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Autore: witchakko    02/01/2020    0 recensioni
[FINNPOE] rockband au, modern au, soft nsfw
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« Il nostro era sicuramente un legame speciale, e nulla avrebbe potuto rovinarlo. O almeno, era quello che avrei sempre desiderato. Un solo passo fuori dal normale e tutto sarebbe andato in fumo. »
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Finn, Poe Dameron
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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finnpoe

Come note musicali



«Il solito, grazie» , pronunciai una volta preso posto al mio abituale tavolino, situato proprio vicino al palco del locale ove mi recavo ogni giovedì sera, quasi come un rituale. L’aria sapeva di alcohol e di sudore, probabilmente a causa dei riscaldamenti che emanavano un calore eccessivo, sebbene da me gradito. Quel locale, “Dal Riccio”, non era così accogliente come voleva apparire all’esterno: lì regnavano le piante e sicuramente appariva moderno e persino grande, ma una volta entrati ci si accorgeva all’istante quanto esso fosse molto più intimo e angusto.

Eppure era ormai da qualche mese che mi recavo lì, era un ottimo modo per staccare la spina dal lavoro e dal mondo in generale. Prendevo un drink o due, mi sedevo, abbozzavo qualcosa nel mio notebook e aspettavo che il mio amico Finn e la sua band si esibissero, così da lasciarmi andare del tutto. Devo ammettere che erano migliorati molto da quando misi piede lì dentro la prima volta: il loro stile si avvicinava molto al rock, ma non essendo così esperto di musica riuscii ad apprezzarlo in tutta la loro unicità. Finn suonava la chitarra egregiamente, la maneggiava con una tale maestria! Da sempre spiegai lui quanto fosse bravo a suonarla e, probabilmente, anche grazie alle mie parole continuò con questa sua passione innata. Le note sembravano vibrare naturali e dolci sotto le sue calde dita, come se non aspettassero altro se non la loro liberazione da quella prigione fatta di silenzio.

Dunque afferrai il boccale di birra una volta servitomi dalla cameriera che, ahimè, ormai mi conosceva bene. Notai solo ultimamente quanto fosse presa a guardarmi mentre sorseggiavo i miei drink, o più semplicemente mentre scrivevo qualcosa. Ricordo una volta in cui, stufo della situazione, ordinai un piatto che avevo sentito non fosse più disponibile nel menù; eppure lei non si diede per vinta, la vidi fare avanti e indietro per il locale pur di procurarmi quel dannatissimo piatto che, ad essere sinceri, neanche sapevo cosa fosse esattamente. Ma di sicuro avevo vinto. Mi metteva sotto pressione essere osservato incessantemente, e Finn lo sa bene.

Le luci iniziarono ad affievolirsi fino a svanire quasi completamente, ed il momento arrivò: tutti in sala sapevano cosa stava per accadere. “Gli JEDI” avevano già impugnato i loro strumenti ed iniziato il loro spettacolo – più teatrale che musicale, visto come si scatenavano. Finn indossava il suo miglior sorriso mentre con occhi scintillanti variava gli sguardi tra le sue dita veloci sulla tastiera della chitarra ed i clienti, esaltati come al solito alla visione dello spettacolo. Sorrisi guardandoli perché, a dire la verità, era impossibile non farlo. Il loro era uno stile particolare, come citai prima, e le loro movenze rendevano il tutto ancora più piacevole da ammirare.

«Allora, come sono andato?» mi chiese una volta sceso dal palco, sistemando velocemente il suo gioiello di legno nella sua apposita custodia. Il sudore rendeva il suo viso leggermente lucido, ma certamente radioso. Non gli mentii, era impossibile farlo, e gli diedi una pacca su una spalla.

«Fantastici, lo sai», e lo sapeva davvero. Eppure un velo di insicurezza riuscivo sempre ad intravederlo, proprio come il Finn di tanti anni fa. Adesso era cambiato molto, era sicuro di sé e più alla mano, ecco. Anche per questa ragione riuscimmo a parlare senza fermarci sino a casa sua. Parlavamo del più e del meno. Gli illustravo le mie idee per le mie storie, i miei gialli lo hanno appassionato sempre, mentre lui mi raccontava degli aneddoti riguardanti la sua band. Andavamo molto d’accordo, era sempre stato così, e mi sarebbe andato bene per sempre. Andare lì il giovedì sera e fare un resoconto delle nostre vite – come se aprissimo il nostro diario personale all’altro – era davvero piacevole. La parte migliore, sicuramente, era rivedere lui: mi sentivo a casa, come quando si affronta una lunga giornata e, finalmente, ci si sdraia sul letto ascoltando la propria canzone preferita.

Arrivati all’interno del suo appartamento, quella sensazione descritta poco prima si intensificò ancor più. Finn ed io ci sedemmo con nonchalance sulle poltrone dinanzi il tavolino con appoggiati dei piatti alla sommità. Mangiammo velocemente – anzi, divorammo la cena – che preparammo il più velocemente possibile. Promisi a Finn che avrei aggiustato il suo vecchio gameboy così da tornare a giocarci una volta tornati a casa da quel genere di serate. Tanti erano i ricordi legati ad esso e, mentre smanettavo con esso, era inevitabile che non sorgessero nella mia mente. Quasi come se Finn potesse sentire i miei pensieri, fu il primo a parlare.

«Come mai ti sei fermato in questa posizione?», facendomi notare come fissavo il retro del gameboy con sguardo perso. Scossi la testa e ridacchiai, prima di continuare a parlare,

«Ricordi quando mi cadde dal letto e si divise in due?»

«Cadde sulla mia testa, come dimenticarlo. Quel letto a castello era bello alto, eh?», affermai riuscendo quasi a rivedere la scena davanti a me.

«E la tua testa molto dura.»

Ridemmo nuovamente mentre le nostre conversazioni iniziarono a focalizzarsi sul nostro passato, sul liceo e così via. Parlammo delle nostre amicizie finite ormai chissà dove, dei professori, o più semplicemente di tutte le nostre avventure. Ci addentravamo in boschi simili a labirinti per poi uscirne stremati, o ci infiltravamo nei cinema ove trasmettevano film ad orari indecenti, cercando di provare a noi stessi che eravamo uomini e non avevamo paura di essere scoperti e, soprattutto, di vedere film dell’orrore. Ne passammo di tutti i colori, io e Finn. Molti pensavano addirittura che fossimo fratelli separati alla nascita; il nostro era sicuramente un legame speciale, e nulla avrebbe potuto rovinarlo. O almeno, era quello che avrei sempre desiderato. Un solo passo fuori dal normale e tutto sarebbe andato in fumo.

«E ricordi quella ragazza, Judy? Chissà che fine ha fatto. Era davvero una ragazza particolare, mi piaceva.»

Annuii con evidente distrazione. Come dimenticarsi della ragazza che sbavò dietro a Finn per un anno intero? Probabilmente se l’avesse sentito in quel momento sarebbe svenuta davanti a lui. Da quando lui la baciò – stavamo giocando al gioco della bottiglia, era l’ultimo anno di liceo – lei perse completamente la testa, come se un bacio potesse essere così speciale. Fu un anno davvero pesante quello, ma per fortuna le cose erano ormai diverse. Ora si trattava solo ricordi di cui parlare il giovedì sera, e mi andava bene.

«Lei era pazza di te, non lo sapevi? Persino chi abita nello spazio avrebbe potuto vederlo, non fare quella faccia», affermai osservando la sua espressione con la coda dell’occhio. Non rispose, impugnò la sua chitarra e iniziò a strimpellare qualcosa di calmo e orecchiabile, proprio quando appoggiai il suo gameboy – talmente malconcio che dovetti farlo con cautela – sul tavolo lì vicino. Ci spostammo quindi sulla sua camera, dopo la sua solita frase “qui non mi piace suonare, andiamo nella mia stanza”.

Continuò dunque la sua dolce melodia e io mi sdraiai accanto al suo fianco, appoggiando il mio capo sulle mie braccia incrociate. Stavo fissando il soffitto mentre la musica di Finn mi stava cullando. Chiusi pian piano le palpebre e, probabilmente, mi addormentai per qualche minuto. Al mio risveglio, sebbene non fossi così pimpante, riuscii a notare che Finn stava suonando una melodia che non sentivo da molti, moltissimi anni: si trattava di un motivetto che inventai ad una delle nostre primissime “avventure”, quando ci addentrammo in un quartiere a noi sconosciuto, finendo per perderci. Inventai quel motivo per riempire il vuoto nelle nostre giovani menti spaventate, e soprattutto per tranquillizzare Finn. Finimmo per canticchiarla insieme fin quando non trovammo la retta via. Non avrei mai immaginato che avesse potuto ricordarla, specie in un momento come quello.

Le sue dita cessarono di muoversi sulle corde quando alzai il mio busto, così da sedermi al suo stesso modo.

«C’è qualcosa che non va?» chiesi d’istinto. Collegai i pezzi del puzzle, e capii subito dalla sua espressione e dalla melodia che qualcosa non andava. Mi guardò dritto negli occhi, uno sguardo mai visto prima che bastò per far sorgere in me delle preoccupazioni. Il silenzio mi stava divorando, non ne ero abituato quando stavo in sua compagnia. Esitò prima di aprire bocca.

«A volte penso a quante ne abbiamo passate noi due, sai? Penso molto, a dire la verità: a noi due, alla nostra amicizia.»

Quelle parole non sembravano neppure le sue, non era mai stato un tipo sentimentale, proprio come me. Con noi bastavano sicuramente dei gesti da poco per dimostrare quanto tenevamo all’altro, e le pazzie certo non mancavano all’appello.

Non potei fare a meno di continuare ad osservare quella sua espressione così vuota, così persa. Conoscendolo nella sua mente si annidavano pensieri come “non voglio che nulla cambi, non voglio perdere l’unico amico che mi fa stare bene”, perché era ciò che pensavo anch’io.

«Andrà tutto bene, su», dissi con un velo di imbarazzo e serietà messe insieme. I miei occhi tornarono ad essere pesanti, così come l’atmosfera circostante: scostai dunque la chitarra di Finn e lo strinsi a me, un’azione che facevamo di rado. Quella volta però fu diversa, speciale. Mi abbracciò con una dolcezza che non pensavo gli appartenesse, ed io iniziai a disegnare figure invisibili sulla sua schiena, come per tranquillizzarlo. Non seppi nemmeno spiegare come, pochi attimi dopo, ci ritrovammo con i volti attaccati l’uno all’altro: forse fu colpa mia, devo ammetterlo. Il suo volto così etereo e serio era così irresistibile, quasi quanto le sue labbra. Lo baciai a lungo senza staccarmi, come se avessi paura di vedere la sua espressione una volta finito. Con mia sorpresa, quando cercai di allontanarmi, riafferrò il mio volto e mi baciò nuovamente, voglioso di quella sensazione che stava crescendo inconsciamente in noi.

Il suo sapore, lo ricordo ancora così bene: delizioso, instancabile. Ero talmente ammaliato che il mio respiro iniziò ad appesantirsi, volevo di più. Infilai la lingua nella sua bocca e la mossi con impazienza, e così fece lui, seppur più cauto. Stava tenendo saldamente i miei capelli mentre ci sdraiammo sul materasso, e non indugiai ad aggrappare saldamente la mia mano nel cavallo dei suoi pantaloni: la scelta migliore della mia vita, ma non nascondo che rimasi addolcito dai gemiti soffocati di Finn e dal suo lieve rossore. Successivamente, come se avessimo avuto una certa fretta ancora a me inspiegabile, iniziammo a spogliarci con fare animalesco, appiccicandoci all’altro quasi come un bisogno impellente. I nostri gemiti riempirono la stanza come le melodie di Finn, fino a quando la sua ultima nota non diede nuovamente spazio al silenzio creatosi in precedenza.

Mi strinse nuovamente mentre baciai con cautela il suo volto lievemente sudato; stava accarezzando con i suoi polpastrelli la mia schiena ormai marchiata da graffi, quasi come per ammirare il lavoro da lui compiuto. Allo stesso modo continuai a lasciare il mio segno su di lui, mordicchiando il suo collo così invitante e morbido, colmo infine di segni violacei. E quella visione, quella del Finn che si abbandonava totalmente a me, fu ciò che mi rese più felice in assoluto. In tutta la sua semplicità, dove la sua bellezza naturale si celava, io mi innamorai di nuovo.

finnpoe

Note di Morgana: Che dire amici, questa non è altro che IL FRUTTO DELLA MIA IMMAGINAZIONE dopo aver visto l’ultimo film di star wars, che devo dire mi ha dato Tanto content per quanto riguarda questa ship che, ahimè, non è stata resa canon. Disney come al solito mi deludi però perlomeno mi hai dato del materiale per riprendere a scrivere dopo tanto tempo, quindi da un lato ti perdono. In ogni caso, grazie mille della lettura, spero di poter scrivere altro su di loro perché davvero sono bellissimi e li amo alla follia. Un ringraziamento ad Elia che aspettava questa one shot e sopratutto ad Ely, la mia cara Ely che spero rimarrà felice di ciò che la disney non ci ha dato. Vi voglio bene, e grazie del supporto! Oh, e a che ci sono, buon 2020.

   
 
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