Renghit, uno degli ultimi stati dove il duello all'arma bianca era ancora legale.

Il giornalista galoppava verso il luogo dell'incidente: finalmente il suo contatto alla centrale gli aveva passato un caso interessante.

Arrivò giusto in tempo per assistere all'arresto: uno dei due contendenti era riverso a terra, circondato dal suo stesso sangue, mentre il suo avversario veniva ammanettato. Le papere starnazzanti nel piccolo stagno lì accanto erano una tetra cornice dell'odore ferroso del sangue che impregnava l'aria, mentre i fili d'erba risplendevano cremisi intorno al cadavere.

L'agente Loggins bloccò il giornalista prima che potesse avvicinarsi troppo. «Non voglio disturbarla, solo qualche domanda! Una foto o due, magari?» L'agente sospirò, ormai stanco di quel lavoro che faceva ormai da quarant'anni. «Le concedo solo una domanda. Non di più.» «Quale è stata l'arma del delitto?»

A quel punto il sangue defluì dalla faccia di Loggins, lasciandolo pallido come un cadavere. «Come può immaginare ha usato qualcosa di estremamente illegale» disse mentre tirava fuori dalla giacca una piccola busta.

La tiepida luce di primavera si riflettè sul terrificante oggetto del delitto: una splendida penna stilografica di ottima fattura e perfettamente affilata, con una sottile linea rossa a sottolinearne il profilo sinuoso della punta in iridio puro.

Le mani tremarono in uno spasmo di orrore.
Loggins lo guardò negli occhi. «Da giornalista lei ben sa...» sussurrò, con la faccia di chi, forse, ha visto troppo per dormire serenamente la notte «ne uccide più la penna che la spada.»