal sensei il prossimo mese. Ma a quanto pare il maestro ha detto di iniziare prima, perché sarebbero andati incontro alla stagione peggiore per fare i tatuaggi, mentre maggio è ancora accettabile. E così poco fa me lo sono trovato davanti alla porta con un sorriso smagliante, valigia e zaino», agitò una mano. «Sarebbe potuto venire direttamente lunedì e invece, sorpresa!»

«Lo sapeva che questo week-end saremmo stati insieme?»

«Sì.»

«Allora hai ragione, l’ho sopravvalutato.»

«Te l’avevo detto.» Yuzo scosse il capo. «Che avrei dovuto fare? Rimandarlo a casa? E che scusa avrei accampato con i miei? Lui qui, poi, non conosce nessuno e io mi sentirei un fratello di merda a dirgli di andare in albergo.»

«Non è mica un problema.» Mamoru gli avvolse il collo con il braccio, lo attirò verso di sé. Negli occhi di Yuzo lesse tutto il suo scetticismo. «Davvero, non è un problema. Se mi starà alla larga e non ci metterà i bastoni tra le ruote.»

«Quindi mai.»

«Ci deve solo provare. Lo sparo sulla luna in meno di una frazione di secondo. Poteva permettersi di fare il gradasso con gli altri, ma io non sono disposto a farmi mettere i piedi in testa. Non da lui», sogghignò, sollevando il mento con altezzosità. «Vengo dalla Shutetsu. Sono pane per i suoi denti.»

«Spero stiate preparando la cena, lì dentro, e non sbattendo solo un paio di uova.» Dal salotto, la voce di Shuzo squillò forte e chiara. «Se tocchi mio fratello ti ammazzo, Izawa.»

Mamoru alzò gli occhi al soffitto della cucina, Yuzo fece lo stesso ed entrambi, nel riabbassarli, si trovarono a guardarsi con espressione chi seccata e chi rassegnata. Ridacchiarono. Mamoru accolse la fronte del portiere contro la sua spalla e pensò che, date le premesse, sarebbe stato un lungo, lungo week-end.

 

Era arrivato solo da poche ore e Mamoru aveva già ridotto la propria pazienza e i buoni propositi della metà: a farglieli perdere Shuzo era bravo. Bravissimo. Gli avrebbero dato il Nobel per la Rottura di Coglioni a fine anno.

Il Morisaki tamarro lo aveva tenuto sotto controllo nemmeno fosse stato un ‘sorvegliato speciale’: che fosse stato a tavola – stando attento a ogni movimento, gesto di troppo o slancio troppo affettuoso – o mentre portava al piano superiore i pochi bagagli che aveva con sé, mentre Yuzo gli mostrava la casa. Appena si attardavano più del necessario, ecco che arrivava quella piattola a rovinare la magia dei loro momenti.

A tavola non gliene aveva fatta passare una. Lo sguardo nocciola, che per quanto assomigliasse a quello di Yuzo aveva una luce completamente diversa che gli brillava dentro, era affilato come lame di coltello e lo fissava come fosse un intruso sgradito senza alcuna vergogna. Con Shuzo il concetto di ‘accoglienza degli ospiti’ perdeva totalmente di significato.

«E quindi salti addosso al primo che capita?» aveva esordito dopo un lungo momento di silenzio di quella prima cena insieme, attorno allo stesso tavolo. «Attento, bro, quello secondo me non sa distinguere neppure la destra dalla sinistra. Sai dove hai il culo, vero?»

«Shuzo.»

«No, lascialo parlare, Yuzo.» Mamoru aveva fissato a sua volta il detrattore, abbozzando un sorriso. «Non posso farci un cazzo se siete uguali e se non presupponevo proprio la tua presenza. Mi aspettavo che Yuzo fosse da solo e che quindi potevo permettermi tutti gli atteggiamenti riprovevoli che voglio.»

«Bella scusa del cazzo.» Shuzo l’aveva bofonchiato senza neppure guardarlo in faccia. Poi aveva continuato a mangiare.

Anche ora che erano seduti sul divano per vedere un film, Shuzo non mollava la presa manco fosse un molosso. Aveva preparato dei pop-corn, su richiesta del fratello, e nel momento di servirli si era piazzato nel mezzo del divano, separandolo con prepotenza da Yuzo. Sulle gambe aveva la ciotola piena di mais, da cui pescava in tutta tranquillità e senza minimamente curarsi dei loro sbuffi o espressioni omicide. Sullo schermo, Schwarzenegger sparava a raffica nel tentativo di uccidere una terrorizzata Linda Hamilton. Mamoru desiderò ardentemente avere il suo fucile. Sarai terminato aveva assunto d’un tratto un suono così adorabile.

«Avresti potuto poggiarla sul tavolino», fece presente Yuzo. Il tono seccato era così evidente che l’aveva notato anche lui.

«Poi non avrebbe potuto rompere il cazzo.»

Shuzo si portò una mano al petto, mimando plateale sorpresa. “Come sei malpensante. È tipico degli Izawa? E io che vi ho risparmiato ogni volta di piegarvi per prenderli. Dovresti ringraziarmi, depravato.» Pescò un paio di fiocchi di mais, se li cacciò in bocca scrocchiandoli con rumore e gusto. «E poi così ti posso impedire di allungare i tentacoli da piovra. Non sai che esiste la dimensione ‘personale’ dello spazio?»

«Nemmeno tu mi sembra ne abbia una chiara idea.»

«Io non sto accanto a mio fratello con l’intento di tenergli le mani addosso più che in questa ciotola di pop-corn. Depravato.»

«È il mio ragazzo, sai com’è. Il tuo non vorresti toccarlo di continuo?» alluse, facendosi scivolare tra le dita del mais imburrato e salato. Affilò il sorriso e lo sguardo, che Shuzo sostenne con maggiore durezza.

«Non ce l’ha.» Yuzo lo disse a mezza bocca e con gli occhi puntati costantemente alla televisione. Shuzo non si scompose, lui camuffò il sogghigno dietro una falsa sorpresa.

«Oh, ma davvero? Ora capisco. Be’, dovresti trovartene uno, farti una vita, scopare di più. Magari inizieresti a capire come ci si sente e lasceresti in pace quel povero martire di tuo fratello.»

Il tamarro abbozzò un sorriso di scherno. «Mi spiace deludere la tua mentalità da fighetta piena di soldi, ma non è un rapporto sentimentale a fare o meno la vita di una persona. Scopo quanto e come voglio con molta più onestà di te: che declami tanti bei sentimenti per mio fratello e poi lo confondi con la prima ombra che ti capita a tiro. Ops

«Sì, sì. Chissà perché mi sembra tanto una scusa. Così, a naso.»

«Non siamo nemmeno arrivati alla fine del primo tempo e già vorrei strozzarvi con questi cazzo di pop-corn

Sempre senza staccare gli occhi dalla televisione, Yuzo batté il gong di quell’ennesimo round con voce secca e dura, molto lontano dal tono gentile e accogliente cui era abituato. In un’altra occasione avrebbe detto di trovarla una sfumatura interessante del suo carattere: decisa in maniera inaspettata e che cozzava con quella solitamente imbranata che aveva imparato a conoscere nel corso degli anni e che gli aveva fatto girare la testa. Questa era sexy, ti calava un brividino lungo la schiena, e riuscì a mettere a tacere entrambi loro, che poco alla volta fecero sfumare le occhiatacce che si stavano rivolgendo per seguire una volta per tutte il film. Lo aveva detto, lui, che Yuzo sarebbe stato un buon Master, ma in quel momento, nel lanciargli un’occhiata fugace e trovarlo con la mascella serrata e rigido come una statua, si dispiacque e poi si preoccupò in egual misura.

 

Per fortuna i film degli anni ’80 poco avevano a che fare con le lunghezze esorbitanti di quelli degli anni 2000, quindi dopo la scarsa ora e quaranta vennero tutti liberati da quella situazione imbarazzante. Seguì il turno per il bagno e Mamoru non diede modo a Shuzo di far partire una nuova filippica sul fatto che volesse infilarsi in vasca assieme a suo fratello, ma gli dimostrò di prendere molto più sul serio la tranquillità del suo ragazzo, che la loro rivalità: non fece nemmeno la finta di volerlo seguire. Gli scoccò un bacio contro la tempia e poi rimase al divano a cincischiare con il cellulare. La gratitudine nello sguardo di Yuzo era valsa ogni rinuncia e un’altra soddisfazione era arrivata dall’espressione di chiara sorpresa di Shuzo, che quella mossa non se l’era aspettata.

Il tamarro, però, rimase sempre lì. Una presenza che era a metà tra un valletto di compagnia e un avvoltoio che vigilava sulla carcassa in attesa del trapasso. Per il tempo che Yuzo rimase chiuso in bagno, non si dissero mezza parola: entrambi immersi in letture impegnate, come potevano essere la pagina di un social o l’ennesimo meme sui gattini. Tutto, pur di non interagire tra loro se non tramite occhiate di disprezzo e superiorità.

Il secondo giro di bagno, una volta che Yuzo ebbe terminato, toccò a lui. Un tentativo illusorio, pensò Mamoru, di tenerlo lontano dal fratello quanto più possibile. Peccato che alla fine di quella sceneggiata, anche Shuzo avrebbe dovuto cedere alla realtà: lui e Yuzo avrebbero dormito nello stesso letto, e se sperava di venirsi a piazzare in mezzo a loro come terzo incomodo, lo avrebbe soffocato con i cuscini.

Dovessi diventare così con Sen, mi sparerei! Si trovò a pensare mentre era immerso nel vapore della vasca, con la testa riversa all’indietro e le braccia lunghe sul bordo. Sulle spalle aveva avuto un po’ di stanchezza per il viaggio, per la pessima sorpresa di essersi trovato Shuzo davanti con quello che ne era conseguito e per la tensione durata tutta la sera e fin dal suo arrivo. Eppure, Mamoru non si attardò troppo in bagno, nonostante avesse voluto godere un po’ di più del calore dell’acqua. Il desiderio di raggiungere Yuzo e di poter stare finalmente da soli era un richiamo che trapanava il cervello, così abbandonò ogni tepore e si asciugò in fretta. Pantaloni morbidi di cotone, maglietta e una velocissima frizionata ai capelli prima di asciugarli alla rinfusa, giusto il necessario a togliere l’acqua in eccesso. Lasciò il bagno che erano ancora umidi e con l’asciugamano sulla spalla attraversò il salotto.

«Quanta fretta, campione. Non vedevi proprio l’ora, eh?» Shuzo lo fermò che aveva messo il piede sul primo scalino. Mamoru non si volse. «Scommetto che nei tuoi sogni stai già credendo di andare a spassartela. Spero tu non ti sia alleggerito nella vasca.»

Mamoru alzò lo sguardo al soffitto e prese un respiro profondo, in cui ingoiò anche gli insulti. Non doveva litigare, si ripeté più volte, non doveva litigare.

«E io scommetto che invece tu stai già credendo di poter dormire in mezzo al lettone con mamma e papà.» Si volse, una mano al fianco e l’altra appoggiata sul corrimano della scala. Shuzo aveva il sogghigno ancora sulle labbra. Quella sicurezza non gli piaceva, era troppo solida e non di facciata.

«Dormire nel letto con te? Per carità, piuttosto mi faccio tagliare il cazzo. Già ero stato tentato di infilarmi due dita in gola e vomitare dopo che mi hai infilato la lingua in bocca. Ringrazio di avere uno stomaco di ferro.»

«Quello con lo stomaco di ferro, semmai, sono io: il tuo alito da fumatore è terribile. Vuoi delle mentine?»

«Terribile, dici? Strano: non mi sembra che tu faccia tante scene quando slinguazzi mio fratello.» Con la punta dell’indice poggiata sotto al mento, Shuzo sbatté le ciglia in fretta.

«Yuzo non fuma.»

«Quante cose che ancora non sai di lui, Izawa. Ma vai, vai pure a coronare i tuoi pervertiti desideri…» agitò una mano, oscillandone piano le dita, una alla volta. «Se ci riesci.»  

Mamoru non se lo fece ripetere, ma nella testa il fastidio per quella sicurezza non la smetteva di ronzare. Poteva essere tamarro e irritante, ma Morisaki sapeva il fatto suo. Più furbo di Yuzo, più malizioso e con meno scrupoli. Era piombato lì di proposito, che scrupoli avrebbe mai potuto avere uno così? Diceva tanto di essere legato al fratello e poi non pensava minimamente al suo bene. Fottuto e irritante egoista, si ritrovò a pensare, stringendo il lembo dell’asciugamano che cadeva dalla spalla. E poi che aveva voluto dire di Yuzo? Non l’aveva mai visto fumare, né gli aveva mai sentito l’odore fastidioso del fumo addosso. Era uno sportivo coscienzioso, attento alla dieta e all’attività fisica che praticava. Quello sciacallo aveva solo voluto insinuargli dei dubbi sulla conoscenza del suo ragazzo. Che ne poteva sapere, l’idiota, che lui l’aveva scrutato e seguito per anni durante le scuole? Che ne poteva sapere di quanto davvero conoscesse Yuzo? Magari anche più di lui, alla faccia dell’essere fratelli gemelli.

Svirgolando un sorriso sornione, Mamoru rilassò le spalle nel pensare che di Yuzo conosceva finanche il sapore.

Aprì di slancio la porta della camera e trovò il ragazzo già sul letto, pancia sotto, intento a scambiare qualche messaggio, a giudicare dalla velocità con cui digitava sul tastierino del display. Indossava un pigiama a quadri, pantalone e camicia. Pensò che fosse troppo vestito, e la virgola da predatore non sparì dalle labbra nel seguire il contorno del corpo definito blandamente dalla stoffa.

Quando lo vide, Yuzo aprì un sorriso che avrebbe sciolto anche i ghiacci polari e abbandonò il cellulare sulle coltri. Gli fece cenno di raggiungerlo sul letto a una piazza e mezza in cui sarebbero stati stretti il giusto e comodi. Mamoru sfilò l’asciugamano dal collo e, prima di gettarsi su di lui, chiuse la porta con un giro di chiave.

«Non si sa mai. Potrebbe essere capace di tutto, quello.» Si giustificò, mentre Yuzo affondava una risata nel cuscino.

Pochi passi e in quel letto ci affondò anche lui. Il corpo di Yuzo subito al suo fianco, caldo e accogliente come l’inferno. Se lo strinse addosso, braccia allacciate dietro la schiena e bocca che si chiuse su quella del portiere per cercare di recuperare tutti i baci che non si erano potuti scambiare durante la cena e il film.

Non era una questione di essere ‘fisicamente appiccicoso’, Mamoru non lo era mai stato, era tutta una conseguenza di quel debito infame che non poteva saldare giorno per giorno. Trovarsi a pagarlo tutto in una volta aveva un effetto strano che, magari, se si fosse guardato dall’esterno si sarebbe trovato insopportabile, ma che una volta che ci stavi dentro cambiava tutto. E di quello che gli altri avrebbero potuto pensare non te ne importava più nulla. La mancanza, la distanza, l’assenza potevi conoscerle solo tu e colui che ti aspettava dall’altra parte.

Per questo Mamoru non si era fatto toccare da tutte le frecciatine e battute del Morisaki irritante. Forse con Yuzo si era davvero rincretinito, ma nel tenerlo stretto e nel baciarlo come non si vedessero da secoli si sentiva bene.

«Che hai da sorridere?» domandò Yuzo, sorridendo a sua volta.

«Pensavo che fosse bello essere cretini.»

«Cosa?» Il portiere rise di più, appoggiò il viso nel suo collo e lo baciò piano, dall’orecchio alla gola, fino alla clavicola. Mamoru lo lasciò fare, sollevò il mento per dargli spazio.

«Non starmi a sentire. Non vedevo l’ora di stare in pace con te.»

Yuzo si sollevò, le mani puntellate sul materasso. Si guardarono negli occhi, mentre la piantana diffondeva una luce calda e soffusa. Quelli del portiere brillavano appena, liquore alla nocciola nelle iridi. Poggiò la fronte contro la sua.

«Anch’io. Per un attimo ho sperato che Schwarzy uccidesse la Hamilton tout court

Yuzo crollò di nuovo tra le sue braccia e la giostra di baci, piccoli e sfuggenti, riprese a girare nel rumore di fiato che si appesantiva e strusciare di carne contro carne. Si fermarono prima che i baci importanti divenissero più di quel ‘tre’ che si erano dati come limite.

«Mi era mancato.»

«Cosa?»

«Questo.» Yuzo lasciò un bacio più piccolo e veloce all’angolo della sua bocca. «Noi. Tu. Mi è mancato tutto.»

«È mancato anche a me.»

«Siamo stati così impegnati da non riuscire neppure a tornare a casa. E dire che, a differenza tua, io ce l’ho proprio dietro l’angolo…» sospirò, girandosi a guardare il soffitto e privandolo del suo peso sul petto che improvvisamente sentì troppo leggero e freddo. «Immaginavi sarebbe stato così?»

«Ci avevo pensato, ma ha superato le mie aspettative. Ed è bellissimo, davvero, ma a volte…»

«Senti come se ti staccasse dalla realtà.»

Mamoru si volse divorando il profilo di Yuzo pieno di ombre. Trovò i suoi occhi, lo stavano osservando, e in quello sguardo avvertì una strana sospensione. Loro erano sospesi in quel mondo che si stava presentando troppo grande e impegnativo tutto d’un tratto per ragazzi così giovani. Caricava il peso sulle gambe, quelle che avrebbero dovuto farli volare e correre come il vento e che invece, a volte, sentivano inchiodate a terra, piene di cemento. E non in una sensazione di concretezza, ma in un carico di responsabilità. Attorno si dipanava un caleidoscopio di aspettative sempre più alte: le loro, quelle dei tifosi, quelle della società. La paura di non essere all’altezza dei compagni o della fiducia degli allenatori si faceva satura come aria piena di gas. E affioravano ansie, insoddisfazioni che nel periodo scolastico non erano state così difficili da affrontare e gestire. Il tutto avvolto in carta patinata, quella piena di gossip, di interviste e sponsor; public relations, attività con la squadra. Quando si erano visti a febbraio, in occasione di San Valentino, erano stati ancora all’inizio. Stavano facendo la gavetta, stavano prendendo confidenza con tutto e i loro occhi erano stati pieni di meraviglia. Ora, invece, la meraviglia era stata diluita nell’esperienza che avevano iniziato ad accumulare e la magia, la sorpresa erano state sostituite dalla fatica e dalla competizione.

«Sì…» rispose in un soffio. Si girò sul fianco. «Per questo non voglio sprecare neppure un attimo di questi giorni insieme.»

«Anch’io, ma con mio fratello in giro toccherà ridimensionare le aspettative.»

«Ti ho detto che gli avrei insegnato a stare al suo posto. C’è ancora tempo.»

«Basta che non la rendiate peggiore di quanto è…»

«Non mi sono mica comportato male stasera.»

«No, anzi. Grazie per non aver raccolto le sue provocazioni. So quanto ti sia costato.»

«L’ho fatto solo per te. Si vedeva che eri teso.»

«Già, io… Scusa.» Yuzo si passò le mani sul viso, come gli aveva visto fare mentre erano in cucina. «Forse dovrei riuscire a impormi di più.»

Mamoru ne sorrise. Piano piano, con movimenti suadenti da pantera, si sollevò e scivolò sopra di lui. I capelli ricaddero dalla spalla e attorno al viso, sfiorarono quello di Yuzo, nell’avvicinarsi, e poi si adagiarono sul cuscino. «Non pensarci adesso e lascia fare a me. Ora ti mostro come la rendo migliore, questa situazione…»

Rubò con dolcezza il sorriso dalle sue labbra. Anche se entrambi avevano aspettato troppo, non aveva voglia di correre e donare tutto alla frenesia del desiderio. Quello poteva andare bene quando i giorni davanti a loro, e le occasioni, erano numerose, a portata di mano. Ma con Shuzo nei paraggi, ogni istante era prezioso, da assaporare fino alla fine. Adagio. Per questo Mamoru, che di tempo era debitore, donò altro tempo al suo portiere e altrettanto ne prese mentre gli baciava la bocca e poi il mento. I contorni del viso tracciati dalle carezze delle labbra come avesse dovuto dipingerle d’inchiostro. Yuzo aveva intrecciato le dita ai suoi capelli, le sentiva camminare sulla testa e poi tirare, ma senza dolore, mentre lui continuava quella specie di opera d’arte. Un capolavoro che lasciava tracce in punti precisi. L’incavo tra il collo e la spalla, ad esempio. O l’osso della clavicola. Mamoru si adoperò, suggendo con desiderio, mentre le dita spuntavano bottoni di una camicia troppo ingombrante. Il primo, il secondo, il terzo. Poté toccargli il petto, i muscoli del torace e continuare a offrire più tela possibile al proprio genio creativo.

Yuzo lo lasciava fare, ansimando approvazione. Il corpo si sollevava, la schiena si arcuava e Mamoru si aggrappò a quella carne quasi con le unghie quando arrivò al centro del suo petto. La sua creatività, su uno spazio così invitante, quasi impazzì perché non sapeva quale parte avrebbe dovuto esplorare per prima, quale ricoprire di inchiostro immaginario. Nel dubbio, cercò i punti più morbidi. Lambì un capezzolo; sapeva che Yuzo era particolarmente sensibile lì, e alzò gli occhi per osservare a che punto fosse la propria opera: il portiere gli offrì la visuale perfetta del piacere, Mamoru glielo leggeva in ogni movimento, nel modo in cui si fosse teso all’improvviso, nel modo in cui stava mordendo il proprio polso per trattenere i gemiti. Lo lasciò andare, sentendosi onnipotente come tutti gli artisti e allo stesso tempo insoddisfatto perché voleva di più. Sempre di più. Voleva la supernova che esplodeva in mille luci che avrebbero brillato nell’universo per migliaia di anni.

L’avrebbe mai vista un giorno?

Yuzo avrebbe mai fatto brillare quella che aveva dentro, per lui?

Se lo chiese, e lo faceva spesso, ma come sempre non seppe rispondersi. Era ancora presto, lo aveva pensato anche a San Valentino. Altri mesi erano passati, stavano insieme da circa cinque e lui non era stato capace di rispondere alla natura dei suoi sentimenti che a cadenze sempre più regolari arrivava con la fatidica domanda. Un dubbio ciascuno, quindi, una mancanza ciascuno; era giusto. Come si faceva bastare il proprio rimandare, si sarebbe accontentato di quelle scintille che accendevano quando si sfregavano troppo tra loro. Erano pietre focaie: bastava poco per scatenare un incendio. E Yuzo stava andando a fuoco, lo sentiva: la sua carne era più calda del solito e lui approfittò del vantaggio di averlo in suo potere per fargli tutto quello che voleva. Dentro ai pantaloni del pigiama, le mani afferrarono l’erezione stretta nei boxer proprio nel momento in cui Yuzo aveva smesso di mordersi il polso. A bocca libera, il gemito sfuggì; sensuale e supplichevole. Mamoru si sentì Dio alla massima potenza, ed era certo che avrebbe potuto ottenere di più, se un martellare improvviso non fosse giunto dalla stanza accanto, seguito dallo strusciare di mobili e poi un tonfo secco.

«Ma che cazzo!» Mamoru sobbalzò, e non fu il solo. «Stai a vedere se non l’ha fatto apposta!»

Yuzo si tirò quasi a sedere: il pigiama malmesso, i pantaloni mezzi calati. Si passò una mano contro la fronte. «Non lo so. Giuro, non lo so. Questa casa ha pareti troppo sottili… Non posso pensare di fare sesso sapendo che lui mi sente. Merda!» l’ultima esclamazione la disse con un tale livore da stringere il pugno e quasi mordersi le nocche.

Mamoru lo osservò chiudere in fretta i bottoni e sistemare i pantaloni del pigiama. Alla fine abbandonò il letto con aria rassegnata.

«Vuoi del tè?» chiese, le mani ai fianchi e i capelli un po’ spettinati.

Mamoru scosse il capo e lo osservò uscire, prima di precipitarsi fuori dalla stanza come una furia. Spalancò la porta di quella di Shuzo, quasi avesse dovuto staccarla dai cardini, e trovò quello che aveva promosso per direttissima al grado di ‘Acerrimo Nemico Giurato A Vita’ che montava una scaffalatura e stava facendo sistemazioni improponibili quasi a mezzanotte.

«Ehi! Chi cazzo ti ha dato la confidenza di entrare senza permesso?! E se fossi stato nudo o impegnato a farmi i cazzi miei?! Oh, dimenticavo che per te uno vale l’altro. Vero, maniaco?»

Mamoru l’afferrò per il bavero della t-shirt e se lo tirò alla distanza del fiato, affinché la brace che gli ardeva negli occhi potesse incenerirlo sul posto.

«Stammi a sentire, stronzo! Io e Yuzo siamo già costretti a vederci pochissimo.»

«Sia lode al calcio», sogghignò Morisaki.

«E se credi che quelle rare volte che possiamo stare insieme io sia disposto a farmi fermare da te, puoi arrenderti! Io starò appiccicato a tuo fratello, questo week-end, in ogni momento! Mangeremo insieme, usciremo insieme e faremo l’amore, che a te piaccia o no!»

La cosa che più gli dava fastidio era l’assenza della benché incertezza nello sguardo della famosa ‘Malerba’ di casa Morisaki. Non aveva paura delle sue minacce, quasi non arrivassero a toccarlo. Fosse stata una situazione diversa, l’avrebbe già mandato al tappeto con un pugno, ma quel viso… quegli occhi… Sentiva come se potesse colpire Yuzo; il solo pensiero gli era insopportabile.

«Con me in giro, credimi, non farà niente.»

«Scommettiamo che ti farò sloggiare?»

«Certo! Come se fosse possibile.»

«Scommettiamo?» ripeté.

«Andata.»

Sorriso di sfida contro sorriso di sfida. Nelle iridi nocciola di Shuzo brillava qualcosa che non c’era nello sguardo di Yuzo e gli dava ai nervi, ma avrebbe infranto tutta quella boria; era solo questione di tempo. Entro domenica, lui e il suo portiere avrebbero fatto l’amore più appagante e soddisfacente di quell’anno, alla faccia di qualsiasi maledetto fratello.

Mamoru lasciò la presa sulla t-shirt di Shuzo, si allontanò adagio arretrando senza dargli le spalle fino a che non fu fuori dalla stanza. Poi tornò in quella di Yuzo, mentre l’uscio che aveva abbandonato veniva sbattuto duramente. Mamoru approfondì la virgola delle labbra: sicuro e combattivo, certo, ma un po’ l’aveva infastidito, quindi il piano ‘sfancula-il-terzo-incomodo’ sarebbe iniziato subito, per battere il ferro finché era caldo. E lui sapeva come rendere bollente l’atmosfera.

 

Yuzo restava poggiato con la schiena contro il mobile della cucina, le braccia conserte e le sopracciglia aggrottate nel fissare un punto fisso del pavimento che, in realtà, non stava vedendo sul serio.

Era tante cose in quel momento, in un range di sfumature che andava dall’eccitato al frustrato. Più di tutto era amareggiato. Suo fratello era sempre stato inappropriato e invadente con i suoi ex, ma con Mamoru stava calando un carico che non gli aveva mai visto usare. Gli venne il sospetto che se gli altri erano scappati a gambe levate, mollandolo all’improvviso, doveva esserci ben più del suo zampino: chissà che diavolo gli aveva fatto e ‘minacce’ gli risultò la cosa meno peggio in quel momento.

Sfregò la fronte con la mano e poi affondò il viso intero nei palmi. Si sfregò le guance e gli occhi, prendendo ampi respiri e cercando di silenziare il pensiero definitivo del ‘lo ammazzo’ che girava in circolo nella testa come pesce in una boccia. Poi sospirò, questa volta più arrabbiato che preoccupato: temeva che Mamoru avesse sottovalutato suo fratello – lo aveva fatto anche lui, e lo conosceva da che erano nati! – e che finisse con lo stancarsi di dover combattere contro una presenza così ingombrante. A parole era tutto semplice, e magari se fossero stati nella stessa città anche, ma a quelle condizioni in cui vedersi era una vittoria alla lotteria e poi erano costretti a stare lontani per mesi, venire osteggiati era un ricarico continuo di stress. E a furia di caricare, Yuzo si domandava quando si sarebbe spezzata la pazienza di Mamoru.

Da parte sua avrebbe messo ogni briciolo di energia per evitare che finissero col prendersi a pugni, ma non voleva passare il tempo con Mamoru ad arginare. Lui, con Mamoru, voleva fare tutt’altro; dal momento in cui l’aveva visto quella sera l’aveva desiderato, e quel languore non era sparito, a discapito di tutti i cock-block di Shuzo. Il suo corpo era ancora pervaso da un calore liquido che circolava nelle vene e manteneva l’eco nel sesso addormentato dal fastidio. Gli era bastato poggiare gli occhi su Mamoru, e non importava quanto fosse stato arrabbiato per l’arrivo improvviso di suo fratello o la mancata visualizzazione dei messaggi: la voglia si era accesa come un interruttore. Voglia di stare insieme, stringerlo, spogliarsi di tutto e sottomettersi alle sue mani.

Yuzo decise che, il giorno dopo, avrebbe messo in chiaro le cose con Shuzo: per quanto suo fratello potesse non essere d’accordo, il centrocampista non era come tutti gli altri per lui. E avrebbe combattuto con unghie e denti per tenerlo stretto. Non sarebbe stato il capriccio di un fratello iperprotettivo a spezzare quel legame incredibile che avevano tra loro.

Sperando che per Mamoru potesse essere lo stesso, Yuzo salì di nuovo in camera. Alla fine non aveva bevuto nulla, aveva solo avuto bisogno di stare qualche momento da solo per calmare la voglia di far volare suo fratello dalla finestra. Entrò nella propria camera con poche aspettative del mood in cui avrebbe trovato Mamoru, ma si fermò sulla soglia, con la porta ancora aperta, quando vide che lo stava aspettando sotto le coperte: gomito sul cuscino, mano a sorreggere la testa, rivolto verso l’ingresso della stanza.

Ah, e l’aveva detto che le coperte erano tutto ciò che aveva addosso?

«Vuoi restare lì?»

Yuzo arrossì. «Ah, n-no, certo…»

«Entra e chiudi a chiave.» Mamoru aveva il tono del comando, quello che lo faceva impazzire e gli rendeva le ginocchia di gelatina.

Lui diede un giro alla serratura e avanzò di un passo.

«Spogliati.»

Si fermò, fissò gli occhi di Mamoru, ma vide solo ombre restituite dalla luce fioca della piantana. Titubò per un attimo, e guardò verso la parete in comune con la camera di suo fratello.

«So che ti mette a disagio e, in verità, per me sarebbe lo stesso se nella stanza accanto ci fosse Sen, quindi non faremo niente… ma questo non significa che non possiamo starcene nudi qui sotto.» Mamoru scansò le coperte, e la sua perfezione fisica si ammantò di luci e ombre che la rendevano bellissima in un attimo e perversa l’attimo dopo. «Vieni, forza. Non ti mangio mica… No, aspetta. Quello forse sì.»

Yuzo sbuffò un sorriso, uno dei pochi di quella serata. Il peso della preoccupazione volò via, per andare a nidificare da qualche altra parte. Sentì il petto leggerissimo quando vide anche Mamoru sorridere. Un nuovo invito; la mano che, languida, scivolava sulle lenzuola.

Yuzo spuntò i bottoni della casacca del pigiama.

«Con calma!» Ammonì Mamoru. «Non c’è fretta. Fammelo godere.»

Obbedire ai suoi comandi faceva parte del gioco che si intrecciava alla loro relazione. I sentimenti erano fondamentali, ma non esclusivi nel rapporto che entrambi volevano. Doveva esserci altro, doveva esserci desiderio, doveva esserci sfida, dovevano esserci ruoli da rivestire e scambiare, dovevano esserci brividi, chiaroscuri e un fondo torbido in cui poter essere loro stessi senza giudizi e pregiudizi. Dovevano esserci predatori e prede.

Yuzo sfilò la casacca, la lasciò cadere a terra ignorando i suoi principi fatti di ordine e visioni troppo squadrate e rigide. Era solo nell’intimità di una relazione che perdeva la forma di sé che aveva stabilito per divenire amorfo e libero.

Pantaloni e boxer seguirono insieme, e lui non spostò lo sguardo dalle labbra di Mamoru che approfondirono il sorriso, compiaciuto e predatorio.

«Vieni da me.»

L’ultimo invito, quello definitivo, e Yuzo scivolò sotto le coperte dove il calore di Mamoru aveva creato un nido accogliente in cui sentirsi a casa. Mamoru lo era. Non aveva ancora capito come fosse possibile un legame tanto totalizzante ed esclusivo con una persona diversa da suo fratello, eppure eccolo lì, poteva addirittura stringerlo.

Mamoru lo baciò subito appena furono vicini. La fronte, gli occhi, gli zigomi. Sentì mani correre dappertutto, afferrare i lombi fino a infondergli una punta di dolore e poi lasciarli andare per risalire la schiena. Lui fece lo stesso, sembrava non averne abbastanza. Non riusciva neppure a ragionare, non pensava più a Shuzo: Mamoru era il centro di ogni sensazione, esisteva solo lui. Solo loro e le loro gambe intrecciate, i sessi che si sfioravano.

Le labbra si chiusero le une sulle altre alla ricerca di un bacio che potesse sfamarli e dissetarli. Si diedero il tempo di rifiatare una sola volta ancora e poi un nuovo tuffo, fino a farsi divenire le labbra rosse come ciliegie. Al secondo rifiato riuscirono a essere abbastanza lucidi da guardarsi negli occhi.

«Sempre più di uno, mai più di tre…» mormorò col fiato grosso. «Siamo ancora a due… possiamo controllarci.»

«Possiamo…» convenne Mamoru, poi lo baciò di nuovo come se ne dipendesse della loro vita; tanto da lasciarlo più affannato di prima. «…ma questo è il terzo. E ora?»

Gli occhi di Mamoru erano così trasparenti nella loro oscurità da trasmettergli tutto quello che il ragazzo stava desiderando. Erano voglie familiari e condivise. A un simile richiamo, solo uno sciocco non avrebbe risposto.

Yuzo gli prese il viso tra le mani e infranse il limite che si erano dati per restare con i piedi per terra, ma a terra c’erano rimasti per mesi e ne aveva abbastanza.

Quattro, cinque, sei.

L’affanno montava in cavalloni caricati da venti di tempesta. Le mani s’intrufolarono furtive tra i loro corpi, pronte a donare piacere. Stavolta, a gemere per primo fu Mamoru e, puntuale, dopo nemmeno un minuto dei sonori colpi di tosse – fintissima – e poi una botta contro il muro.

La realtà piombò a gamba tesa nel loro spazio idilliaco separandoli e rendendoli di nuovo padroni di loro stessi. Si guardarono, ansanti.

«Io ammazzo tuo fratello.»

«Mettiti in fila, ho la precedenza!»

Scoppiarono a ridere come due stupidi.

Mamoru rotolò al suo fianco, e lui non si era neppure accorto di quando gli fosse salito a cavalcioni. Ripresero fiato senza smettere di ridere per tutta l’assurdità della situazione, per l’ennesimo cock-block nel giro di nemmeno un’ora, per Shuzo che era il più imbecille dei fratelli che gli potesse capitare, quello per cui, sì, avrebbe dato entrambe le braccia, ma prima gli avrebbe staccato la testa.

«Tuo fratello lo farebbe ammosciare anche a Rocco Siffredi», esordì Mamoru. Sollevò le coperte e diede un’occhiata alla propria situazione. «Guarda il mio, poverino! Guardalo! Tirati su, ragazzo! Sei giovane! Animo!»

«Se ci giochi è normale, ma non ci devi parlare!»

«Citazione per veri intenditori, punto per te!»

Yuzo si rotolò su un fianco, senza riuscire a smettere di ridere, se non quando si trovò a nascondere il viso nel collo di Mamoru. In quell’abbraccio riconobbe la genuinità di un gesto affettuoso, senza alcun secondo fine.

«Ci tiene proprio così tanto a non arrivare a vedere la maggiore età?»

«Ha sempre avuto tendenze un po’ masochiste.»

Mamoru agitò un pugno nell’aria sopra di loro. «Evvabene. Va bene! Gli concedo il punto, stasera, ma come dice Tsubasa: la partita è ancora tutta da giocare! Sei pronto a trasformarti in un cattivissimo fratello?»

«Perché sento che me ne pentirò?» sospirò Yuzo, ma Mamoru gli strizzò l’occhio.

«Invece no. Sei con me, non c’è nulla di cui tu debba pentirti.»

E quella, più che come una certezza, suonò come una minaccia.

 

 

 

 

 


 

 

Note Finali: …devo dirvi che, ovviamente, ci sarà anche un mezzo numero di questa shot? XD
Ve lo dico: ci sarà! XDDDD Magari non subitissimo, ma arriverà anche quella. E quando ci sono i mezzi numeri sapete bene cosa significa! *sghignazza*

Intanto… BUON ANNO A TUTTI!!! *___*

Come inizio non potevo che rifilarvi qualcosa per metà baka e per metà p0rnino, giusto per mantenermi in linea con me stessa! XD

Spero di potervi accompagnare con la serie Soulmate per tutto il corso del 2020 in modo da poter terminare le shot che ancora mi mancano, prima di dedicarmi alla long di chiusura!

Mai dire mai, ma nel frattempo ci tenevo a ringraziare tutti coloro che sono rimasti con le mie storie nel corso del 2019 appena concluso. Grazie del tempo che mi avete dedicato e delle vostre recensioni. :* Spero di essere riuscita a tenervi compagnia e di avervi offerto dei lavori che fossero quantomeno validi e all’altezza delle vostre aspettative. :3 Siete stati un enorme sprono ad andare sempre avanti e spero di ritrovarvi anche nel lungo cammino di questo 2020.

 

Quest’anno, a livello di scrittura, so che mi aspetterà un sacco di lavoro e credo che al fandom mi dedicherò davvero molto, molto poco. Ci ritroveremo con qualche one-shot, con la fine di ‘Jikan’ e con la minilong ‘Roots’. Questo per certo, il resto si vedrà! :*

 

Grazie ancora a tutti voi, la primissima storia dell’anno è dedicata alla vostra compagnia!

Buon Principio a tutti! ♥

 

 

 

   
 
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