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Autore: MissAdler    02/01/2020    4 recensioni
STORIA INCOMPIUTA. PERDONATEMI.
Frozen! AU
Sorrideva molto poco, per essere un bambino, e le poche volte in cui lo faceva erano quando trascorreva del tempo con suo fratello minore: un furetto di appena cinque anni, coi riccioli color nocciola e due occhioni curiosi che mostravano sfacciatamente le mille sfumature d’azzurro dell’aurora boreale.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Mr Holmes, Mrs. Holmes, Mycroft Holmes, Redbeard, Sherlock Holmes
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Incompiuta
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Nessun uomo è un’isola, men che meno può esserlo un bambino.
Eppure, il piccolo Sherlock Holmes si sentiva esattamente così, un sassolino insignificante, un ciottolo che galleggiava alla deriva.
Aveva l’impressione di essere pieno di un’energia che non riusciva a trattenere, col cuore colmo di sentimenti senza destinatario e la testa satura di pensieri, idee, domande che restavano inespresse, che tormentavano il suo sonno infantile senza mai darli tregua.
Il principe era ignorato da coloro che avrebbero dovuto amarlo, lasciato a se stesso, libero e prigioniero al contempo, perché, quando si lascia un bambino vagare senza guida, ad esplorare una realtà senza sponde, è un po’ come condannarlo all’abbandono più totale.
 
Per contro, l’eccessivo controllo su un giovane come Mycroft Holmes, contribuiva a farlo sentire ancor più colpevole, pericoloso e senza speranza.
Si era convinto di avere sulle spalle un peso che solo lui poteva portare, una condanna a vita, che probabilmente l’avrebbe costretto ad autodistruggersi, prima di nuocere a qualcun altro.
La regina si era fatta carico della sua educazione, dedicandosi risolutamente, per diverse ore al giorno, ad istruire il futuro re nell’autocontrollo e nella gestione dei suoi poteri.
Non erano metodi che parevano funzionare, soprattutto perché si basavano su una sorta di demonizzazione nei confronti del “dono”, ma nessuno, tantomeno il malinconico re, sembrava riuscire a distoglierla da quella assurda crociata.
A Mycroft sembrava tutto estremamente ridicolo e sapeva che l’unica soluzione sarebbe stata tenere le persone alla larga, compreso suo fratello. Soprattutto suo fratello.
Sherlock era quasi morto per colpa sua e di quei ridicoli giochetti magici, il povero Barbarossa non aveva avuto scampo e lui non se lo sarebbe mai perdonato, avrebbe portato quella croce fino alla morte e avrebbe impedito con tutto se stesso che una simile tragedia venisse sfiorata di nuovo.
 
Nessun uomo è un isola, né vorrebbe vivere su di essa, se fosse silenziosa e disabitata. Tale era divenuto il castello di Arendelle, perché la maledizione di Mycroft Holmes sarebbe dovuta restare segreta. E vennero sbarrate le porte, e fu ridotta la servitù, e i poteri del principe restarono estranei a tutti.
 

 
Passarono gli anni, la solitudine non giovò a nessuno, né al giovane Sherlock, che non aveva mai imparato ad interagire con le persone attorno a sé, né al taciturno erede al trono, che trascorreva le sue giornate da recluso, senza uscire dalle sue stanze se non per consumare i pasti e in altre poche occasioni eccezionali, evitando con cura di dare confidenza a chiunque.
Nemmeno da dodicenne, il principe Sherlock si azzardava ad avvicinarglisi, osservando da lontano i cambiamenti di suo fratello, non senza un pizzico di stupore.
Mycroft Holmes, che aveva ormai compiuto diciotto anni, era quasi irriconoscibile, se non fosse stato per quegli occhi glaciali e il naso da rapace. Non c’era traccia del bamboccio paffuto e insignificante che era stato il suo compagno di giochi. Ora, per i corridoi del castello, camminava a passo elegante un giovane alto e slanciato, abbigliato con camicie di batista e panciotti finemente ricamati. Si muoveva silenzioso e schivo, il collo fasciato da fazzoletti in seta color avorio, la stessa che gli ricopriva le mani costantemente guantate.
Ogni singolo abitante del palazzo lo spiava con timore reverenziale, i suoi genitori lo affiancavano quanto più potevano, istruendolo in faccende che Sherlock credeva avessero a che fare con la politica e il governo e che, invece, riguardavano il controllo delle sue straordinarie facoltà.
“Devi domarle, Myc” lo rimproverava la regina, infilandogli un nuovo paio di guanti, più pesanti dei precedenti, “disciplina la tua mente e tieni a bada le emozioni. I guanti ti aiuteranno.”
‘Mycroft’ è il nome che mi hai dato” le rispose un giorno in cui si sentiva particolarmente gelido, molto più del ghiaccio che ricopriva gli angoli della sua stanza, “gradirei che lo usassi per intero.”
Era diventato freddo, il futuro re, sarcastico, di ghiaccio anch’egli, come i suoi occhi impenetrabili.
E quando Sherlock, in una notte d’inverno, fu svegliato dalle luci colorate dell’aurora boreale e senza pensarci si ritrovò di fronte alla familiare porta bianca, per la prima volta si trattenne dal bussare, appoggiandovi la fronte in silenzio e lasciandosi sfuggire un sospiro di sconfitta.
 

 
Neanche una parola per Sherlock, negli anni a venire, uscì dalle sottili labbra del principe ereditario. Non un cenno, non un’alzata di sopracciglia.
I suoi occhi non si posarono mai su quel giovane uomo che ora sembrava non cercare più nulla negli altri, che si era costruito un mondo tutto suo, un castello immaginario in cui era lui a chiudere le porte, a proteggersi, lasciando fuori un mondo che lo ignorava senza pietà, mettendosi al di sopra di esso e guardandolo con finto distacco dalla torre più alta.
 
Il giorno in cui Arendelle entrò in guerra contro le Isole del Sud, Sherlock aveva da poco compiuto diciotto anni e ne dovettero trascorrere quasi altri due, prima che questa cessasse.
Dopo dieci mesi dallo scoppio del conflitto, il re e la regina avevano intrapreso un lungo viaggio per mare, con l’intento di firmare un armistizio che mettesse fine alle ostilità con il nemico, ma la nave su cui si imbarcarono non giunse mai a destinazione, né tornò ad Arendelle.
Ci furono funerali senza defunti, tombe vuote e lacrime di brina. Perché per qualche motivo assurdo, che Sherlock non seppe spiegarsi, la neve era caduta su Arendelle in pieno giugno, posandosi silenziosa sui bianchi gigli ai piedi delle lapidi di pietra e sui riccioli scuri del giovane principe dal volto impassibile.
Fu quel giorno che Sherlock, resosi conto di essere rimasto davvero solo, bussò nuovamente alla porta di suo fratello, senza speranze né aspettative.
“Mycroft” mormorò appoggiando il palmo al legno bianco e accostandovi l’orecchio, “perché oggi non sei venuto al funerale?”
Ma nessuna risposta si udì dall’altra parte.
“Mycroft, apri la porta. Dovrai uscire prima o poi, hai intenzione di regnare standotene chiuso lì dentro?”
“Va’ via, Sherlock.”
Non era la risposta che sperava, ma era pur sempre una reazione, perciò prese un bel respiro e continuò a parlare, stringendosi nella giubba nera e rabbrividendo sempre più forte.
“Siamo rimasti soli… mamma e papà non ci sono più.” si voltò appoggiando le spalle alla porta e lasciandosi scivolare fino a sedersi per terra. “Come ci riesci?” domandò sottovoce, chiudendo gli occhi e piegando la testa all’indietro. “Come fai a restare così freddo, a non provare niente?”
Il silenzio sembrò avvolgere tutto il castello, mentre la neve continuava a cadere fitta fuori dalla finestra. A Sherlock sembrò che qualche fiocco solitario arrivasse ai suoi piedi, come se potesse nevicare fin dentro il palazzo.
Tutte le vite finiscono, fratellino, i cuori vengono spezzati. I sentimenti non sono mai un vantaggio.
Era certamente la frase più lunga che gli avesse rivolto negli ultimi tredici anni e fu anche l’ultima cosa che disse, prima di chiudersi di nuovo in un mutismo che a Sherlock parve impenetrabile.
Quel che il più giovane non sapeva, era che in quel preciso momento, anche Mycroft era seduto a terra, con la schiena premuta contro la porta, perfettamente speculare a lui, la testa sollevata a guardare il soffitto coperto di brina. Osservava distrattamente i cristalli di neve sospesi sulla sua testa, altri che ondeggiavano attorno a lui, la condensa sui vetri delle finestre.
Era inverno tutto attorno a lui, lo era nel suo cuore, ora gelido come un diamante di ghiaccio, e dentro di lui lo sarebbe stato ancora per molti mesi, tempo durante il quale Arendelle rimase sotto la guida del Duca Rudolph Holmes, cugino del re deceduto, giunto dalle terre all’estremo Nord non appena fu convocato, in attesa che il principe ereditario compisse ventisette anni, età in cui, per legge, sarebbe stato incoronato legittimo re di Arendelle.
Nel frattempo, la proposta di armistizio sembrava essere stata accantonata e il Duca si era ritrovato a guidare di persona le armate che combattevano sotto il sole rovente delle Isole del Sud.
Ci vollero otto mesi perché gli avversari riprendessero in considerazione gli accordi di pace, tempo durante il quale entrambi i regni subirono ingenti perdite di vite, inclusa quella del Reggente, due giorni dopo la pace tanto agognata, per una febbre causata dalle ferite infette.
Sherlock non aveva mai amato lo zio Rudy, così lo chiamava, ritenendolo un uomo completamente privo di intelligenza e capacità decisionale, e tuttavia ora si sentiva ingrato, colpevole di averlo sempre schernito, senza contare che la sua perdita era stata l’ennesimo lutto familiare e che ora non gli era rimasto davvero nessun parente, a parte Mycroft.
Ciò che lo rincuorava, oltre alla fine della guerra, era il pensiero della prossima incoronazione di suo fratello, evento durante il quale le porte del castello sarebbero finalmente state aperte, lasciando entrare centinaia di persone, tra le quali Sherlock sperava segretamente di trovare qualcuno che fosse almeno minimamente interessante, di cui dedurre particolari curiosi e una vita lontano da lì che sarebbe stato eccitante immaginare.
 

 
Era una tiepida mattina d’aprile, grosse navi dalle bianche vele spiegate entravano lentamente nel fiordo, coccarde e fiori di mille colori adornavano le vie del paese e la piazza antistante il castello.
La fontana al centro aveva ripreso a zampillare allegramente e i bambini correvano eccitati da una parte all’altra, abbigliati col vestito della festa.
Si respirava aria di pace e di speranza, nessuna circostanza sarebbe stata più adatta per un'incoronazione: tutto, ad Arendelle, sembrava sul punto di mutare, rinascere a vita nuova, così come i boccioli primaverili che coloravano i giardini della reggia, che a minuti sarebbe stata finalmente aperta al pubblico.
 
Sherlock dormiva ancora quando un sottile raggio di sole si intrufolò dalle tende socchiuse, posandosi sul suo zigomo. Si voltò pigramente, scoprendosi fino alla vita e mugugnando con la bocca impastata.
Avevano bussato delicatamente alla porta ma lui non aprì gli occhi, né rispose a quel richiamo.
Aveva preso l’abitudine di dormire senza camicia da notte, perciò ora la luce del sole scivolava languidamente sul suo corpo nudo, candido e perfetto come una distesa di neve, coi suoi riccioli sparsi e abbandonati sul cuscino, scuri e lucenti, come degli stormi di corvi in volo al chiaro del mattino.
Altri colpi alla porta, in rapida successione, ebbero il potere di fargli strizzare le palpebre.
“Altezza? State ancora dormendo?”
“Mmm… ovviamente” brontolò schiacciandosi il cuscino sulla faccia.
“Altezza, dovete prepararvi, è il giorno dell’incoronazione, abbiamo appena aperto le porte.”
Bastarono queste parole per far drizzare Sherlock a sedere, convincendolo a svegliarsi del tutto.
Finalmente le porte di Arendelle erano state aperte, finalmente avrebbe avuto l’occasione di parlare con qualcuno che avrebbe potuto capirlo, anche se solo in parte. Perché dopotutto che senso ha essere intelligenti se non c’è un pubblico?
E lui era così stanco di interagire solo con i libri e con se stesso, con quei personaggi immaginari che abitavano il suo castello mentale, e che in fondo erano pur sempre pezzetti della sua anima.
Perciò si alzò di gran fretta, lasciò che lo agghindassero con l’uniforme di gala, che gli sistemassero i ricci con cura e che gli servissero la colazione nelle sue stanze. Poi percorse a passo svelto i corridoi, trovando individui sconosciuti che passeggiavano con sguardo curioso, osservando i ritratti alle pareti e gli arazzi raffinati che coloravano gli ambienti.
Non aveva aspettato altro per anni, eppure adesso non sapeva cosa fare, né cosa dire, a quelle persone che si inchinavano a lui con profonda reverenza ed un sorriso ammirato.
Gli sembrò quasi che appartenessero ad una razza diversa dalla sua, come se, anche provando a dirgli qualcosa, non sarebbe riuscito a farsi comprendere.
Perciò decise di prendere tempo, di rimandare i rapporti sociali finché non fosse iniziata la festa, ignorando timidamente quella gente e raggiungendo la libreria in fretta e furia. Recuperò in automatico un volume di biologia, deciso ad impiegare le poche ore che mancavano alla cerimonia dedicandosi ad una lettura leggera, ma pochi istanti più tardi qualcuno entrò nella sala, passeggiando tra gli scaffali e fermandosi di tanto in tanto a dare un’occhiata ad alcuni titoli.
Il principe sentì quei passi farsi sempre più vicini, cercando nella sua mente qualcosa di intelligente da dire, se quel visitatore avesse deciso di rivolgergli la parola.
Se ne stette col cuore in gola e le guance bollenti per un tempo che parve lunghissimo, poi non sentì più alcun rumore e pensò che chiunque ci fosse nella libreria oltre a lui, di certo doveva essersene andato, perciò aprì il grosso tomo e si incamminò per raggiungere il lungo tavolo di legno oltre la terza fila di scaffali.
Fu allora che accadde.
Con gli occhi fissi sulle pagine, leggendo parole che non era riuscito a cogliere, non si accorse del giovane uomo immobile dietro il primo scaffale, scontrandosi con lui e pestandogli i piedi goffamente.
“Mi- mi dispiace, io… domando scusa” balbettò con un filo di voce.
“Altezza…” sgranò gli occhi l’altro, raccogliendo il pesante volume di biologia che Sherlock aveva fatto cadere a terra, indietreggiando di un passo e inchinandosi con eleganza, “vi prego, perdonatemi, è stata colpa mia. Non sapevo che foste qui.”
Il principe lo guardò con attenzione, soffermandosi sugli occhi scuri e ipnotici, sulla fronte spaziosa e intelligente, indugiando sulle labbra sottili che trattenevano a malapena un sorriso sghembo.
“Oh… no, no, non sono quel tipo di principe. Se aveste urtato mio fratello Mycroft probabilmente vi avrebbe fatto decapitare, ma per vostra fortuna sono soltanto io.”
Perfino lui si stupì di aver pronunciato così tante parole senza impuntarsi nemmeno su una sillaba, perciò sorrise timidamente e continuò ad osservare il giovane dinnanzi a lui.
Avrà avuto tra i ventitré e i venticinque anni, celibe, di alta estrazione, probabilmente un principe del sud, vista la carnagione leggermente arrossata dal sole.
“Soltanto Voi?” chiese stupito, guardandolo di rimando, con la stessa intensità. “Permettete che mi presenti, sono il Principe James, delle Isole del Sud” disse con solennità, inchinandosi nuovamente.
“Principe Sherlock, di Arendelle” rispose inchinandosi a sua volta, soddisfatto della sua deduzione, per poi stringere la mano guantata che l’altro gli aveva teso.
Si sentì improvvisamente avvampare, il cuore impazzito e la mente in subbuglio. Fu come essersi svegliato da un sonno profondo, come sentirsi di nuovo vivo, umano, parte del mondo.
La strinse delicatamente e indugiò così, guardando James con gli zigomi in fiamme e memorizzando immediatamente ogni particolare del suo volto.
 

 
Mycroft si infilò i guanti con dita tremanti, sforzandosi di respirare a fondo, ripetendo a se stesso che le emozioni erano il nemico e che avrebbe solo dovuto controllarle, come faceva sempre, come gli aveva insegnato sua madre.
E fu esattamente quel che fece durante la celebrazione, recitando la sua parte in maniera impeccabile, tentennando solamente quando gli venne chiesto di sfilarsi i guanti per impugnare lo scettro e il globo d’oro, su cui comparve una sottile brina che si sforzò con tutte le forze di far scomparire.
Era talmente concentrato da non accorgersi di suo fratello, in piedi a pochi metri da lui, che faceva vagare lo sguardo sul pubblico presente nella cattedrale alla ricerca degli occhi neri di James.
Trattenne il respiro mentre il celebrante posava la corona sulla sua testa, pronunciando la formula in latino che segnava l’inizio del suo peggiore incubo. Perché Mycroft avrebbe preferito mille volte finire in esilio sulla Montagna Del Nord, piuttosto che governare un regno che avrebbe potuto distruggere solo alitandoci sopra.
E riprese a respirare solamente quando gli fu consentito di appoggiare nuovamente sul cuscino di velluto gli oggetti che teneva tra le mani, infilandosi i guanti di seta con gesti rapidi e lievemente ansiogeni.
Applausi scroscianti e grida festose inneggiavano al nuovo sovrano, arrivando alle sue orecchie minacciosi come sentenze di morte.

 


CONTINUA...

 


 

ANGOLINO DELL'AUTRICE 

Buonsalve e buon anno nuovo!

Qualche precisazione tecnica. 

Le parti in corsivo sono citazioni della serie, eccetto quella sui capelli di Sherlock, che è tratta da una canzone di Guccini, "Certo non sai".

Rudolph Holmes è davvero lo zio di Sherlock e Mycroft nel canone, pare sia il fratello di Mister Holmes e nella serie viene chiamato zio Rudy.

Ho inventato di sana pianta la legge sull'età del sovrano  perché volevo che Sherlock avesse almeno vent'anni e non volevo alterare la differenza di anni originale.

Ho anche messo su una guerra, per ragioni di trama e poi, vabbè, avrete intuito no? 

Spero vi sia piaciuto anche questo secondo capitolo e sarei felicissima di sapere che ne pensate.

Grazie a tutt* per essere qui e per supportarmi anche in questo piccolo esperimento.

Un ringraziamento speciale ad Emerenziano, lei sa perché. 

A presto

MissAdler

   
 
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