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Autore: Alice_Slytherin    02/01/2020    8 recensioni
Autore originale (inglese): Bex-Chan, presso il sito fanfiction.net
Draco non può andarsene dalla stanza. La stanza di lei. Ed è tutta colpa dell'Ordine. Confinato in uno spazio minuscolo con solo la Mezzosangue come compagnia. Qualcosa andrà storto. Magari la sua sanità mentale, magari no.
"Ecco" sbottò lei "Ora anche il tuo sangue è sporco!". DM/HG. Eventi successivi al "Principe Mezzosangue".
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He can't leave the room. Her room. And it's all the Order's fault. Confined to a small space with only the Mudblood for company, something's going to give. Maybe his sanity. Maybe not. "There," she spat. "Now your Blood's filthy too!" DM/HG. PostHBP.
Genere: Angst, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Draco/Hermione
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Da VII libro alternativo
Capitoli:
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A/N: Dopo ventimila ere geologiche, ho ritrovato questo file sul mio drive, ed ora eccomi qui con il ventesimo capitolo tradotto! Sono sicurissima che molte persone saranno giustamente andate avanti con la propria vita, dimenticandosi di questa storia, ma spero che qualcuno ancora ci sia e che possiate apprezzare questo aggiornamento! Mi scuso per essere sparita, non ho mai trovato il tempo di ripescate questa piccola impresa, ma vorrei vederla completa un giorno, chissà ;)
Vi lascio qui la nota dell’autrice originale tradotta, come penso farò d’ora in poi, perchè mi sono ricordata che suggeriva moltissime belle canzoni all’inizio di ogni capitolo, così potrete avere un’esperienza completa nella lettura di questa fanfiction.

Trad. “Se posso suggerire una canzone, e ho il sospetto che si tratti di un brano già molto apprezzato tra di noi fan, visto che è presente nella colonna sonora di Deathly Hallows parte 1. Penso che la conosciate già, “O Children” di Nick Cave. Adoro questa canzone, e non appena ho scoperto che era entrata a far parte del film...gahhh...orgasmo mentale. Nonostante io sappia che l’interpretazione della canzone sia un po’ oscura, ho sempre pensato che parlasse di quanto i figli degli adulti siano sempre le vittime innocenti di qualsiasi guerra, perciò penso si adatti bene a questo nuovo capitolo. Se qualcuno avesse altre idee, mi faccia sapere nei commenti!”
 



Chapter 20: Lacrime
 
Hermione lesse il paragrafo sul giornale per quella che sembrava essere la centesima volta, incapace di mettere a fuoco le parole, di comprenderle.

Il suo sguardo era incollato su una fotografia in particolare tra quelle che riempivano la prima pagina; ritraeva la famiglia Finch-Fletch leys —i genitori di Justin— in posa davanti alla stazione di King’s Cross appena un paio d’anni prima, quando lei stessa li aveva visti per l’ultima volta.

Alzò il mento e mise a fuoco a fatica il volto provato della professoressa McGranitt, sulla lingua una domanda fondamentale, ma impossibile da pronunciare.

“Justin è—”

“È vivo,” si affrettò a rispondere lei. “Era in visita dai suoi nonni durante l’accaduto.”

“Oddio, Justin,” Hermione faticò a reprimere un singhiozzo. “S-sarà devastato…”

Lo sguardo le si posò sulle altre fotografie del giornale, le persone ritratte sorridenti, in movimento, quasi impossibili da fissare a lungo. Ognuna di quelle foto raffigurava coppie felici e gioiose, mariti e mogli Babbani, sorrisi che — alla luce degli ultimi eventi —  nascondevano il peso della consapevolezza del loro futuro.

Ogni singola persona, ogni vita vissuta, sparita in una sola settimana...tra Natale e Capodanno.

L’articolo di giornale non si era risparmiato nemmeno nel descrivere le cause del decesso, anticipato da ore ed ore di maledizione Cruciatus, quando anche gli ultimi sospiri estratti non servirono più, le loro vite non più utili. Dispensabili.  

Hermione non conosceva di persona quelle famiglie, ma era a conoscenza delle loro storie.

“Sono tutti genitori di ragazzi nati Babbani, non è vero?” domandò, senza alcun bisogno di sentirne la risposta.

“Sì,” la McGranitt annuì, faticando a sostenere lo sguardo della giovane. Hermione non riuscì a ricordare un momento in cui la sua professoressa di sempre avesse mai faticato tanto nel mantenere la sua statuaria compostezza.

“C’è stata anche un effrazione alla residenza dei Creevey, sicuramente anche loro presenti nella lunga lista di Babbani da eliminare. Per un caso fortuito, l’intera famiglia si trovava in viaggio, riuscendo a sfuggire all’attacco.”

Hermione osservò un’immagine che prima non aveva notato; due ragazzini, non più grandi di quindici anni, frequentanti la scuola di magia in Galles, Bryn Glas. Una lacrima si depositò sui loro volti ingialliti dalla carta, deformandone i contorni.
 
Torturati e uccisi, insieme ai genitori.

“Sono così giovani—” mormorò. “Troppo giovani.”

“Fatico a comprendere che sia accaduto realmente,” la McGranitt posò la mano sulla spalla di Hermione, stringendo leggermente le dita ossute, una calda, ferma rassicurazione silenziosa. “Nessun essere umano può mai dirsi preparato a questo genere di orrori, nemmeno quando li ha già visti accadere una volta. I Mangiamorte—, non pensavo potessero arrivare a tanto, ancora una volta.”

“Dovremmo poter fare qualcosa,” Hermione faticò ad alzare la voce, “Dovremmo avere un piano—”

“C’è solamente un piano di cui vorrei discutere con te al momento,” la interruppe la Preside. “Si tratta del piano che tu stessa mi hai proposto, appena due settimane dopo l’inizio dell’anno scolastico.”

“Intende il piano di Obliviare i miei genitori e fare in modo che fuggano dal paese.” Hermione confermò le parole della Preside, lo sguardo fisso fuori dalla finestra appannata dalla pioggia, le dita tremanti e il volto pesante, denso di lacrime. “Ricordo perfettamente il piano.”

La McGranitt trattenne il respiro. “Hermione—”

“Hanno sempre voluto visitare l’Australia,” la interruppe lei, distante, le parole pronunciate quasi senza alcun suono. “Penso...penso che sarebbero al sicuro laggiù.”

“Comprendo che non sia una decisione facile,” l’anziana strega corrugò la fronte, sostenendo lo sguardo di Hermione con i suoi occhi pungenti, celati in maniera quasi impercettibile da un velo di lacrime. “Ma la situazione sta degenerando, senza alcun controllo. Al momento, temo che non potremmo fare altro per mettere al sicuro—”

“Speravo di non dover arrivare a questo,” confessò Hermione, lasciando che nuove lacrime le scivolassero sul viso. “So che questa è l’opzione più sicura, è molto meglio per loro non sapere...ma è...la cosa più difficile che abbia mai immaginato di dover fare.”

“Hermione,” la Preside strinse la presa sulla spalla della giovane, camminando in fronte alla sua figura incurvata per poterla accogliere in un raro abbraccio. “Forse potrebbe esserci una via alternativa, forse potremmo—”

“No,” replicò Hermione, la sua risposta attutita dalla pesante mantella di lana della Preside. “No, devo essere io a farlo. Sono i miei genitori, lo sono ora e lo saranno sempre.” Esitò per un secondo sull’ultima parola, portandosi istintivamente un dito verso le labbra, torturando nervosamente l’estremità di un unghia, come faceva da piccola nei momenti in cui perfino le parole non sapevano descrivere il suo stato d’animo.

“E così sia. Farò tutto ciò che è in mio potere per poterti essere d’aiuto, Hermione,” la McGranitt promise, allentando la presa sul loro abbraccio e scrutando la giovane strega con infinita ammirazione. “Comprendo la difficoltà che questo gesto comporta, ma devo dirti Hermione che sarebbe più saggio poterlo fare il più presto possibile.”

Hermione faticò a rilasciare un singhiozzo. “Quanto presto?”

“Domani,” annuì la Preside con un sospiro. “Alle prime luci del mattino, prima ancora che sorga il sole. Avevo pensato alla possibilità di poter partire questa sera, ma non credo tu sia nelle condizioni migliori per eseguire un incantesimo così potente, nonostante le tue capacità…”

“Sì, certamente…” Hermione annuì assente, “Lì convincerò instillando in loro il desiderio di trasferirsi in Australia, gli darò una nuova identità, farò in modo che— che si dimentichino di me…”

"Hermione, tu sai che una volta messo in atto l’incantesimo, non potrai dire a nessuno dove trovarli, nemmeno a te stessa."

"Lo so."

"Hermione," la Preside sospirò, incontrando lo sguardo della giovane strega. “Se solo ci fosse un’altra opzione per garantire la sicurezza dei tuoi genitori—”

“Ma non c’è,” disse lei. “Va bene, Professoressa. Sapevo quali fossero i rischi quando le ho esposto il piano. So cosa sto facendo.”

La McGranitt abbassò il viso, abbattuta. “Molto bene,” dichiarò. “Se ti presenterai nel mio ufficio domani mattina prima delle sei dovremmo riuscire a farti uscire dal castello inosservata. Ci Materializzeremo—”

“Qualsiasi cosa, farò quello che serve.” Hermione mormorò, ritrovandosi senza alcuna forza per dire altro. “Dovrei—dovrei andare…”

“Vorresti rimanere ancora per poco? Per riuscire a riprenderti?” la Preside offrì un posto sulla vicina poltrona con mani tremanti. “Forse una tazza di tè e dei biscotti potrebbero—”

“Aiutarmi? Non credo, Professoressa.”

“Lasciami almeno offrirti qualcosa da mangiare, sembri aver perso parecchia energia—”

“Sto bene,” ribattè Hermione, alzandosi a fatica dall’antico sgabello cigolante. All’improvviso, l’enorme ufficio della Preside sembrava essersi ristretto irreparabilmente, stringendo Hermione in una morsa fatale, così come i suoi polmoni riuscivano a stento ad espandersi nel petto. “Dovrei ritirarmi, ripassare l’incantesimo, e dovrei—dovrei…”

“Hermione,” disse la McGranitt alle sue spalle, prima che potesse uscire da quella stanza buia e asfissiante. “Andrà tutto bene.”

Hermione trasalì alle parole d’incoraggiamento, e si chiese cosa spingesse le persone ad augurarsi così prontamente promesse tanto futili e inconsistenti nei momenti più bui. Lei era una persona troppo razionale per poter anche solo tentare di rimanere ottimista, e sapeva benissimo che la possibilità che l’incantesimo della Memoria potesse essere rimosso era pari al cinquanta percento, senza inoltre considerare la possibilità che la guerra fosse vinta dalla metà giusta, e che lei riuscisse effettivamente a ritrovare i suoi genitori, in un futuro talmente lontano che immaginarlo era quasi impossibile.

Il dubbio più atroce era un’altro; se lei fosse morta in questa guerra, i suoi genitori avrebbero mai, anche solo in un infinitesimale angolo del loro cuore, sentito la sua mancanza?

“Sarò puntuale domani, Professoressa.” mormorò Hermione. “Buonanotte.”

Hermione si precipitò fuori dalla stanza prima che la McGranitt potesse trovare altri modi per consolarla, le gambe che a fatica la reggevano in piedi in una corsa disperata verso il dormitorio.

Corse attraverso i corridoi deserti, noncurante delle ombre sinistre e dei sospiri che il vento rilasciava attraverso le antiche mura. Arrivata di fronte al portone, borbottò incoerente la parola d’ordine, grata che l’incantesimo avesse colto le sue parole al primo tentativo.

Si chiuse la porta alle spalle con un colpo secco, sconvolgendo per un terrificante secondo le vetrate di tutto il dormitorio. Hermione trattenne il fiato, sperando che Draco non si insospettisse ed emergesse dalla sua stanza.

Finalmente sola, si strofinò gli occhi noncurante del rossore che già le bruciava il viso appesantito dagli eventi che una singola testata di giornale era riuscita a provocare. Si strinse le dita dietro la nuca, sforzandosi di non piangere, sforzandosi di respirare...

Era così arrabbiata con se stessa; questa sua idea, tanto semplice quanto impensabile… avrebbe dovuto prepararsi meglio all’eventualità che arrivasse questo momento, il momento in cui avrebbe dovuto dire addio ai suoi genitori per sempre…

Il peso di ciò che stava per fare formò una morsa asfissiante sul suo cuore, ed Hermione si chinò in avanti, cercando di trovare un senso a tutto ciò.
Tutti coloro che possedevano un posto nel suo cuore se ne stavano andando uno dopo l’altro, Harry, Ron, i suoi genitori… Era impensabile pensare a quali nomi si sarebbero aggiunti alla lista di lì a poco…

“Granger?” la voce di Draco la scosse dai suoi pensieri. “Che cosa fai lì al buio?”

Hermione si raddrizzò, cercando di asciugarsi le lacrime senza che gli occhi di Draco percepissero il movimento.

Si trovava sul ciglio della porta, studiandola con occhi sospettosi che la fecero sentire vulnerabile e completamente spoglia di fronte a lui, come se potesse leggere, anche solo guardandola, tutto quello che lei stava tentando disperatamente di nascondergli.

“Nulla,” sussurrò lei, schiarendosi la gola non senza attirare una leggera alzata di sopracciglio da parte del giovane che le stava di fronte. “Nulla, io stavo solo—

“Non sembra così irrilevante come dici,” Draco commentò, insicuro su quanto potesse scavare senza che Hermione si indurisse a tal punto da impedirgli di scoprire qualunque cosa fosse successa. “Mi è sembrato di vedere delle lacrime sul—”

"No,” ribatté lei all’istante. Troppo velocemente. Evitò il suo sguardo inquisitore e si avvicinò alla sua stanza. “Devo occuparmi di alcune cose—”

"Un momento,” rispose Draco, più svelto nel raggiungere la porta. “Mi stai nascondendo qualcosa—”

"Lasciami passare—”

"No," rispose lui, deciso. "Non mentirmi—”

"Draco, lo giuro," lo avvisò lei, seppur con voce debole. "Se non mi lasci passare—”

"Dimmi soltanto che cosa ti è accaduto," persistette lui, tentando di immettersi tra lei e la parete. "Qualcuno ti ha fatto del male? Sei stata ferita?"

"No, Draco," Hermione scosse la testa, indietreggiando. "Spostati, ti prego—”

"Non finchè non mi dici che cosa è successo—”

"LASCIAMI ANDARE!" urlò lei, scacciando via la mano di Draco appoggiata alla maniglia. "PERCHÉ NON VUOI ASCOLTARMI?"

"Si può sapere qual’è il tuo problema?" urlò di rimando lui, la confusione negli occhi. "Ho soltanto chiesto—”

"Non farlo!" ribatté lei, approfittando della distanza di Draco dalla porta per riuscire ad entrare nella sua stanza. “Vorrei soltanto essere lasciata sola—”

"BENE!" Draco ribatté a voce più alta dall’altra parte della parete, il suo tono acceso dalla sensazione di rifiuto. “SE VUOI RIMANERE SOLA, ALLORA RIMANI CHIUSA LI DENTRO SENZA DIRE UNA PAROLA! PERFETTO!”

Hermione sbattè la porta con un colpo definitivo, mormorando sottovoce un incantesimo silenziatore. Sentiva che la tristezza provata poco prima nell’ufficio della Preside stava ritornando, più intensamente di quanto potesse immaginare; Draco non avrebbe mai potuto comprenderla.

Non poteva affrontare anche lui in questo momento; doveva concentrarsi al massimo sulla questione più importante, perciò rifiutò che i suoi pensieri si impantanassero ulteriormente, non quando sua madre e suo padre stavano per dimenticarsi per sempre della sua esistenza.

Priorità, priorità, priorità.

Inspirò a fatica, sentendo le prime lacrime porsi sulle sue guance ancora umide. Cercò di ignorare l’istinto di soccombere alla propria debolezza e afferrò il libro di incantesimi, sfogliando le pagine con dita tremanti.

Aveva letto quei volumi antichi milioni di altre volte, i paragrafi sbiaditi dal tempo, le pagine dalle orecchie piegate e consunte dal passaggio di ogni studente nel corso del tempo, con la presunzione di conoscere ad occhi chiusi qualsiasi formula.

Quella sera, tuttavia, nessun incantesimo sembrava rimanere impresso nella sua memoria per più di pochi secondi, ogni passaggio sfocato davanti ai suoi occhi lucidi, letto un milione di volte senza mai acquisire un significato.

Hermione fece tutto il possibile per rimanere composta e concentrata, nonostante alcune lacrime testarde tradissero il suo tormento.

Quando, a mezzanotte, decise di aver fatto tutto il possibile per prepararsi, si rifugiò sotto al piumone senza neanche trovare la forza per spegnere la luce.
I suoi movimenti, apatici e inerti, mentre cercava di riporre il pesante libro sul tavolo a fianco del letto, si interruppero di scatto mentre Hermione rilasciava l’ultimo sospiro carico di pianto di quella serata.

Strinse le palpebre, cercando di non pensare al fatto che i suoi genitori si sarebbero dimenticati della sua esistenza entro sei ore...

La sua mente scivolò alla sua conversazione con Draco, quasi accidentalmente, chiedendosi se avrebbe potuto far andare le cose diversamente.
Non sapeva se avesse fatto la scelta giusta ad allontanarlo, ma ciò di cui era certa era che quella notte più che mai, la solitudine sarebbe tornata a farle visita.
 
***
 
Draco picchiettò nervosamente le dita contro il ruvido legno della scrivania.

Lo scontro con la Granger lo aveva lasciato in uno stato di inspiegabile frustrazione, costringendolo ad attraversare futilmente la minuscola stanza da letto a grandi passi, avanti e indietro, in un inutile tentativo di sfogo.

Non sapeva quale parte del loro scambio assurdo lo avesse innervosito di più; il modo in cui lei lo aveva trattato, o il fatto che non avesse la più pallida idea del perchè la Granger fosse tornata nel loro dormitorio in quello stato.

Diamine, quanto avrebbe voluto avere con sé la sua bacchetta in quel momento.

Gli sarebbe bastato un semplice incantesimo per poter scavalcare quell’inutile porta chiusa e pretendere una spiegazione, nonostante ancora cercasse di nascondere a sé stesso il forte senso di protezione che si celava dietro questo suo bisogno di risposte.

La sola idea che qualcuno potesse averle fatto del male, fisicamente o emotivamente, lo scaldò a tal punto da fargli pulsare il sangue nelle vene.
Non aveva idea da dove venisse questo intenso bisogno di sapere se la Granger fosse in pericolo, ma lo stava facendo impazzire.
Aveva bisogno di sapere chi, o cosa, l’avesse sconvolta a tal punto da impedirle di parlare con lui.

Doveva saperlo.

I suoi occhi glaciali studiarono amareggiati la sua stanza vuota.

Aveva passato sempre meno sere da solo nella sua stanza e quando accadeva, si trattava di una decisione volontaria, dettata dal buonsenso e dalla necessità di separarsi almeno per un momento dalla presa che la Granger aveva sulla sua sanità mentale.  

Le proteste nella sua mente si facevano sempre più flebili col passare del tempo, e il pensiero di passare la notte in completa solitudine quella sera, lo fece sentire freddo e irrigidito.

Appoggiò con rassegnazione la fronte alle nocche e rilasciò un pesante sospiro.

Ebbe come la sensazione che quella notte gli incubi sarebbero tornati a fargli visita.
 
***
 
Il colore del cielo mattutino attraversava una tenue sfumatura di viola, nell’esatto momento in cui la McGranitt le materializzò entrambe all’inizio della strada dove Hermione aveva passato tutta la sua infanzia.

Si riusciva a sentire il cigolio distante della bicicletta che consegnava i giornali, le voci soffuse e sovrapposte delle massaie che si salutavano dalle rispettive finestre, il borbottio irregolare del vecchio furgoncino che distribuisce il latte nel quartiere.

Il pesante strato di neve che si adagiava su qualsiasi cosa, il pallido grigiore di quella fredda giornata, e il dolore che scalfiva il suo cuore, quasi impedirono ad Hermione di compiere i suoi prossimi passi.

Scorse la sua casa al di là della strada, sorpresa nel vedere le luci della cucina già accese a quell’ora del mattino. Sapeva che i suoi genitori erano persone mattutine, ma in cuor suo, avrebbe sperato di poter compiere la sua missione mentre si trovavano ancora immersi in un profondo sonno inconsapevole.

"Sei sicura di potercela fare, Hermione?" le chiese la Preside, il volto coperto da un pesante mantello scuro.

"Sono sicura," annuì Hermione, lo sguardo fisso verso la porta principale

La McGranitt sospirò, stringendo la spalla di Hermione. “Molto bene,” disse. “Rimarrò in questa posizione, per quando sarai di ritorno. Se hai bisogno di aiuto, se senti di non potercela fare da sola—”

“Ce la farò,” rispose Hermione. “Tornerò presto.”

Inspirò a lungo, fino a riempirsi i polmoni della gelida aria mattutina, prima di materializzarsi nella sua camera da letto con un colpo secco.

Ogni cosa era come l’aveva lasciata l’ultima volta; il suo letto perfettamente piegato, la sua fedele coperta di pile colorato ai piedi del letto, gli unici libri che non si trovavano nel suo dormitorio ad Hogwarts, impilati in una pila ordinata sul comodino.

Hermione si leccò le labbra distrattamente, studiando i poster rimasti attaccati alla testata del suo letto sin da quando aveva dodici anni, e l’ostinata macchia di succo di frutta rimasta impressa sulla moquette, reduce dal momento in cui aveva scoperto di possedere poteri magici.

L’intera stanza era piena di ricordi, pensieri del passato.

Il pensiero sconvolgente di quello che stava per fare fu interrotto da un movimento ai piedi del suo letto.

“Crooks,” sussurrò lei, la voce carica di affetto, inginocchiandosi e prendendo in braccio il morbido gatto, stringendolo al petto. “Mi sei mancato, piccolo.”

Il gatto color carota acceso strusciò il muso contro la sua guancia, le sue fusa un sottofondo nostalgico che la riportarono alle lunghe serate d’estate, passate nell’attesa del ritorno ad Hogwarts.

"Tornerai a vivere con me al castello," gli disse, ponendogli un leggero bacio in mezzo alle orecchie prima di sentire i passi dei suoi genitori al piano di sotto. “Ora ho bisogno che tu esca, Crooks, va bene? Ti verrò a prendere presto, coraggio vai...”

Hermione adagiò Crookshanks sul piumone, osservandolo mentre saltellava via dalla stanza con movimenti languidi e silenziosi. Diede un ultimo sguardo alla sua camera e si diresse verso il corridoio, trattenendo a stento le lacrime.

Attuò un incantesimo silenziatore per celare i propri passi, scendendo le scale, accarezzando con la punta delle dita le vecchie fotografie appese al muro.
Le voci dei suoi genitori trascinarono Hermione come un incantesimo verso il salotto.

Il sottofondo familiare del notiziario televisivo riempì istantaneamente la stanza, ed Hermione si voltò verso il salotto, trovando i suoi genitori seduti sul divano, mentre si versavano il solito the mattutino e ascoltavano le ultime notizie.

L’odore di toast bruciacchiato le riempì le narici, ricordandole quanto potesse essere maldestro suo padre a volte — soprattutto nel preparare la colazione — e di come sua madre mangiasse tutto senza lamentarsi perché gli voleva troppo bene per farglielo notare.

Hermione esitò sul ciglio della porta, paralizzata dall’angoscia. Cercò di scacciarla via, per avere la mente il più libera possibile. Voleva farlo subito, prima che potessero accorgersi della sua presenza e imprimere i loro sguardi confusi per sempre nella sua memoria.

Finalmente, alzò la mano tremante e strinse la presa sulla bacchetta, preparandosi.

“Vi amo così tanto, così tanto—” sospirò, la sua voce coperta dal volume della televisione. Una singola lacrima si fece strada sul suo viso nell’esatto momento in cui Hermione chiuse gli occhi e si concentrò sull’incantesimo con tutta la forza che possedeva.

"Obliviate."

Non avrebbe voluto farlo, ma non riuscì a non aprire gli occhi subito dopo; vide scomparire se stessa dalle fotografie appoggiate al caminetto quasi all’istante, come se potesse fisicamente sentire se stessa rimossa dalla memoria dei suoi genitori.

Sapendo di aver a disposizione solo pochi minuti prima che la loro nuova memoria prendesse forma e nuove informazioni si creassero, Hermione rimase comunque pietrificata vicina alla porta del salotto.

La tentazione di sporgersi verso di loro e dargli un ultimo abbraccio d’addio era talmente forte, e ci volle ogni briciolo di autocontrollo per riuscire a staccare gli occhi da quella scena.

Hermione si poggiò una mano sulla bocca e accarezzando l’aria, la sporse verso i suoi genitori. “Prometto che vi troverò quando tutto sarà finito.”sospirò, voltandosi e chiudendo la porta d’ingresso alle sue spalle.

Era tutto finito.

Niente più famiglia. Niente più Harry e Ron. Guerra.

Cercò di crollare al suolo al pensiero di non avere più una famiglia che sapesse di lei e le volesse bene, il pensiero di aver dovuto dire addio alla sua infanzia così
bruscamente…

Crookshanks la aspettava paziente seduto sul muretto d’ingresso, il muso leggermente piegato quasi mostrando preoccupazione.

Piegandosi per accoglierlo tra le sue braccia, lo strinse come non mai, mentre si voltava a guardare per l’ultima volta la sua casa. Sentiva che il suo corpo non avrebbe potuto sopportare ancora per molto i suoi gemiti soppressi, ma vedendo la McGranitt che la aspettava in fondo alla via, decise di aggrapparsi a tutta la forza che aveva in corpo per non crollare.

“È stato molto veloce,” la professoressa commentò, estendendo il braccio e dando a Crookshanks un leggero buffetto. “Com’è andata?”

“Bene,” rispose Hermione. “È andato tutto come previsto.”

“Come ti senti?”

“Sto bene”, mentì, alzando il mento per dare più convinzione alle sue parole. “Dovremmo tornare indietro prima che qualcuno possa vederci.”
 
***
 
Hermione si scusò velocemente e corse verso il dormitorio, cercandi disperatamente un po’ di solitudine, per allontanarsi il più possibile dallo sguardo pieno di pena e commiserazione che la McGranitt continuava a rivolgerle da quando erano tornate al castello. L’unica cosa che desiderava in quel momento era di chiudersi in una stanza nel mezzo del nulla e urlare a squarciagola, fino a non avere più voce, ma le gambe le cedettero non appena mise piede nel dormitorio.

Crookshanks balzò giù dal suo grembo mentre Hermione si accasciava al pavimento, lasciandosi scivolare contro la pesante porta di mogano. Si strinse le gambe al petto e abbandonò la fronte alle ginocchia, arrendendosi all’inevitabile consapevolezza di ciò che era appena accaduto, piangendo senza controllo. Il gatto le strofinò il muso contro i jeans, i suoi miagolii che coprivano appena i suoi singhiozzi, ma lei lo notava a malapena, il volto coperto dai jeans ormai zoppi di lacrime, cercando invano un qualsiasi pensiero felice a cui aggrapparsi.

Draco la trovò in quello stato, una figura distrutta e tremante che lo immobilizzò sul colpo. Il suo innato pregiudizio si scontrò ancora una volta con la forza di questo nuovo sentimento, una battaglia silenziosa nella sua testa, ma all’ennesimo singhiozzo della ragazza, i suoi piedi balzarono in avanti senza nemmeno avere il tempo di rendersene conto, o di contestare il motivo del suo gesto.

Si accasciò di fianco a lei e la studiò titubante, cercando un qualsiasi indizio sul suo stato d’animo, ma l’unica cosa che riusciva a notare fu la grossa massa di pelo arancione ai suoi piedi.

“Sei ferita?” mormorò dubbioso, ma lei non gli diede nessun segno di aver percepito la sua presenza. “Granger, cosa c’è che non va?”

Niente. Nemmeno un cenno.

Draco raccolse ogni briciolo di pazienza che poteva riuscire a mantenere, scostandole lentamente qualche riccio scomposto dagli occhi, così da poter vedere meglio il suo viso. C’era qualcosa di profondamente impenetrabile nella sua espressione devastata, qualcosa che gli fece sentire uno spasmo inspiegabile allo stomaco, e lo sconvolse a tal punto da non riuscire quasi a comprenderlo.

"Granger," Draco provò di nuovo. “Di che si tratta?"

Ancora nulla.

Con uno sbuffo pieno di frustrazione, lasciò che le sue dita le accarezzassero leggermente il collo con movimenti lenti e rassicuranti. “Hermione,” sospirò. “Dimmi cosa vuoi che faccia.”

Finalmente, vide qualcosa; una minuscola scintilla nel suo sguardo perso gli fece capire che l’aveva sentito. Trattenne il fiato mentre lei si voltò quasi impercettibilmente, mormorando parole incomprensibili.

“La mia...la mia stanza...” riuscì a dire con voce flebile.

“D’accordo,” mormorò Draco, prendendole il braccio e poggiandolo gentilmente sulle sue spalle, una mano sulla sua schiena e una al di sotto delle ginocchia.
Si alzò in piedi portandola con sé, tenendola stretta mentre si dirigevano verso la sua stanza.

Ogni suo sospiro e gemito vibravano contro il suo petto mentre Draco faticava a dirigerla verso il bagno e poi verso il letto.  
Si sedette sul bordo, osservando Hermione chiudersi in se stessa come un riccio, il corpo rivolto verso la parete opposta, impenetrabile.

“Voglio...stare s-sola.” Gemette Hermione, notando appena Crookshanks balzare sul letto e raggomitolarsi ai suoi piedi.

Draco strinse le labbra. “Granger, non penso che sia—“

“Per favore, Draco.”

La disperazione nella sua voce lo fece rabbrividire, così decise di allontanarsi lentamente da lei e assecondare la sua richiesta, voltandosi per uscire dalla stanza. Rimase sul ciglio per un secondo, voltandosi oltre le spalle e osservando Hermione raggomitolata in se stessa. Ebbe la sensazione, in quel momento, di non aver mai avuto così tanta consapevolezza nei confronti di un’altra persona prima d’ora.

Che Salazar potesse fulminarlo, non sarebbe più riuscito a fare altrimenti ormai.

Scuotendo leggermente il capo, chiuse la porta alle sue spalle, chiudendo la Granger nella stanza, riuscendo a sentire deboli gemiti provenire dall’altro lato della parete.

Quel pianto lo perseguitò per il resto della giornata.
 
***
 
Erano quasi passate le tre del mattino quando Draco decise che ne aveva abbastanza.

Dopo aver passato ore intere in attesa di un segnale, pensando ad ogni spiegazione che potesse giustificare la tristezza della Granger, il dolore pulsante alla testa era diventato insopportabile, e la sua tolleranza per quell’assurda situazione si era ridotta in briciole.

Sapeva che avrebbe dovuto essere sensibilmente delicato nel suo approccio se avesse voluto scoprire la ragione del suo comportamento, ed in un assurdo momento di riflessione, si era persino apprestato a farle una tazza di tisana rilassante.

Dopo un paio di tentativi falliti, si diresse verso la porta della camera da letto, un vassoio traballante tra le mani, una tazza, due biscotti e una testa piena di domande. Non appena aprì la porta, alla vista di lei chiusa a riccio sul letto, una spiacevole sensazione di freddo improvviso gli attraversò la spina dorsale.

Hermione però si accorse della sua presenza, e si sforzò di mettersi in posizione seduta, muovendo le coperte e i cuscini che la circondavano come un muro di protezione. Le labbra screpolate iniziarono a tremarle senza emettere un suono, come di norma faceva in momenti di estremo nervosismo, e la sua postura era floscia e sconsolata, ma furono gli occhi, lo sguardo, a far perdere un battito a Draco. Aveva smesso di piangere, ma le guance rosse erano piene dell’ombra di vecchie lacrime, i suoi occhi distanti erano disperatamente profondi; di una bellezza disperata e distrutta, quasi come di un guscio senz’anima.

Con un sospiro, si avvicinò lentamente a lei, appoggiando il vassoio sul comodino e sedendosi al suo fianco, ma fu come se lei non lo vedesse affatto.

“Avanti, Granger,” disse, il tono più carico di preoccupazione di quanto volesse lasciar intendere. “Dammi un segnale. Sei più forte di così.”

Hermione non batté nemmeno le palpebre.

“Che cosa è successo?” domando, provando un approccio diverso. “Si tratta di...di Potter e Weasley?”

Silenzio, solo silenzio e lo stesso sguardo vuoto.

“Per la miseria, Hermione,” sbuffò, prendendole il volto tra le mani e forzandole lo sguardo. “smettila di ignorarmi e dimmi cosa diavolo è successo.”

Hermione chiuse gli occhi e Draco contrasse la mascella, in attesa, carico di tensione. Avvicinando il volto al suo, poggiò la fronte a contatto con quella di Hermione, sfiorando lentamente il pollice sulla sua guancia, per asciugare il corso di una nuova lacrima che le attraversava il viso.

“Torna da me, Granger,” sussurrò, “Io…” Salazar, perdonami. “Io ho bisogno di te.”

Un enorme senso di sollievo lo pervase quando Hermione aprì gli occhi e lo fissò per la prima volta da quando era entrato nella stanza. Sbattè le palpebre ed aprì la bocca lentamente, mentre Draco la osservava in assoluto silenzio, non osando muovere un muscolo per paura che la Granger tornasse al precedente stato catatonico.

“Mia madre e mio padre non hanno idea di chi io sia,” mormorò finalmente, e il sopracciglio di Draco si accigliò confuso. “I Babbani sono...sempre più in pericolo di morte, tutti questi omicidi...ho dovuto assicurarmi che potessero salvarsi..."

Draco non disse una parola, perchè non aveva idea di cosa avrebbe potuto dire. Aveva domande, certo, mille domante, ma il suo istinto gli intimava di aspettare, almeno fino a che la Granger non se la fosse sentita di spiegare più nel dettaglio.

Si mosse in visibile imbarazzo sul letto, spostando il suo peso da una molla all’altra.

Confortare le persone non era mai stato il suo forte, perciò pensò  che la soluzione migliore fosse quella di non peggiorare la situazione già delicata facendo uscire dalla bocca concetti che non sapeva come esprimere.

Avvicinandosi a lei, si fece spazio al suo fianco, circondando la sua figura esile con il braccio sinistro, stringendola delicatamente. Quando Hermione poggiò la testa contro il suo petto, Draco rilassò il suo corpo, sollevando i piedi da terra e stendendoli sul letto, stringendo a sè la giovane con un sospiro. Hermione parve fondersi con lui, in cerca disperata di calore umano e vicinanza. Sporgendosi verso destra, Draco afferrò la tazza di tè e gliela porse.

“Bevi qualcosa,” le disse. “Non hai mangiato nulla.” La guardò attentamente mentre si portava la tazza alle labbra, sorgeggiando lentamente, mormorando compiaciuta e guardandolo di traverso. “Che c’è?” domando lui.

“Questo tè è molto buono,” gli rispose Hermione, lasciandosi sfuggire un sorriso nel vedere l’espressione fintamente disinteressata di Draco.

“Se lo dici tu,” borbottò, senza riuscire a mantenere quell’espressione a lungo. “Granger, io—”

“Sai qual’è la cosa peggiore?” lo interruppe lei, la sua voce un misto di tristezza e risentimento “Non avrei mai...non avrei mai pensato di poter odiare qualcuno con tutta me stessa. Intendo, odiarli a tal punto da desiderare la loro morte.”

Draco rabbrividì al tono della sua voce, ma decise di non interrompere il suo pensiero, se questo poteva in qualche modo aiutarla a liberare la sua mente oppressa dal dolore. Le sue dita giocherellavano distrattamente con un ciuffo di capelli castani che gli ricadeva sul petto mentre la ascoltava aprire la sua anima a lui con un solenne livello di fiducia.

“V-Voldemort ha distrutto così tante vite e famiglie,” continuò, alzando il mento e fissandolo con sguardo determinato. “La famiglia di Harry, di Neville…” continuò, prendendogli la mano. “Persino la tua.”

Draco lasciò che un sospiro gli uscisse dal petto, un sospiro che non sapeva stesse trattenendo, con una stranissima sensazione pesante nel petto. “Granger—”

“Lo odio,” sbottò lei, nuove lacrime che le solcavano il viso. “Lo odio così tanto—”

“Granger, respira,” la istruì deciso, seppur un po’ sollevato di poter risentire finalmente della vita, del fuoco, nelle sue parole. “Tieni, bevi dell’altro tè…”

“Grazie,” rispose lei, e Draco scattò sorpreso. “Per avermi ascoltato...mi sento meglio ora.”

Draco annuì e si accigliò segretamente nel notare una minuscola lacrima farsi strada sulla sua stessa guancia. Mentre ascoltava il ritmo sincronizzato dei loro cuori vicini nella
stanza vuota, si voltò per stringere i loro volti in un breve ma rassicurante bacio. Evidentemente, la sua malinconia era ben lontana dall’essere passata per sempre, ma Draco sapeva che la sua strega l’avrebbe sconfitta a tempo debito, sapeva quanto fosse forte.

“Cosa vuoi fare adesso?” le chiese.

“Sono stanca,” Hermione confessò, giocando nervosamente con le dita e incrociando il suo sguardo in un modo che ormai aveva cominciato a riconoscere, come quando stava per ricevere una domanda alla quale probabilmente non avrebbe saputo rispondere.

“Resteresti con me finchè non mi sarò addormentata?”

Esitò per un momento, per poi annuire gentilmente, abbassandosi più verso il cumulo di coperte che creavano un nido intorno alla Granger, e posizionando la sua testa contro il suo cuore pulsante. Permettendole di sprofondare il suo volto e qualche lacrima testarda nel suo maglione, Draco si rese conto di non aver mai fatto una cosa del genere prima d’ora; semplicemente addormentarsi insieme senza la stanchezza e la frenesia di un post-incontro che fluttuava nell’aria consapevole fra loro.

Se qualcuno avesse mai osato chiederglielo in futuro, avrebbe risposto che quello fu il momento in cui si rese conto che i suoi sentimenti per la Granger avevano raggiunto un livello potente, ed estremamente pericoloso.

Così forte, da poter onestamente ammettere a se stesso, di ritrovarsi cieco di fronte alle differenze di sangue tra di loro.

Semplicemente, non gliene importava più nulla.
 
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