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Autore: EleWar    04/01/2020    3 recensioni
Improvvisamente, sul monitor del radar comparve una lucina lampeggiante: nello spazio aereo in prossimità del Drago Spaziale, un oggetto voltante stava entrando nell’atmosfera terrestre.
Il capitano Pete Richardson, sotto il solito ciuffo che gli copriva negligentemente gli occhi, aguzzò la vista e fu percorso da un brivido inaspettato. Midori rivolgeva la sua attenzione alternativamente al grande schermo su cui lampeggiava quella lucina, e la strumentazione di bordo. Il dottor Daimonji taceva con espressione imperturbabile; Sanshiro aspettava ordini, nel caso avesse dovuto uscire con il Gaiking, il gigantesco robot contenuto all’interno del Drago Spaziale. Tutti tacevano in attesa.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti, questa è la mia prima (e forse ultima, chissà) fic sul mondo di Daiku Maryu Gaiking. Mi sono avvicinata a questo fandom grazie alla mia cara amica Briz65, e questa mia storiella prende il via proprio dalle sue fanfiction, perché i miei pochi ricordi infantili di questo anime, non sarebbero bastati a farmi scrivere niente di niente :-D Nelle fic di Briz65 compare un personaggio OC, Fabrizia-Briz Cuordileone, ed io, con il suo permesso, ovvio, ho scritto… quello che leggerete ;-)
Detto questo, buona lettura e… siate clementi con me, mi sono mossa in un terreno semi-sconosciuto quindi vi prego di chiudere un occhio su qualche imprecisione ^_^
EleWar
 
 
CERTI VIAGGI…


Improvvisamente, sul monitor del radar comparve una lucina lampeggiante: nello spazio aereo in prossimità del Drago Spaziale, un oggetto volante stava entrando nell’atmosfera terrestre. Tutta la strumentazione di bordo iniziò a lampeggiare, e ad emettere bip continui e costanti. Ogni componente dell’equipaggio s’irrigidì al proprio posto; avevano appena concluso con successo l’ennesimo scontro con uno dei multiformi mostri Zelani, erano stanchi e provati, e di certo non si aspettavano di ricominciare da capo. Ma a parte la loro, non esistevano altre astronavi terrestri in grado di percorrere rotte intergalattiche o sorvolare la terra come stava apparentemente facendo quel velivolo. Quindi, se non era di provenienza terrestre, doveva per forza appartenere alle potenze nemiche.

Il capitano Pete Richardson, sotto il solito ciuffo che gli copriva negligentemente gli occhi, aguzzò la vista e fu percorso da un brivido inaspettato. Midori rivolgeva la sua attenzione alternativamente al grande schermo su cui lampeggiava quella lucina, e la strumentazione di bordo. Il dottor Daimonji taceva con espressione imperturbabile; Sanshiro aspettava ordini, nel caso avesse dovuto uscire con il Gaiking, il gigantesco robot contenuto all’interno del Drago Spaziale. Tutti tacevano in attesa.

Intanto quel puntino luminoso continuava imperterrito ad avvicinarsi, presto a contatto con l’atmosfera terreste si sarebbe incendiato. L’Osservatorio Spaziale Internazionale non aveva segnalato piogge di meteoriti e meno che meno di asteroidi di nessun genere; quell’oggetto misterioso in avvicinamento, era da considerarsi come una minaccia?

Da che era apparso per la prima volta sui monitor, nessuno aveva detto una sola parola, fino a quando la giovane Briz Cuordileone sbottò, forse per allentare la tensione:

“Ma quanto cavolo ci mette ad arrivare? Sono stufa di aspettare!”

“Calma, fanciullina!” la redarguì Pete.

“Ehi, non ditemi che anche voi non siete preoccupati? Questa attesa mi distrugge!”

“Effettivamente per essere un mezzo aerospaziale sta andando relativamente lento, se fosse stato anche solo un caccia dell’Armata Zelana dell’Orrore Nero, sarebbe dovuto piombare sulla terra a velocità fulminante” commentò pacatamente Sakon Gen, quel genio dell’ingegnere aerospaziale.

“Basta, ho deciso! Esco con il mio Balthazar!” sbottò Briz.

Tutti si voltarono allarmati verso di lei; in realtà erano abituati all’impulsività di questa italiana tutto pepe, ma finora si era dimostrata una combattente capace e coraggiosa, sicuramente affidabile e mai avventata nei combattimenti e nelle sortite, e soprattutto negli ultimi tempi avevano iniziato a sospettare che non fosse semplicemente la pilota del leone alato, costruito da suo padre e da suo fratello, e che sotto ci fosse molto di più. A volte aveva avuto delle intuizioni che avevano sfiorato il soprannaturale e nessuno si sentì di ribattere. Nemmeno Pete osò commentare acidamente, come faceva all’inizio, e anzi si morse il labbro per impedirsi di dire un’altra sciocchezza: il loro rapporto si giocava sempre sul filo del rasoio ed era fatto di amore ed odio. E comunque dopo l’ultima battaglia erano tutti troppo stanchi. A conferma dei sospetti di tutti, infatti, Briz aggiunse, dopo averci pensato su un po’:

“Io… io sento che non dobbiamo preoccuparci di questo oggetto che sta venendo verso di noi. Non credo che sia qualcosa di zelano” e detto questo, corse al suo Balthazar.

Una volta dentro il suo favoloso leone alato, si calò il casco sui folti capelli e diventò un tutt’uno con Balthazar, preparandosi ad uscire dal Drago Spaziale, in direzione dell’oggetto misterioso.

Dopo aver impostato le coordinate di volo, si diresse ai limiti della termosfera: voleva intercettare il velivolo prima che prendesse fuoco e magari andasse distrutto. Sentiva che doveva salvarlo, che dentro c’era qualcosa che lei doveva vedere e che era importante per lei. E più si avvicinava, più percepiva come un richiamo sempre più forte, una forza che l’attirava verso quell’oggetto volante sconosciuto, ed era come se quello fosse giunto lì proprio per lei.

Quando finalmente fu in vista del velivolo si accorse che era piccolissimo, a tutta prima sembrava una capsula di salvataggio, ricoperta di lucente metallo argenteo; si stupì perché non avevano intercettato altre astronavi nei paraggi, nemmeno quelle nemiche, a parte il mostro appena sconfitto, e che era in tutt’altra parte della Terra; non c’erano stati s.o.s interstellari da parte di qualcuno in avaria o in difficoltà. Quella capsula cadeva letteralmente, ed era veramente il caso di dirlo, dal cielo.

Accelerò ulteriormente fino ad intercettarne la rotta: la capsula era piccolissima, e Briz pensò che assomigliasse vagamente ad una culla, ad un guscio di noce, e che dentro ci sarebbe potuta stare comodamente una persona distesa. Allungò una zampa e riuscì, senza danni, ad afferrare la navicella, e fermarne la corsa senza schiacciarla fra gli artigli. Grande fu la sorpresa quando si accorse che effettivamente dentro c’era una persona, apparentemente priva di sensi: la proteggeva una sorta di calotta trasparente e poteva scorgere giusto i lineamenti che ne rivelavano, di primo acchito, una parvenza umana. Richiuse la zampa intorno alla capsula ed invertì la rotta, verso il Drago Spaziale. Al riparo nella zampa del leone, non avrebbe subito lo sbalzo termico dei vari strati dell’atmosfera.

Briz, guidando Balthazar, con quella navicella stretta nella zampa, fu presa da una strana inquietudine: inspiegabilmente sentiva di doversi sbrigare, che ne andava della vita dell’essere rinchiuso in quella capsula di salvataggio. Da che era uscita non aveva detto niente al resto dell’equipaggio, e sussultò quando sentì la voce di Doc nell’altoparlante della plancia, chiedere:

“Allora? Briz, di’ qualcosa. Di cosa si tratta?”

“Oh, scusi, Doc. Si tratta di una capsula di salvataggio, e all’interno sembra esserci una persona, credo un umano. L’ho recuperata ed ora la sto portando con me. Tenetevi pronti e… Doc, credo proprio che dovrà essere sottoposta ad una visita accurata”

“Ehi, ma sei matta?” tuonò la voce alterata di Pete Richardson “Vuoi portare un altro alieno all’interno del Drago? E se fosse una spia? Un nemico?”

“Non ricominciare con questa storia! È una capsula di salvataggio, ergo: chi è all’interno deve essere salvato! E poi io sento che non c’è da aver paura, che la persona che vi è dentro è innocua”

“Puah!” sentì sbuffare Pete.

“Briz ha ragione! Anche se stiamo combattendo una guerra, non dobbiamo perdere la nostra umanità. Abbiamo il dovere di salvare un altro essere vivente” chiosò il dottor Daimonji, chiudendo temporaneamente la questione.

Nel frattempo Balthazar era arrivato nei pressi del Drago, e si apprestava ad eseguire le complesse manovre per rientrarvi, sempre tenendo con cura la capsula nella zampa. Quando atterrò finalmente all’interno della pancia della grande astronave, aprì lentamente e cautamente gli artigli, premurandosi che la navicella scivolasse delicatamente sul pavimento dell’hangar del Drago senza scossoni. Poi, accertatasi che non ci fossero ulteriori problemi per la capsula, Briz si decise a disconnettersi dal suo leone alato. Anche stavolta, appena sfilato il casco ed essere ritornata semplicemente Fabrizia, provò una forte ondata di nausea, unita a sudori freddi e tremori. Dovette accasciarsi sul sedile di Balthazar per riprendersi. Chiudendo gli occhi pensò che ogni volta era sempre peggio: se da un lato diventava sempre più brava a manovrare il suo leone, entrando sempre più in simbiosi con il bestione alato, allo stesso tempo ogni volta che tornava sé stessa era sempre più doloroso e sfiancante. Questa volta però aveva fretta di riprendersi velocemente, perché era curiosa di vedere chi avesse salvato e se ne fosse valsa la pena. Per quanto ne sapeva, l’essere poteva essere in fin di vita o addirittura… peggio.

Si passò una mano fra i capelli sudati e fece un paio di profondi respiri, e quando si sentì sufficientemente in forma si decise ad uscire.

Nonostante la spossatezza, si diresse alla capsula più veloce che poté; nel frattempo anche il resto dell’equipaggio era arrivato alla spicciolata per vedere l’occupante della navicella. Tutti gli si fecero intorno, Doc era arrivato con una barella hovercraft, e quando si sporsero sulla calotta trasparente, con una mano Briz deterse il leggero strato di condensa che si era formato e trattenne il respiro.

All’interno c’era una donna, attraente e di età indefinibile, con un fisico slanciato, biondi capelli lunghi con una curiosa frangetta bianca, che indossava una tuta simile a quelle in dotazione all’equipaggio; ad occhi chiusi, giaceva apparentemente priva di sensi. Sakon prese a perlustrare la navicella, in cerca dei comandi per l’apertura della calotta, e li trovò sotto un pannello a scomparsa vicino alla chiusura ermetica. Sfiorò dei tasti e un secondo dopo la calotta si dissigillò, con uno strano rumore come di sbuffo. La capsula era pressurizzata.

Doc si fece avanti e controllò rapidamente i parametri vitali della donna, e appurato che era solo svenuta o comunque in una specie di coma indotto, si fece aiutare dai ragazzi e la depose sulla barella.



Pochi minuti dopo era nel suo laboratorio.
 
Doc si era chiuso la porta alle spalle, lasciando fuori  Briz, Fan Lee, Midori e Sanshiro che, inquieti, si disposero ad aspettare. Anche Pete li aveva raggiunti, dopo aver programmato la rotta verso la base, e appoggiato con le spalle alla parete, testa reclinata leggermente in avanti, se ne stava chiuso nel suo solito mutismo. Sakon, Bunta e Yamatake erano restati nella stazione di approdo per studiare quella strana navicella spaziale. Briz, invece, non faceva che misurare il corridoio a grandi passi, per tutta la lunghezza, mordendosi le unghie; quando Pete se ne accorse le chiese con un sorriso sardonico:

“Ma non avevi smesso???”

“Ehi, Capitan America! Non scocciarmi! Sono troppo nervosa per stare senza far niente, e ciò che faccio con le mie unghie non è affar tuo!”

“Su, ragazzi, non ricominciate” fece Midori conciliante.

Fan Lee guardò in tralice Briz e si scambiarono un leggero cenno d’intesa: lui a volte era l’unico che capisse le inquietudini della ragazza e, pur non parlando spesso, si trovavano sulla stessa lunghezza d’onda.

Poi finalmente Doc socchiuse la porta, mise la testa di fuori e guardò quei ragazzi ansiosi; i suoi occhi si posarono su Briz e disse:

“La donna si è svegliata. Credo che tu debba entrare e… parlare con lei.”

Briz trasalì: perché proprio lei doveva parlare con quella donna misteriosa? Fu presa da uno strano turbamento, ma prima che Pete potesse dire qualcosa di spiacevole riguardo al suo improvviso timore, si decise a varcare la soglia. Doc non chiuse la porta e timidamente Midori, Sanshiro e Fan Lee la seguirono dentro. Pete, invece, rimase sulla porta a braccia conserte.

La donna era completamente sveglia e seduta sulla lettiga. Sulla pettorina della sua giacca spiccava la sagoma di un cavallo stilizzato, colorato a mosaico; seppur leggermente frastornata, non sembrava impaurita né stupita. Li guardava con occhi dolci e buoni e tutti si sentirono subito conquistati dalla sua persona. Passò al vaglio ognuno di loro e quando arrivò a Pete, fece un sorriso divertito ed impercettibilmente, annuì in segno di apprezzamento. Tornando su Briz chiese:

“Dove mi trovo?”

Briz spalancò gli occhi stupitissima perché la donna aveva parlato in italiano e questo era a dir poco stupefacente. Istintivamente Briz fece un passo avanti verso di lei e, anziché rispondere, chiese a sua volta:

“Ma, ma tu… tu chi sei?”

“Hai ragione, dovrei presentarmi, scusa. Il mio numero di matricola è MMB65, per gli amici semplicemente Marina, e sono una viaggiatrice del tempo. Ho accettato di prendere parte a questa missione nel lontano… che anno è adesso? Comunque, dicevo, mi sono fatta ibernare ed inserire nella capsula che avete recuperato, per compiere un viaggio esplorativo, nel tempo e nello spazio. Se tutto è andato bene, dovrei trovarmi nella dimensione alternativa a quella in cui vivo io; abbiamo trovato un varco spazio-temporale nella zona in ombra di Nettuno e… ed eccomi qua!”

“Quindi vuol dire che sei una terrestre?” chiese Bunta, facendo girare tutti nella sua direzione. Lui e Sakon erano arrivati silenziosamente, e nessuno si era accorto di loro.

Fu Briz a rispondere per lei:

“E certo! Non senti che parla Italiano come, come me? Tu, Pete, capisci quello che dice no?” e si voltò verso il biondino che alzò appena il viso in direzione della sua amica-nemica e annuì.

Poi Sakon, dopo un discreto colpo di tosse, disse:

“Dottore, ho ispezionato il modulo e risulta provenire realmente dal Pianeta Terra. All’interno ho trovato un messaggio scritto in diverse lingue in cui si attestava che la capsula ha passato il controllo di sicurezza il 19 novembre del…” fece una pausa.

“Avanti Sakon, non indugiare…”

“Il 19 novembre del 2019!” finì.

Tutti esplosero in un coro di Ohhhh di sorpresa.

Ma il pratico e pragmatico Pete, sbottò con un:

“Benvenuta a bordo del Drago Spaziale!”
 



NOTA FINALE DI ELE
Questa storiella era nata solo ed esclusivamente come regalo per la mia amica sopracitata (alla quale vanno i miei complimenti e i miei ringraziamenti), e non aveva (ha) nessunissima pretesa. Se lei non avesse insistito, non l’avrei nemmeno pubblicata!
Leggendo il suo “Il Drago e il Leone” e appassionandomi alla storia, mi sono immaginata cosa sarebbe successo se proprio lei che aveva inventato quella storia, ci fosse finita dentro. Ho “sognato” per lei che una capsula venisse dal futuro/passato, da questa dimensione, chi lo sa, e che proprio il leone Balthazar, guidato dalla sua Briz, corresse in suo soccorso, la prendesse e la portasse a bordo del Drago Spaziale, e che infine conoscesse il suo amore adolescenziale (ci tiene a dirlo) Pete Richardson.
Insomma doveva essere uno scherzo fra scribarole (come ama definirci a noi autrici di ff [mi potete trovare con altri abbondanti deliri nel fandom di City Hunter ^_^ ]) nulla di più.
Spero che vi sia piaciuta, nonostante tutto.
In ogni caso, grazie di essere arrivati fino a qui a leggere.
Ciao ciao EleWar
   
 
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